Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
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Autore: KH4    28/01/2015    4 recensioni
“ Vorrei poter dire di averlo fatto…” , la sentì sussurrare “Nel modo giusto, almeno, perché qualcosa ho fatto, ma allora mi bastava pensare che lo fosse per Astral e gli altri per credere che lo fosse anche per me, non importava se faceva male. Adesso, se potessi farlo ancora…Saprei di per certo che sarebbe una bugia.”
 
Sharbaitshipping.
Gender Bender.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nasch, Ryoga/Shark, Yuma/Yuma
Note: OOC | Avvertimenti: Gender Bender
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When The Silence Falls…
 
 
Prison gates won't open up for me
On these hands and knees I'm crawling.
 
Giusto.
Era quello l’unico termine che si addicesse alla sua scelta, corpo e animo finalmente in sintonia con le miriadi di sensazioni contrapposte che l’avevano tartassato sino a trovare la quiete ricercata. Lo aveva fatto, senza “Se” o senza “Ma” a imprigionarlo nei suoi stessi pensieri, una decisione drappeggiata dall’incertezza di sbagliare nel cedere all’egoismo.
 
“Ti sei svegliata.”
Era stata quella voce a renderla cosciente di non trovarsi più a casa sua, al riemergere con dolenza dal torpore paralizzante che ne fece gemere il corpo stanco e indolenzito.
Un buio dagli aloni vermigli la accolse con brusio ovattato.
Schiuse le labbra e la gola le si riempì di puntaspilli ustionanti, sobbalzando al fragore di un tuono schiantatosi in lontananza che aprì i suoi rubini opachi sul mondo coronato da un rosso lastricato, dove scintille arcobaleno sfrecciavano nell’aria lasciandosi strascichi luminosi alle spalle. L’avvertì subito, la schiacciante differenza di temperatura che la stordì alle tempie, comprimendole la cassa toracica e offuscandole con patina leggera la vista, ma ugualmente si concentrò sull’ombra di fronte a lei che, nel mettere appena a fuoco, costrinse le sue spalle a sospingersi all’indietro con debole sospiro. 
Così diverso da come lo ricordava, di aspetto quasi minaccioso, ma sempre lui. 
A strati di viola dalle scure tonalità, adornati di pietre nobili, rifiniture d’oro e una corona ad annunciarne la regalità, la luce sinistra dell’ambiente le rivelò un volto umanoide, sottile e affilato, che la intimorì per l’assenza di naso e bocca.
Solo due occhi, uno di quel blu privo di screziature che si prese un suo sospiro e l’altro identico al cielo che li osservava rombante.
 “Shark…?" 
 
Per anni, Nash aveva convissuto con la sensazione che ci fosse qualcosa di latente nella sua esistenza, d’assenza invisibile che ne impediva di discernere l’appartenere al sogno o alla realtà, ma tali erano stati i tristi avvenimenti ad averne arginato la sensibilità dietro un muro di risoluzione, che non aveva mai pensato che quel dubbio sempre in fuga dalla sua presa – lasciato scivolare nell’oblio -, fosse la sua stessa vita che lo chiamava dal punto più remoto dell’Universo. I legami intessuti su una tela d’olio maledettamente leggera gli si erano sfilacciati fra le mani impotenti, anneriti e divenuti cenere con solo il bieco ricordo di una felicità strappata senza un motivo valido a macchiarlo indelebilmente. Altri ne erano seguiti, ma di altrettanta delicata tenuità da infrangersi per l’aver osato stringerli al petto, caduti a terra come la brina fredda del primo mattino d’inverno.
 
“Cosa…Cosa  vuoi fare?”
Yuna si rannicchiò con le ginocchia al petto, le mani livide a proteggere la Chiave dell’Imperatore che troppo a lungo Shark aveva fissato gelidamente, il viso a sovrastarla con le spalle coperte da un morbido manto cremisi. L’emblema di Barian spiccante in primo piano accentuò il desiderio di lei di diffidare ancora per un po’ di tanta vicinanza, sbattuta da una parte all’altra dal pulsare della sua testa che ne sminuzzava la coscienza appena tornata a galla. 
Non poteva lottare o scappare.
“ N-No..”
Un debole sussulto. Ecco quel che rimaneva della sua cocciutaggine, schiacciatasi indietro con le gambe piene di rivoli raggrumati al percepire le dita di lui serrarsi attorno a uno dei suoi polsi e portarselo vicino senza che i suoi tentativi di resistenza lo fermassero. L’essenza di quel luogo tetro e spezzato scivolava lungo i suoi arti inoltrandosi nei lividi e nelle sbucciature, dove la pelle arrossata riluceva di vulnerabilità bagnata e i tagli ardevano di bruciore pizzicanti al minimo piegamento.
Sarebbe stato quel lambirla con tocchi di velluto a consumarne lo spirito ricolmo di altruismo, il Caos del pianeta oramai imperversava alla continua ricerca di un qualche candore che lo ripulisse dal sudiciume che neppure lui, nonostante il suo controllo, poteva respingere in eterno.
“Shark?”
Le pulsazioni erano lente e irregolari, quasi invisibili, nascoste fra le ossa di quella mano che tante volte era arrivata a rompersi per aiutarlo. Quanto avrebbe resistito lì? Come ci era arrivata? Non vi era modo di appianare quelle domande con risposte immediate. 
   “S…Shark, che cosa…?”
“Sei ferita.”
 Fu tutto quello che si limitò a dirle dopo averla sollevata fra le proprie braccia, prima che il mondo per lei si ottenebrasse nuovamente.
 
Where is the hope in a world so cold?
 
L’Inferno gli scorreva nelle vene, lava bollente rinchiusa in un gelo oscuro che ne ottenebrava gli occhi di quella solitudine affiancataglisi senza mai più abbandonarlo. Lottare era servito a farlo aggrappare a un appiglio tenuto in piedi unicamente dal suo odio, lasciandogli preferire una gabbia dalle catene di filo spinato a una libertà che, per convinzione recidiva, non lo avrebbe mai condotto alle porte di un Paradiso capace di spogliarlo del nero con cui aveva tinto ogni parte di quel mondo così aversogli. Per questo gli era stato tanto naturale allontanare qualcuno che addirittura incarnava uno splendore più puro dell’essenza delle stelle stesse, di calda intensità da ghiacciare i tramonti.
 
“P-Potreste collaborare.”
“No.”
“Perché?”
Le dita della mano destra giacevano rannicchiate nelle sue, grandi e di innaturale conforto che tastavano accuratamente le falangi in cerca di eventuali fratture. Non c’era una spiegazione che potesse darle, sprofondata nelle spigolosità del suo trono come un pulcino, al sicuro in un nido che sicuro e suo non era. 
Aveva un debito, persone che gli avevano donato fiducia e obbedienza incondizionate in nome di una lealtà appena riscoperta, anime imprigionate in un Limbo che lo avevano aspettato per tempo immemore e per cui aveva deciso di sacrificare la propria umanità per un potere che gli  permettesse di non tradirne più le aspettative.
“Non è qualcosa che puoi capire.”
 
Your heart is full of broken dreams, just a fading memory. 
And everything's gone but the pain carries on.
 
Quel suo modo di fare gli era apparso puerilmente sciocco sin dal primo momento. Ridicolo come lei.
Non poteva esistere una soluzione semplice per tutto, il credere che uno schiocco di dita appianasse ogni dissapore a favore di un’amicizia eterna o che in tutti ci fosse del buono. Speranze irrealistiche, sogni rasentanti le favole delle buonanotte, il Destino prescritto nemmeno le concepiva come fattibili, simili fantasie; la crudeltà era di quel mondo quanto la persistenza umana a cedere al rancore anziché resistergli ed era chi offriva più di quanto dovesse a rimetterci il doppio. Se fosse stato fedele a se stesso, l’avrebbe minacciata con più forza pur di tenersela lontana, non tanto per evitarle di sprecare tempo con qualcuno che non voleva essere salvato, solo  per stroncare qualsiasi contatto che innescasse la minima scintilla di calore.

Per capire ed essere capiti occorreva la Verità, ma l’impronunciabilità della sua propendeva ad acuirne la dolorosità senza alcun bisogno di necessità a liberarsene per sentirsi meglio. Indurirsi era stata l’unica maniera per non diventarne schiavo, schermare quell’unica vulnerabilità trasformatasi definitivamente nell’antico vaso di Pandora che già una volta aveva piegato gli uomini al buio: pericoloso da scoperchiare, ricolmo di vergogna assopita, codardia, impotenza, il suo vero Io debole e meschino che lo ripugnava per il graduale decadimento.
 
L’amarezza le estese le labbra in un sorriso rammaricato. Non può capire…
Quante volte le era stata rinfacciata quella frase? Sentirsi spingere via, cadere e galleggiare in un vuoto disseminato da viticci che ne imprigionavano la volontà con solo gli occhi a tendere al cielo, la bocca cucita di spago perché la voce non raggiunga l’uscita sempre più distante. Non può capire…
Quella facciata di verità da cui traspariva l’obbligo di accettarla senza domande, senza condizioni che ne spiegassero l’insorgimento. Un cambiamento diverso dagli altri, una ferita che aveva ricominciato ad arrossarsi e a pulsare sopraffacendo tutto e tutti. Era successo questo a Shark e l’essergli nuovamente vicino ravvivò la lontananza creatasi in quella notte senza stelle, con i ricordi sgretolatisi a stridere incontrollabili. Non può capire…
Guardò l’emblema aderire al suo torace, l’effige pietrosa e di liscia lucidità convergere ai lati con curve aggraziate, il centro coronato da una gemma animata di sprazzi scarlatti che fluivano lenti al suo interno. Gli era tanto affine da fondersi alla sua severità, combaciava come se da sempre avesse aspettato soltanto il momento propizio per tornare al suo posto. Non può capire…
Forse non poteva davvero. Forse, quella persona che aveva davanti neppure era lo Shark che aveva conosciuto anni addietro, lasciatosi inghiottire da antichi rimpianti.
 Aveva sempre convissuto con una solitudine scanalata di sofferenze crescenti, imparagonabile e con le ragioni ora ad affondare in un terreno così sterile e duro che Yuna non poteva ammorbidire pur scavando fino a insanguinarsi le mani. Eppure lo voleva, soltanto per un poco, per riuscire a guardare oltre quel volto affilato e verificare che dietro la gentilezza riservatale ci fosse ancora il ragazzo da lei profondamente amato. 
Sì, non poteva capire, improvvisamente sembrava che quella guerra si stesse ingigantendo troppo per la sua comprensione e per entrambi sarebbe stato più facile che lei lo odiasse, per quel tradimento definitivo, ma Yuna era troppo stupida per comportarsi come gli altri e si era resa conto di tenere troppo a Shark per ferirlo con un sentimento intralciante tutti quanti loro e da cui preferiva farsi uccidere, se fosse servito a trovare una soluzione che soddisfacesse i mondi in gioco. Le punte della mano libera sfiorarono delicate e curve appuntite dello stemma reale, un tocco ammorbidito da un debole sorriso per nulla forzato.
“Non posso, è vero, ne penso che cambierebbe qualcosa, ma sarebbe così terribile se me lo permettessi? Se temi che possa ferirti, prometto che non lo farò. E’ la tua terra, la tua casa, hai il diritto di difenderla. Vorrei solo…”
“Cosa? Che tutto tornasse come prima? Lo hai appena detto tu stessa: non cambierebbe nulla.”
 “Lo so e nemmeno credo che arrivati a questo punto potrebbe esserci una simile possibilità, sarebbe inutile, ma…”
“ Hai almeno idea di dove ti trovi e di cosa potrei farti?” Le dita viola si posarono sul mento di lei, il viso ombroso a gravare sul suo spaurito. Fermala, non permetterle di andare oltre, gli ordinava la mente “Tu e io siamo nemici.” La mano scorrette sui lineamenti della mascella, sfiorandola con tocco appena percettibile senza fermarsi. Metti le cose in chiaro una volta per tutte, abbattila! “E non importa cosa possa esserci stato prima o quello che sarebbe potuto esserci.” Sceso in basso, artigliò la Chiave dell’Imperatore avvertendone le punte premere contro il palmo “Il Destino ha deciso di metterci contro e l’unico modo che ho per combattere quello di Barian e cambiarlo è farmi carico del mio per ciò che è. Non c’è nulla che debba spiegarti perché non c’è nulla da capire. Accettalo e basta.” 
Potrebbe distruggere quel monile all’istante e fare lo stesso con lei, approfittare della sua patetica condizione e chiudere definitivamente l’ultima parentesi della sua vita passata. Ma allora non avrebbe avuto senso portarla nel suo dominio.
Le stesse falangi che avevano stretto il ciondolo d’oro scostarono alcuni fili d’ebano dietro l’orecchio, scoprendo un’inappropriata spigolosità in quel piccolo viso che lo scosse con impercettibile stupore, la pelle scolorita e appesantita sotto gli  occhi inspiegabilmente svuotati di generosità, vitrei e carichi di un rammarico che gli regalò un altro sorriso affaticato.
" Vorrei poter dire di averlo fatto…” , la sentì sussurrare “Nel modo giusto, almeno, perché qualcosa ho fatto, ma allora mi bastava pensare che lo fosse per Astral e gli altri per credere che lo fosse anche per me, non importava se faceva male. Adesso, se potessi farlo ancora…Saprei di per certo che sarebbe una bugia.”
 
Da quanto quel conflitto si stava protraendo? Tre? Quattro anni? E non c’era mai stata occasione per guardarsi da così vicino come quel dì inaspettato, sancendo definitivamente i rispettivi ruoli e compiti senza implicazioni rifacenti a nostalgiche memorie. Rimproverarla aveva sempre avuto come scopo l’evitarle inutili afflizioni, rafforzarne la troppa condiscendenza in vista di un colpo più devastante degli altri, un favore fatto più a se stesso che a lei, con l’orgoglio a tracciare un netto confine diventato una muraglia scacciante qualsiasi remissività. I primi giorni la testa gli aveva doluto con ansito insopportabile, la sua vera natura che cercava di rigettare il superfluo fuori dal suo corpo, l’ego alla disperata ricerca di una stabilità oscillante fra lucidità e pazzia.
Non aveva mai preso coscienza di quanto l’odio fosse pesante e nocivo per la sua persona sino a che non lo aveva ridotto per l’ennesima volta a un pupazzo inerme. L’insinuarsi leggero ne compiaceva i pensieri con sussurri sibillini, stregandolo e comprimendolo lentamente al primo tentativo di fuga. Un'anima affine alle tenebre non poteva liberarsi dalla sua influenza se destinataci ancor prima di nascere, non importava imporsi o costruirsi la propria strada pezzo per pezzo, se c’era qualcosa che ti obbligava a percorrere una via senza alternative.

Lo aveva sempre considerato una persona forte, lei, e le volte sprecate per indurla a ricredersi avevano superato le centinaia senza che se ne accorgesse. Perché conoscerlo meglio? Perché insistere? Arido di sentimenti, avrebbe potuto soggiogarla con facilità, sottometterla anziché marcare una differenza di ruoli, ma trovarla nel suo dominio e portarla al sicuro ne avevano risvegliato il tormento assopito che aveva pazientemente atteso di essere ripreso in mano, l’irritazione per quella visione di sé - devota e imperscrutabile -, che aveva scoperto d’infima debolezza per il non essere mai riuscito seriamente a sradicare con le sue stesse mani quella simpatia iniziata ad espandersi anni addietro, fattasi aggressiva e tintasi di sfumature intense che lo facevano svegliare  nel mezzo della notte con la gola secca e la stoffa dei pantaloni stretta di vergognosa umidità.
 
Il ricordo della sua mano che scorreva lungo il braccio, risalendo fino alla porcellana del suo viso…
Aveva osato con il rischio che potesse sfuggirle qualora avesse provato ad avvicinarsi troppo, sconfitto da se stesso e quello che inutilmente aveva tentato di strapparsi di dosso senza immaginare di essere sempre stato contraccambiato.
 
Heaven's gates won't open up for me. 
With these broken wings I'm falling. 
And all I see is you.
 
 
“Perché devi essere sempre così dolente?”
Il volto dell’Imperatore sprofondò sconsolato nell’incavo del suo collo scoperto. 
“Così trasparente…”
Uno dei tanti lumi scarlatti aleggianti nella grande sala le passò sotto gli occhi distraendola, un attimo dove lui riassunse le sembianze umane imprigionandole le labbra con un bacio improvviso.
Dolente, sì, per quel suo sfiorare l’incrinatura nascosta sotto strati di risolutezza e scoprirla più profonda di quanto creda, il cuore malato di un’angoscia perpetua e tagliuzzato da un’esistenza troppo ricca di male per metabolizzarlo in un unico gesto. Trasparente per l’incapacità a vestirsi di valide menzogne, lasciandosi scoperta a ogni spiffero di minima malignità. Le mani strinsero le spalle esili con la ruvidità di alcuni tagli a grattare sotto i suoi polpastrelli mentre la schiena si inarcava in avanti e la bocca godeva di quelle labbra dolci più del miele con la lingua che supplicava di inspessire quel contatto di piacevole oppressione. Lo voleva salvare da chi aveva deciso di essere? No, affatto. Quella creaturina che ricambiò timidamente l’abbraccio non appena le fu concesso di respirare, che sempre lo aveva raggiunto nell’oscurità più buia, cullandolo con carezze immeritate e disinfettandone le ferite infettatesi di rancore fino a crollare stremata col viso arrossato per le lacrime, era l’unico brandello di felicità che avesse mai auspicato ad avere unicamente per sé, il solo spicchio di candore sempiterno che poteva scuoterne il corpo di solleticanti scariche adrenaliniche. Non c’era giaciglio più rasserenante di quelle braccia che tante volte lo avevano sostenuto, il corpo morbido col torace che si elevava appena con battiti flebili, le dita aggrovigliate fra i capelli e la schiena ammantata. 
La volontà schiava di un desiderio finalmente realizzatosi.
E Nash vi si era abbandonato senza pensare.
 
And I've lost who I am, and I can't understand 
why my heart is so broken, rejecting your love.
Without love gone wrong; lifeless words carry on 
but I know, all I know is that the end's beginning. 
 
Aveva deciso di agire nell’istante stesso in cui quei deboli singhiozzi avevano fatto capolino nella sala. Niente lacrime, soltanto singulti trattenuti a forza. 
Le mani che ne massaggiavano le braccia intirizzitesi di brividi infreddoliti si erano fermate di netto, l’idillio spezzato dagli occhi dolci e pieni d’affetto a disseminare una tristezza di cristallo angosciante. Una gioia sincera era fiorita al cogliere l’intimidatorietà inferiore a quella sostenuta, sbocciata rigogliosa d’innanzi ai due abissi zaffirini stati il sole di quel bene divenuto un male per l’essere stato a ingiustamente trattenuto, amato fino a consumarsi anche fisicamente e che nemmeno era libero di scorrere inconsolabile sulle sue guance. Lo aveva intuito, Shark, osservando silente lo strenuo tentativo di lei di respingere le prime stille che ne avevano già bagnato le ciglia, che Yuna aveva superato un limite diverso dai precedenti, impostosi con eccessiva durezza e che aveva richiesto tutta se stessa per non essere visibile agli altri. La stava logorando al punto da segnarne il corpo con una magrezza spaventosa, lo spirito ridotto a un lumino inconsistente, sbatacchiato in ogni direzione senza mostrare alcuna resistenza. Se anche non avesse nutrito quel minimo di rispetto per i propri avversari si sarebbe astenuto dall’approfittare di tanta arrendevolezza, perché lui sapeva cosa in realtà stesse rendendo quel viso candido più sfuggente e sbiadito di un comune riflesso sull’acqua. Non la guerra, ma la Verità.
 
Quella che, da minuscola e acerba, era cresciuta forte, nascosta sotto un coperchio di falsi sorrisi per non tradire le troppe aspettative risposte sulle sue spalle. Come la sua.
Il pianeta rosso e quello blu avversario erano due facce della stessa medaglia, orgoglio e serenità un tempo fusi in un unico corpo andatosi a frantumare in una chimera adesso semplicemente improponibile alle volontà di differente opinione , col solo scopo di sopravvivere a discapito dell’altra. Perfino Astral era giunto alla conclusione che non poteva esserci una soluzione equanime.
 
L’insopportabilità del suo nome era giunta al punto da non volerne nemmeno udire il suono. Non se lo era mai nascosto, almeno a se stesso, e la vista di quel ciondolo ne aveva disgustato gli occhi con pensiero rivoltante. Sempre un passo davanti a lui nell’esserle vicino, inevitabile per il legame d’indefinibile solidità che li univa in una simbiosi platonica, e nonostante l’assurdità di quell’infantile infiammarsi, l’idea che lui la stesse cercando, preoccupato, non aveva fatto altro che incrementare la voglia di strapparle dal collo la collana e sbriciolarla. Eppure, nel mezzo di quel piccolo laghetto ribollente d’astio, Nash dubitava che il Numero Originale fosse a conoscenza di quei liquidi diamantini che imperlavano le ciglia della ragazza, della loro origine che nascondeva una verità ancor più cruda delle rispettive posizioni prese: il loro essere così brillanti e grandi nasceva da un profonda e affettiva consapevolezza apertasi con sincerità nel cuore della corvina che, vedendolo allontanarsi definitivamente, si era costretto all’impossibile anche per non tradire l’amicizia con il suo amico più prezioso.
 
Lui aveva fatto lo stesso, arginando la sua dietro una barricata impenetrabile nella convinzione che fosse doveroso – non giusto -, soppiantandola con indifferenza rivelatasi invece un blando muro di carta pesta.
 
“Guardami.”
Lei scosse la testa, raggomitolandosi fra le spalle. La voce l’avrebbe tradita più del viso nascosto dietro i capelli. La causa di quelle lacrime che caricavano furiose per uscire, della gioia provata e repressa, le era di fronte e il sapore del suo bacio le puntellava ancora le labbra di incredulità.
 “Non costringermi a fare qualcosa che posso evitare. Guardami.”
C’era indulgenza nel suo tono, un concederle un privilegio che a nessun altro avrebbe elargito con altrettanta pazienza, che ne fece schiudere la bocca con singulto appena udibile. Gli occhi tardarono ad aprirsi, le tempie dolevano e il freddo addossatosi ai suoi arti incalzava opprimente anche sui sensi nonostante l’aria fosse ustionante. Le era seduto di fronte con il ginocchio a garantirgli un appoggio sicuro e soltanto l’ombra proiettata sulla sua pelle la teneva cosciente che, una volta sollevata la testa, non avrebbe avuto più alcun modo di scappare dall’abisso. Un blu scuro pieno, dove il freddo e l’infinito culminavano nella pupilla nera. Non poteva obbedirgli, guardarlo con tutta se stessa – o quel che ne rimaneva – conciata in quello stato pietoso, ma aveva già sollevato il mento di troppo per arrestarsi e tornare sui suoi passi. Nel volto pallido che aveva occupato i suoi sogni, il centro continuo di ogni incertezza, distinse un tormento che desiderò dissipare immediatamente.
“Shark, cos’hai?”
Chinò il busto in avanti staccando le spalle dal trono appuntito. La carezza arrivò immediatamente, il palmo appoggiato in un comune contatto di compassionevole preoccupazione sulla sua guancia che ne intiepidì la pelle fresca, solleticandole innocentemente la mascella sottostante. 
“Perché sorridi?”
 
You're living in fear that no one will hear your cries.
 
Ci sono armi che bruciano più del fuoco, coltelli affilati che tagliano la pelle e rocce che frantumano le ossa, ma una persona può resistere alla morte se il male si arresta alla superficie.  Sono le parole dette con sprezzo, cattiveria, lanciate contro l’animo che non può guarire con bende o riposo, a essere indelebili, vanificate unicamente da sentimenti sinceri che ne ricuciano gli strappi. Sono le parole negate, lasciate in sospeso, a gonfiare di insopportabile silenzio il cuore, amore che non riesce a trovare la strada di casa, taciuto. Quelle stesse parole che Yuna aveva preferito tenere per sé, che non avevano il coraggio di uscire perché provate dallo sgomento nel rivederlo quasi non fosse accaduto nulla di quel che li aveva divisi per anni, l’intensità superiore al scoprirlo suo nemico. Le aveva schiacciate, spinte al punto tale da renderle incomponibili, dispersive e inadatte al contenuto che aveva espresso unicamente ai suoi pensieri.

Si può morire per dolore come per amore, ammalarsene è facile, intorpidisce l’anima sino a farla appassire, la linfa vitale divenuta veleno che ne dilania l’interno fino a sopprimerla definitivamente. Entrambi avevano pagato più di chiunque altro, rinunciando a quel comune affetto arrestato a pochi passi dal dispiegare le sue ali, ma messi nuovamente a confronto, senza nessuno a guardarli, erano nuovamente loro due, come la prima volta che si erano incontrati.
 
“Lo hai sempre fatto. Anche quando non ce n’era bisogno, tu sorridevi e io non capivo che lo facevi per proteggere chi avevi vicino.” 
Avvolse per la seconda volta la sua mano fra le sue prima che potesse ritrarla, con pensiero indecifrabile attuo a scrutarne le linee del palmo che tracciava con la punta dell’indice. 
“ Ti spingi tutt’ora oltre per gli altri riuscendo a superare gli ostacoli perché hai a cuore la loro amicizia, ma non c’è motivo che tu ti convinca che questo basti a renderti felice, quand’è evidente che invece ti fa soffrire.”
Continuò a far scorrere il polpastrello su un lineamento ricurvo, risalendo verso il polso, dove battiti tremolanti avevano iniziato a dibattersi sotto l’epidermide.
“No, non è…”
“Loro nemmeno immaginano cosa hai fatto o quanto ti stia spezzando”, avanzò imperterrito, stroncando la sua replica sul nascere “Basta che continui a fare quello che si aspettano a dispetto di quanto provi, che tu sia la loro Speranza, ma la tua non è stata una scelta ipocrita, io lo so.” I loro sguardi si incrociarono e Yuna quasi si sentì morire davanti a quei due profondi gorghi marini “Tu sei fatta così: preferiresti morire, piuttosto che fare del male a qualcuno che ti è caro ed è il tuo essere malleabile a impedirti di difenderti da ciò che sei.”
E’ sempre stata quella la sua forza, la sua debolezza, il suo limite più grande, delicato come la pelle che baciò con tocco solleticante. Il negarsi il bene più grande in lui assumeva la forma della vigliaccheria nata dalla cieca convinzione di non essere all’altezza di quell’amorevole purità che invece gli era più simile di quanto avesse mai osato sperare. La differenza stava in un altruismo che ne scarnificava l’anima come a volerla punire per il provare qualcosa di tanto avverso al dovere assegnatole.
 
It's still the same, pursuing pain.
 Isn't worth the light I've gained.
 We both know how this will end.
 But I do it again.
 
“Io…-I-Io…”
Si stava sgretolando. Quell’unica fenditura in mezzo a tante altre che avevano già attecchito alla fragilità del suo castello di carte appariscenti, rimasto in piedi per sola volontà. Era sempre rimasta lì, coperta, mai curata veramente, ma come avrebbe potuto, in fondo? Rinunciarvi non avrebbe lasciato altro che un guscio vuoto alle sue spalle e una scia di solitudine a spargere dispiacere. Un tempo sarebbe bastato portarsi al petto la Chiave dell’Imperatore, chiudere gli occhi e respirare alla luce delle stelle per sapere che l’unica cosa giusta da fare era credere, ma ora quello stesso ciondolo tentava di schiacciarla a terra ogni qualvolta pensava a lui, costringendola a perseverare nel silenzio che la scottava di rimorsi per quei sentimenti intensi che aveva scelto di proteggere da sé insieme a tutto il resto. Nessuno l’avrebbe compresa, non più, tutti quanti erano andati ben oltre i confini logici per immaginare un possibilità diversa e Astral non faceva eccezione.
A Nash bastò trarla a sé con abbraccio protettivo perché dall’apertura precaria si diramassero vistose reti di crepe, dove la libertà soffocata già stava gocciolando via dalle assurde costrizioni imposte.
Va bene, se vuoi piangere. Lo puoi fare”, la rassicurò “Non c’è nessuno qui che ti possa giudicare. Sei al sicuro.”
E finalmente, anche quell’ultimo drappo di grigia remissione divenne polvere. L’eco delle lacrime cominciò a rimbalzare fra le pieghe della sua giacca affondandovi oltre le ossa, dove l’organo nascosto dentro la cassa toracica si impregnò di quel suono facendolo sentire definitivamente vivo.
Quanto a lungo aveva atteso quel momento? Bramato quella vicinanza?
Troppo, abbastanza da fargli godere anche il solo scorrere delle sue dita fra i fili inchiostrati di nero di lei, come se ne avesse inseguito l’ondeggiante cadenza in mezzo a una tempesta di sabbia, e il sobbalzare irregolare delle sue spalle dove la testolina affondava.
Astral le era caro, l’esempio d’amicizia più solido che conoscesse, ma il cuore di Yuna andava a lui, era suo, e non c’era motivo per cui dovesse privarsene una seconda volta.
Gli apparteneva. A lui, al suo mondo, era una verità che non avrebbe più permesso fosse messa da parte. Ogni bacio lasciato sul collo che aveva scoperto dalla chioma risalì fino alle guance accaldate, asciugandole con labbra che ne inghiottirono il male sopportato.
Gli apparteneva, sì, quel singolo pezzo di sé che aveva inutilmente provato a lasciarsi alle spalle, scacciandolo senza immaginare che fosse l’unica cosa che lo aveva e lo avrebbe sempre accettato incondizionatamente, apparteneva a lui e a lui soltanto. 
“Shark.”
I brividi scatenatile dalla sua bocca e il suo nome boccheggiato con guance imporporate di un morbido rosso paragonabile allo scarlatto che danzava nei suoi occhi con acquosa lucidità, lo stordirono col corpo fibrillante di un tremore adrenalinico che gli accalorò il basso ventre. 
“ Se questo Universo non sa che farsene del tuo amore, non c’è ragione per cui debba continuare ad esistere.”
Al primo bacio ne seguì un secondo di irruenza bagnata, che la schiacciò di nuovo contro lo schienale del trono, le labbra violate e aperte per impedirle di scindere quel contatto prima del dovuto, con le mani a vagare senza schema preciso. Ne avvertì l’impacciato ricambiare fra tremolii che – sogghignando fra sé e sé – reputò assolutamente deliziosi. 
L’aveva desiderato così a lungo, Dio, se lo aveva desiderato! Non c’era una maniera per descrivere il dolce sapore di quelle ciliegie caramellate che gli scendeva giù in gola senza che la coscienza lo fermasse perché soddisfatto o l'alleggerirsi dei suoi fasci muscolari a quella completezza sognata a lungo. Amarla con la sua anima lorda avrebbe significato condannarla a un’esistenza altrettanto abbietta, ma i bassi istinti lo esortavano a perseverare, a prendersela e basta, guidato da un tormento che ne incendiava i pensieri di sete malsana. Ed era talmente sbagliato, ingiusto, proibito da farglielo anelare ancora di più, con l’esigenza ringhiante a grattarne via l’autocontrollo che ne tratteneva i pensieri perversi.
 
Aveva dovuto controllarsi per evitare di stringerle i capelli dietro la nuca e costringerla così a gemere per il solo gusto di fargli ubriacare i sensi. Che il suo corpo contrastasse il rigore impartito della mente, compiacendone gli intimi segreti, non era una scusa valida per fargli trattare Yuna in maniera diversa da come invece voleva. Ancora si domandava come fosse arrivata lì, da sola, quello scricciolo di madreperla dai rubinescenti occhi scuri che lo aveva rapito poco alla volta, ma non si era dato pena a cercare la risposta. Non servivano più.
 
Delle cicatrici sostituitesi alle ferite si intravvedeva giusto un liscio biancore tratteggiato, il suo respiro capitolava leggero fra le pieghe della coperta sotto cui dormiva rannicchiata come un piccolo riccio. La testa sporgeva fuori con i capelli sparpagliati sulle spalle, dove i piccoli lumi sfumati di rosso vi si attorcigliavano con movimento giocoso. Sembravano voler chiedere che restasse con loro, percependo un’affinità dell’anima di lei con l’essenza del mondo che inizialmente aveva cercato di assorbirla.


- Shark… - 
I am with you. 
I will carry you through it all.
I won't leave you, I will catch you when you feel like letting go. 
Cause your not, your not alone
 
Il re si chinò sul letto affacciato al balcone, dove il mattino di Barian era uguale al resto della giornata. Ai tre giorni seguiti dal loro incontro, aveva vegliato il sonno della ragazza non mostrando alcuna preoccupazione per quel profondo prolungarsi: stava guarendo lentamente, riposando come non le era più stato concesso di fare, e sentirla pronunciare il suo nome non faceva altro che riesumare i tocchi e i baci consumati fra passione e dolcezza.
Allungò la mano sino a prendere in mano il ciondolo dorato ricadente a pochi centimetri dal suo viso, strofinandolo con le proprie dita. La sua vista suscitava ancora emozioni esclusivamente astiose, ma nulla che superasse un fastidio facilmente ignorabile; qualsiasi legame con Astral non poteva reggere il confronto col suo, ora lo sapeva. Avrebbe contratto una fine miserabile al solo rendersi conto di come la sua ignoranza avesse ferito Yuna più di tutti i loro scontri messi insieme.
 
And I'll be your hope when you feel like it’s over 
and I will pick you up when your whole world shatters. 
And when you're finally in my arms, look up and see love has a face.
 
Era nel giusto, la scelta di tenerla lì e di legarla al suo pianeta, corromperla solo un po’ per accentuare appena la scintilla di Caos nascosta nel suo cuore con quello che scorreva libero e che stava usufruendo della sua anima di cristallo per privarsi delle impurità. La fiducia di sua sorella o di Dourbe non sarebbe stata intaccata o sminuita, perché Yuna gli apparteneva e il medaglione raffigurante l’emblema della sua terra che lasciò scivolare nel palmo aperto della sua mano avrebbe rafforzato quella verità rendendola indistruttibile. Doveva solo sedere e pazientare, attendendo che quegli occhi che l’avevano messo in ginocchio senza umiliarlo tornassero a brillare per lui. Solo pazientare.
 
 
 
Note di fine capitolo.
E siamo arrivati in fondo anche a questa one-shot. Ancora una volta mi domando “Cosa ho scritto?” e ovviamente non so rispondermi perché, pur essendo uscito tutto dalla mia testa, rimane un mistero che sarò costretta a portarmi nella tomba. Ma passando a cose serie: quante di voi hanno sognato di essere al posto di Yuna-chan? No, scherzi a parte, penso che tra i miei elaborati su Zexal, rigorosamente Gender Bender, questo sia stato il più impegnativo assoluto. Primo, perché puntavo a qualcosa di serio e questa trametta mi ronzava in testa già da tempo insieme a tante altre ideuzze divertenti dove il mio cervello perverso massacra il più frustrato dei sette bariani con il tenero faccino di Vector che cerca di accaparrarsi le simpatie di Yuna mentre il primo arde dal desiderio di farlo in mille pezzettini ed è costretto anche a sopportare le critiche di Rio che non manca di rigirare il coltello nella piaga. Secondo: penso che fra le coppie, io apprezzi di più la Sharkbaitshipping, sebbene la Negative è a pari merito. Con la Key mi diverto a creare situazioni imbarazzanti dove sempre, il mio cervellino malato, mette in imbarazzo la povera Yuna con un Astral che tanto ingenuo non è più. Prima di lasciarvi, vi delucido solo su qualche punto, in primis il titolo. Credo sia la parte che meno mi convince, avrei preferito trovarne un altro, ma in tutta franchezza questo continuava a ronzarmi in testa. In alcune parti lascio intuire che la pelle di Yuna è chiara e non abbronzata. Non è un errore: praticamente ritengo che la versione femminile con la pelle chiara sia più bella (convinzione avvalorata da un disegno che vide e che mi conquistò, ma che non trovai mai più. -_-). Ok, è una stupidaggine ma io ci tenevo a precisare la cosa. La one-shot, temporalmente, si svolge dopo circa quattro anni dai fatti di Zexal, con la differenza che la guerra fra Bariani, Astrali e gli esseri umani si sta ancora svolgendo, in quanto il rating da me scelto non avrei potuto appiopparlo a dei tredicenni o quattordicenni . E a proposito del rating…Ho scelto l’arancione seppur fossi più tentata di metterlo sul giallo (cosa di cui sono ancora convinta, però…). Ho voluto arricchire questa storia con alcuni pezzi di canzoni che mi hanno ispirato a riportare su carta l’idea iniziale, io ne ascolto a centinaia ma queste, in particolare, le ho trovate idonee ai pensieri dei personaggi (Not Alone e Fight Inside dei Red, Savin Me dei Nickelback e Shattered degli Trading Yesterday). L’OOC è sempre d’obbligo in caso di qualsiasi fuoriuscita dal contesto, non si sa mai, D’accordo, credo di aver finito con le note (e la folla ne è sicuramente grata); spero che, come sempre, questo lavoretto possa piacere a chiunque lo leggerà e se anche ci scappasse una recensione fareste felice l’autrice (me ^^), ma intanto auguro buona lettura e alla prossima!
  
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