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Autore: shimichan    28/01/2015    9 recensioni
Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. E non sono mai quelle che si considerano importanti durante la vita. [...] Ma quell’uomo, che è stato ragazzo, non rimpiange nessuna di queste cose. Le ha avute tutte. Per lui era già tutto reale, per questo sorride sul patibolo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il rullo dei tamburi se l’è portato via il vento e nel silenzio della piazza l’aria è rimasta ferma.

Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. E non sono mai quelle che si considerano importanti durante la vita.
La prima è non aver vissuto secondo le proprie inclinazioni ma prigioniero delle aspettative degli altri.
Con l’ultimo respiro cadrà la maschera di pelle con la quale si è reso grande agli occhi di chi ha incontrato, o ha creduto di farlo.
La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.
Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandosi prendere dalla competizione, dalla rincorsa a qualcosa che non è mai arrivato perché, semplicemente, non esisteva, trascurando così legami e relazioni. Vorrà chiedere scusa a tutti, ma di tempo non ne avrà più.
Per terzo rimpiangerà di non aver trovato il coraggio di dire la verità, preferendole rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.
Poi rimpiangerà di non aver trascorso abbastanza tempo con chi amava. Non ha badato a chi c’era sempre, proprio perché era sempre lì. Eppure il dolore a volte glielo aveva ricordato che nulla resta per sempre, ma lo aveva sottovalutato come se fosse immortale, rimandando ad oltranza, dando la precedenza a ciò che era urgente anziché a ciò che era importante.
Per ultimo rimpiangerà di non essere stato più felice.
Ma quell’uomo, che è stato ragazzo, non rimpiange nessuna di queste cose. Le ha avute tutte.
Per lui era già tutto reale, per questo sorride sul patibolo.
Guarda la folla e cerca otto sorrisi simili al suo. Loro sono lì, da qualche parte.
Sorride fino a sentir male alle guance.




Capitano, mio Capitano.
Nessuna vittoria vale l’orgoglio di aver navigato sotto il tuo vessillo, nessun titolo quello di essere chiamato tuo Vice.
Capitano, mi hai aperto lo spazio tra il cuore e la testa, mi hai svelato il coraggio di non essere solo, mi hai ricordato chi ero e chi volevo diventare.
Non lo dimenticherò più.
 

Capitano, mio Capitano.
Vorrei condurti dove stai andando, ma è un viaggio che devi affrontare da solo.
Io ti ho condotto nei luoghi dove s’incastra il sole per mostrarti che, oltre l’orizzonte, c’è altro mare, e tu non ti sei accontentato.
Un giorno mi hai chiesto dove la sua fine cessasse di essere illusione perché era quello il posto che volevi raggiungere.
Ora stai per salpare, Capitano, solcherai acque che si disperdono davvero per l’infinito e non ho dubbi, le dominerai.


Capitano, mio Capitano.
Sono fiero di essere un codardo, perché a te ho affidato le mie paure. Mi hai liberato, Capitano.
Il timore di vivere mi soggiogava e mentirei se ti dicessi che non mi pesa sul cuore vederti là sopra nonostante ti abbia promesso di essere forte.
Così sorrido. È una mezza bugia perché non c’è libertà più grande che dà sapere di fare la cosa giusta anche se si è i soli a farla. Me lo hai insegnato tu.


 
Capitano, mio Capitano.
C’è un punto dove il mare ignora il cielo e ha un colore tutto suo. Tu sei come quel punto, Capitano.
Non hai mai interposto tra te e gli altri una dimostrazione di chi volevi essere, sei sempre stato te stesso.
Anche ora, non puoi farne a meno. Vestito della tua semplicità.
In fondo è questo il segreto delle ricette migliori.
Non le spezie, non l’abilità del cuoco o l’elaboratezza del piatto, ma la semplicità degli ingredienti.


Capitano, mio Capitano.
Sognavo di curare ogni male, ma chi soffriva di più ero io.
Avevo l’anima rotta e quando un’anima è rotta fa male dappertutto. Poi sei arrivato tu, Capitano, e mi hai teso la mano.
Non stringevi bende o cerotti, però mi hai guarito. E a distanza di anni, ora che ti guardo, capisco come.
Tu, un uomo, avevi riposto te stesso in me, una bestia. Mi avevi donato la tua fiducia e non c’è medicina migliore per il cuore.
Quanto sono diversi uomini e bestie? Il dolore di entrambi sgorga da un’unica fonte e fa piangere gli occhi.
Ma non farti ingannare dalle mie lacrime; il mio cuore, adesso, sta bene, sorride.
 

 
Capitano, mio Capitano.
C’è più amore nel rimettere insieme i frammenti che dare per scontata l’integrità di un vaso.
Ci vuole qualcuno che veda nel pezzo rotto la bellezza. Tu l’hai vista, Capitano, quando nemmeno io riuscivo a scorgerla.
È buffo, io che dedicavo la vita a preservare la storia degli altri, volevo dimenticare la mia.
Ero stanca. E quando mi si è presentata l’occasione di porre fine alle mie sofferenze, l’ho colta.
A chi sarebbe mancata una persona come me? Frantumata? Vedevo utilità solo nella mia morte.
Mi sbagliavo. Un vaso, anche aggiustato, può sempre contenere un fiore.

 
Capitano, mio Capitano.
Il legno è sensibile. Si scortica per il troppo calore, marcisce a contatto con l’acqua, vive delle forze che lo circondano.
Perciò si unge la ciglia con la pece e trattano le tavole affinché non si sfaldino durante il viaggio.
Credo di aver fatto un ottimo lavoro da questo punto di vista, ma non posso prendermi il merito se adesso la Sunny è ancorata al porto, fiera, sicura, vittoriosa.
Me lo diceva sempre Tom.
«Bisogna credere nell’uomo che governa la nave, se ci credi anche un guscio di noce potrà domare gli oceani».
Ero giovane all’epoca, non capivo ancora la differenza tra il lavoro delle mani e quello del cuore. Ora si, ora lo vedo.
Io ho costruito un corpo di legno, l’ho amato, l’ho reso
resistente a ogni tempesta, ma tu gli hai dato la vita, gli hai infuso il coraggio di guardare oltre l’agitarsi delle onde, di sognare sempre un nuovo orizzonte. Col tuo cuore, Capitano, l’hai reso invincibile.
 

 
Capitano, mio Capitano.
La Morte è una terribile compagna. Ti segue dappertutto e non si fa vedere. Le parli e non risponde.
Scappi e non raggiungi mai una distanza tale da tenerla lontana.Ti fa sentire tremendamente solo, dimenticato.
Lo so per esperienza, la stessa che sarei pronto a rivivere prendendo il tuo posto. Ma so che non vorresti.
Il sacrificio è luogo privilegiato dei capitani, la fede quello dei loro
nakama. E io ne ho in te.
Sono convinto che riuscirai dove io ho fallito. So che non avrai paura, che con te anche la Morte potrebbe addolcirsi e a farti sentire meno smarrito mentre aspetti. Perché ci rincontreremo un giorno, Capitano. Porterò il mio violino, riderò, suonerò ancora per te.
E chissà che quel giorno non possa salutare anch’io la Morte come una vecchia amica.



Si compiono la storia e i suoi istanti intrisi di tristezza, il sentimento che alleggia tra la folla.
C’è chi piange perché sta per perdere un amico, chi non l’ha mai conosciuto eppure prova simpatia per quel tipo che ride anche se sta per morire, chi pensa sia solo l’ennesimo sciocco. E poi ci sono otto sorrisi, sparsi qui e là, macchiati di lacrime e ricordi.
È a loro che rivolge l’ultimo sguardo, mentre la voce del mare lo sta già chiamando.
A loro che conoscono l’area del suo cuore e sanno che ha l’ampiezza di tutti gli oceani.
Perché lui, alla fine, ha svelato il mistero. Che la felicità non sta nell’allungare la vita, ma nell’allargarla.

 






Angolo Autrice
Buona serata a tutti!
Mah, questa piccola cosa è nata tempo fa, è stata accantonata, rimaneggiata e infine eccola! In tutta la sua pressante malinconia...non so neanche cosa dire in merito, quindi lascio a voi il giudizio!
Ringraziano chiunque perda due minuti per leggerla/recensirla!
besos


 
  
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