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Autore: __DearHeart__    29/01/2015    5 recensioni
Due ragazzi con la costante paura di perdersi e l'inconsapevolezza di appartenersi.
   
[Muke]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Luke Hemmings, Michael Clifford, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Michael odiava le bugie.
Le aveva sempre detestate.
Annullavano chi eri realmente, quella parte di te che non era ancora stata intaccata dall'amarezza del mondo, che si conservava a stento intatta.
Ti lasciavano un sapore amaro sulla lingua che era difficile da mandar giù.
E, nonostante Michael le odiasse con tutto se stesso, era il primo a vivere dentro una grande, immensa bugia.
Si finisce sempre per fare ciò che si odia, nella vita. Lo sapeva, ed anche fin troppo bene.
Si era ritrovato in una di quelle situazioni che ti lasciano con l'acqua alla gola, in cui non puoi fare a meno di affondare o di andare troppo a galla.
Si era sentito come schiacciato tra due pareti opposte, che premevano ognuna nella direzione inversa, comprimendolo, come se fosse stato un insulso foglio di carta.
Era stato costretto.
Costretto a mentire, a rinnegare se stesso, ad immergersi in quella realtà costruita su una base di menzogne precarie che odiava tanto.
Michael non avrebbe mai voluto che finisse in quel modo. Anzi, a dir la verità, non avrebbe neppure voluto che iniziasse.
Era sfiancante e decisamente da vigliacco ciò che stava facendo.
Il motivo per cui si ritrovava immischiato in quella pazzia era uno solo: Luke Hemmings.
Michael ne aveva cercate davvero tante di ragioni per desistere, per tirarsi indietro, per dire finalmente basta a quella costrizione insensata, che non avrebbe portato sicuramente a niente.
Però, ogni volta si ricordava di quei maledetti, bellissimi occhi azzurri, così limpidi da poterci vedere attraverso; e di quelle labbra carnose che si tendevano in un sorriso perfetto; e di quelle fossette che contornavano il tutto, rendendolo, se possibile, ancora più bello; e di tutte le volte in cui non aveva desiderato altro che incollarsi al suo corpo, come fosse stato il posto in cui sarebbe dovuto restare per tutta la vita.
Odiava anche Luke. Forse più delle bugie.
Era così dannatamente perfetto da farlo impazzire.
Erano esattamente quattro anni che non lo vedeva. Quattro anni in cui non si era potuto beare del suo sorriso, del suo sguardo paradisiaco, di ogni singolo aspetto perfettamente intonato al suo essere.
E gli mancava. Da morire.
Non averlo vicino era come camminare a metà su un marciapiede, rischiando d'inciampare ad ogni passo, zoppicando con fatica e seguendo un percorso sul punto di crollare.
Erano stati amici, tanti anni fa.
Anzi, erano stati migliori amici.
Questo, almeno, finché Michael non si era innamorato di Luke.
Tutto, a quel punto, aveva iniziato a sfaldarsi e a crollare nell'esatto momento in cui la realizzazione era andata a scontrarsi con la schiena di Michael, lasciandolo senza fiato e a dir poco sconvolto.
Gli aveva fracassato ogni vertebra, disintegrato il midollo osseo presente ed affondato i suoi artigli affilati nelle spalle.
E Michael si era sentito così stupido.
Aveva Luke come amico, poteva stargli sempre accanto, raccontargli ogni segreto più recondito e trascorrere giornate intere a ridere e scherzare con lui.
Ma tutto quello non gli era bastato. Aveva voluto di più.
Aveva voluto troppo.
E si era pentito di ogni cosa, nell'istante esatto in cui aveva poggiato le labbra su quelle di Luke, durante quel Capodanno di quattro lunghissimi anni prima.
Era fuggito.
Era fuggito proprio come un codardo, un ignobile, un miserabile, un vero stronzo.
E si era sentito la persona peggiore sulla faccia della Terra, perché aveva rovinato tutto.
A Michael riusciva fin troppo facilmente distruggere le cose belle. E Luke era solamente un'altra cosa bella che sarebbe andata distrutta.
Aveva voluto salvarlo e negargli, finché era ancora in tempo, quel peso schiacciante ed immenso sulle spalle.
Aveva detto a Luke che era partito e che non sarebbe mai più tornato, ma non era vero.
Non aveva mai preso un aereo, non aveva mai preparato delle valigie e non si era mai allontanato da Sydney.
Aveva semplicemente preso la sua vita, il suo nome e tutti i suoi futili sentimenti per Luke, e li aveva gettati chissà dove - tanto non gli importava.
Si era liberato di ogni cosa, ed aveva cessato di essere per sempre Michael Clifford.
Lo aveva fatto per il bene della persona che amava, per il proprio bene e per il bene di tutti.
Era sparito.
Nel vero senso della parola.
Nessuno aveva più sentito parlare di lui, nessuno sapeva che fine avesse fatto o se fosse ancora vivo.
Girava perfino voce che si fosse suicidato, ficcandosi una pistola in gola. Michael avrebbe riso e scosso la testa all'inventiva della gente, se l'idea non gli fosse sembrata tanto terrificante.
Aveva abbandonato Luke, si era costretto a separarsi da lui e da tutto quello che gli era appartenuto. Aveva lasciato andare ogni singolo aspetto della sua vita passata e poi lo aveva accuratamente legato ad un masso e gettato sul fondo di un oceano irraggiungibile.
Le cose erano andate relativamente bene per i primi mesi, perché sapeva di star facendo la cosa più giusta, anche se non sarebbe sembrato.
Poi, però, la mancanza del passato aveva iniziato a farsi sentire.
Ecco, era stato lì che Michael aveva iniziato a delirare.
Sognava costantemente Luke, ogni notte. Sognava di rivederlo, di abbracciarlo, di baciarlo.
Immaginava come fosse cresciuto, come avesse tagliato i capelli, se fosse diventato più alto, se i suoi occhi avessero ancora avuto la stessa sfumatura di azzurro fin troppo simile a quello del cielo primaverile.
Un cielo tranquillo, che trasmette pace, che non puoi fare a meno di ammirare, mentre ti chiedi quanta pioggia deve essere caduta prima di avere quell'arcobaleno.
Michael aveva visto anche quella stessa quiete venire spazzata via dalle iridi di Luke. Aveva assistito alla tempesta vera e propria, e poi alla caduta delle prime gocce di pioggia sotto forma di lacrime.
Aveva visto l'azzurro imbrunire, tendere maggiormente ad un grigio spento e gelido.
Aveva visto così tanto in quegli occhi che ormai non poteva più dimenticarseli.
Per quello aveva giurato che li avrebbe rivisti, anche solo da lontano. Aveva giurato che non poteva più continuare in quel modo, che avrebbe rischiato di morire giovane e di pentirsi solamente di una cosa in tutta la sua inutile ed insensata vita: non aver salutato Luke.
Quindi, dopo un altro lungo anno di meditazione, aveva finalmente deciso di tornare.
Dopo quattro anni, avrebbe finalmente rivisto il suo Luke, che probabilmente adesso era un uomo. Un uomo che non lo avrebbe riconosciuto; che aveva vissuto senza di lui per quattro anni; che probabilmente si era rifatto una vita e lo aveva definitivamente dimenticato.
Sinceramente, Michael non sapeva cosa aspettarsi. Aveva anche paura.
Paura che sarebbe crollato non appena l'avrebbe rivisto; che sarebbe scoppiato a piangere come un idiota davanti a lui; che si sarebbe tirato indietro ancor prima di averci provato veramente.
Dio, Michael si sarebbe volentieri schiaffeggiato da solo per essere così codardo. Prima era fuggito, invece di affrontare i suoi problemi, ed ora stava esitando troppo.
Basta, non c'erano storie. Doveva farlo.
Per se stesso. Per Luke.
E, soprattutto, perché aveva fottutamente bisogno di stringerlo ancora una volta tra le braccia.
 
 
 
***
 
 
 
"Calum, non so se posso farcela. Io..."
"Mike, ne abbiamo discusso ininterrottamente per settimane. Adesso non puoi tirarti indietro. Quindi, muovi quel culo e va' da lui. Altrimenti ti ci trascino per i tuoi ridicoli capelli tinti, quant'è vero Dio!" urlò il moro, afferrando la manica della t-shirt troppo larga di Michael per tirarlo verso l'interno del bar.
L'altro però puntò i piedi a terra e resistette agli strattoni veramente poco delicati di Calum.
"E se mi riconosce? Oddio, non abbiamo pensato a quest'eventualità! Che cazzo gli dico? Come mi giustifico?" Michael iniziò ad andare nel panico.
Calum, a quel punto, sospirò e smise di spingerlo per costringerlo ad entrare nel bar. Sospirò e gli poggiò le mani sulle spalle, prima di sollevare i suoi occhi scuri verso quelli più chiari dell'amico.
"Ascoltami: sono quattro fottuti anni che non vi vedete. A meno che non abbia fatto altro che pensare costantemente a te, come tu hai fatto con lui, dubito che possa anche solo minimamente avere il sospetto di averti già visto da qualche parte." tentò di rassicurarlo, anche se dal suo tono sembrava piuttosto scocciato.
Michael sospirò a sua volta, rassegnato, fissando lo sguardo a terra per un istante. Infine annuì, e Calum gli diede una pacca sulle spalle prima di rimuovere le sue mani.
"Adesso entra, coglione." gli sibilò esasperato.
"Non mettermi fretta, cazzo!" gli urlò in risposta Michael, piuttosto seccato e fottutamente nervoso.
Non si era mai sentito così teso in tutta la sua vita. Poteva quasi percepire la paura scorrergli nelle vene come un liquido denso, che ostruiva il passaggio del sangue e rischiava di ucciderlo improvvisamente.
E se fosse rimasto imbambolato a fissarlo? E se davvero Luke l'avesse riconosciuto?
Deglutì per mandare giù un improvviso quanto ingombrante groppo che gli aveva risalito la gola, incastrandosi proprio all'altezza delle sue tonsille.
Trattenne il respiro ed entrò, passando attraverso la porta a vetri del piccolo bar. Il delicato suono di un campanello annunciò la presenza dei due ragazzi.
Michael si guardò intorno: il locale era vuoto, dato che si trovavano lì prima dell'orario d'apertura. C'erano degli sgabelli un po' ovunque, affiancati a qualche tavolo in legno rovinato; delle luci soffuse illuminavano fiocamente ogni angolo, conferendogli la classica atmosfera di un casuale pub in cui venire a bere il sabato sera tra amici.
C'era anche un bancone con un assortimento niente male di bevande di ogni tipo, dai colori più sgargianti e svariati. Michael sussultò quando una figura si posizionò dietro di esso.
Il cuore rischiò di risalirgli la gabbia toracica, passando per la gola, per poi uscire dalla sua bocca e fracassarsi al suolo.
Sentì chiaramente qualcosa di incredibilmente simile ad un conato di vomito, e dovette avvicinarsi leggermente alla spalla di Calum per non piegarsi su se stesso, preda di un capogiro improvviso, e rigettare anche l'anima.
Il ragazzo dietro il bancone gli sorrise, e Michael sentì di nuovo la bile addensarglisi sul palato, sotto la lingua. Non desiderava altro che spalancare la bocca e sputare a terra quella sgradevole quanto disgustosa sensazione che lo attanagliava.
"Ehi, Luke!" salutò Calum, con una naturalezza impressionante.
Sbagliava, o la voce del moro era incredibilmente lontana?
Michael parve riprendersi per un istante, e la testa smise di girargli vorticosamente.
I suoi occhi riuscirono a focalizzarsi più a lungo sulla figura di Luke.
Era alto. Incredibilmente alto. Lo ricordava più basso di lui di almeno cinque o sei centimetri, mentre ora probabilmente lo superava addirittura di dieci.
Era anche più muscoloso. Le spalle robuste che intravedeva oltre il tessuto della misera canottiera dei Nirvana ne erano la prova inconfutabile. Forse si era messo a fare palestra. Di sicuro.
La sua pelle era sempre chiara e delicata, ma non pallida quanto quella di Michael. Dava l'impressione di essere estremamente soffice.
I suoi capelli erano più corti ai lati, tirati su in un ciuffo vertiginoso, non troppo ordinato. Erano sempre biondi, di quel biondo sporco che a Michael piaceva tanto. Probabilmente, però, se vi avesse infilato le dita, non sarebbero più stati morbidi come una volta, bensì resi ispidi dalla quantità abnorme di gel che aveva utilizzato per tenerli fermi in quella posizione.
Michael notò con stupore ed una leggera soddisfazione che avesse un piercing al labbro inferiore, sulla sinistra. Un semplice anellino nero, che però gli stava dannatamente bene. Ricordava ancora quando Luke gli aveva detto di volerne uno a tutti i costi.
Il suo viso era leggermente più fine, la mascella più definita, reso meno infantile dall'invisibile strato di peluria di cui era cosparso e dalla discreta quantità di acne dovuta alla pubertà.
Luke era indubbiamente cresciuto, ed anche piuttosto bene. Ma, se c'era una cosa che non era cambiata affatto, erano i suoi occhi.
Sempre dello stesso, identico azzurro che aveva un sapore d'infinito e di sogni rubati, in quel momento resi lucidi per colpa delle lampade fioche che illuminavano malamente il locale.
Quando gli sorrise amichevole, Michael non poté fare a meno di notare che le adorabili fossette sulle sue guance non fossero sparite.
Era strano ritrovarsi lì, a qualche metro dalla persona che gli era parsa più irraggiungibile di tutte, senza sapere bene cosa dire o fare. Non sapeva esattamente cosa stesse provando.
Forse nulla, forse un po' tutto.
Era come se migliaia di emozioni stessero correndo dentro di lui, schizzando da una parte all'altra del suo petto, e lui non riuscisse ad afferrarne neppure una per analizzarla e capire quale fosse.
"Buonasera e benvenuti nella mia umile dimora!" esclamò Luke, allargando le braccia e guardandosi intorno con fare teatrale.
Dio, anche la sua voce era così diversa. Molto più profonda, sensuale, incredibilmente roca ed anche calda. Aveva un qualcosa di confortante, di familiare e di dolce al tempo stesso.
Gli fece venire voglia di gettarsi tra le sue braccia e piangere, perché gli era mancato così tanto.
"Ancora non capisco perché vai tanto fiero di questa topaia che puzza di vodka scadente." commentò Calum, con un sorriso che però non conferiva per niente un tono acido alla sua voce.
Luke ridacchiò fiocamente, "Sbaglio o ci vieni tutte le sere, in questa topaia?"
Calum si limitò a scuotere la testa con un sorriso, senza dire niente, e ad avanzare per andarsi a sedere direttamente su uno sgabello di fronte al bancone.
Michael rimase immobile, impalato, come pietrificato, pochi passi dietro il moro.
Luke sollevò le iridi chiare su di lui, ed immediatamente la sua pelle prese a scottare.
Lo fissò così intensamente che sentì il fiato restargli intrappolato in gola e la bocca seccarsi. Per un attimo, temette addirittura che l'avesse riconosciuto.
Poi "Non mi presenti il tuo amico?" chiese, inclinando il capo per studiare meglio il volto di Michael, che sentì le guance andargli improvvisamente a fuoco.
Calum si voltò verso di lui, come se si fosse ricordato che esistesse solo in quel momento, e "Oh" esclamò, "lui è Mark, un mio amico d'infanzia. E' americano."
Gli cinse le spalle con un braccio, invitandolo ad avvicinarsi e sedersi sullo sgabello accanto al suo.
Michael si trattenne dallo storcere il naso in una smorfia di disapprovazione per il nome orrendo che Calum aveva scelto, e si costrinse a mettersi vicino a lui.
"Woah!" esclamò Luke, visibilmente colpito, "Com'è vivere negli States?"
Michael fece spallucce, decisamente imbarazzato ed altrettanto nervoso, "Figo, credo..."
Luke sorrise ancora, "Per stasera offriamo una birra all'americano, che ne dici?"
"Penso che se la meriti!" esclamò Calum in risposta.
Luke iniziò a versare il liquido dorato dentro un boccale enorme, riempiendolo fino all'orlo e rischiando di far colare la schiuma candida e spumosa oltre il bordo. Poi passò la bevanda a Michael, che la fissò per un minuto interminabile prima di decidersi a prenderne un sorso.
Nel frattempo, il locale aveva cominciato a riempirsi e Luke era sempre troppo occupato a salutare dei clienti abituali o a passare birre per fermarsi ancora a parlare con lui e Calum.
Michael ne approfittò per voltarsi verso il moro e sibilare a bassa voce:"Andiamo immediatamente via di qui."
Calum aggrottò le sopracciglia folte, "Perché?"
"Mi sto sentendo fottutamente a disagio, ed io odio sentirmi a disagio. Ho fatto quel che dovevo fare, quindi adesso, per piacere, andiamocene."
L'altro parve ancora tentennante ed insicuro, "Cioè, sono quattro anni che non lo vedi e te ne vai via così? Senza dirgli nulla?"
"Mi ha offerto una birra, penso che questo abbia superato di gran lunga le mie aspettative." Michael fece per afferrare Calum per il polso ed alzarsi dallo sgabello, lasciando lì la sua birra quasi intatta, ma il moro si liberò dalla sua presa con uno strattone non troppo forte.
"Eh, no, amico!" esclamò, "Adesso restiamo qui e recuperi tutto il tempo perso che avete passato lontani."
"Non sa neppure chi sono, Cal! E' inutile stare qui." quasi lo implorò Michael.
"E' la tua occasione per ricominciare da capo, Mike. Non buttarla via così."
Michael sospirò ed abbassò lo sguardo sul legno liscio del bancone, "Non capisco come riesci ogni maledetta volta a farmi cambiare idea."
Calum sorrise compiaciuto, "So quali sono i tuoi punti deboli. Ad esempio, i rimorsi."
Michael sbuffò e si corrucciò, incrociando le braccia al petto, "Ti odio."
"Solo perché sai che ho ragione."
"No, ti odio davvero, Cal. Vaffanculo." borbottò, mentre il moro cominciava a ridere gettando la testa indietro.
 
 
 
Il caldo asfissiante del locale contrastava chiaramente con la brezza leggera e piacevole che spirava delicatamente all'esterno.
Michael se ne stava lì, appoggiato di spalle al muro in cemento scrostato del bar dal quale aveva sentito la necessità di uscire, fumando la sua sigaretta con una lentezza esasperante, mentre si rigirava tra le dita il pacchetto rettangolare di Rothmans, ormai vuoto.
La luce della luna alta nel cielo si rifletteva sulla sua pelle, rendendola ancora più pallida, illuminando ogni poro e risaltando gli zigomi pronunciati.
Gli riempiva gli occhi di uno strano scintillio, simile ad un guizzo argentato che correva nel verde chiaro delle sue iridi.
Non faceva freddo, ma Michael rabbrividì lo stesso.
Si sentiva così sciocco, in quel momento.
Cosa si aspettava? Che avrebbe rivisto Luke dopo così tanto tempo e tutto sarebbe immediatamente tornato come prima?
Era impossibile. Sapeva che nulla, assolutamente nulla avrebbe potuto incastrarsi negli spazi giusti, quelli che una volta aveva occupato, e che Michael aveva ridimensionato, stravolto e sparpagliato.
Voleva così disperatamente rimettere a posto ciò che aveva distrutto lui stesso.
E si sarebbe dato una pacca sulla spalla da solo, perché aveva fatto davvero un ottimo lavoro.
Sapeva di essere sempre stato bravo a rovinare le cose belle.
Proprio in quel momento, la porta del locale si aprì, lasciando fuoriuscire dal minuscolo spiraglio un fascio tenue di luce ed un vociare sconnesso misto alla puzza di alcol.
Michael storse il naso ed aspirò intensamente dal filtro che aveva inconsciamente inumidito di saliva, a forza di stringere tra le labbra la sigaretta immobile, lasciandola consumarsi millimetro dopo millimetro, mentre disperdeva con noncuranza il fumo leggero e grigiastro nell'aria aperta di quella fresca serata.
Non voleva voltarsi per vedere la persona che era appena uscita dal locale, anche se sapeva perfettamente chi fosse.
Ma lo fece comunque, ruotando di poco il collo fino ad incontrare quegli occhi che ricordavano troppe cose e quelle labbra che facevano venire voglia di troppi baci.
Michael deglutì, mentre i raggi lunari danzanti s'infrangevano anche sulla pelle diafana di Luke, rendendo il suo volto ancora più spigoloso.
Si trattenne dal sospirare, limitandosi a prendere un altro tiro dalla sigaretta, in netto silenzio.
Fu Luke a "Gli americani sono tutti dei tipi solitari?" domandare, giusto per rompere il ghiaccio.
Michael tentò duramente di non roteare gli occhi alle parole del biondo; doveva essere veramente fissato con questa storia dell'America.
"Non dovresti essere dietro il bancone a fare il tuo lavoro?" chiese a sua volta Michael, senza rispondere alla precedente domanda di Luke.
"Ho trovato qualcuno che mi dà una mano, nel frattempo." il biondo fece cenno col capo in direzione della vetrata che ricopriva la porta d'ingresso del bar, attraverso la quale si intravedeva un Calum intento a riempire boccali di birra fino all'orlo, schiaffandoli poi sul bancone con un sorriso soddisfatto e trionfante.
Michael rise sottovoce, scuotendo la testa.
Sapeva esattamente cosa stava facendo quel bastardo, e non sapeva se essergliene riconoscente o meno.
In fondo, lo stava solo aiutando a passare un po' di tempo con Luke.
"Mi merito una pausa anch'io, ogni tanto." quest'ultimo concluse ciò che aveva iniziato a dire poco prima, voltandosi poi per sorridere gentilmente a Michael.
Non rispose, limitandosi ad aspirare nuovamente del fumo.
Sentiva gli occhi azzurri e penetranti di Luke viaggiare sul suo volto, ed improvvisamente le dita tra cui stringeva la sigaretta quasi del tutto consumata parvero iniziargli a tremare.
Si sforzò di fissare avanti a sé, mantenendo una presa salda sul filtro, che sembrava volergli scivolare via.
"Mi lasci gli ultimi tiri?"
Le domande di Luke iniziavano a farsi insistenti, quasi quanto i suoi occhi addosso a Michael.
"Fumi?"
L'altro ragazzo, invece, sembrava intenzionato a rispondere alle sue domande solo ed esclusivamente con altre domande.
Quella situazione era alquanto stressante e tesa per entrambi, l'imbarazzo quasi palpabile attraverso l'aria che respiravano.
"A dire il vero no, ma sembri molto più interessato a quella sigaretta che ad avere una qualche sorta di conversazione con me." rispose Luke, sorridendogli nello stesso identico modo in cui aveva fatto poco prima.
Quella gentilezza cominciava a farsi nauseante.
Michael sospirò, poi gli passò riluttante ciò che restava della sua sigaretta.
Il biondo gli sorrise e lo ringraziò flebilmente, prendendo esitante il mozzicone tra l'indice e il medio.
Fissò per qualche istante il fumo leggero che fuoriusciva dall'estremità, rigirandosi la minuscola cartina tra le dita, fino a che non si decise a mettersela in bocca e a prendere il primo tiro.
Rilasciò il fumo quasi subito, gettando poi il mozzicone immediatamente a terra e calpestandolo con la suola consumata delle sue Vans nere.
Cercò di coprire un colpo di tosse col palmo della mano, cosa che fece ridacchiare Michael sotto i baffi, mentre tentava in tutti i modi di fissare altrove.
Lo sentì mormorare un "Merda" e qualche altra imprecazione sommessa, mentre continuava a tossicchiare.
"La prossima volta cercherò un modo più convincente per indurti a parlarmi, lo giuro." borbottò Luke, facendo sorridere l'altro.
"Ne dubito." rispose Michael, mantenendo quell'accenno timido di sorriso sul volto.
"Ehi, mi hai appena risposto seriamente! Ci sono riuscito!" esclamò Luke, sgranando di poco gli occhi per rendere il tutto più teatrale.
Michael ridacchiò piano, assottigliando gli occhi, "Non cantare vittoria troppo presto."
"Come vuoi." Luke gli sorrise, di nuovo.
Dio, perché doveva essere così fottutamente bello in qualsiasi istante, angolazione, luogo e momento?
Era frustrante.
Seguì un silenzio colmo di pensieri volteggianti nelle teste di entrambi i ragazzi, che trottavano veloci e in silenzio, colpendo ripetutamente i loro crani, come gocce di pioggia contro il vetro di una finestra.
Fu un silenzio dall'atmosfera meno tesa di prima, più rilassata, e soprattutto decisamente più confortante.
Fu un silenzio voluto da entrambi, anche se c'erano così tante cose da dire.
Ma, per il momento, andava bene così.
"Non dovresti tornare dentro?" domandò Michael dopo un po', spezzando quella quiete quasi surreale, "Credo che Calum abbia bevuto più birre di quelle che ha venduto."
Luke ridacchiò con voce cristallina e pura, facendo formare quelle meravigliose e minuscole rughette d'espressione attorno alla bocca, "E' un modo carino per mandarmi via?"
Michael s'infilò le mani in tasca, dato che aveva cominciato a fare leggermente più freddo e le dita ne stavano parzialmente risentendo, "E' un consiglio amichevole."
Luke, appoggiato al muro accanto a lui, scosse la testa, "E' inutile continuare ad allontanarmi, Michael."
L'altro ragazzo sentì come una stalattite di ghiaccio conficcarglisi nel costato, lacerando il suo apparato respiratorio e bloccandogli l'ossigeno nell'esofago.
Ansimò, mentre spalancava lentamente la mascella e sgranava gli occhi, colto totalmente di sorpresa.
Allora Luke sapeva.
Tentò di dire qualcosa, qualsiasi cosa, voltandosi velocemente verso il biondo con un'espressione sconvolta in viso.
Boccheggiò un paio di volte, nel panico più totale, senza sapere a quali vocali e quali consonanti aggrapparsi. Sembrava che ogni vocabolo di cui era a conoscenza gli scivolasse via dalle labbra prima che potesse anche solo pensare di pronunciarlo.
"Davvero credevi che non mi ricordassi di te?"
Luke lo guardò dritto negli occhi, stavolta con una serietà disarmante ed un'intensità nelle iridi non trascurabile.
"Dio, Mike, come puoi anche solo aver pensato che io ti avessi dimenticato?" proseguì, con tono leggermente ferito, sofferente, come se l'avessero colpito con una pallottola dritto al petto.
"I-io n-non..." Michael tentennò ancora, incapace di parlare, di respirare, o di fare qualsiasi altra cosa il suo organismo fosse in grado di elaborare.
Luke sospirò, quasi con tristezza, "Credevi che sarebbe bastato tingere i capelli di un colore diverso ed aspettare quattro fottutissimi anni per liberarti di me?"
Michael riuscì a cogliere anche un frammento di rabbia nelle sue parole, come una scheggia minuscola quanto dolorosa.
"Cosa stavi cercando di fare? Prendermi per il culo o ricominciare da capo?"
Stavolta ne fu certo: Luke era arrabbiato. Ed anche parecchio.
"N-non è come sembra, Luke, lo giuro. Volevo solo... volevo tornare, ma non potevo semplicemente farlo ed aspettarmi che mi avresti accolto a braccia aperte. Ho dovuto inventarmi qualcosa per riavvicinarmi a te, ma non intendevo... i-io non intendevo prenderti per il culo, assolutamente. Avevo solo paura." Michael faticò tantissimo per pronunciare ognuna di quelle sillabe, e sentiva il fiato pesante come se avesse appena corso una maratona.
Eppure era immobile, come congelato sotto lo sguardo glaciale di Luke.
Sentiva i muscoli irrigidirsi e il sangue addensarsi nelle vene, impedendo ai globuli rossi di scorrere in tutto il suo apparato.
Gli occhi di Luke bruciavano, in contrasto col freddo azzurro che li puntellava all'interno. Erano come due sfere infuocate sulla pelle di Michael, che lo scottavano senza scrupoli e senza rimorsi.
"Perché sei tornato?" domandò il ragazzo a cui apparteneva quello sguardo mortale, dopo un tempo che parve immensamente infinito, come se i minuti ed i secondi si fossero dilatati fino a trasformarsi in ore. Ore dense e leggiadre, che scorrevano fluide come le gocce che cadono lente dal cielo annuvolato, una dopo l'altra, creando un'attesa snervante e dilaniante per chi resta ad osservarle e non aspetta altro che le nubi si dissipino per lasciare finalmente il posto ad un sole che ha ben poco di consolatorio.
Michael non rispose. O almeno, non subito.
Non lo fece neppure il minuto successivo, o quello dopo ancora, o tre minuti dopo quelli già trascorsi.
Rimase semplicemente immobile, con la lingua che sembrava carta vetrata a raspare sul palato, la bocca incredibilmente secca e vuota, come se non fosse altro che una cavità incapace di produrre suoni.
Non avrebbe detto a Luke la verità.
Non gli avrebbe detto che era tornato perché sentiva la sua mancanza, terribilmente.
Non gli avrebbe detto neppure che lo amava, e che non aveva mai smesso di farlo in nessuno di quei milllequattrocentosessanta giorni, in nessuno di quei quattro interminabili anni.
Non gli avrebbe detto che era diventato bellissimo, che voleva abbracciarlo. Probabilmente anche baciarlo.
Non gli avrebbe detto che era tornato solo per lui, lo stesso motivo che lo aveva spinto ad allontanarsi.
Non gli avrebbe detto nulla di tutto ciò che invece avrebbe voluto urlargli, incidergli nel petto, impiantargli nel cranio, cosicché non lo dimenticasse più.
"D-devo andare..." mormorò solamente, facendo per volarsi ed allontanarsi finalmente da Luke.
Non sarebbe dovuto venire, lo sapeva perfettamente. Dio, perché era stato così idiota da aver creduto che avrebbe realmente funzionato?
Ingenuo, sciocco, coglione.
Odiava se stesso più di quanto avesse mai fatto.
"Sei appena arrivato e già te ne ritorni chissà dove?" domandò Luke, un pizzico d'ironia pungente nella sua voce, "Quando la smetterai di correre via dai tuoi problemi e dalle tue paure?"
Michael si ghiacciò nuovamente sul posto, come se le parole acide di Luke gli si fossero avvinghiate alle caviglie e lo avessero ancorato al suolo.
"Sei patetico." sputò Luke infine.
E quelle parole gli fecero male. Immensamente male.
Lo colpirono al petto con la stessa violenza ed inaspettatezza di un pugno in pieno viso.
Erano così intrise di rabbia, così marcate di ribrezzo, così amare anche solo da mandare giù.
Gli fecero male.
Soprattutto perché a pronunciarle era stato il ragazzo di cui era follemente e stupidamente innamorato.
Luke parve rendersi conto solo dopo aver visto l'espressione sofferente e ferita sul volto di Michael di ciò che aveva realmente detto. Si portò immediatamente una mano davanti alla bocca, sollevando le sopracciglia in un'espressione sorpresa.
"M-mike, io non intendevo... non volevo..." tentò di giustificarsi, scuotendo nervosamente la mano avanti a sé.
Ma Michael non lo stava già più ascoltando.
Corse via, lontano da tutto.
Lontano dai suoi problemi, dai suoi ricordi, dal suo dolore, dal suo passato, dal suo amore, dai sentimenti che continuavano a rincorrerlo.
Lontano da tutto.
Soprattutto da Luke.
"Michael, ti prego, aspetta! Scusami, davvero!" lo sentì gridargli dietro, ma lo ignorò ancora una volta.
E corse, corse così veloce fino a sentire l'aria andargli di traverso, diventare dannosa e simile ad un repellente per i suoi polmoni asfissiati.
Solo a quel punto si fermò.
Ma non guardò indietro, neppure una volta, nel punto in cui aveva abbandonato Luke.
E, probabilmente, anche il suo cuore.
 
 
 
***
 
 
 
Michael non era bravo ad aggiustare le cose. In particolare, le cose che era lui stesso a rompere.
Tendeva a fuggire dai problemi, per non doverne affrontare le conseguenze e non doverli mai più guardare in faccia.
Fuggiva perché era la cosa più semplice, quella che gli riusciva meglio, quella con cui riusciva sempre a salvarsi.
O, almeno, questo era quello che credeva.
In realtà, i suoi problemi non svanivano mai. Avrebbe potuto correre chilometri interi, ansante e distrutto, con i piedi in fiamme ed i talloni consumati, con i muscoli delle gambe a tremargli per lo sforzo; avrebbe potuto saltare sul primo treno, cambiare città, cambiare vita, cambiare nome; avrebbe potuto fare finta che non fosse accaduto nulla, come se ogni singola cosa fosse al posto giusto, senza che si fosse spostata di un singolo millimetro.
Avrebbe potuto provarle tutte, metterci l'anima, sudare cinquecentotrentasette camicie, ma i suoi problemi non sarebbero mai svaniti del tutto. Mai.
Sarebbero rimasti sempre lì, in agguato, in attesa del momento giusto per attaccare, in attesa del primo accenno di debolezza, di arrendevolezza, di cedimento.
Lo avrebbero raggiunto, rincorso per miglia intere, assalito e soppresso.
Gli sarebbero sempre stati alle calcagna, come fossero legati alle sue caviglie tramite delle catene invisibili ed indistruttibili.
Poteva accantonarli momentaneamente, fingere di dimenticarsene, giurare che li avrebbe fronteggiati in seguito. Ma loro sarebbero sempre esistiti.
Nonostante gli sforzi, nonostante tutto.
E lo avrebbero inseguito, gli sarebbero stati col fiato sul collo ogni singolo giorno della sua vita, come un'incudine battente che pesa sulle tue spalle per ricordarti di ciò che hai lasciato indietro, di ciò che però è ancora lì, nell'esatto punto in cui credevi di averlo eliminato.
Anche quella volta, Michael era fuggito. Aveva preso la scorciatoia per evadere da quel casino che si era andato a creare. Che lui aveva creato.
Coglione.
Non era più tornato al bar, dopo quella volta. Anzi, a dire il vero, non aveva neppure più messo piede fuori da casa, dopo quel giorno.
Non voleva imbattersi nuovamente in Luke; non avrebbe saputo cosa dirgli, come cazzo spiegargli, come scusarsi per tutto.
E sinceramente non sapeva neanche se lo avrebbe ascoltato, quindi non ne valeva davvero la pena.
Era sparito di nuovo, esattamente come quella volta di quattro anni prima.
Luke lo aveva visto fuggire, scappare dalle sue parole e tapparsi gli occhi di fronte alla realtà.
Gliel'aveva detto anche il biondo: il suo comportamento era patetico, assolutamente patetico.
E Michael non riusciva neppure a dargli torto.
"E' passata una settimana, Mike." sospirò Calum, appollaiato alla fine del letto sul quale il ragazzo dai capelli rossi stava riposando, avvolto dalle calde e morbide coperte.
"Lo so." si limitò a mormorare, la faccia affondata nella stoffa della federa del cuscino.
Udì Calum sospirare di nuovo, "Luke non fa altro che chiedermi di te. Sono stanco di mentirgli."
"Ed io sono stanco di ascoltarti, perciò buonanotte." ribatté acidamente, prima di allungare un braccio per spegnere la fioca luce proveniente dalla lampada sul comodino al suo fianco.
La stanza cadde in un buio ed un silenzio molto densi, che quasi si potevano toccare con la punta delle dita e percepire sulla lingua.
Per un po', Calum non disse niente. Michael iniziò addirittura a pensare che se ne fosse finalmente andato, ma ne dubitava, dato che non aveva sentito il letto cigolare o un peso essere rimosso dal materasso.
Poi, alla fine, il moro parlò di nuovo:"Dovresti tornare. Anche solo per dirgli che non vuoi più vederlo. Se lo merita, non credi?"
"Anch'io meriterei un po' di riposo!" borbottò in risposta.
"Sono sette giorni che poltrisci in quel letto! Sto facendo un discorso serio, avanti!" urlò Calum, perdendo leggermente la pazienza di fronte al menefreghismo più totale di Michael.
Quest'ultimo sospirò pesantemente, così il moro ne approfittò per parlare nuovamente:"Di cosa hai paura?"
Michael rimase brevemente in silenzio, "Che possa scoprire il vero motivo per cui me ne sono andato. L'ho già perso come amico, non voglio perderlo del tutto."
Calum non disse nulla. Sapeva che Michael fosse innamorato di Luke, da tanto, troppo tempo.
Sapeva anche che se n'era andato per evitare di dover affrontare quel problema, per paura che il biondo lo scoprisse e fosse lui ad andare via da Michael.
Lui non aveva fatto altro che fuggire, come faceva sempre.
Come avrebbe sempre fatto.
E, quando sarebbe arrivato finalmente il giorno in cui avrebbe dovuto vedersela faccia a faccia con tutti i problemi che aveva ignorato fino ad allora, forse avrebbe capito di aver sbagliato.
O, forse, lo sapeva già.
Ma continuava a sbagliare, perché non riusciva a farne a meno.
"Dovresti tornare comunque." disse infine Calum, prima di alzarsi definitivamente dal letto ed uscire dalla stanza, lasciando Michael da solo.
E lo sapeva che sarebbe tornato, perché, in un modo o nell'altro, tornava sempre da Luke.
Sempre.
 
 
 
***
 
 
 
Coraggio, speranze ed una sigaretta.
Era tutto ciò che Michael aveva, mentre camminava a testa bassa lungo il bordo del marciapiede, le mani affondate nelle tasche ed i capelli - già abbastanza scompigliati - mossi ulteriormente dal vento.
Solitamente, il fumo aiutava a rilassarlo, ma in quel momento sembrava non poterci riuscire neppure una buona dose di tranquillanti.
Michael era un fascio di nervi, teso fino allo spasmo, sul punto di lacerarsi irrimediabilmente. Gli sembrava di essere tornato ad una settimana prima, il giorno in cui aveva rivisto Luke per la prima volta dopo quattro anni.
Le sensazioni spiacevoli erano le stesse: mani tremanti, costrette a giacere nelle tasche dei jeans sempre troppo attillati; bocca asciutta, come se stesse masticando da ore della sabbia; testa pulsante per i troppi pensieri; cuore in tumulto, battente ed esasperante, carico di ansia e di paura.
Ed esattamente come quella volta, Michael non sapeva cosa aspettarsi.
Si era semplicemente deciso ad uscire finalmente da casa, a percorrere quella strada che inizialmente gli aveva mostrato Calum, e a sperare vivamente che Luke non avesse deciso di non volerne più sapere, sia di lui che di tutta quella dannata storia.
Un paio di passi. Due respiri troppo lunghi e profondi. Paura.
Il bar era quello, come testimoniava l'insegna decadente posta in alto, sopra la porta cigolante.
Michael si fermò davanti all'entrata ed inarcò un sopracciglio, confuso.
Era chiuso.
Si guardò brevemente intorno, poi si avvicinò alla porta dal vetro opacizzato e cercò di dare un'occhiata dentro, nel tentativo d'individuare qualcuno.
Quando non scorse neppure un'ombra, si tirò indietro e sobbalzò appena la sua schiena andò a scontrarsi contro qualcosa, o meglio qualcuno.
Michael si voltò di scatto, il cuore incastrato tra il pomo d'Adamo e la trachea, gli occhi sgranati, spalancati, accecanti, terrorizzati.
L'aria sembrò farsi improvvisamente più rarefatta, tanto che il povero ragazzo non riusciva neppure ad inalare normalmente quel poco ossigeno di cui aveva strettamente bisogno.
"Il locale apre tra un'ora."
La sua voce. La sua voce così vicina, così immensamente piacevole e roca, profonda, graffiante, melodica, sensuale, affascinante.
E le sue labbra. Le sue labbra impossibilmente rosse, carnose, soffici, delicate, armoniose, belle da mozzare il fiato.
Michael non ne riusciva a ricordare il sapore, nonostante le avesse già baciate una volta. Era passato tanto, troppo tempo, però.
Ne aveva dimenticato la morbidezza contro le sue, il calore tiepido, il retrogusto di birra scadente comprata al supermercato.
Le loro forme erano simmetriche, eleganti, perfette, definite.
Michael moriva dalla voglia di ricordare tutti quei piccoli dettagli che erano svaniti col tempo.
Moriva dalla voglia di tracciare i contorni della sua bocca perfetta con la punta delle dita.
Moriva dalla voglia di riscoprirne il sapore e la consistenza.
Moriva dalla voglia di baciarlo.
Luke probabilmente si era accorto dei suoi occhi puntanti insistentemente sulla sua bocca, così si passò velocemente la lingua sulle labbra e Michael parve tornare bruscamente alla realtà, come se fosse stato catapultato giù da una nuvola.
Le sue iridi si mossero nervosamente, spostandosi dalla bocca del biondo ai suoi occhi.
"S-scusa, non lo sapevo." disse con imbarazzo, sperando che non fosse già irrimediabilmente diventato dello stesso colore dei suoi capelli.
Luke gli sorrise con calma, "Ti va di... fare quattro passi?"
Michael annuì frettolosamente, forse fin troppo.
"Ok. Allora... allora andiamo." disse il biondo, sorridendogli ancora, cercando di celare il leggero imbarazzo che si era creato dietro una finta apparenza di tranquillità stabile.
L'altro annuì ancora, poi iniziarono a camminare.
Il silenzio tra di loro si protrasse a lungo, decisamente troppo a lungo, fino a che divenne insopportabile e Luke decise di spezzarlo con un "Sei tornato", che era molto più una constatazione dell'ovvio, a dire il vero.
Michael annuì, senza guardarlo negli occhi, "Non avrei dovuto?"
"No. Sono felice che tu l'abbia fatto." rispose il biondo.
Un'altra pausa carica di silenzio assordante.
Alla fine, Luke sospirò, "Mi dispiace. Per l'altra volta, intendo. Non avrei... non avrei dovuto darti addosso, io... E' solo che è passato così tanto tempo. Non so come dovrei comportarmi adesso."
"Non devi comportarti diversamente da come ti comporteresti in qualsiasi altra situazione, Luke. Non sono un'invisibile lastra di vetro sul punto di rompersi." rispose Michael, forse leggermente piccato. Ma, se lo era, non lo diede a vedere e non lo mostrò attraverso il tono di voce.
"Ho solamente paura di fare qualcosa di sbagliato, e che te ne possa andare di nuovo. Adesso... adesso che sei di nuovo qui, non voglio che tu lo faccia."
A quel punto, Michael sollevò finalmente le iridi per incontrare quelle chiare e limpide di Luke. Lo fissò intensamente, prima di riabbassare lo sguardo sul marciapiede che stavano percorrendo lentamente.
"Non lo farei. Non riuscirei più a farlo." disse in un mormorio appena udibile.
Luke non rispose, limitandosi a fissare il profilo del ragazzo al suo fianco.
Quando tornò a guardare avanti, disse:"Hai voglia di un caffè? Lo fanno ancora buonissimo in quel posto in cui andavamo sempre."
Michael sorrise, "Volentieri."
 
 
 
Le tazzine ormai vuote erano poggiate sul tavolino in acciaio della caffetteria alla quale si erano fermati da qualche minuto.
Non avevano parlato quasi per niente, fatta eccezione per qualche domanda riguardante il numero di cucchiaini di zucchero o il tipo di caffè da prendere.
Michael non faceva altro che giocare con lo zucchero ingiallito rimasto sul fondo della sua tazzina sporca, facendo tintinnare ripetutamente il cucchiaino contro la ceramica.
Luke, invece, se ne stava in silenzio e fissava l'altro ragazzo assiduamente.
"Mi dirai mai perché te ne sei andato?" domandò dopo un po', sorprendendo Michael, che interruppe immediatamente i movimenti che stava ripetendo da minuti interi.
"Adesso sono qui."
"Ma non ci sei stato per quattro anni. Quattro anni, Mike. Senza sapere dove eri, come stavi, perché non tornavi. Senza sapere che cazzo di fine avesse fatto il mio migliore amico."
La voce di Luke era pregna di dolore, tristezza, amarezza. E gli fece male, così tanto che dovette deglutire un paio di volte per ricacciare indietro l'impellente bisogno di piangere.
"Mi dispiace, ok? Mi dispiace di essere sparito, ma se sapessi il perché mi ringrazieresti di sicuro." rispose Michael, punto nel vivo.
"Il fatto è che non so il perché. E tu non me lo dici."
"Perché non posso."
"O perché non vuoi?"
"Entrambi."
Luke sospirò, poi spostò i suoi occhi dal volto di Michael al tavolino, riportandoli in una frazione di secondo nella posizione di prima.
"Domani sera verrai al locale?" domandò, cercando di deviare l'argomento del discorso. Ma entrambi sapevano che ci sarebbero tornati comunque, in seguito.
"Non lo so."
"Ti offro un'altra birra." lo incitò il biondo.
"La tua birra fa schifo." ridacchiò Michael.
"E' l'unico modo che ho per convincerti." si difese Luke, sorridendo.
Il ragazzo dai capelli rossi sospirò, giocherellando poi con la punta delle sue dita, mostrandosi pensieroso.
"Avanti, Clifford!" esclamò Luke, "Abbiamo quattro anni da recuperare, quindi si inizia da domani."
Michael sorrise leggermente, poi guardò l'altro negli occhi, che incurvò le labbra a sua volta.
"E che domani sia."
 
 
 
***
 
 
 
Una birra giaceva intatta sul bancone del bar, nonostante i continui rifiuti da parte di Michael.
Non l'avrebbe bevuta comunque, ma, perlomeno, Luke aveva mantenuto la sua assurda e ridicola promessa. Gli venne quasi da sorridere, e probabilmente lo fece anche, tenendo gli occhi incollati al boccale pieno fino all'orlo, perché, improvvisamente, Luke smise di pulire il bicchiere che stava strofinando con tanta cura e lo guardò.
"Dovresti farlo più spesso." disse, facendo sollevare velocemente gli occhi di Michael, che si spalancarono leggermente per la sorpresa.
"Cosa?" domandò, totalmente confuso e sovrappensiero.
"Sorridere. Mi piaci quando lo fai."
Luke gli sorrise a sua volta, e Michael sentì chiaramente il suo cuore precipitare da un'altezza inaudita, immergersi in un tornado di emozioni indistinte e poi venire schiacciato da una morsa dolorosissima.
"E dovresti bere anche quella birra. Almeno per farmi contento." aggiunse Luke subito dopo, tranquillizzando Michael e facendolo tornare a sorridere genuinamente.
"Ti ho già accontentato venendo qui. Inizi a pretendere davvero troppe cose, Hemmings." rispose scherzando, facendo ridacchiare l'altro ragazzo, che chinò la testa e tornò a lucidare lo stesso bicchiere su cui era fermo da una quantità interminabile di minuti. Probabilmente, avrebbe scintillato se la luce del locale non fosse stata così pessima.
Quella sera non era tanto affollato. Forse perché era giovedì, o forse perché il destino aveva organizzato un qualche fottuto piano alle sue spalle per far restare lui e Luke il più tempo possibile da soli; dunque in grado d'interagire tra loro; dunque aumentando il rischio di collasso da parte di Michael.
"Non sei mai stanco?" domandò il ragazzo dai capelli rossi dopo un po', poggiando il gomito sul bancone e sorreggendosi il mento col palmo della mano, mentre fissava Luke fare avanti e indietro da un cliente all'altro.
"Di lavorare?"
Michael annuì.
"Beh, sì. Ma mi piace. E poi ci sei tu che mi tieni compagnia." rispose il biondo, servendo quello che doveva essere un Sex On The Beach ad un tizio col pizzetto.
"Smettila." lo ammonì Michael, senza però poter fare a meno di sorridere timidamente.
"Cos'ho fatto?" esclamò Luke, fingendosi del tutto innocente e sorpreso.
"Mi stai riempiendo di complimenti che non merito, e mi stai facendo sentire esageratamente importante."
Luke inclinò la testa di lato e lo squadrò con un sorrisetto divertito sul volto, "Mi stai incolpando perché ti sto facendo arrossire, non è così?"
Michael boccheggiò, cercando una scusa qualsiasi per negare, "N-non è... Io... Tu... Oh, 'fanculo!"
Il biondo scoppiò a ridere, iniziando poi a versare della vodka in un bicchierino piccolo che probabilmente qualcuno aveva ordinato.
"Non lo trovo così divertente." borbottò Michael, offeso e punto nell'orgoglio.
"Per me lo è, eccome!" Luke rise ancora, strizzando più volte le palpebre e facendo comparire quelle deliziose quanto maledette fossette ai lati della sua bocca.
"Avevo dimenticato quanto fossi coglione." sorrise Michael.
"Qui la testa di cazzo sei tu, Clifford! Non privarti di questo illustre titolo!" lo rimbeccò l'altro, facendolo ridere brevemente.
"Ti hanno mai detto che fai schifo come barista?" chiese il ragazzo dai capelli rossi.
"Mh, sì, più o meno ogni giorno. E sai cosa? Mi ci pulisco il culo con l'opinione degli altri, sinceramente. Adoro il mio lavoro ed adoro svolgerlo come voglio, quindi chiudete quella cazzo di bocca!" esclamò, ridacchiando e gesticolando fin troppo animatamente con le braccia, facendo scoppiare a ridere Michael, che si piegò in avanti, fino a toccare con la fronte sul legno rovinato del bancone.
Quando riuscì a riprendere fiato, disse:"Mi era mancato."
"Cosa?"
"Tutto questo. Ridere spensieratamente, come una volta, come se il tempo non fosse trascorso affatto." Michael sorrise tristemente, ricordando i giorni in cui tutto era perfetto, tutto era bellissimo così com'era. In cui tutto era diverso.
Luke lo guardò un istante, un sorriso nascente ad increspargli di poco le labbra.
"A me sei mancato tu, testa di cazzo."
 
 
 
***
 
 
 
"Questo caffè mi stancherà, a lungo andare." disse Michael, bevendo comunque un altro sorso dalla sua tazzina.
"O ti farà diventare schizofrenico, come minimo." constatò Luke, facendo ridacchiare l'altro.
Erano nuovamente seduti al tavolino della caffetteria alla quale si erano fermati la volta scorsa, sorseggiando con calma e parlando del più e del meno. Ormai era quasi una settimana che si recavano puntualmente in quel posto grazioso, anche solo per passare un po' di tempo insieme e chiacchierare delle sciocchezze più assurde che gli venivano in mente.
Michael sentiva che, piano piano, tutto stesso tornando alla normalità. O, almeno, questo era quello che credeva. Quello che sperava.
Sapeva - anche fin troppo bene - che sarebbe stato impossibile ripristinare ogni cosa, far combaciare quei pezzi che ormai erano stati invertiti definitivamente.
E sapeva anche che ci fosse ancora quel discorso da chiarire, che sarebbe stato probabilmente riaperto in seguito. Ma non voleva pensarci.
Voleva semplicemente godersi quei momenti con Luke e lasciare i problemi da parte, come se fossero stati ombre su cui nessuno avrebbe fatto luce per un po'.
"Calum mi ha detto che stasera sarebbe venuto al locale. Credo che ormai ci abbia preso gusto a servire i clienti." disse Luke, tanto per aprire un discorso diverso.
"Tra due giorni ti starà supplicando di assumerlo, credimi."
Luke ridacchiò, "Ci sarai anche tu?"
"Al locale?" domandò Mike, alzando un sopracciglio.
"Certo."
"Se giuri di non offrirmi un'altra birra, verrò."
Luke rise ancora, stavolta con uno scintillio d'allegria nello sguardo, un baluardo di gioia e spensieratezza che si fa spazio tra i bordi consumati di una visione oscurata dall'amarezza.
Una scintilla che ne accese un'altra nel cuore di Michael, e poi un'altra, ed un'altra ancora.
Una reazione a catena che gli esplose dentro al petto e gli fece desiderare di poter conservare quel meraviglioso luccichio per sempre.
 
 
 
"La mia birra ti fa davvero così schifo?" domandò Luke, facendo sobbalzare di poco il povero Michael, che era intento a fissare il suo boccale - naturalmente intoccato -, seduto al bancone, come sempre, mentre il biondo serviva ogni cliente, schizzando da una parte all'altra del bar. A volte, Michael si chiedeva se non gli girasse la testa a fine serata, e in un certo senso lo ammirava.
"Avevi giurato che non me ne avresti offerta un'altra." lo rimproverò il ragazzo dai capelli rossi, lanciandogli uno sguardo truce che, però, invece d'intimidirlo, fece ridere Luke.
"Nessuno può starsene seduto al mio bancone senza niente da bere. E' un orrore per i miei occhi."
"Per me, invece, è un orrore dover sentire tutte le sere questa puzza di alcol sotto il naso." ribatté Michael, storcendo il naso come per rendere più chiaro il concetto.
Luke rise ancora. E Dio, Michael avrebbe tanto voluto ridere con lui a squarciagola, perché quel suono gioioso lo rendeva così felice ed euforico.
E voleva baciarlo. Di nuovo.
Merda.
"E' il gesto che conta, no? Non fa niente se non la bevi, davvero." rispose il biondo, smettendo di ridere ma continuando comunque a tenere le sue labbra dolcemente sollevate agli angoli.
"Potresti essere gentile anche in altri modi, non per forza offrendomi una birra dopo l'altra." osservò Michael, trattenendosi duramente per non dover scansare disgustato il boccale dall'odore vomitevole aleggiante nell'aria.
"Questo è quello che mi riesce meglio."
"Non direi."
Luke ridacchiò, poi si allontanò un istante per servire un tizio pelato che, da quanto aveva capito Michael attraverso un frammento di conversazione rubata, doveva aver chiesto qualcosa di veramente forte.
Dopo qualche istante, Luke era di nuovo di fronte a lui, apparentemente stremato.
"E' sempre così pieno di gente, qui?" chiese Michael, compatendolo almeno un po'.
Luke annuì stancamente, "Soprattutto il sabato sera."
"Non ti invidio affatto, amico."
"Ah, fai bene. L'unica cosa che potresti invidiarmi è il ricavato."
Michael ridacchiò fiocamente, "Forse."
Luke gli sorrise a sua volta, amichevole e confortante, prima di sbucare fuori dal bancone e sedersi sullo sgabello libero accanto a Michael.
"Penso di aver bisogno di un attimo di riposo." mormorò, accasciandosi sulla superficie in legno ruvido.
"Sei sfortunato che Calum stasera sia impegnato con quella tipa laggiù. Il suo senso del dovere è stato offuscato da un paio di tette, incredibile." disse Michael sorridendo.
"E' irrecuperabile." mormorò Luke, poggiando abbondantemente i gomiti sul già ristretto spazio disponibile del bancone, "Come vi siete conosciuti voi due?"
"Circa due anni e mezzo fa, quando..."
Michael s'interruppe non appena si rese conto che stesse per rivelare a Luke del fatto che lui non fosse mai effettivamente partito.
Sospirò, dispiaciuto, "Ci sono così tante cose che devo dirti..."
"Beh, comincia spiegandomi come fate a conoscervi." lo esortò il biondo, ruotando di poco il capo per osservare il profilo dell'altro ragazzo, che sembrava duramente combattuto.
Sospirò ancora, prima di "Ti avevo detto... ti avevo detto di essere partito. Che me ne ero andato, da qualche parte lontano da qui."
Luke schioccò la lingua quando giunse alla conclusione prima che Michael potesse dirgli la verità, "Dovevo aspettarmi che anche questa fosse l'ennesima cazzata."
Michael sentì un moto di dispiacere pervaderlo, mentre abbassava lo sguardo, "Dovevo... farti credere che fossi irraggiungibile, che mi sarei rifatto una vita così come credevo te ne saresti rifatta una tu."
Luke annuì ancora, come se tutto fosse così ovvio e scontato che si sarebbe volentieri dato del coglione per non averci pensato prima - e probabilmente lo stava anche facendo mentalmente.
"Credo... credo di aver bisogno di quella." mormorò, indicando con un cenno distratto del capo la birra sotto il naso di Michael.
Quest'ultimo gliela passò velocemente, e Luke ne prese immediatamente un sorso abbondante, pulendosi poi la bocca col dorso della mano e sospirando dissetato.
Rimase un istante in silenzio, mentre Michael aspettava tremante che parlasse, che s'infuriasse com'era giusto che fosse.
Il biondo, però, prese semplicemente un altro sorso dal boccale e poi lo sbatté sul ripiano, ormai mezzo vuoto.
Poi, finalmente, parlò:"Sono incazzato con te, Mike. Sono terribilmente incazzato, non credere il contrario. Solo... non voglio affrontare adesso questo discorso. Ne riparleremo. Ma non voglio rovinare la serata."
Michael si sorprese leggermente. Si sarebbe aspettato che Luke gli urlasse contro, come aveva fatto la prima volta. Invece era stranamente calmo e controllato, ragionevole.
Apprezzò molto il suo gesto, perché anche lui, francamente, non aveva voglia di mettersi a discutere di certe cose proprio in quel momento, tra una massa immensa di gente.
"Grazie, Luke." disse con un sospiro sollevato, "Avresti avuto tutte le ragioni del mondo per prendermi a pugni in questo esatto istante, e sono sorpreso che tu non l'abbia ancora fatto. Quindi grazie, davvero."
"Non è detto che non lo farò in seguito. Non ritenerti in salvo, ancora." ghignò Luke, facendo credere a Michael che non fosse poi così tanto serio. O forse si sbagliava.
"Grazie lo stesso." sorrise a sua volta.
Luke bevve gli ultimi sorsi dalla birra che aveva abbandonato davanti a sé, originariamente appartenente a Michael, poi disse:"Posso fare una cosa?"
Michael si voltò verso di lui ed aggrottò le sopracciglia folte, confuso, "Se devi darmi un pugno, ti supplico di ripensarci."
Il biondo ridacchiò leggermente, "Se lo fosse stato, non ti avrei nemmeno chiesto il permesso."
"Oh."
Luke ridacchiò ancora, piano, poi si affievolì, "E' una cosa che avrei dovuto fare settimane fa, appena sei tornato."
Michael parve ancora più confuso, però annuì comunque, per dargli il via libera.
L'altro ragazzo sospirò, poi si sporse lentamente verso Michael.
Quest'ultimo chiuse istintivamente gli occhi, immaginandosi già il dolore di un pugno in pieno volto pervaderlo, nonostante le parole rassicuranti di Luke.
Ma, quel dolore, non arrivò mai.
Sentì solamente un calore indefinito avvolgerlo, come un'aura dal tepore rilassante ed avvolgente che lo circondava.
Luke non lo stava picchiando.
Lo stava abbracciando.
Michael rimase rigido tutto il tempo, stretto delicatamente tra quelle braccia che gli erano mancate come un rifugio sicuro nel mezzo della tempesta, come se fossero state la zattera per un povero naufrago, o l'ultima briciola di cibo rimasta durante una tremenda carestia.
Non si era neppure reso conto di star addirittura trattenendo il respiro, fino a che Luke non allentò lentamente la presa attorno alle sue spalle e sciolse quel dolce quanto insolito contatto tra corpi, tra tessuti, tra pelli, tra cuori, tra anime.
E lo guardò negli occhi, prima di sorridergli timidamente, mentre Michael era rimasto con le labbra leggermente schiuse per lo stupore, le gote inevitabilmente imporporate da un lieve imbarazzo e il cuore in tumulto, come se una ripida cascata lo stesse trascinando con sé, giù da un precipizio.
Fissò Luke. Si perse nel suo sguardo e nel suo viso, raccolse un po' di quel celeste delle sue iridi per conservarlo in un angolino minuscolo della sua mente, per potersene innamorare ancora ed ancora, quando il cielo gli sarebbe parso troppo lontano, nonostante lo avrebbe trovato costantemente sopra la sua testa.
Sognò di addormentarsi sulle sue labbra, soffici anche solo al ricordo di un tocco ormai svanito, eclissato dai minuti e i giorni passati, ma vivido al contempo, come una foto un po' sbiadita, ma di cui è impossibile cancellare l'immagine fissa nella memoria.
Ed avrebbe voluto che il suo cuore la smettesse di essere così esultante, così fottutamente rumoroso.
Avrebbe voluto che Luke la smettesse di avere il sorriso più bello del mondo, le gote più morbide di sempre, gli occhi più comunicativi di tutti.
Avrebbe voluto strapparsi le labbra, perché gli pizzicavano, lo torturavano, e gli facevano venire voglia di trovare altre labbra per potervisi unire e coccolare.
Le labbra di Luke, tese in un'armoniosa scultura dell'anatomia umana, in una semplice manifestazione di un sentimento spontaneo come la felicità.
Dio, ormai aveva perso il conto delle volte che aveva sognato di baciarlo solo nel corso di quei pochi giorni.
Il calore del corpo di Luke contro il suo era già svanito, troppo in fretta, troppo rapidamente, senza lasciargli il tempo di realizzare e di raccoglierne il più possibile per potervisi crogiolare, accarezzare, stringere.
Rimpianse le sue braccia, il suo profumo, quel contatto così breve eppure così intenso.
Come lo scoppio di un fuoco d'artificio: dura un attimo, troppo poco, eppure è grandioso, luminoso, meraviglioso, eclatante, stupefacente. E' così tanto forte, nonostante si manifesti per una manciata scarsa di frazioni di secondo, che ti resta impresso dentro la retina dei bulbi oculari molto più a lungo.
E' come fotografare un preciso momento nel tempo e poi riviverlo da capo due, tre, cento, mille, diecimila volte, all'infinito, senza mai stancarsi, senza mai averne abbastanza. E senza mai smettere di amarlo come lo si è amato la prima volta.
 
 
 
***
 
 
 
"Sono appena le nove del mattino. Mi spieghi perché cazzo mi hai svegliato così presto e mi hai trascinato fuori casa?" domandò Calum, mentre Michael lo trascinava per le strade come se fosse un bambino capriccioso. E, con quell'atteggiamento, lo sembrava davvero.
"Devo comprare una cosa." snocciolò Michael in fretta, senza fornirgli altri dettagli.
"Vuoi almeno dirmi cosa esattamente?" sbuffò il moro.
"Lo vedrai."
Un altro sbuffo, "E quale sarebbe il mio ruolo?"
"Mi devi prestare dei soldi."
Calum puntò bruscamente i piedi a terra, frenando malamente e tirando Michael all'indietro, che lo stringeva ancora per un braccio.
"Cosa? Te lo puoi scordare!" esclamò.
"Avanti, Cal! Mi servono dei soldi, i miei non bastano. Ti prometto che ti restituirò tutto appena posso. Per favore." lo supplicò Michael insistentemente.
"Dimmi solo cosa devi farci. Se devi comprarci dell'erba, puoi scordarteli."
Il ragazzo dai capelli rossi roteò gli occhi al cielo, scocciato, "Non si tratta di erba, posso assicurartelo."
"E allora cosa?"
"Ti ho già detto che lo vedrai."
Calum incrociò le braccia al petto, "Puoi anche scordarti i miei soldi."
Michael sbuffò, lasciando finalmente andare il braccio del moro, "Oh, avanti! Ti sto chiedendo un favore, per piacere."
"Insisto."
Un grugnito frustrato.
"E va bene." si arrese Michael, "Devo comprare una macchina fotografica."
Calum aggrottò le sopracciglia scure, "Per farci...?"
"Basta, ho già risposto alla tua domanda. Adesso andiamo." fece per trascinarlo di nuovo, tirandolo per il gomito, ma Calum persistette.
"Non mi basta. Dimmi perché dovresti comprarti una macchina fotografica. Non ti è mai piaciuto questo genere di cose."
Michael sbuffò ancora, esasperato, "Dio, sei veramente impossibile."
"Scusa, ma non regalo i miei preziosi risparmi a chiunque." si difese il moro.
"Io non sono chiunque."
"Fa lo stesso."
Michael si passò velocemente una mano tra i capelli, scompigliandoli ulteriormente, "Ieri sera... Luke mi ha abbracciato. E... non lo so, è stato come se avessi fotografato quel momento nella mia memoria. Ed ho sentito anche il bisogno di fotografarlo realmente. Quindi voglio una macchina fotografica. Contento?"
Calum lo fissò con un cipiglio in volto, squadrandolo come se fosse impazzito - e forse lo era realmente.
"Amico, non pensavo che il tuo cervello fosse così fottuto. Davvero, hai mai pensato di fare qualche seduta? Se vuoi posso prestarti i miei soldi per quello, credo tu ne abbia seriamente bisogno."
Michael trattenne una risata, che gli rimase incastrata sulle labbra quando sbuffò per l'ennesima volta, fingendosi annoiato, "Possiamo andare a comprare questa benedetta macchina fotografica, adesso?"
Calum lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e gli sorrise, "Continuo a credere che sia meglio buttare soldi per una terapia, ma ok."
 
 
 
"Centotrentanove dollari." scandì Calum, "Centotrentanove fottuti dollari per una macchina fotografica del cazzo."
"Era la più economica, amico. Dovresti ringraziarmi." disse Michael, più che soddisfatto del suo nuovo acquisto, mentre si rigirava la busta contenente il suo prezioso oggetto tra le mani.
"Tu... Gesù, non so neppure perché continuo ad ascoltarti." esclamò il moro, portandosi una mano a stringersi i capelli prima di lasciarla cadere con esasperazione.
"Perché in fondo mi vuoi bene." Michael gli fece gli occhi dolci, sorridendo come un bambino dispettoso che cerca di farsi perdonare dalla mamma.
Calum roteò gli occhi al cielo, poi sbuffò, "No, non te ne voglio affatto. Mi hai fatto buttare i risparmi di una vita per una delle tue stronzate."
"Ehi, non offendere così la mia Clarisse!" esclamò l'altro, stringendosi al petto la busta del negozio dal quale erano appena usciti.
"Tu... Non ci credo. Non ci posso credere. Non ci voglio credere!" Calum sgranò gli occhi e spalancò la bocca, sbattendosi una mano sulla fronte con fin troppa forza.
Michael fece finta di nulla, iniziando a guardarsi intorno.
"Che c'è?" domandò, col tono più ingenuo che gli riuscì.
"Gli hai dato un nome?!" chiese l'altro ragazzo, tra lo sconcertato e l'isterico, una risata nervosa ed incredula che gli vibrava sulle labbra.
Michael si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo sulle punte delle sue scarpe rovinate un po' ovunque, senza dire niente.
Calum ridacchiò brevemente, senza troppo entusiasmo, "Sei pazzo, amico. Sei proprio andato."
"Non sono pazzo. Sono innamorato." puntualizzò il ragazzo dai capelli rossi, tornando a guardare l'amico, che adesso stava scuotendo la testa con fare rassegnato.
"Peggio. Molto peggio."
 
 
 
***
 
 
 
Michael avrebbe voluto fotografare il suo cuore in quel momento. Avrebbe tanto voluto che fosse possibile prendere quella fottuta macchina fotografica, incastrarla dentro la gabbia toracica, ed intrappolare l'immagine del suo organo battente.
Avrebbe davvero voluto farlo, perché sentiva che gli stesse per scoppiare. Sentiva chiaramente gli atri ed i ventricoli dilatarsi in maniera spropositata, richiudersi troppo in fretta e pompare una quantità impressionante di sangue in un arco di tempo fin troppo ristretto perché fosse normale.
Lo sentiva battere. Lo sentiva battere forte, prepotentemente, con un'insistenza che sembrava quasi voler dire:"Ehi, sono qui! Sono vivo! Tiratemi fuori!"
Avrebbe voluto scattargli una dannata foto solo per vedere quanto fosse incredibilmente pieno, strabordante e completo il suo cuore, mentre batteva come pioggia sull'asfalto durante un'acquazzone; mentre i suoi occhi erano incollati a quelli di Luke; mentre i loro corpi erano vicini. Così vicini che Michael sentiva la pelle tremare, attraversata da mille brividi e scosse elettriche, solleticata da un tocco invisibile ed immaginario che le dita del biondo avrebbero potuto tracciare lungo il suo avambraccio, se solo avesse disteso di poco l'indice e il medio della mano destra.
Erano seduti su uno scomodo muretto in pietra, i piedi di Michael lasciati a penzoloni, mentre quelli di Luke erano intrecciati sotto le sue cosce.
Il ragazzo dai capelli rossi ed il sorriso smagliante stava mostrando a Luke il suo nuovo acquisto, di cui andava immensamente fiero.
"Mi piacerebbe saper fare delle foto belle come quelle che si vedono appese sui manifesti in giro per la città, ma semplicemente credo che non sia una delle mie competenze. Insomma, guardami! Io lavoro in uno squallido pub notturno, servo birra e pulisco bicchieri. Non sono portato per l'arte." disse Luke, rigirandosi tra le mani la preziosa fotocamera.
Michael lo fissò perplesso, "Anch'io sono totalmente negato per queste cose, e lo sai, però, se ti piace veramente fare una cosa, non devi necessariamente essere bravo a farla. Si può sempre provare, o farla solo perché ti piace farla. La vedi in un modo decisamente troppo complicato, quando in realtà è veramente semplice."
Luke si strinse nelle spalle, "Hai ragione, ma non credo neanche che valga la pena tentare. Sarebbe uno spreco di tempo."
"Non c'è fretta." gli sorrise l'altro, facendo incurvare anche le labbra di Luke verso l'alto.
"L'hai già provata?" domandò quest'ultimo, virando leggermente sull'argomento.
"No, ma ho deciso che la userò solo per fotografare le cose importanti." rispose Michael.
"Ad esempio... monumenti? Musei?"
Michael rise piano, scuotendo la testa, "No, intendo le cose importanti per me."
Luke annuì, poi parve esitare un istante.
"Dammi." disse a Michael, che nel frattempo aveva ripreso la fotocamera tra le sue mani.
Il ragazzo obbedì, e Luke soppesò l'oggetto brevemente, prima di puntarlo verso il viso di Michael, che sgranò gli occhi sorpreso quando il flash della fotocamera lo abbagliò, seguito dal tipico suono che indicava che la foto era stata scattata.
Sbatté un paio di volte le palpebre, allibito, poi parve riprendersi parzialmente.
Luke gli sorrise, mentre gli porgeva nuovamente la fotocamera, ed il suo sorriso era così bello, genuino, bianco, gioioso e perfetto che Michael avrebbe voluto che smettesse di esistere, perché lo accecava e gli faceva sentire una stretta che non sentiva da tempo al cuore.
Dopo quel gesto, però, Michael era anche terribilmente confuso.
Cosa diavolo significava?
Non sapeva come diamine sentirsi nei confronti di Luke.
Voleva odiarlo, ma non ci riusciva.
Voleva amarlo, ma aveva paura.
Voleva che non fosse mai esistito.
Voleva stare con lui.
Voleva che si prendesse ogni parte di quel terribile dolore che non lo aveva mai abbandonato.
Voleva che si prendesse tutta la sua vita.
"Perché l'hai fatto?" domandò con voce spenta, facendo morire all'istante il sorriso sul volto del biondo.
"Tu sei importante per me, Mikey. Non credere che tu non lo sia." rispose, leggermente corrucciato.
"Invece lo credo eccome, Luke. Io non sarò mai importante per te come tu lo sei per me."
"Cosa diavolo stai dicendo?" chiese l'altro confuso, scuotendo la testa ripetutamente.
"Non è la stessa cosa, ok?"
"Spiegami in che senso!" quasi urlò.
"Lasciamo stare..."
"No, Michael, cazzo! Adesso basta lasciar stare! E' arrivato il momento di affrontare tutti i nostri fottuti problemi e di tirare fuori le palle!" esclamò Luke, leggermente paonazzo in viso.
Il suo petto si alzava e si riabbassava velocemente, mentre i suoi occhi fissi sul cranio di Michael erano paragonabili a due proiettili.
"Quindi è questo che vuoi sapere?" domandò quest'ultimo, abbassando un istante lo sguardo, "Vuoi sapere perché me ne sono andato?"
Luke deglutì un paio di volte prima di annuire.
Michael fece spallucce e sollevò il capo per puntare gli occhi verso il cielo chiaro; non avrebbe retto il suo sguardo, lo sapeva.
"A cosa ti sarei servito, se fossi rimasto? Avevi l'università pagata, stavi per aprire una tua attività e ti saresti anche potuto permettere di non lavorare affatto..." iniziò con un tono casuale, come se non stessero discutendo di un argomento tanto delicato ed instabile come la loro relazione.
"Ma io non avevo bisogno di tutto questo, Mikey." lo interruppe il biondo, "Avevo bisogno del mio migliore amico."
Sospirò, cercando di dimenticarsi l'acquosità dei suoi occhi, per affermare, sempre dannatamente apatico:"Non siamo mai stati amici."
"Che... che vuoi dire?" chiese l'altro timoroso.
Non puoi capire.
"Non lo siamo mai stati, e non possiamo esserlo neppure ora." ribadì Michael, con la voce che rischiava d'incrinarsi da un secondo all'altro.
Gli occhi di Luke luccicarono di nuovo, ma stavolta la paura venne rimpiazzata da una rabbia accecante, "Che cazzo vuol dire?"
"Vuol dire che non c'è più niente da fare, ok?" sbottò Michael, "Non riesco a... starti vicino. Non ci riesco."
"Perché?" esclamò, con la voce troppo vicina ad un lamento.
"Non vuoi saperlo davvero, credimi." mormorò il ragazzo dai capelli rossi ad occhi bassi, sconsolato.
Sospirò, incapace di alzare lo sguardo su Luke, e fece per allontanarsi, ma, come forse si aspettava, una mano gli afferrò il gomito, impedendogli di alzarsi da quel muretto che stava diventando decisamente troppo scomodo.
"Sì che lo voglio sapere, cazzo."
La voce di Luke era tremolante, come se stesse per crollare e frantumarsi a terra.
Ma forse il primo a farlo sarebbe stato Michael.
Quest'ultimo sbuffò, poi tastò freneticamente le tasche dei suoi pantaloni alla ricerca del pacchetto di sigarette, dal quale, una volta trovato, ne estrasse una, forse cercando inconsciamente un qualche conforto preventivo, "Smettila di essere così fottutamente testardo."
"No, finché non parlerai."
Michael sbuffò ancora, per l'ennesima volta, poi inspirò nuovamente dal filtro una lunga boccata di fumo, "Perché non lo capisci? Perché non vuoi capire? Io ti... cazzo."
Scosse la testa, portandosi due dita alle tempie e massaggiandole brevemente, perché un improvviso giramento di testa lo aveva colto in quel momento.
Prese un altro lungo respiro, poi puntò finalmente le sue iridi in quelle di Luke, che erano così umide, così azzurre, così dannatamente sofferenti.
Michael, in quel preciso istante, avrebbe voluto solo piangere.
"Me ne sono andato perché non riuscivo più ad essere solamente il tuo compagno di giochi, quello con cui passavi ore davanti alla playstation. Non mi bastavano più le pacche sulle spalle, gli abbracci innocenti, i sorrisi inconsapevoli. Non mi bastava più la nostra amicizia, Luke. Anzi, non mi è mai bastata, perché io avrei sempre voluto di più, avrei sempre voluto troppo, più di quanto potevo avere." disse, con la gola che gli scottava dopo ogni parola, con il cuore che singhiozzava in silenzio ad ogni attimo che passava.
"Ho provato ad allontanarmi da te, giuro. Ho provato a dimenticarti, a prendere quel cazzo di aereo... Ma non ci sono riuscito." sospirò, "Non mi sono mai allontanato da questa città, non sono mai riuscito a farti uscire dalla mia testa."
Luke aveva il labbro inferiore tremante, un paio di lacrime che gli solcavano la guancia destra, sgorgate senza che se ne fosse neppure accorto; oppure lo aveva fatto, ma le aveva lasciate scorrere, senza tentare di asciugarle.
"E sai perché?" domandò Michael, senza però aspettarsi che l'altro gli rispondesse davvero.
Infatti, un attimo dopo, continuò:"Perché, se mai dovessi perderti, Luke... Se mai dovessi svegliarmi da tutto questo e non averti più al mio fianco, io ti troverei. Ti troverei perché sei una fottutissima parte di me; perché ho bisogno di te; perché, se non ci sei, non riesco a sognare; perché, quando ti vedo, io respiro."
Luke versò un'altra lacrima.
Michael avvicinò le dita tremanti alle labbra, faticando per aspirare dalla sigaretta fumante, "E perché ti amo. Soprattutto perché ti amo."
Sentire quelle parole uscire dalla sua bocca, accompagnate dal fumo, fu come udire lo sparo di un cannone dopo secoli di assordante silenzio.
L'aria si squarciò, il cielo sembrò sfaldarsi e crollare a pezzi sopra di loro.
La terra si spaccò a metà ed inghiottì i loro cuori e i loro battiti morenti, mentre tutto, tutto, tutto perdeva spessore, colore, forma, importanza.
Il mondo che li circondava era diventato un inutile contorno, ed erano rimasti solo loro due.
Poi Luke singhiozzò, portandosi una mano davanti alla bocca per tentare di fermarsi, di non mostrare il suo dolore, di nascondere le lacrime salate e copiose che gli scendevano dagli angoli degli occhi.
Michael strinse le labbra e chiuse gli occhi per non doverlo guardare, dispiaciuto, ferito, pugnalato da ogni singolo battito di ciglia.
E Luke si alzò, correndo via. Correndo lontano da tutto quello.
Lontano da Michael, dal suo amore, dalla verità, dalla sofferenza inevitabile.
Lasciandolo lì, da solo, immobile, distrutto, folgorato da un dolore immenso, arrivato all'improvviso e con la stessa forza di un uragano distruttore.
E si mise a piangere anche lui, perché era l'unica cosa che gli restava da fare.
 
 
 
***
 
 
 
Michael lo sapeva.
Aveva sempre saputo che sarebbe andata a finire così.
Aveva solamente cercato di mutare l'inevitabilità degli eventi, tentando di bloccare la falla di una diga con un dito, per quanto impossibile e sconsiderato fosse.
Aveva provato a riprendersi Luke, in tutti i modi possibili ed immaginabili, più folli e stupidi che potessero esistere.
Ma aveva fallito.
E' impossibile vivere senza fallire in qualcosa.
Michael avrebbe potuto vivere cautamente, restando chiuso in casa ed in se stesso, così tanto che si sarebbe ritrovato a rimpiangere la vita vera, quella reale, fatta di rischi e pericoli che lui aveva deciso di non correre.
Ma, anche in quel caso, avrebbe fallito per non essere stato coraggioso, per essersi arreso di fronte al primo ostacolo, senza neppure aver tentato di sorpassarlo.
Quindi, preferiva aver fallito sapendo di aver fatto ciò che era in grado di fare, confessando a Luke ciò che si era tenuto dentro per tutta la vita, piuttosto che sbattendo la porta di casa ed ingoiando la chiave.
Adesso Luke sapeva.
Luke sapeva tutto, ogni singola cosa che Michael avrebbe voluto dirgli in altri modi.
Non riusciva neppure a sentirsi sollevato, dopo essersi finalmente tolto quell'immenso fardello.
Era come essersi liberato del peso di tutto ciò che non aveva mai detto, per poi essersene riappropriato di uno nuovo sul petto, lasciato dall'assenza di Luke.
Lo aveva visto correre via, fuggire il più lontano possibile, subito dopo aver udito le sue parole, le sue emozioni.
Era ciò che aveva voluto, e Michael non capiva perché avesse reagito in quel modo, anche se si aspettava che lo avrebbe eventualmente fatto.
Non era stato neppure in grado di urlargli dietro, di corrergli incontro e fermarlo, di dirgli di aspettare, che non voleva finisse così, che non poteva lasciarlo in quel modo.
Forse perché si era rassegnato di fronte all'impossibilità di averlo, di poterlo considerare suo.
O, forse, semplicemente perché sapeva che non lo avrebbe ascoltato.
Si sentiva così tremendamente da schifo che desiderava solo bere, bere all'infinito quella birra che non gli era mai piaciuta, nel tentativo di colmare il vuoto alla bocca dello stomaco.
E voleva fumare, sballarsi, farsi completamente - nonostante non avesse mai toccato neppure un grammo d'erba -, fino a che non sarebbe diventato insensibile, per non dover più percepire quell'opprimente peso che gli gravava sul petto.
Ma non voleva muoversi, alzarsi dal letto nel quale era sdraiato da due fottuti giorni.
Stavolta, Calum non aveva neppure provato a farlo alzare.
Quando lo aveva visto rientrare in casa, sbattendosi la porta alle spalle, con gli occhi rossi e umidi per via delle lacrime versate, lo aveva semplicemente lasciato correre dentro la sua camera e non gli aveva detto niente. Sapeva che avesse solo bisogno di un po' di tempo da solo per sfogarsi, per rimettere a posto i pezzi del suo cuore, che erano stati distrutti e riassemblati così tante volte da aver perso il conto.
E, ogni volta, era Michael a doverli rimettere insieme, da solo; sia perché non voleva aiuto e non lo chiedeva, sia perché non c'era nessuno disposto a prendersi cura di lui. Oltre Calum, certo, ma lui non era la persona che avrebbe voluto al suo fianco.
"Sei sicuro di non voler uscire un po'?" domandò Calum, guardando esitante il ragazzo avvolto nelle coperte del suo letto, con una lattina di birra in mano.
"Mh, non ne ho voglia." mormorò l'altro, attaccandosi al recipiente per prendere un sorso del liquido che conteneva.
"Fanno birre migliori di quella che stai bevendo, in qualche pub qua intorno." cercò di persuaderlo il moro, ma Michael scosse nuovamente la testa.
"Ok, come vuoi." sospirò l'altro, arrendendosi.
"I tuoi capelli fanno schifo." commentò Michael, facendo corrugare la fronte a Calum, che si mise le mani sui fianchi.
"Quant'è che non ti guardi allo specchio?"
"Oh, sta' zitto. I miei capelli sono l'ultima cosa di cui mi devo preoccupare." mormorò Michael, bevendo l'ultimo sorso dalla lattina, posandola poi a terra, ai piedi del letto, e girandosi su un fianco per sistemare meglio la testa sul cuscino.
"Non è una scusa valida." sorrise Calum, girandosi verso lo specchio per allacciarsi con cura i bottoni della sua camicia a quadri.
Michael non rispose, restando in silenzio per un momento e chiudendo gli occhi.
Quando Calum fu arrivato agli ultimi due bottoni in cima, disse:"Sei mai stato innamorato, Cal?"
L'amico si voltò verso di lui un solo istante, per guardarlo in faccia, tornando poi a fissare il suo riflesso sul vetro appeso alla parete della camera.
"Direi di no." rispose infine.
"Mh..." mormorò l'altro, "Sei fortunato. L'amore fa schifo."
"Sei tu che fai schifo in amore, Mikey." ridacchiò il moro, facendo comparire un sorriso morbido sulle labbra dell'amico.
Quest'ultimo si stropicciò gli occhi e tornò nella posizione di prima, a pancia in su, con il capo rilassato contro il cuscino leggermente rialzato, "Può darsi. Ma vengo continuamente trattato come una merda. Sono quasi quattordici anni che corro dietro ad una persona, e sono stanco."
"Smetteresti di farlo?" domandò Calum, voltandosi completamente verso Michael una volta allacciato anche l'ultimo bottone in assoluto.
Il ragazzo dai capelli rossi sospirò, "No."
"Allora non sei stanco. Sei solo demoralizzato."
"Non è più o meno la stessa cosa?" chiese l'altro, con un sopracciglio alzato.
"No. Se fossi stato stanco, avresti mandato tutto a 'fanculo da tempo. Invece sei ancora qui, Michael, e so per certo che ricominceresti tutto da capo se fosse necessario. Hai un motivo fin troppo valido che ti spinge a continuare."
"Quel motivo è corso via da me esattamente due giorni fa, e non so neppure che fine abbia fatto." disse, abbassando lo sguardo.
Calum fece un paio di passi avanti, fino a sedersi sul bordo del letto di Michael, "Non l'hai perso, Mike."
"Non ancora. Ma so che potrebbe succedere. E non so nemmeno perché diavolo abbia così tanta paura di perderlo, se non posso neppure considerarlo mio." grugnì, passandosi frettolosamente una mano tra i capelli in pessime condizioni.
"Perché lo ami, Michael. Ed è normale avere paura di perdere una persona, se è così importante." disse Calum, guardandolo dritto negli occhi, mentre Michael ricambiava lo sguardo con esitazione.
Poi sospirò, "Non posso lasciarlo andare così, ma non posso neppure fare in modo che resti con me."
"Sai che ti ho sempre appoggiato in tutto ciò che hai fatto, nonostante fosse una pazzia. Quindi ti appoggerò anche adesso, e non m'importa se sarà una perdita di tempo e di energie, non m'importa se si rivelerà un'altra delusione. Io ci sono, e ci sarò anche se deciderai di scalare l'Everest, o di buttarti giù da un ponte. Sei il mio migliore amico, Mike. Ed è vero che sei un coglione, ma è proprio per quello che ti voglio bene." disse Calum, facendo inumidire parzialmente gli occhi di Michael, che iniziò a sorridere senza riuscire più a smettere.
Si sporse in avanti ed abbracciò il moro, così stretto che lo sentì lamentarsi sommessamente.
"Grazie, Cal. Ti voglio bene anch'io." mormorò contro la sua spalla, prima di staccarsi finalmente e sorridergli ancora.
Calum lo fece a sua volta, felice di vedere finalmente Michael stare meglio.
"Sai che c'è?" esclamò quest'ultimo, all'improvviso. Si alzò dal letto ed afferrò un paio di jeans a caso, insieme ad un t-shirt con una delle numerose band che gli piacevano, "Vengo anch'io."
Calum sorrise ancora più ampiamente, saltando in piedi per l'entusiasmo, "Grande, amico!"
Michael sorrise, mentre iniziava ad infilarsi i pantaloni.
Forse sarebbe riuscito a non pensare al peggio per un po'.
O, almeno, questo era quello che sperava.
 
 
 
"Mi hai detto che avremmo fatto un giro." disse Michael, lanciando un'occhiata di traverso a Calum, che se ne stava immobile con le mani in tasca a guardarlo, con quella sua espressione innocente e del tutto fuori luogo.
"Lo stiamo facendo." affermò il moro, ostentando quella sua falsa aria bonaria.
"Nell'ultimo posto al mondo in cui vorrei essere, certo." aggiunse l'altro con un amaro sarcasmo, fissando riluttante la porta del locale di Luke, davanti al quale era stato trascinato.
"Avanti, Mike. Dovrai parlargli prima o poi!" esclamò Calum, lasciando finalmente cadere la sua maschera di finta calma.
"Non voglio farlo!"
"Sei costretto."
"Sai cosa? Mi rimangio tutto ciò che ti ho detto prima. Ti odio." sputò Michael, offeso, incrociando le braccia al petto.
"Forza, amico! Non puoi fare così ogni volta. Affronta i tuoi fottutissimi problemi, una volta per tutte!" esclamò il moro, fissandolo intensamente nelle iridi chiare e preoccupate.
"Non ne sono capace, ok?" urlò a sua volta, per poi affievolire il tono dicendo:"Luke ha ragione. Sono patetico." ed abbassando lo sguardo sul marciapiede.
Calum sospirò, poggiandogli una mano sulla spalla per confortarlo, "Non sei patetico, Mikey. Hai solo bisogno di un po' di coraggio, ma tutti ne abbiamo."
"Non credo di averne." mormorò il ragazzo dai capelli rossi, muovendo appena le labbra mentre pronunciava quelle parole cariche di delusione.
"Io invece credo di sì." sorrise l'amico, stringendogli leggermente più forte la spalla tra le dita.
"Come fai a dirlo?"
"Perché adesso entrerai da quella porta e parlerai finalmente con Luke." disse Calum, con tono sicuro e fiducioso.
"E' lui a non volermi parlare, quindi è inutile farlo." ribatté Michael, sempre avvilito e rassegnato, "E' corso via senza dirmi nulla. Avrebbe fatto meno male se mi avesse urlato che sono solo un povero frocio."
"Michael." disse l'amico, con un tono simile a quello di un rimprovero. Anche lo sguardo che gli rivolse aveva tutta l'aria di essere piuttosto severo.
"Non entrerò, Cal." ripeté Michael con tono deciso.
"Sappiamo entrambi che lo farai."
"Invece no."
 
 
 
"Continuo a pensare che ti odio. Più di quanto abbia mai fatto." mormorò Michael vicino all'orecchio di Calum, mentre si spostavano tra i numerosi corpi ammassati all'interno del locale ristretto.
Il moro sorrise vittorioso, facendo sbuffare Michael, stanco del caldo asfissiante che regnava in quel posto, come se la terra sotto di loro stesse bollendo e le pareti stessero colando.
Alla fine, con non pochi sforzi, raggiunsero entrambi il bancone.
Michael si guardò nervosamente intorno, senza però vedere Luke.
Al suo posto, con uno straccio pulito attorno al collo e un bicchiere pieno di tequila in mano - probabilmente appena versata -, c'era un ragazzo che non aveva mai visto.
Aveva dei capelli ricci ridicolamente lunghi, di un castano così chiaro che era facile da confondere col biondo; due fossette profondissime sembravano scavargli le guance ad ogni sorriso gentile che rivolgeva ai clienti; le spalle erano così muscolose che la canottiera nera che indossava stentava a contenerle.
Era decisamente più basso di Luke, ma comunque più alto di Michael di qualche centimetro abbondante.
Quest'ultimo lo squadrò, confuso, prima di voltarsi in direzione di Calum con un cipiglio abbastanza pronunciato.
"Che diavolo ci fa questo qui?" sibilò all'orecchio del moro, che però sembrava essere rimasto come paralizzato a fissare il ragazzo sconosciuto, con la bocca semi-aperta.
"Calum." lo richiamò l'amico, e questi si riscosse velocemente.
"Cosa?" domandò, ancora confuso.
"Chi cazzo è questo tizio? E perché si trova al posto di Luke?" ripeté, cercando di mantenere un tono calmo e di non lasciar trapelare tutto il suo fastidio.
"Non lo so, ma non l'ho mai visto prima."
"Ci credo. Lo stai fissando come se fosse un qualche attore di Hollywood." commentò Michael, con un tono impercettibilmente acido.
"Potrebbe esserlo." rispose Calum, tornando immediatamente con gli occhi sul volto del ragazzo dietro al bancone.
"Cal?" chiese Michael, a dir poco confuso.
"Che c'è?" il moro si voltò rapidamente verso di lui ed ignorò volutamente lo sguardo sospettoso che il suo amico gli stava rivolgendo.
Proprio quando Michael era sul punto di rispondere, fu costretto a richiudere di scatto la bocca, perché il riccio misterioso gli stava sorridendo cordialmente.
"Buonasera! Cosa vi preparo?" domandò, sorridendo così tanto che Michael temette la sua bocca si sarebbe lacerata.
"Dov'è Luke?" il ragazzo dai capelli rossi non perse altro tempo e chiese subito ciò che gli interessava realmente.
Il sorriso del riccio morì all'istante, mentre rimuoveva i gomiti da sopra il bancone, dove li aveva appoggiati per sporgersi verso i due ragazzi, e sembrò confuso.
"A dire il vero, io vorrei un bicchierino di rum." s'intromise Calum, ma Michael lo fulminò immediatamente con un'occhiata glaciale.
"Luke?" ripeté lo sconosciuto, apparendo spaesato.
"Sì, sai... capelli biondi, gambe incredibilmente lunghe, occhi così azzurri che-"
Michael venne interrotto dal riccio, che "So chi è. Ma perché lo state cercando?" chiese, scrutando i volti dei due ragazzi, soffermandosi soprattutto su quello esigente di Michael.
"Non sono affari tuoi." sputò fuori, in modo fin troppo aggressivo.
"Woah, tranquillo. Se n'è andato circa un'ora fa. Aveva bevuto parecchio, così l'ho mandato a casa e gli ho detto che avrei coperto il suo turno." rispose l'altro, cercando di calmare Michael, leggermente alterato.
Quest'ultimo si voltò subito verso Calum, che ancora fissava quel coglione, e domandò:"Sai dove abita?"
Il moro deglutì e scosse freneticamente la testa, distogliendo finalmente lo sguardo dal volto del riccio.
"Cinquecento metri più avanti, sulla sinistra, un appartamento in mattoni di cinque piani." s'intromise nuovamente quest'ultimo, guadagnandosi un'occhiata indecisa da parte di Michael.
Alla fine, annuì e decise di allontanarsi dal bancone. Sentì quasi subito delle dita serrarsi attorno al suo polso e, quando guardò dietro di sé, notò Calum trattenerlo.
"Dove stai andando?" chiese.
"Da Luke. Puoi restare se vuoi."
"Ma..."
"Resta, Calum." Michael lanciò un'occhiata carica di sottintesi prima al moro e poi al riccio, che aveva ripreso a servire da bere, annuendo per convincerlo.
Calum sembrò rassicurarsi leggermente, ed allentò la presa sul polso dell'amico, che schizzò subito via, strisciando tra i corpi, fino a raggiungere la porta.
Uscì, sentendo un particolare tipo di nervosismo scorrergli nelle vene.
Impiegò molto poco per raggiungere l'appartamento indicato dal ragazzo al bar, riconoscendo facilmente il cognome di Luke sul citofono per poi suonarlo.
Dopo aver atteso due minuti interi, battendo nervosamente il piede a terra, sentì il portone aprirsi con un fischio, che indicava non fosse più chiuso.
Entrò, salendo nervosamente i gradini, fino ad arrivare al secondo piano, dove vide una porta marrone semi-aperta, e presuppose che fosse per lui.
Controllò il cognome sul campanello per accertarsi di non addentrarsi nella casa sbagliata, poi richiuse la porta alle sue spalle il più piano possibile, una volta dentro.
La prima cosa che notò fu un divano: in pelle, non troppo grande, rovinato in più punti, con un sostegno lì dove mancava una zampa.
A sinistra, invece, c'era una stanza con un tavolo e qualche fornello.
Le luci erano spente e la casa sembrava completamente deserta.
Michael provò a chiamare il nome di Luke, con voce tremante, esitante, come se avesse paura di rompere il silenzio che regnava in quel misero appartamento.
L'aria vibrò quando venne attraversata dalle lettere soffiate fuori da Michael, ma poi non accadde nient'altro.
Il ragazzo tese un orecchio per tentare di captare qualche suono impercettibile, ma anche quella volta i tentativi furono vani.
"Michael?"
Quando sentì una voce alle sue spalle pronunciare il suo nome, con un tono debole ed allibito, si voltò sobbalzando.
Aprì la bocca istintivamente, per la sorpresa, ma si affrettò a richiuderla e a deglutire un paio di volte, prima di riaprirla per dire:"Luke."
Il biondo si sorreggeva con una mano appoggiata allo stipite della porta di una camera che Michael non aveva notato, mentre con l'altra si sorreggeva la testa, come se gli pesasse quintali e lo stesse costringendo ad accasciarsi su se stesso.
Si stropicciò gli occhi un paio di volte, prima di riuscire a metterlo a fuoco. Quando lo fece, un sorriso deformato dalla stanchezza e dall'alcol comparì sulle sue labbra all'istante.
Si staccò dallo stipite con un leggero slancio, facendo qualche passo avanti.
Michael non riusciva a distinguere bene il volto del biondo nel semi-buio dell'appartamento.
Quasi lo sentì sorridere nell'oscurità, "Dov'è il tuo viso, Mikey?"
"Sono qui." sussurrò l'altro, improvvisamente nervoso, insicuro di tutto, la determinazione di prima spazzata via dalla presenza di Luke.
"Dove?" il biondo fece un altro passo barcollante nel buio.
Michael ne fece un altro verso di lui, "Sono qui."
"Ancora non ti vedo." disse, ma d'un tratto la sua voce era molto più vicina di prima, "Tu mi vedi?"
"No." mentì, cercando d'ignorare la tensione istantanea, l'elettricità che scorreva tra di loro.
Fece un passo indietro, improvvisamente incapace di sopportare quella vicinanza micidiale col corpo di Luke, desideroso di fuggire da quella casa all'istante e non dover tornare più.
Sentì le sue mani sulle braccia, la sua pelle contro la propria, e trattenne il fiato.
Non si mosse neanche di un millimetro.
Non disse nulla quando le mani di Luke scesero fino alla sua vita, toccando il tessuto fin troppo sottile della sua maglietta. Con le dita gli sfiorò la pelle delicata della bassa schiena, proprio sotto l'orlo dell'indumento che indossava.
Michael perse il conto delle volte in cui il cuore gli smise di battere.
"Luke." lo richiamò, forse nel tentativo di distrarlo dai suoi movimenti, mentre tentava in tutti i modi di mantenere la concentrazione, di non far ardere la gola più di quanto già stesse facendo.
Si sforzò di dare ossigeno ai polmoni, di tenere ferme le mani, anche se non avrebbero voluto far altro che aggrapparsi alle spalle di Luke, per tenerlo ancora più vicino, direttamente contro il suo petto; insinuarsi tra i suoi capelli ispidi, tirare sulle punte, tracciare i contorni del suo viso.
Si schiarì la gola, sentendola secca, arida, completamente asciutta, "Perché hai bevuto?"
Sentì la risata di Luke, spropositatamente forte in confronto al silenzio che c'era stato fino a quel momento, dall'odore di alcol e falsità, un entusiasmo che non aveva nulla di reale, né di concreto da cui avrebbe potuto scaturire.
"Dopo l'ultima volta..." iniziò il biondo, per poi fare una breve pausa, come se ci stesse riflettendo sopra, e continuare:"Dopo che abbiamo parlato, mi sono sentito strano."
Le sue mani risalirono su per le braccia di Michael, rimasto immobile sotto il suo tocco leggerissimo.
Le sue dita scivolarono sotto il tessuto del colletto della maglia.
Tutto questo gli fece male nel profondo. Ferì Michael come la lama di un coltello.
Era una forza vitale che scuoteva ogni centimetro del suo corpo e cercava di convincerlo a non perdere la testa, mentre le dita di Luke gli solleticavano il pomo d'Adamo, per poi scendere lentamente più giù.
Tutto si fermò.
L'aria era immobile, la sua pelle spaventata, i suoi pensieri sussurravano per non fargli dimenticare di respirare, ma era così difficile.
"In quel momento, avrei solo voluto che mi stessi prendendo per il culo. Sai, dopo tutto questo tempo che siamo stati amici, perderti, ritrovarti e poi scoprire che mi ami è stato un po'..." un'altra risata, "sconvolgente. E non ho fatto altro che pensarci. Non ho fatto altro che pensarti in questi ultimi giorni, perché non riuscivo a togliermi dalla testa quest'assurda sensazione."
Le dita del biondo scostarono un piccolo lembo di tessuto, scoprendo la spalla liscia e pallida di Michael.
"Sentivo la pelle... sentivo qualcosa d'incredibile attraversarmi, ogni volta che m'immaginavo come sarebbe stato baciarti davvero, toccarti ovunque, assaggiarti. E mi ripetevo anche che era ridicolo, che io non sono gay, che tu eri un ragazzo ed era tutto così fottutamente insensato da mandarmi fuori di testa."
Michael sentì il suo respiro già precario incastrarglisi in gola quando Luke abbassò di poco il capo, e poi percepì le sue labbra contro la spalla scoperta, soffici, bollenti, delicate, così delicate che avrebbe potuto credere fosse stato un bacio lasciato dalla carezza del vento, e non dalle labbra di Luke.
Ma poi le percepì ancora. Stavolta sulla clavicola, ed era come se stesse sognando, come se stesse rivivendo la carezza di un ricordo dimenticato, un dolore che cerca sollievo, una pentola fumante che viene gettata nell'acqua ghiacciata, una guancia accaldata premuta contro un cuscino fresco in una calda notte.
Michael aveva istintivamente chiuso gli occhi, abbandonandosi a tutte quelle sensazioni che aveva aspettato così tanto, che aveva agognato ogni minuto, che credeva di meritarsi più di chiunque altro, prima di ricordarsi che la bocca di Luke era sul suo corpo e lui non stava facendo nulla per fermarlo, anche se avrebbe dovuto, perché era ubriaco.
Ma non ci riusciva, e Dio, perché doveva essere tutto così complicato?
Prima che potesse farlo lui, però, Luke si allontanò, non di troppo.
Michael si rifiutò di aprire gli occhi, per non dover incontrare quelli del biondo, adesso così vicini, così azzurri anche nel buio leggero che li avvolgeva.
"Penso che profumi di un odore che mi piacerà sempre." sussurrò il ragazzo a cui appartenevano quelle sfere celesti.
"Luke..." sussurrò Michael, troppo piano, troppo debolmente, senza la capacità di opporsi, senza la voglia di opporsi a tutto quello, "Che stai facendo?"
"Non lo so. Ho solo... Credo di... volerti sentire."
Con un dito gli toccò il labbro inferiore. Tracciò la sagoma della bocca di Michael, le sue curve, la sua cucitura, le sue rientranze.
E le sue labbra si schiusero, anche se gli aveva chiesto di non farlo.
Luke si avvicinò.
Lo sentì molto più vicino, riempì l'aria che lo circondava finché non ci fu altro che lui e il calore del suo corpo, il profumo di sapone ormai ancorato alla sua pelle e qualcosa d'irriconoscibile, qualcosa di dolce ma non dolce, qualcosa di caldo e vero, qualcosa che sapeva di lui, come se gli appartenesse, come se fosse stato versato nella bottiglia in cui Michael stava affogando.
Non si rese nemmeno conto che si stava spingendo verso di lui.
Respirò il profumo del suo collo, finché le dita di Luke non erano più sulle sue labbra, bensì con le mani gli stringeva la vita.
"Ho sbagliato a fuggire così. Solo che non sapevo come sentirmi, cosa diamine provare. Ero solo... confuso. E lo sono ancora, perché... Cazzo." le parole che si trascinarono fuori dalla bocca del biondo erano distorte, indefinite, storpiate dall'alcol.
"Tu." sussurrò ancora, una lettera alla volta, premendo quella parola contro la pelle bollente di Michael prima di esitare. Poi più piano, mentre il suo petto si gonfiava e le sue parole diventavano un rantolo, "Tu mi distruggi."
Michael si sentì crollare tra le sue braccia.
"Mike." disse Luke, mimando il suo nome con le labbra, quasi senza parlare, versando lava fusa nel suo corpo, fino a scioglierlo uccidendolo.
Michael strizzò più forte le palpebre, per non sollevarle, per non vedere, per non tremare.
"Ti voglio." sussurrò ancora, "Voglio tutto di te. Ti voglio dentro e fuori, voglio che cerchi di riprendere fiato e mi desideri intensamente come io desidero te intensamente."
Luke pronunciò quelle parole come se avesse una sigaretta accesa in gola, come se volesse immergere il corpo di Michael nelle fiamme che divampavano dal suo petto.
"Sei... sei ubriaco, Luke." si sforzò di rispondere, anche se avrebbe voluto soffocare con quelle parole morte sulla punta della lingua, o incastrate nella trachea.
"Mi dispiace di aver bevuto, però ti volevo e tu non c'eri, quindi... l'ho fatto perché non c'eri, Michael. Tu non c'eri ed io non avevo la forza di chiederti scusa." disse Luke, inciampando in ogni sillaba.
"Hai... hai detto che volevi essermi amico." disse ancora il ragazzo dai capelli rossi, perso e spaurito.
"Sì." rispose deglutendo, "Lo volevo. Lo voglio. Voglio essere tuo amico."
Quando annuì, Michael percepì un leggero spostamento d'aria tra di loro.
"Voglio essere l'amico di cui sei perdutamente innamorato. L'amico che fai stare tra le tue braccia, nel tuo letto e nel mondo riservato che tieni intrappolato nella tua mente. Voglio essere quel genere di amico." disse Luke, continuando:"Quello che memorizzerà le cose che dirai e la forma delle tue labbra quando le dirai. Voglio conoscere ogni curva, ogni lentiggine, ogni brivido del tuo corpo, Michael..."
"No." ansimò, "Non... non dirlo. Non lo pensi davvero."
"Invece sì, cazzo! Ci ho pensato così a lungo. Ci ho pensato incessantemente, e ne sono sicuro. Se tu hai bisogno di me come io ne ho di te, allora sarò l'amico che vorrei essere, e la persona che tu vorresti accanto. Per non perderti, Mikey. Per non perderti." rispose il biondo, con tono più deciso e meno strascicato, con una certa intensità nella voce.
Michael non sapeva cosa avrebbe fatto se avesse continuato a parlare, e non si fidava di se stesso, "Non sei costretto a... Se non provi nulla per me va bene. L'ho sopportato per anni, posso farlo anche adesso."
Luke scosse la testa, deglutendo, "Voglio... voglio sapere dove toccarti. E voglio sapere come toccarti. Voglio sapere come fare per convincerti che penso davvero tutto questo."
Michael sentì il suo petto alzarsi, abbassarsi, poi alzarsi ancora, ed abbassarsi. Su, giù, su, giù.
"Sì." continuò, "Voglio essere tuo amico. Voglio essere il tuo migliore amico."
Michael non riusciva a pensare, a respirare.
"Voglio tantissime cose." sussurrò Luke, "Voglio essere parte del tuo tempo."
Con le dita sfiorò il bordo della maglietta di Michael, "Voglio alzarti questa."
Infilò due dita nel passante dei suoi pantaloni, "Voglio abbassarti questi."
Gli toccò i fianchi con la punta delle dita, "Voglio sentire la tua pelle andare a fuoco. Voglio sentire il tuo cuore battere veloce accanto al mio e sapere che batte solo per me, perché mi vuoi."
Sospirò, "Perché non vorresti mai che mi fermassi. Voglio ogni secondo, ogni centimetro di te. Voglio tutto."
E Michael si sentì morire, riversandosi completamente a terra.
"Mikey."
Credeva di essere morto definitivamente, e non capiva come fosse possibile sentire ancora la voce di Luke, così roca e profonda, così bella e calda.
Luke deglutì, gonfiando il petto con forza. Le sue parole furono un sussurro ansante e tremante quando disse:"Ho... Ti voglio adesso, adesso. Per favore. Dimostrami che ci sei, che non ti ho ancora perso, che non ti perderò. Dimostrami che mi ami."
Michael era immobile a terra. Si sentiva girare mentre se ne stava in piedi. Aveva le vertigini nel sangue e nelle ossa e respirava come se fosse il primo uomo che aveva imparato a volare, come se avesse inalato l'ossigeno che si trova solo nelle nuvole.
E ci stava provando, ma non sapeva come impedire al proprio corpo di reagire a quello di Luke, alle sue parole, al desiderio e la disperazione nella sua voce.
Il biondo gli toccò una guancia. Piano, pianissimo, come se non fosse sicuro che Michael fosse reale, come se avesse paura di avvicinarsi troppo e di farlo scomparire.
Gli sfiorò un lato del viso con quattro dita, lentamente, molto lentamente, prima di fargliele scivolare dietro la testa, fermandosi nel punto proprio sopra al collo.
Col pollice gli sfiorò il rossore che aveva sulla guancia.
Continuò a guardarlo, a guardarlo negli occhi in cerca di aiuto, di una guida, di un segno di protesta. Come se fosse sicuro che Michael avrebbe iniziato a piangere, urlare e scappare, ma non lo fece.
Non avrebbe potuto nemmeno se lo avesse voluto, perché non lo voleva.
Voleva restare lì, paralizzato in quel momento.
Luke si avvicinò di un centimetro, afferrandogli con la mano libera l'altro lato del viso.
Lo teneva come se fosse fatto di piume.
E lo guardava, quasi incredulo, quasi terrorizzato.
Gli tremavano le mani, un poco, ma comunque abbastanza perché Michael percepisse un leggero tremore contro la sua pelle.
E si avvicinò con molta cautela.
Respiri, silenzi, cuori che battevano tra loro.
Luke era vicinissimo, così vicino che Michael non sentiva più le gambe, né le dita, né il freddo, né il vuoto di quella casa, perché non sentiva altro che lui, ovunque, che riempiva ogni cosa.
"Per favore." sussurrò, il fiato inesistente.
E lo baciò.
Le sue labbra erano più soffici di qualunque cosa Michael avesse mai provato, soffici come una prima nevicata, come se mordessero zucchero filato, come se si sciogliessero, fluttuassero e diventassero leggerissime nell'acqua.
Era dolce. Era spontaneamente dolce.
Un semplice sovrapponimento di labbra, comunque così intenso da lasciare Michael senza fiato, senza voglia di tornare alla realtà, senza tempo per stringere le dita e non lasciarle tremare.
Poi cambiò.
"Oh, Dio..." sussurrò Luke contro la sua bocca, baciandolo di nuovo, questa volta con più forza, disperatamente, come se avesse dovuto averlo, come se stesse morendo dalla voglia di memorizzare la sensazione delle proprie labbra contro le sue.
Il suo sapore stava mandando Michael fuori di testa: era calore, desiderio e menta.
E ne voleva ancora, altro, fino a disgustarsi, fino a consumarlo, fino ad imprimerselo sulle papille gustative.
Michael aveva appena iniziato a tirarlo verso di sé, a spingerlo contro il suo corpo, quando si allontanò improvvisamente.
Respirava come se avesse perso la testa e lo guardava, come se qualcosa gli si fosse spezzato dentro, come se si fosse svegliato e avesse scoperto che non erano altro che incubi, che non erano mai stati reali, che era stato solo un brutto sogno, sembrato fin troppo reale, ma che era sveglio, al sicuro, e andava tutto bene.
Michael stava cadendo a pezzi.
Stava cadendo a pezzi, nel suo cuore, ed era un disastro.
Luke lo scrutò, scrutò i suoi occhi in cerca di qualcosa, di certezze sconosciute, o forse di un indizio che lo spingesse a continuare. Cercando di ricordarsi che quello di fronte a lui fosse davvero un ragazzo.
E Michael non voleva altro che perdersi in lui. Voleva solo che lo baciasse finché non sarebbe caduto tra le sue braccia, finché non sarebbe stato lasciato alle ossa e alle spalle, volando verso uno spazio nuovo ed interamente loro.
Niente parole.
Solo le sue labbra.
Ancora.
Profonde ed urgenti, come se non avesse potuto permettersi di aspettare ancora, come se ci fossero troppe cose che voleva sentire e non ci fossero abbastanza anni per sperimentarle tutte.
Le loro lingue si sfiorarono, prima toccando le labbra in modo effimero, poi trovando il loro posto nella bocca dell'altro, accarezzandosi per sussurrarsi segreti e promesse silenziose.
Evitarono i denti, tastarono il palato, ne scoprirono la ruvidezza ed il piacere scaturito da ogni tocco, da ogni spiffero d'aria che intercorreva tra loro.
E contarono i battiti, ogni volta che i loro cuori pompavano un po' di sangue, che non sembrava mai abbastanza, che li costringeva ad ansimare, a supplicare per un po' d'ossigeno, anche se non volevano staccarsi, anche se non c'era modo di lasciarsi andare.
C'era così tanto bisogno, così tanta necessità, così poco tempo.
Era una confusione d'emozioni e di paure, che creavano le loro anime, che gli avvolgevano i polsi come le loro lingue si avvolgevano tra loro.
Poi le labbra, di nuovo, umide di saliva e rosse, calde, bollenti, piene di baci e di morsi.
Le mani di Luke percorsero la schiena di Michael, imparando ogni curva del suo corpo.
le loro labbra si staccarono con riluttanza, mentre il biondo scendeva a baciare il collo di Michael, la sua gola, le spalle.
I suoi respiri diventarono più profondi, più forti, più pesanti.
Le sue mani s'intrecciarono ai capelli rossi spettinati, inclinandogli la testa.
Michael aveva le vertigini, mentre spostava le mani dietro al collo di Luke e si aggrappava a lui.
Sentiva un calore freddo come il ghiaccio, un dolore che attaccava tutte le cellule del suo corpo. Era una volontà così disperata, un bisogno così soave che superava ogni cosa, ogni momento felice che credeva di aver vissuto.
Michael si ritrovò contro il muro, le spalle a contatto col cemento freddo e le scapole premute così forte da temere che si sarebbero potute fratturare.
Luke lo baciò come se il mondo stesse rotolando giù per un pendio, come se lui avesse deciso di resistere e di aggrapparsi, come se fosse affamato di vita, d'amore, e non avesse mai pensato potesse essere così bello stare vicino a qualcuno.
Come se fosse la prima volta che non sentiva altro che la fame, e non sapeva come regolarsi, non sapeva come mangiare a piccoli morsi, non sapeva fare niente con moderazione.
Michael sentì le mani di Luke scivolare lungo il suo busto, solleticare i suoi fianchi e poi le sue dita armeggiare col bottone dei pantaloni, slacciarlo e fare la stessa cosa con la zip un istante dopo.
Un ansito.
Le labbra di Luke tornarono quasi subito su quelle di Michael, mentre lo toccava ovunque, come per accertarsi che fosse concreto, che non si stesse volatilizzando sotto le sue dita.
Le sue mani non restavano nello stesso punto per più di qualche secondo.
Michael si morse il labbro per non lasciarsi sfuggire un gemito, proprio quando il corpo del biondo si pressò contro il suo, ventre a sfregare contro ventre e petti a toccarsi, battiti che si riversavano gli uni dentro al cuore dell'altro.
Luke staccò la bocca da quella dell'altro ragazzo per respirare pesantemente contro il suo orecchio, poggiando le labbra umide e calde proprio in un punto poco più sotto del lobo. V'impresse i denti, senza troppa forza, come se non ne avesse più, come se fosse esausto.
Michael fece correre le sue dita tra i capelli biondi dell'altro, stringendoli leggermente, tirando quelle ciocche che gli solleticavano il viso e non lo lasciavano respirare.
Poi si sentì trascinare, come tirato via da una corrente a cui non poteva opporsi.
I suoi piedi si mossero automaticamente, mentre gli occhi erano ancora chiusi e non controllavano dove si stesse dirigendo.
Il suo fianco destro sbatté contro lo spigolo di un mobile, mentre gli parve di pestare accidentalmente qualcosa che ricordava un telecomando.
Urtò con la spalla quello che fu certo si trattasse dello stipite di una porta, prima di ritrovarsi con il retro delle ginocchia contro il bordo di un letto, mentre Luke ce lo spingeva sopra, costringendolo a distendersi.
La sua testa sprofondò tra i cuscini, ancora prima di recepire che stesse cadendo all'indietro.
Luke era a cavalcioni su di lui e non aveva più la maglietta addosso, senza che Michael avesse idea di dove fosse finita, perché era riuscito ad aprire gli occhi solo in quel momento.
Alzò lo sguardo verso quello del biondo e riuscì solamente a pensare che non avrebbe cambiato nulla, assolutamente nulla di quel momento.
Luke aveva centinaia, migliaia, milioni di baci, e li stava dando tutti a Michael.
Gli baciò il labbro superiore, poi quello inferiore.
Lo baciò sotto il mento, sulla punta del naso, lungo tutta la fronte, entrambe le tempie, le guance, lungo la mascella.
"Non avrei mai immaginato..." Luke ansimò, le labbra schiuse in cerca di un briciolo d'aria, "Non avrei mai immaginato potesse essere così bello."
E tornò a baciargli il collo, dietro le orecchie, scendendo lungo la gola, mentre le sue mani scivolavano lungo tutto il corpo di Michael e lui si sentiva perfetto.
La figura di Luke si abbassò sulla sua, sparendo mentre si spostava verso il basso.
All'improvviso, il suo petto si ritrovò all'altezza dei fianchi di Michael, senza che riuscisse più a vedere i suoi occhi, bensì distingueva solo la punta della sua testa, la curva delle sue spalle, la sua schiena che si alzava ed abbassava in modo irregolare quando inspirava ed espirava.
Fece scendere le mani lungo e intorno alle cosce di Michael, facendole poi risalire, su per le costole, per la bassa schiena, e poi di nuovo giù, proprio sotto il bacino.
Le sue dita si agganciarono ai pantaloni già slacciati del ragazzo sotto di lui, che trattenne il fiato mentre glieli cavala senza troppa attenzione, afferrando poi l'elastico dei suoi boxer una volta che furono arrivati a metà coscia.
Michael ansimò.
Luke si chinò, sollevandogli di qualche centimetro la maglietta col naso a strofinare contro il suo ventre, ora scoperto, dove le sue labbra lo toccarono.
Era solo l'accenno di un bacio, ma qualcosa fece sprofondare Michael, che sentì solo tanto, tanto caldo, come una fiamma all'interno del suo stomaco che ossidava gli organi circostanti.
La bocca di Luke era leggera come una piuma, mentre gli sfiorava la pelle in un punto che non riusciva a vedere bene.
Poi si rese conto che Luke si stava facendo strada su per il suo corpo.
Lasciò una scia di fuoco lungo il suo torso, un bacio dopo l'altro, e Michael pensò che davvero non sarebbe riuscito a resistere a lungo, non sarebbe riuscito a sopravvivere a tutto quello.
Un mugolio gli crebbe in gola, implorandolo di liberarlo, mentre le sue dita erano intrecciate ai capelli biondi, senza che ne ricordasse il motivo.
Lo tirò su, su di lui, sopra il suo corpo.
Doveva baciarlo.
Perché non ci credeva, non riusciva a crederci. Era tutto ciò che aveva sempre desiderato, e lo stava avendo, in quel momento, tutto per sé.
Luke lo voleva.
E si sentiva così fottutamente felice.
Mi vuoi anche tu, Luke?
Mi vuoi come ti voglio io?
Mi vuoi davvero?
Michael alzò le braccia per far scivolare le mani lungo tutto il suo collo, sul suo petto liscio e per tutta la lunghezza del suo corpo, arrivando alla cintura in cuoio.
Esitò, le sue dita si arrestarono bruscamente. Un respiro, solo uno, poi erano tornate a muoversi, avevano oltrepassato quell'invisibile barriera e si erano finalmente posate sulla patta in rilievo appena più sotto.
Michael sorrise, sorrise veramente, contro la bocca calda e rassicurante di Luke.
Applicò un po' più di pressione, per accertarsi davvero della presenza della semi-erezione del biondo.
Tu mi vuoi.
Dio, mi vuoi.
Cazzo, quanto ti amo.
E, solo in quel momento, si rese conto di non essersi mai sentito così, non fino a quel punto, non come se ogni attimo fosse pronto per esplodere, come se ogni respiro potesse essere l'ultimo, come se ogni tocco bastasse per incendiare il mondo.
Felice. Felice come non era mai stato, come aveva sognato a lungo di essere.
E completo.
Dimenticò tutto: il passato, il dolore, la finta partenza, il suo ritorno, le parole di Calum, quelle di Luke, il mondo che continuava a ruotare, il cielo che si scuoteva.
Non riusciva a ricordare nemmeno perché stesse dimenticando, cosa stesse dimenticando, che c'era qualcosa che sembrava avesse già dimenticato.
Era difficile prestare attenzione a qualcosa che non erano i suoi occhi ardenti, la sua pelle nuda, il suo corpo fremente.
Luke faceva attenzione a non schiacciarlo, sorreggendosi sui gomiti poggiati su entrambi i lati della sua testa.
Michael pensava di star sorridendo, perché anche lui gli stava sorridendo, ma lo faceva come se fosse pietrificato.
Respirava come se avesse dimenticato che doveva farlo; lo guardava come se non fosse sicuro di come dovesse fare; esitava come se fosse insicuro su ogni singola cosa che aveva dato per scontata troppo presto.
Come se si sentisse fuori posto, mostrandosi così vulnerabile.
Ma eccolo qui.
Ed anche Michael era lì, nonostante stentasse ancora a crederci.
La fronte di Luke era poggiata contro la sua, la sua pelle era arrossata per via del calore, il suo naso toccava quello dell'altro.
Spostò il peso su un braccio solo, usando la mano libera per accarezzargli piano la guancia, per afferrargli il viso come fosse comparso dal nulla.
Michael si rese conto di star ancora trattenendo il respiro, senza riuscire a ricordare nemmeno quando aveva respirato l'ultima volta.
Luke abbassò gli occhi sulle sue labbra e poi li rialzò. Il suo sguardo era carico, affamato, oppresso da un'emozione che Michael non credeva avrebbe potuto provare.
"Michael." sussurrò, "Promettimi una cosa."
Il ragazzo dai capelli rossi deglutì, ma non ebbe il coraggio di rispondere, così si limitò a fissare gli occhi azzurri dell'altro che lo demolivano ogni secondo di più.
"Promettimi... Promettimi che non te ne andrai ancora, adesso che puoi avere ciò che hai sempre voluto. Promettilo."
Allora, con quelle parole a risuonargli nelle orecchie, Michael capì.
Capì tutto, e la sua felicità si frantumò come vetro al suolo.
"E' per questo che lo stai facendo? Perché credi che voglia solo scoparti?" domandò, la voce ferita e morente, in bilico tra un pianto disperato ed un urlo di dolore.
Luke non rispose, limitandosi a restare immobile sopra di lui, i muscoli del suo corpo tesi, il petto incredibilmente stretto da una morsa letale.
Michael sospirò, "Gesù, avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto saperlo!"
Si passò una mano sul viso, sconvolto e disperato, addolorato come non mai.
Luke non lo voleva in quel modo, non lo voleva in quel senso.
Lo voleva solamente accanto, ed aveva messo in piedi tutta quella sceneggiata solo per fargli credere che fosse davvero ciò che desiderava, ciò che lo aveva spinto tra le braccia di Michael.
Invece era solo una bugia.
"Ma... io ti voglio." disse, aggrottando la fronte.
"No, Luke. Tu non mi vuoi. Non così. Non sul serio."
Michael si sentiva come se avesse le ossa piene di ghiaccio.
Voleva vomitare con tutto se stesso.
Scivolò via da sotto di Luke, allontanandosi, cadendo quasi sul pavimento.
Quella sensazione, così travolgente di disprezzo per se stesso e per ciò che aveva creduto di fare gli si conficcò nello stomaco come il taglio di un coltello troppo affilato, troppo spesso, troppo letale per restare in piedi.
Cercò di non piangere, continuando a ripetersi che non era successo davvero, che non poteva star succedendo.
"Michael..." lo richiamò Luke, tendendo una mano verso il suo viso, ora un po' più lontano, ma ancora raggiungibile.
"No!" scattò subito, fermando di colpo il biondo con la mano a mezz'aria.
"No." ripeté con più calma, scuotendo la testa, volendo solo che Luke scomparisse e cessasse di esistere.
"Ti giuro che non è come credi, te lo giuro!" esclamò, disperato, cercando di toccarlo di nuovo, mentre Michael continuava a fuggire.
"Smettila di continuare a mentire!" urlò, perdendo il controllo che stava cercando di mantenere con tutte le sue forze.
L'espressione sul volto di Luke era così triste, così spenta che sembrava lo avessero privato dell'unica scintilla di calore in mezzo al gelo micidiale che lo circondava da sempre, "Te ne andrai di nuovo?"
Michael sospirò, "Luke... No, non me ne andrò. Anche se vorrei."
"Perché vorresti?"
"Perché mi fai così fottutamente male che a volte vorrei solo non amarti tanto." ammise.
Luke spostò finalmente il suo peso dal corpo di Michael, sistemandosi sul letto al suo fianco, con la testa contro i cuscini.
"Ti prego, anche se vorresti, non farlo mai più." sussurrò, chiudendo gli occhi ed accasciandosi contro la spalla dell'altro ragazzo.
Michael sospirò, avvolgendo le braccia attorno al corpo di Luke, concentrandosi solo sul suo respiro che si faceva mano a mano più profondo, per non dover pensare a tutto il dolore che sentiva dentro.
La stanza stava bruciando, il suo corpo stava bruciando, ogni cosa stava bruciando.
Ma lui continuò a ripetersi mentalmente che l'incendio non sarebbe durato per sempre: presto, non ci sarebbe stato più niente da bruciare.
 
 
 
Michael fece l'ennesimo tiro dalla sua sigaretta fumante, stretta tra l'indice e il pollice.
Se ne stava con i gomiti appoggiati al davanzale della finestra della camera di Luke, fumando in silenzio, perso nei suoi pensieri che sembravano non volerlo lasciar in pace.
Non era riuscito a dormire.
Aveva passato tutta la notte a fissare il soffitto, con gli occhi spalancati che rifiutavano di chiudersi anche solo per un momento, con la testa di Luke poggiata sulla spalla sinistra.
Ad un certo punto, si era addirittura messo a guardarlo. Aveva abbassato le iridi sul suo viso pacifico, rilassato e bellissimo.
E lo aveva semplicemente osservato dormire, respirare pesantemente dalle labbra schiuse, corrugando le sopracciglia ogni tanto, come se fosse stato un riflesso involontario.
Aveva studiato le imperfezioni della sua pelle da vicino, i minuscoli taglietti sulle labbra, l'invisibile filo di barba che gli incorniciava la mascella ed abbondava sul mento.
Poi i suoi occhi erano scivolati inevitabilmente più in basso, lungo la linea del collo e per il solco tra i pettorali appena accennati, accarezzando astrattamente la liscezza del suo busto, poi dello stomaco, la profondità dell'ombelico, la sottile striscia di peluria che scompariva oltre la cinta.
A quel punto, Michael si era costretto a rimuovere il suo sguardo dal corpo di Luke e ad afferrare le coperte, che si erano arrotolate ai piedi del letto, per coprirlo fino a metà busto, anche nel vano tentativo di smetterla d'immaginare le sue mani tracciare ogni singolo centimetro di quella pelle invitante.
Ed aveva sentito l'irrefrenabile bisogno di fotografarlo, in quel preciso istante, in quella posizione così casuale, con l'espressione abbandonata di chi ha finalmente chiuso gli occhi di fronte alle disgrazie del mondo.
A dire la verità, Michael avrebbe voluto fotografare Luke in ogni momento, tutte le volte che respirava, sbatteva le palpebre o gli sorrideva.
Perché, per lui, ogni singola cosa di Luke meritava di durare per sempre.
Nel semi-buio della camera da letto, aveva ascoltato il soffice suono del suo respiro e del suo battito, che occupava ogni silenzio e lo rendeva meno estenuante.
Michael avrebbe voluto andarsene, alzarsi finalmente da quel letto e fuggire da quella casa troppo piena di loro due, di bugie e di baci.
Avrebbe davvero voluto farlo, nonostante avesse promesso che sarebbe restato.
Però non ce l'aveva fatta. Non si era riuscito a spostare di un solo centimetro, come se fosse perennemente collegato al corpo di Luke tramite un'invisibile catena.
Quando aveva visto spuntare i primi raggi di sole attraverso la finestra e si era quasi dimenticato di avere un paio di gambe, aveva deciso di alzarsi dal letto e di tirare fuori il suo pacchetto di Rothmans, sentendo il bisogno di qualcosa con cui inebriare i suoi sensi che non fosse il profumo di Luke, o la vicinanza della sua pelle.
Era quasi giunto alla fine della sua sigaretta, quando sentì il materasso alle sue spalle scricchiolare leggermente e poi un sospiro, molto più simile ad uno sbadiglio.
Si voltò per trovare Luke intento a stiracchiarsi - le coperte ormai scivolate all'altezza delle sue cosce, dato che si era sollevato.
Si stropicciò gli occhi e poi si guardò brevemente in torno, prima di puntare i suoi occhi sulla figura di Michael.
Forzò un sorriso assonnato e represse l'ennesimo sbadiglio.
"Che ore sono?" domandò, con voce roca e stanca.
"Le cinque e trentasette."
"Perché sei già sveglio?"
Michael fece spallucce, "Non riuscivo a dormire. E tu?"
Luke parve un attimo in difficoltà, "Ho... ho allungato il braccio e non ti ho trovato. Pensavo che... sì, insomma, credevo te ne fossi andato."
Il ragazzo dai capelli rossi sentì un dolore al petto molto simile a quello causato da uno squarcio.
Sospirò semplicemente, tornando a guardare fuori dalle finestra con la sigaretta tra le labbra, anche se ormai ne restava ben poca.
Udì dei fruscii e dei movimenti dietro di lui, poi Luke comparve al suo fianco, poggiando anche lui i gomiti sul davanzale.
Adesso indossava una semplice t-shirt blu a maniche corte, e Michael lo ringraziò mentalmente per aver deciso d'infilarsela.
Restarono in silenzio per ancora un po', fino a quando il biondo disse:"Ti ricordi quando ci arrampicavamo sul tetto di casa tua per osservare l'alba?"
Un sorriso si fece strada sulle labbra di Michael, mentre ripensava a quei momenti così distanti.
"Una volta abbiamo anche svegliato tua madre. Dio, quant'era infuriata!"
La risata leggera di Luke fece sorridere ancora di più l'altro ragazzo, che aveva gettato il mozzicone oltre la finestra.
"Ho temuto che ci avrebbe uccisi in quel momento!"
"Avrebbe voluto farlo." rispose Michael.
"Lo credo anch'io."
Un altro momento di silenzio, poi di nuovo la voce di Luke:"Ho sempre saputo che le cose sarebbero cambiate. Insomma, eravamo dei ragazzini ingenui che non facevano altro che passare giornate intere davanti alla Play Station. Però, non so... A volte mi piacerebbe poter rifare tutte quelle cazzate."
"Siamo degli adulti, Luke. Abbiamo ventitre fottutissimi anni. Le cazzate non fanno più per noi." disse Michael, con un certo tono rassegnato.
"Lo so. Dico solo che mi piacerebbe." sospirò, "Prima era tutto più semplice."
"Prima evitavamo ogni problema."
"Ancora adesso lo facciamo."
"Ma è diverso." concluse Michael, senza guardare l'altro negli occhi, concentrandosi di proposito sul sole nascente che stava salendo nel cielo, illuminando febbrilmente i profili dei palazzi.
"Comunque ci sei riuscito. Stavolta non l'hai fatto." riprese Luke.
"Cosa?"
"Evitare ogni problema." una breve pausa, "Stavolta sei rimasto, quando invece avresti potuto correre via, dopo ieri notte..."
"Hai ragione. Forse sto iniziando ad essere meno patetico." lo provocò, scoccandogli un'occhiata di sfuggita, giusto per osservare la sua reazione.
Luke si ammutolì per un momento, forse mortificato.
"Mi dispiace. Per... per ieri sera, intendo." disse dopo poco, raccogliendo il coraggio necessario per pronunciare quelle parole, anche se senza poter evitare di mordersi il labbro inferiore - come faceva sempre quando era in imbarazzo.
Michael sentì una fitta lancinante al petto e poi in ogni altra parte del corpo, come se i ricordi della sera prima lo stessero bombardando ovunque, senza pietà, fino a demolirlo completamente.
Deglutì, adesso in difficoltà anche lui.
"Non devi scusarti. E' come se non fosse mai successo, per me." mentì infine, cercando di apparire almeno in parte convincente, nonostante riuscisse a percepire chiaramente il retrogusto amaro che gli lasciavano in bocca le bugie, quelle che odiava tanto, ma che sembravano l'unico rimedio per contrastare i suoi sentimenti per Luke.
"No, invece devo." insistette quest'ultimo, "Michael, sono stato un coglione. Non so cosa stessi pensando in quel momento... E' stata tutta colpa di una serie di eventi, e vorrei veramente tanto poter rimediare."
Michael si voltò verso il biondo, giusto per guardare dentro alle sue iridi chiaramente addolorate, leggermente torbide per il rimorso.
Decise di fissare lì il suo sguardo, senza più rimuoverlo, come per far capire a Luke che stesse ascoltando, che ne voleva sapere di più, che poteva continuare.
L'altro sembrò capirlo, infatti, poco dopo, riprese:"Sono stato un egoista. In quel momento, ho pensato solamente a ciò che volevo io, e non a ciò che invece volevi tu. Però tutte le cose che ti ho detto sono vere, Mikey. Mi manchi da morire, e mi dispiace così tanto per tutto. Vorrei solo riaverti con me, ma non so come fare. Le sto provando veramente tutte. E ci siamo anche baciati..."
"Luke" Michael sospirò, interrompendolo, "Eri ubriaco. Non conta niente."
Ne aveva veramente abbastanza di quel discorso. Iniziava a sentire un fastidioso bruciore alla bocca dello stomaco e una fulminante fitta al petto che lo scalfiva ulteriormente dove già presentava altre cicatrici.
Luke lo guardò, un'espressione mista tra confusione ed incredulità dipinta sul viso, così palese da meravigliare Michael.
Sembrava... sorpreso dalle sue parole, come se si sarebbe aspettato che gli dicesse che era stato bellissimo, che era ciò che aveva sempre voluto, che non se ne pentiva, che non doveva dispiacersene.
Luke lo fissò intensamente, "Adesso non sono più ubriaco, ma ho ancora voglia di baciarti. Questo conta qualcosa?"
Michael sentì la gola diventargli arida di colpo, poi le gambe tremargli e i polsi agitarsi freneticamente, colpito da quelle parole come da un treno inaspettato.
Il labbro inferiore gli tremò impercettibilmente, quando provò a rispondere, senza però riuscirci.
Luke lo fissava ancora, deciso, come se volesse provare qualcosa, mentre tutto ciò che l'altro ragazzo poteva fare era restare con gli occhi sgranati e le parole sgocciolanti dalle sue labbra che faticavano per uscire.
Sembrò riprendersi solo dopo un minuto, quando assimilò per bene tutte le sensazioni e giunse alla sola possibile conclusione.
Le sue sopracciglia si aggrottarono quando l'espressione sul suo viso cambiò totalmente, spiazzando il biondo confuso.
"Non è una cosa molto etero, non credi?" domandò, un tono così velenoso da pizzicare le orecchie quando Luke lo udì.
Esitò un istante prima di rispondere:"Chi ha detto che io lo sia? Non posso saperlo se..."
"Se cosa, Luke?" Michael lo interruppe quasi subito, un sorriso amareggiato sul volto, esageratamente tirato agli angoli.
Il biondo deglutì rumorosamente, "Se prima non provo come possa essere stare con un ragazzo."
A quel punto il ragazzo dai capelli rossi rise, ma in un modo così triste e vuoto che fece paura, che lasciò una strana atmosfera a vibrare nell'aria circostante.
"Quindi mi stai usando per degli esperimenti che ti aiutino capire il tuo stupido orientamento sessuale?" domandò, sollevando un sopracciglio, fingendosi divertito, anche se in realtà si trovava sull'orlo del precipizio che precedeva la follia pura e l'esasperamento.
"No, no!" si affrettò a rispondere Luke, "Non è così! Sto solo cercando di capire se riuscirò a stare insieme a te, nel modo in cui vuoi tu. Per non perderti."
Michael lo fissò, tutto il finto divertimento di prima evaporato, ora sostituito da un paio di occhi tristi e addolorati, "Luke... Non devi farmi alcun favore."
"Ma tu mi ami, no?" chiese il biondo, fissando l'altro dritto negli occhi, in modo profondo, così che non potesse riuscire a mentirgli. Anche se probabilmente non l'avrebbe fatto lo stesso.
Michael esitò un istante, prima di "Sì." rispondere fermamente.
Allora Luke riprese:"Potrei provare ad amarti anch'io. Così avrei te, e tu avresti me: tutto quello che desideriamo. Perché voglio starti accanto, Mike. Non m'importa se come un amico, un amante, o chissà cos'altro. Mi basta sapere che mi sveglierò la mattina e ti troverò a cucinare le frittelle in cucina; oppure ti vedrò ancora addormentato nel tuo lato del letto, con la faccia nascosta sotto al cuscino. Ogni mattina, per tutte le mattine. Mi basta solo questo, nient'altro."
"Luke..." Michael trattenne un singhiozzo inaspettato, "Non dirmi così, ti prego. Non dirmi così se non mi vuoi davvero."
"Ma io-"
"No, tu non mi vuoi. Non sei pronto, non sei sicuro. Ed io non voglio approfittarne, non voglio costringerti ad amarmi in un modo in cui non riesci a fare. Aspetterò, Luke. Non andrò via, lo giuro. Aspetterò finché non sarai sicuro, finché non capirai cosa vuoi veramente. Posso farlo. Ti ho aspettato quattordici anni, credo di poterlo fare un altro po'." Michael gli sorrise tristemente, avvilito, però irremovibile nella sua scelta.
Il biondo però non sembrava tanto d'accordo, forse terrorizzato dall'assurda idea che Michael avrebbe potuto cambiare idea e decidere di non aspettarlo più, privo di quelle certezze necessarie per non mollare.
"No, Mike. Io ti voglio. Adesso, ora, davvero. Ti voglio." si spinse automaticamente in avanti, cercando di raggiungere l'altro ragazzo, nel tentativo almeno di sfiorarlo.
"Luke..." lo ammonì, facendo un passo indietro.
"Baciami. Avanti, fallo. Ti dimostrerò che è la verità." insistette il biondo, continuando a protendersi verso il volto di Michael, che non sapeva più come evitarlo.
"Luke, per favore. Non lo farò."
"Bene." esclamò il biondo, "Allora lo farò io."
E, detto ciò, si fiondò sulle labbra di Michael ancor prima che quest'ultimo avesse modo di captare chiaramente le parole pronunciate dalla stessa bocca che ora premeva con insistenza sulla sua, applicando fin troppa pressione.
Cercò di allontanarlo, ma senza successo.
Luke continuava a spingersi contro la bocca di Michael, che lo teneva distante stringendolo per i bicipiti, anche se non serviva a molto.
Il biondo cercò di muovere le labbra contro quelle dell'altro, incitandolo a fare lo stesso, a baciarlo sul serio, stringendo forte le palpebre come per non vedere, per sforzarsi.
Michael, esasperato e giunto veramente al limite, fece l'unica cosa possibile che gli venne in mente in quel momento.
Strinse le dita, sollevò il braccio.
E lo colpì sullo zigomo.
 
 
 
"Tieni." disse Michael, passando a Luke del ghiaccio da mettere sul livido violaceo che si era prontamente andato a formare sul suo zigomo, espandendosi poi sulla guancia con un terrificante alone giallognolo.
Il biondo storse per l'ennesima volta la bocca, costringendosi però a poggiare la sacca fresca sul punto dolorante, mentre Michael andava a sedersi nella sedia di fronte alla sua, poggiando i gomiti sul tavolo della cucina e fissando Luke.
Quest'ultimo distolse lo sguardo con una smorfia, "Avresti potuto evitare."
"Anche tu."
Luke gli lanciò un'occhiata di fuoco e poi premette con leggermente più decisione il ghiaccio sulla pelle tumefatta, "Hai rischiato di spaccarmi la mascella, o qualcosa del genere."
"Te lo sei meritato. Ti avevo avvertito." ribatté il ragazzo dai capelli rossi.
"Però non mi sembra che ieri sera ti sia dispiaciuto, quando ti ho baciato..."
Michael sbiancò. Di colpo, gli parve che in quella stanza facesse caldo, un caldo avvolgente, speziato, invitante; il caldo di quando ci si bloccava nel dormiveglia e l'universo non aveva bisogno di nessuna spiegazione.
E tutto il calore pareva riversarglisi addosso, così come fecero i ricordi della sera prima.
La nitidezza delle labbra di Luke sulle sue, della saliva in eccesso, del tocco effimero dei denti, delle mani fugaci, delle dita tra i capelli, dei corpi così vicini che sembrava lo spazio si fosse ristretto per farli toccare.
A Michael non era dispiaciuto affatto tutto quello. Però, sentiva che fosse totalmente sbagliato, immorale, egoistico e...
Diamine, odiava Luke. Lo odiava con tutto se stesso, soprattutto perché aveva rievocato in lui certe immagini che avrebbe preferito dimenticare, specialmente quando davanti a lui c'era un ragazzo biondo dal ciuffo spettinato, le guance pallide e le labbra contratte per il dolore. Così bello che non avrebbe voluto far altro che mandare al diavolo ogni cosa e baciarlo di nuovo, fino a consumare l'ossigeno, il tempo, le labbra.
Il cuore di Michael era giunto ad un punto di non ritorno. Era partito, da quando aveva conosciuto Luke, e non si era più fatto vedere.
Quando si trattava di Luke, era tutto straordinario, stordente, incontrollabile, intensificato. Ogni più languida sensazione faceva fatica a dissolversi. Ma alla fine si dissolveva - grazie ad un'abbondante dose di forza di volontà da parte di Michael -, lasciando al suo posto un retrogusto amarognolo del piacere fugato, del crogiolarsi nell'illusione di un forse che non prendeva forma, ma su cui era bello fantasticare.
"Luke." si costrinse a dire, facendo uno sforzo immane per non far tremare ogni lettera, "Voglio davvero che tu ti prenda il tuo tempo per riflettere, per capire ciò che vuoi davvero. E se non sono io, va bene lo stesso. Lo accetterò. Forse ci vorrà un po', certo, ma ce la farò. In questo momento, però, non voglio fare niente di cui temo possa pentirti, quindi mi farò da parte, sparirò per un po', giusto il tempo che ti servirà per pensare. Quando sarai giunto ad una conclusione, mi chiamerai. Ed io correrò da te, qualsiasi sarà la risposta. Capito?"
I suoi occhi erano colmi di affetto, una leggera preoccupazione ed una limpida calma confortante che aiutò i muscoli di Luke a rilassarsi, nonostante la posizione scomoda in cui era costretto per via della sedia.
Abbassò un istante gli occhi, lasciando stare anche il ghiaccio che si era dimenticato di star stringendo, e che aveva finito per scottargli la guancia ed arrossargliela leggermente.
Sospirò, "Va bene, Mikey. Ci penserò."
A quelle parole, lo stomaco di Michael si rivoltò, inciampò e fu sul punto di sprofondare in mezzo ai reni, ma si costrinse a forzare un sorriso, forse a denti un po' troppo stretti per apparire naturale.
Aveva paura che Luke avrebbe scelto ciò che più di ogni altra cosa lo avrebbe distrutto, gettandolo inesorabilmente in quel dirubo che sarebbe stato la sua fine.
Aveva paura che avrebbe capito di non provare quel tipo di attrazione nei suoi confronti, che si sarebbe ricreduto su tutto ciò che era accaduto la sera prima, che gli avrebbe detto che lo preferiva come amico.
E Michael gli aveva promesso che non sarebbe più fuggito, che ormai aveva imparato, che, qualsiasi sarebbe stata la sua scelta, lui l'avrebbe accettata e se ne sarebbe fatto una ragione.
Ma non ne era così convinto.
Non aveva smesso di amarlo neppure un istante, nonostante tutto, fino a quel momento.
Come avrebbe potuto riuscirci quella volta?
 
 
 
***
 
 
 
Quando Michael si decise finalmente a tornare a casa, non rimase neppure tanto sorpreso nel trovare il barista che aveva sostituito Luke la sera prima seduto al tavolo della cucina, con di fronte un Calum intento a sorseggiare del caffè, sul volto un sorriso decisamente troppo ampio per essere dovuto solo al fatto che quella mattina si fosse alzato di buon umore.
Entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle, forse un po' troppo forte, dato che entrambi i ragazzi si voltarono verso l'ingresso e lo fissarono sfilarsi le scarpe.
"Michael!" esclamò Calum, continuando a sorridere in quel modo così allegro che gli faceva pizzicare le punte delle dita, "Ashton ha portato i cornetti! Vieni a sederti con noi!"
Il ragazzo dai capelli rossi entrò in cucina con un grugnito, senza degnarsi neppure di rispondere all'invito dell'amico, o al "Buongiorno" fin troppo cordiale da parte del riccio.
Si avvicinò alla credenza e ne aprì un'anta, estraendo un bicchiere di vetro e poggiandolo sul ripiano. Poi aprì il frigo e prese il contenitore del succo all'arancia, versandosene un po'.
Sentiva gli occhi di entrambi i ragazzi puntati sulla sua schiena, e in quel momento avrebbe davvero tanto voluto voltarsi e gridargli di andarsene a 'fanculo.
"Mike, almeno potresti salutare." lo rimproverò Calum, non appena ebbe finito di scolarsi il suo bicchiere.
Michael roteò gli occhi, stressato, ed andò a sedersi sul divano in sala, dato che entrambe le sedie del tavolo in cucina erano occupate.
In quel momento, avrebbe voluto solamente starsene da solo con Calum e raccontargli tutto ciò che era successo. Ma, per colpa di quel riccio insulso, non poteva.
"Non fa sempre così. Non so cosa gli sia preso." udì Calum mormorare dall'altra stanza, così afferrò il telecomando ed accese la tv per non dover più sentire le loro conversazioni.
Guardò due episodi di Spongebob e, quando anche il terzo stava per concludersi, sentì le sedie in cucina strusciare sul pavimento e poi dei passi avvicinarsi all'ingresso.
"Mi ha fatto molto piacere, grazie ancora." disse Calum, probabilmente fermo davanti la porta, sulla cui soglia doveva trovarsi il barista sfigato.
"Ma figurati. Il piacere è stato tutto mio."
Michael se lo immaginò fare un occhiolino al moro, ed immediatamente sentì il succo all'arancia rivoltarsi nel suo stomaco e premere per tornare in superficie.
Storse la bocca in una smorfia ed alzò il volume della televisione, sperando che quei saluti si concludessero in fretta.
Tirò quasi un sospiro di liberazione quando udì gli ultimi "Ciao" e la porta di casa chiudersi delicatamente.
A quel punto, mise muto alla televisione e si voltò per trovare Calum a fissarlo con le mani sui fianchi ed un'espressione severa ad indurirgli i lineamenti del viso.
Fece qualche passo verso di lui e poi si fermò ad un centimetro dallo schienale del divano, "Avresti potuto sforzarti almeno un po' per essere più gentile."
Michael sbuffò, roteando gli occhi per l'ennesima volta in poco tempo.
"So che non ti piace, anche se non ne ho capito il motivo, però si tratta di avere un minimo di educazione, Michael." proseguì Calum, imperterrito e seriamente arrabbiato.
"Dio, non ti sopporto quando fai così! Mi sembri mia madre." si lamentò, desiderando solamente di poter tornare a guardare il suo episodio di Spongebob.
"Ma perché non capisci?" urlò il moro, esasperato, "Sto cercando di fare colpo su quel ragazzo! Una volta tanto che riesco a trovare qualcuno di carino, dovresti essere contento per me!"
L'altro si trattenne dallo sbuffare; Calum aveva ragione. Si era comportato male, e neppure conosceva quel ragazzo abbastanza da poterlo giudicare.
Con lui era sempre stato gentile, e davvero non capiva perché gli stesse tanto antipatico.
"Che fine ha fatto quella biondina dell'altra sera?" domandò dopo un po', cercando di alleggerire un po' l'atmosfera.
Calum fece spallucce, "Un'altra puttana."
Michael si concesse un sorrisino divertito, "Comunque... Ci hai scopato con quello lì?"
"Ashton." lo rimbeccò immediatamente l'amico, "E ad ogni modo, no. Con le persone che mi interessano davvero vado a letto solo dopo la terza uscita."
Il ragazzo dai capelli rossi stavolta rise più forte, "Non capisco cosa ci trovi di bello in lui."
"E' affascinante, dolce, simpatico, intelligente... Ha portato anche la colazione!" affermò Calum con aria trasognante.
Michael ridacchiò leggermente, scuotendo la testa, "Che altro avete fatto ieri sera?"
"Abbiamo bevuto un bel po' ed abbiamo parlato. Poi quando ha finito il turno l'ho invitato a casa."
"Calum!" esclamò l'amico, fingendosi indignato, ma trattenendo comunque un sorriso.
Il moro ammiccò, "Ho detto sesso dopo la terza uscita, non seghe e pompini."
"Fai schifo!" gridò ancora Michael, facendo un'espressione disgustata.
Calum rise di gusto, chinandosi poi sullo schienale del divano per sussurrare all'orecchio dell'amico:"Non starei seduto qui, se fossi in te..."
"Oh, mio Dio! Calum!"
Michael schizzò immediatamente in piedi e l'altro rise ancora, in modo sguaiato.
"Sei un maiale." lo rimproverò, facendolo solamente ridere più forte.
Michael represse l'ennesimo sorriso, andando poi a sedersi sul tavolo in cucina, seguito da Calum.
"A te invece com'è andata?" domandò il moro, intrecciando le dita sopra la superficie di legno.
Michael deglutì, "Bene..."
"Che cazzo significa?"
I suoi occhi si ancorarono al pavimento, mentre iniziava a sentirsi stranamente in soggezione.
"Ci... ci siamo baciati." ammise infine, guadagnandosi un'esclamazione di sorpresa da parte dell'amico.
"Finalmente!"
"Ma era ubriaco, e fortunatamente sono riuscito a fermarmi prima che la cosa si spingesse troppo oltre."
"Perché non sembri per niente entusiasta di tutto ciò?" domandò Calum, inarcando un sopracciglio in un'espressione sospettosa.
"Ho paura che l'abbia fatto solo per accontentarmi... Insomma, non perché lo voleva davvero. Quindi gli ho detto di pensarci, e di darmi una risposta in qualsiasi momento." spiegò Michael, nervoso e preoccupato.
"Non devi aver paura di niente, Mikey. Io credo veramente che Luke capirà presto ciò che prova e riuscirà finalmente ad etichettare i suoi sentimenti nel modo giusto." lo rassicurò Calum con un sorriso, poggiandogli una mano sulla spalla in modo affettuoso.
Michael annuì, però non ancora del tutto convinto, "Lo spero."
 
 
 
***
 
 
 
Fissare il soffitto della camera da letto non era decisamente ciò che avrebbe aiutato Michael a scaricare un po' del suo nervosismo, ma, senz'altro, era l'unica cosa che il suo cervello riuscisse a concepire in quel momento.
Erano le tre, forse le quattro di notte. Aveva smesso di controllare l'orologio quando i numeri lampeggianti avevano cominciato ad incrociarglisi davanti agli occhi, facendogli girare la testa.
Era stanco, distrutto, sfiancato, esausto, sfinito. Ma non riusciva a chiudere occhio, per colpa di quello stupido moto d'ansia che lo costringeva a restare teso fino allo spasmo con ogni muscolo del suo corpo.
Michael aveva paura.
Aveva una paura tremenda di ciò che avrebbe scelto Luke, di ciò che avrebbe deciso sarebbe stato meglio per entrambi.
Non voleva perderlo, non di nuovo, non del tutto.
Lo voleva. Diamine, se lo voleva!
Era come la necessità di sapere che ci sarebbe sempre stata quella fonte di affetto nel mezzo della solitudine, quel minuscolo baluardo di fiducia tra menzogne e false speranze.
Si sarebbe aggrappato a tutto quello, alla luce dietro gli occhi di Luke, al suo sorriso sempre splendente e ad ogni cosa che era, faceva parte di lui e lo caratterizzava in ogni sua più piccola particolarità.
Michael si sentiva come costantemente in bilico sull'orlo di un precipizio, come se stesse tirando Luke per la manica nel tentativo di non lasciarlo allontanarsi.
La sua era disperazione, necessità, agonia.
Tutto dipendeva da quel momento in cui il tempo sarebbe giunto ad un limite ed avrebbe fatto marcia indietro, si sarebbe azzerato e poi sarebbe ripartito da quel momento, da quel preciso istante, dopo quelle esatte parole.
E tutto avrebbe corso, come in una gara contro le nuvole che vengono trascinate via dal vento in mezzo al cielo azzurro. Sarebbe stato come inseguire un granello di sabbia, come ricercare quella stessa margherita che si era persa tra i fili d'erba e le risate di una bambina.
Prese tra le mani la sua macchina fotografica e andò sulla galleria, iniziando a scorrere le foto.
Le più recenti ritraevano il tramonto di qualche sera prima, così bello con i suoi colori naturali che Michael non aveva potuto far a meno d'immortalarlo.
Si soffermò per qualche secondo sullo scatto sfocato di Calum, intento ad entrare in una camera, con lo sguardo più confuso e spaesato di tutti mentre si rendeva conto dell'obbiettivo puntato su di lui. Si era infuriato tantissimo per quella foto a tradimento, implorando Michael di cancellarla, ma lui non aveva voluto farlo perché... gli piaceva.
Aveva un qualcosa di spontaneo, casuale, quotidiano. Nessuna posa, nessun sorriso finto, nessuna sistemata ai capelli prima dello scatto. Era semplicemente Calum, come lo vedeva tutti i giorni, che gironzolava per casa, e gli piaceva proprio per quello.
Scorse altre foto che ritraevano cose di ogni tipo, a partire da paesaggi fino a oggetti che per lui avevano un qualche significato particolare.
Il dito che premeva il pulsante per andare avanti si bloccò di scatto quando i suoi occhi trovarono una foto, quella foto. Non era tra le più recenti, ma neppure tra le più vecchie.
Ritraeva Michael, con le spalle leggermente curve, i capelli sistemati in modo così orrendo che, se avesse potuto, sarebbe tornato indietro nel tempo per rendersene conto ed aggiustarli. Aveva le labbra serrate in una linea non troppo dura, rilassata, leggermente pallide, forse per via della luce; sulle guance, grazie alla foto ad alta definizione, risaltava l'invisibile traccia di barba che le ricopriva; le sopracciglia sembravano più folte da quell'angolazione, forse perché si confondevano con i capelli schiacciati contro la fronte; i suoi occhi erano fissi in un punto poco più in alto dell'obbiettivo, come se stessero guardando qualcuno.
Aveva un'espressione così sorpresa e confusa che era quasi esilarante.
Poi, Michael ricordò: quella era la foto che gli aveva scattato Luke.
Quando erano stati seduti su quel muretto a parlare; quando il biondo aveva voluto dirgli che lo riteneva importante con quel gesto; quando Michael gli aveva finalmente detto di amarlo e lui era fuggito via.
Spense immediatamente la macchina fotografica e la poggiò sul comodino, dov'era prima, per poi passarsi entrambe le mani sul viso, strofinando le palpebre pesanti, ma come sigillate per impedire che si chiudessero.
Sospirò.
Avrebbe potuto avere tutto, o niente.
Il divario tra le due opzioni era talmente tanto da creare un abisso, lo stesso in cui il cuore di Michael stava affondando, mentre continuava a chiedersi cosa stesse pensando Luke, se lo pensasse, se avesse già una vaga idea di quale sarebbe stata la sua risposta.
Stava boccheggiando in cerca delle stesse certezze che non poteva avere e, per un po', non avrebbe avuto.
Si basava tutto sull'attesa, sulla speranza, e su una buona dose di forza di volontà.
Ma era dura. Gesù, Michael si sentiva sprofondare ad ogni secondo che passava, sempre di più, sempre più a fondo.
Poteva percepire la paura afferrarlo per le caviglie e trascinarlo in basso, mentre lui tentava in tutti i modi di aggrapparsi disperatamente alla figura di Luke, che vedeva dissolversi davanti ai suoi occhi, come avvolta da una nebbia troppo spessa.
Non avrebbe sopportato il trascorrere languido dei giorni, se non ci sarebbe stato Luke al suo fianco.
Voleva svegliarsi e sapere che avrebbe potuto dare il buongiorno al ragazzo con i capelli biondi sparsi sul suo cuscino, poi lasciargli un bacio sulla fronte e ripetergli "Ti amo" per la milionesima volta, fino a che quelle due parole non gli sarebbero rimaste tatuate sulla lingua.
Non avrebbe sopportato camminare per strada senza nessuno al suo finco, dormire in un letto troppo grande e troppo vuoto, guardare il mondo attraversargli davanti agli occhi e non riuscire ad afferrarlo.
Non avrebbe sopportato altri giorni da solo, altri anni annegati nel dolore e nella rassegnazione, tra sigarette di troppo e nottate passate in bianco.
Non avrebbe sopportato di sollevare gli occhi al cielo e trovarlo perlaceo, non uniforme, dove fasci di nuvole correvano rapide e traditrici, scrutandolo come se fosse perennemente incompleto, un'opera d'arte che non sarebbe mai giunta ad un risultato concreto.
Avrebbe fatto male persino respirare, o pensare un'altra volta a quel bacio, e ricordarsi di tutto ciò che aveva perso, che non era mai stato suo, fugace come un attimo d'abbaglio, come il fascio di luce di un faro in mezzo al buio della tempesta.
Gli sarebbe rimasto il sapore di un'emozione mai provata, di sogni frantumati in polvere, di illusioni dolci come petali di rose, ma pungenti come le loro spine.
Ed avrebbe cercato di andare avanti, nella stupida convinzione di riuscire a farlo, di potersi trascinare dietro quei miseri brandelli del suo cuore per poterlo poi trasformare in qualcosa di nuovo, di non usurato dal tempo passato ad amare e dalle ferite subite in continuazione.
Avrebbe raccolto se stesso, si sarebbe messo un po' di forza in spalla ed avrebbe camminato verso l'appiglio successivo.
E, da quel momento in poi, avrebbe sempre vissuto così: aggrappandosi ad ogni minima cosa, ad ogni più insignificante opportunità, come unico modo per riuscire a proseguire, a non lasciarsi cadere al suolo per poi annegare tra lacrime e sentimenti calpestati.
Aveva bisogno di Luke.
Aveva così tanto bisogno di lui che sentiva lo stomaco sgretolarsi, il cuore boccheggiare in cerca di un po' del suo affetto, la pelle pizzicare al ricordo del suo tocco insistente e a tratti più leggero.
Quasi non riusciva più a respirare, la paura ormai diventata onnipresente, il terrore a soffocarlo e l'ansia a torturarlo, pugnalarlo.
Michael allungò con uno scatto il braccio verso il comodino e prese il cellulare, fissando poi per qualche secondo lo schermo illuminato.
Non sapeva cosa fare, non sapeva se fosse una cosa sensata, quella che gli era passata per la mente, o anche solo lontanamente fattibile.
Ma, nonostante tutto, compose il numero di Luke.
Era ridicolo.
Era notte fonda e lui si metteva a chiamarlo.
Per dirgli cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. Aveva solo bisogno di sentire la sua voce, di ricordargli che lo amava, che non importava cosa avrebbe scelto, anche se sperava non fosse nuovamente una risposta negativa.
Dopo l'ennesimo squillo senza risposta, partì il segnale acustico che segnava l'inizio del messaggio vocale da lasciare in segreteria.
Michael tremò e prese un bel respiro, "Ehi..."
 
 
 
C'era poco da dire. Quella mattina faceva freddo.
Un freddo secco, acuto, che s'infilava tra le fibre dei tessuti e si convertiva in spilli acuminati che premevano contro la pelle, rilasciando una fulminea scossa ogni volta che si compiva un minimo movimento.
Luke non sapeva perché di punto in bianco avesse iniziato a gelare, ma senz'altro rimpiangeva di essersi addormentato la sera prima solamente con un misero quanto insignificante paio di boxer.
Si avvolse nelle coperte che erano scivolate ai piedi del letto, ammucchiandosi disordinatamente, nel vano tentativo di recuperare un po' di calore.
Di alzarsi dal letto per afferrare dei vestiti leggermente più pesanti, non se ne parlava.
Allungò il collo di lato per controllare l'ora sulla sveglia sopra al comodino, sbuffando quando lesse che fossero solamente le cinque e ventidue.
Era stato costretto a svegliarsi perché non riusciva a smettere di tremare, ma adesso non sarebbe più riuscito a tornare a dormire.
Sbuffò un'altra volta, ruotando poi su un fianco e stringendosi ancora di più la coperta attorno al corpo.
Rimase a fissare per almeno una decina di minuti il comodino accanto al letto, fino a quando decise finalmente di alzarsi e di andare in bagno.
Si sciacquò velocemente il viso, sperando che bastasse qualche goccia d'acqua per cancellare quelle orrende occhiaie dai suoi zigomi.
Tornato in camera, si gettò a sedere sul letto e prese il cellulare in mano, come faceva tutte le mattina appena sveglio.
Ciò che non si sarebbe aspettato, era di trovare un messaggio in segreteria telefonica.
Da parte di Michael.
Il cuore gli schizzò in gola, nel leggere il suo nome, e subito le dita presero a tremargli paurosamente, col rischio di lasciar cadere a terra il cellulare da un istante all'altro.
Dio, doveva calmarsi.
Magari voleva solamente dirgli qualcosa di urgente che non riguardava minimamente il loro rapporto.
Però Luke aveva un presentimento del tutto opposto, che lo avvertiva di reggersi forte, trattenere il fiato ed ascoltare quel messaggio.
Così, con non pochi sforzi, lo fece.
Si sdraiò a pancia in su sul letto, abbandonando la testa contro i cuscini, mentre aspettava che la voce di Michael gli riempisse le orecchie, il cuore, l'anima.
"Ehi..." un sospiro incerto, "Sì, mi dispiace chimarti a quest'ora. Effettivamente, sono davvero un coglione. Non so perché lo sto facendo, non so nemmeno perché sono ancora sveglio."
Luke sorrise fra sé e sé ad udire Michael così imbarazzato e nervoso. Era... tenero.
"Il fatto è che ti stavo pensando e... Cioè, a dire il vero ti penso sempre, non faccio altro... Però... No, ok, non c'entra nulla. Volevo solamente sentirti. Ma, naturalmente, stai dormendo. Per cui... sì, credo che mi limiterò a parlare da solo. Dopotutto, lo sto già facendo."
Il biondo ridacchiò ancora, una tiepida allegria ad allargarglisi nel petto, come se si stesse espandendo al suo interno.
"Non voglio metterti alcuna fretta, Luke. Davvero, non mi aspetto nulla da te, non ho pretese. Volevo dirti comunque che ti amo. Lo so, te l'ho già detto troppe volte, ma non riesco a farne a meno."
Il suo cuore subì una pugnalata dritta al centro, poi un'altra, un'altra ancora, fino a che le parole di Michael non lo ridussero ad una massa sanguinante ed informe.
Era vero: non era la prima volta che gli diceva di amarlo. Ma quella volta... quella volta c'era qualcosa di diverso.
Forse nel suo tono, così disperato e bisognoso, così sofferente e sincero, che trasudava affetto e necessità; o forse in Luke, che aveva iniziato ad ascoltare un po' di più il suo cuore, a sincronizzare i battiti con ogni lettera che pronunciavano le labbra di Michael, a pensare più profondamente ad ogni singola cosa che prima si sarebbe limitato a studiare solamente in superficie.
Michael gli stava dando quella certezza di cui aveva bisogno, gli stava assicurando che avrebbe potuto avere la consapevolezza di essere desiderato, che lui lo voleva ancora nella sua vita, forse più che mai.
Michael gli stava mostrando quanto tenesse a lui, si stava aprendo perché riuscisse finalmente a capire cos'aveva dentro, cosa provava, cosa lo tormentava.
E Luke non poteva fare a meno che essergliene grato.
"Non so dirti esattamente come è successo, quando è successo e perché è successo. So solamente che un giorno mi sono svegliato, e ti ho visto in modo diverso. Il mio cuore batteva più veloce del normale, avevo la gola troppo secca, le gambe troppo fragili. C'è voluto un po' di tempo, ma alla fine ho capito. Mi ero innamorato di te. Ed è stato come tornare a respirare dopo anni passati in apnea."
Un attimo di silenzio, una pausa carica di emozioni così forti da vibrare in quella quiete apparente, "Ma ho avuto anche tanta paura. Non sapevo... Ero convinto che mi avresti odiato, che ti avrei fatto schifo, che non mi avresti più guardato negli occhi. Avevo paura di perderti, e sarebbe stata tutta colpa mia, perché ero stato così sciocco da innamorarmi proprio di te, quando al mondo c'erano sette miliardi di persone."
Luke deglutì, la gola che gli scottava in un modo strano, come se qualcuno avesse acceso un fiammifero dentro la sua trachea e la stesse bruciando lentamente.
"Non volevo perderti, ma ho finito per perderti lo stesso." un sospiro amareggiato, "Me ne sono andato, perché è così che faccio: scappo dai problemi, mi rifugio nel tempo con la vana speranza che possa bastare per alleviare i danni. Ma non basta mai. Perché il tempo peggiora solo le cose, sembra sfuggire al nostro controllo, nonostante siamo noi ad essere a conoscenza dei suoi meccanismi, del modo in cui funziona. Il tempo mi ha tenuto lontano da te per troppi anni, mi ha privato di giorni che avremmo potuto trascorrere insieme, magari a guardare l'alba sul tetto di casa."
Il biondo sorrise al ricordo, ma in quel modo sentì il bruciore alla gola accentuarsi.
"Nonostante fossi ben deciso a starti lontano, non ci sono riuscito veramente. Avrei voluto prendere un aereo ed andarmene chissà dove, oppure traslocare da mio padre. Ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto perché, anche se in un modo del tutto contorto, avevo bisogno di sapere che non fossi poi così irraggiungibile. E sono rimasto qui, trasferendomi in un altro quartiere, sperando che mi dimenticassi - anche se in fondo non volevo che lo facessi..."
Si passò una mano sul viso e si rese conto dell'umido che gli restò sulle dita: lacrime.
Luke stava piangendo.
Non sapeva neppure quando avesse iniziato a piangere, o per quale motivo esattamente, ma era sicuro che la voce di Michael ne fosse in gran parte responsabile.
"Sai... sono stanco di mentirti. Io odio le bugie, e ne ho già dette fin troppe. Quindi ti dirò la verità, il vero motivo per cui in questo momento ti sto chiamando." riprese la voce metallizzata dalla pessima ricezione, "Ho paura. Ho una fottuta paura che tu possa realizzare che quella tra noi non è vera attrazione, che mi preferisci come un amico, che non sono abbastanza per te. Ho paura della risposta che mi darai, perché non è vero che riuscirò ad accettarla in qualsiasi caso, non è vero che rispetterò la tua scelta. Io ti voglio, cazzo. Ti voglio da morire, Luke, e non ce la farei a reprimere ogni cosa, non più, non un'altra volta. Ti voglio e voglio averti veramente. Sono stanco d'immaginarmi come potrebbe essere il tuo sapore la mattina presto, o la forma delle tue labbra quando dici di amarmi, o vederti girare per casa con solamente un paio di boxer addosso. Sono stanco d'immaginare ogni cosa. Voglio che tutto questo diventi realtà, voglio che si concretizzi, perché non mi basta più sognare di baciarti, di fare l'amore con te. Voglio farlo davvero."
Luke non poté fare a meno di arrossire lievemente.
"Ti amo da morire, ti amo così tanto che... Dio, non avrei dovuto dirti tutto questo. Adesso ti sentirai sotto pressione, crederai che io voglia forzarti a... Luke, ascolta: ti ho detto tutto questo perché sono stanco di mentirti e di tenermi tutto dentro, ma se la tua risposta sarà un no, non sentirti obbligato a cambiarla. Io... me ne farò una ragione, o almeno ci proverò. Ma preferisco stare con te perché sei sicuro di provare qualcosa, non perché vuoi costringerti a provare qualcosa. Scusami ancora per... per questo. Non ha senso, me ne rendo conto. Beh... Spero di sentirti presto. Buonanotte."
Attese un paio di secondi prima che il messaggio giungesse effettivamente al termine, poi lasciò cadere il cellulare al suo fianco e sollevò lo sguardo verso il soffitto.
Quando si rese conto di non riuscire a respirare, si alzò velocemente e corse fuori casa.
 
 
 
I polmoni stavano per scoppiargli.
L'unica cosa che voleva in quel momento era Michael, sapere che c'era, poterlo abbracciare.
Dopo quella telefonata, aveva paura che tutto sarebbe potuto finire da un momento all'altro.
Era in bilico su un precipizio, però non c'era modo di salvarsi: qualsiasi sarebbe stata la sua scelta, avrebbe finito per precipitare nel nulla.
Temeva che Michael si sarebbe stancato di aspettarlo, che avrebbe deciso di lasciar stare, che lo avrebbe lasciato solo.
Luke aveva bisogno di lui nella sua vita, di quello era certo.
Ma si sentiva come costantemente aggrappato al braccio di Michael, mentre tentava di trattenerlo, di tenerlo vicino, di convincerlo a restare, di non lasciarlo andare via.
Ed era faticoso, così tanto che non sapeva ancora per quanto sarebbe riuscito a resistere.
La sua mente gli si ritorse contro, il fumo delle fiamme che gli cuocevano i polmoni salirono agli occhi, glieli annebbiarono e pizzicarono, sul fondo del bulbo, evocando immagini tristi e squarcianti di un futuro senza Michael, di giorni vuoti e lunghi, infiniti, in cui tutto non aveva forma o spessore, ma faceva parte del margine, di un mondo che non gli apparteneva realmente.
Tremò, quando pensò che non ci fosse nulla che dovesse farlo pensare ad una cosa del genere. Un altro scossone, al pensiero che non ci fosse nulla che glielo impedisse.
Lui mi ama.
Continuava a ripetersi quelle parole nella speranza di renderle più concrete, più veritiere, più reali. Come se gli sarebbe bastato solo quello per convincersi che Michael non lo avrebbe abbandonato per nessuna ragione al mondo.
Ma, dopotutto, lo aveva già fatto una volta; non avrebbe esitato a farlo anche una seconda, no?
Una nuova fiammata lo fece tossire, ansimare sempre più affannosamente, costretto a sporgersi per l'ennesima volta sul portaoggetti davanti al sedile del passeggero, per imprecare di fronte al fondo grigio completamente sgombro.
Luke si era rifugiato in macchina con l'intenzione di prendere una boccata d'aria e guidare chissà dove, il più lontano possibile dai pensieri che lo torturavano e trucidavano la sua stabilità emotiva.
Però non l'aveva fatto. Era fermo da quasi un'ora, immobile, con gli occhi puntati sul lampione spento nel parcheggio sotto il suo condominio.
Si allungò sullo schienale del sedile, cercando d'ignorare la vista, oltre il parabrezza, di un parallelepipedo di timore e cemento, sforzando le costole e il diaframma fino a farseli dolere.
Quando la testa gli iniziò a girare e gli occhi si inumidirono, si arrese a tirar fuori dalla tasca il cellulare, lo stesso che conteneva la voce di Michael, lo stesso che avrebbe voluto gettare il più lontano possibile.
Compose l'ultimo numero che si sarebbe aspettato di cercare, quella mattina.
Dopo pochi squilli, che sembravano scandire il ritmo dell'alzarsi delle code infuocate nel petto di Luke, la voce di Ashton irruppe nell'abitacolo della macchina.
"Luke" lo sentì esclamare, stupito, "Che succede? C'è un'emergenza al lavoro? Devo-"
"Sto avendo un attacco d'asma." si sforzò di rispondere, senza fiato, "E non ho il Ventolin."
Era tanto tempo che non gli capitava più una cosa del genere, quindi aveva addirittura smesso di preoccuparsi, ma in quel momento rimpiangeva di non avere con sé l'unica cosa che avrebbe potuto farlo sentire meglio.
Luke si morse un labbro, stringendo un pugno sul volante perché non sapeva se fosse più patetica la difficoltà dell'incanalare aria tra le corde vocali, o ciò che l'aveva scaturita.
"Dove sei?" chiese Ashton, cercando di mantenere la calma.
Luke aveva avuto attacchi ben peggiori.
Ma non per un ragazzo. Non per un cazzo di ragazzo.
Si sentiva così ridicolo ed impotente che desiderò morire soffocato dal fumo, in quel momento. Arrendersi a non respirare più, come ormai i suoi polmoni sembravano essere determinati a fare.
"In macchina." sospirò, "Dimmi qualcosa."
Lo udì sospirare a sua volta, "Cosa fai in questi casi?"
Cerco Michael.
Ed avrebbe dovuto saperlo, che non doveva chiedere aiuto, lottare ancora.
Morire bruciato: sarebbe stata quella la sua fine.
Rinunciare a combattere con il proprio corpo come stava lottando contro lo sgretolarsi del rapporto tra lui e Michael.
Mollare la presa sull'aria come quella che aveva serrato attorno al suo corpo.
Poi cadere, cadere, cadere fino a schiantarsi al suolo.
"Ash, che vuol dire quando non si riesce nemmeno a respirare all'idea di perdere qualcuno?"
Il riccio, dall'altra parte, aveva taciuto.
Perché sapeva che Luke conoscesse già la risposta.
 
 
 
Prima che se ne rendesse conto, Luke stava guidando ad una velocità eccessiva per le strade di Sydney, verso l'indirizzo di casa di Calum, dove adesso sapeva per certo abitasse anche Michael.
Il piede premeva sull'acceleratore come il cuore di Luke spingeva contro la sua cassa toracica; i suoi occhi erano fissi sull'asfalto nero che scorreva sotto le ruote della vecchia Mustang; le dita erano serrate duramente attorno al volante, in un tentativo di calmare il nervosismo crescente, ma col solo risultato di rendere le nocche paurosamente bianche.
Non sapeva quando avesse ripreso a respirare. Forse dopo aver chiuso la chiamata con Ashton, o forse quando si era concentrato su Michael, e lo aveva immaginato lì al suo fianco, a stringergli la mano per confortarlo.
Il tempo aveva finalmente ripreso a scorrere dopo essere rimasto bloccato per un'eternità nel momento in cui Luke aveva finalmente realizzato ogni cosa.
Adesso i secondi danzavano allegramente, accompagnati dai movimenti più sinuosi dei minuti e la musica lenta suonata dal trascorrere delle ore, placide e lenitive.
Il traffico era praticamente inesistente, dato l'orario, ma ogni edificio sembrava franare in mezzo alla strada e bloccare la corsa di Luke, i lampioni si tendevano fino ad arpionargli le ruote e il cielo lo scrutava severamente, come se volesse intimorirlo per impedirgli di proseguire.
Ma Luke era ben determinato ad andare avanti, a non fermarsi neppure un istante, a non lasciare che la paura s'impossessasse nuovamente di lui e lo trascinasse sul fondo di un oceano di incubi.
Lo avrebbe fatto per Michael, perché adesso tutto gli sembrava avesse un senso; perché ogni raggio di sole che filtrava dal parabrezza e lo colpiva sugli zigomi pareva accarezzarlo come per dargli supporto; perché era stanco di quel terrore infimo, di quella nostalgica voglia di affetto, di quel continuo domandarsi come sarebbe stato se le cose non fossero andate come invece erano andate.
Avrebbe preso in mano la sua vita, finalmente, e l'avrebbe trascinata dove voleva lui, tra le braccia di Michael, alla cieca ricerca di un po' di felicità.
Ed avrebbe seguito quel fioco bagliore d'amore, quell'aura impercettibile ad occhio nudo, ma tangibile con l'anima ed il cuore, con tutto ciò che non era ma poteva essere.
Avrebbe accettato ciò che poteva avere e ciò che non avrebbe avuto, rendendosi conto di tutte quelle meravigliose cose che la vita gli aveva offerto più e più volte, ma lui aveva sempre rifiutato storcendo il naso.
Dio, adesso si sentiva così sciocco.
Quante volte aveva sbagliato? Quante volte aveva creduto che non gli mancasse nulla?
Era stato un illuso, un povero illuso, perché aveva creduto, anche per un solo momento, che non avesse una stretta necessità d'amore, di quel conforto e di quel calore generati solamente da un affetto sincero e profondo.
Non si era mai interrogato su come sarebbe potuto essere, non si era immaginato delle braccia attorno al suo corpo, o il suo petto contro quello di qualcun altro.
Aveva sempre ignorato quel tipo di sentimento, forse intimorito, forse sottovalutandolo, forse cercando di fuggire da esso, che incombeva inesorabile su di lui.
Non lo aveva mai neppure sfiorato l'idea che un giorno, quello stesso sentimento, sarebbe piombato nella sua vita e lo avrebbe travolto come un'onda immensa, spazzando via tutte le sue certezze e riempiendolo di dubbi.
Non avrebbe mai immaginato che si sarebbe ritrovato catapultato in un mondo apparentemente nuovo, ma che invece era sempre lo stesso, solamente visto con occhi diversi, più consapevoli, più maturi, più innamorati.
E con quegli stessi occhi aveva visto lacrime amare, sorrisi finti, abbracci distrutti, promesse frantumate, discorsi intrecciati con occhiate di fuoco e dolore.
Con quegli stessi occhi, aveva visto Michael dirgli di amarlo, strapparsi il cuore dal petto per poi lasciarglielo tra le mani, sanguinante e battente, come simbolo della sua disperazione.
E lo aveva visto tremare, cadere, poi rialzarsi e tornare sui propri piedi, abbracciarsi ad una falsa speranza per poi tornare a credere in quella deliziosa quanto lontana illusione.
Lo aveva visto sorridere, con le labbra sempre troppo rosse, con i denti teneramente scoperti, con le guance sollevate e gli occhi assottigliati.
Lo aveva visto confondersi, allontanarsi, guardarsi intorno con circospezione, chiedersi cosa diavolo ci facesse in un posto del genere, spaesato e perso, totalmente abbandonato.
Lo aveva visto determinato, sincero, coraggioso, intreprendente, forte, testardo.
E poi fragile, insicuro, distrutto, triste, affranto, tradito, rassegnato, abbandonato al nulla.
Aveva visto tutto di Michael, tutto ciò che c'era da vedere. Ma sentiva che non fosse ancora abbastanza, che, per quanto lo conoscesse bene, ci fosse comunque altro da scoprire, un mondo intero da tirare fuori da quelle iridi chiare e limpide.
E lui voleva scoprirlo, in ogni modo possibile, con gli occhi e col cuore, con la bocca e le dita, con l'anima e la pelle.
Voleva conoscerlo di nuovo, come se non si fossero mai incontrati prima, ricominciare tutto da capo, senza però cambiare nulla. Perché per lui era tutto perfetto così, nonostante il tempo passato lontani, nonostante le bugie, nonostante il dolore, nonostante i pianti, nonostante le litigate, nonostante gli sforzi.
Avrebbe rifatto ogni cosa da capo, senza mai pentirsene.
Quando arrivò finalmente sotto casa di Michael, si fermò con la macchina proprio di fronte al portone e rimase a fissarlo.
Non sapeva cosa avrebbe fatto, come avrebbe reagito. Non aveva pensato abbastanza alle conseguenze, ed aveva paura.
Ma non si fermò.
Scese dall'auto e si chiuse lo sportello alle spalle, avvicinandosi poi al citofono con fatica, come se ai piedi avesse legati un paio di catene.
Allungò il dito esitante, tremante, timidamente, fino a suonare il citofono, per poi schiaffeggiarsi mentalmente dopo essersi ricordato che fossero solamente le sei del mattino.
Attese un minuto intero, accompagnato solamente dal battito incessante del suo cuore e dal suo respiro leggermente affannoso.
Il suo corpo era completamente teso, come se una folata di vento gelida lo avesse intirizzito e reso incapace di compiere alcun movimento.
Poi, la voce assonnata e diffidente di Michael finalmente rispose, e Luke sembrò tornare a respirare.
"Chi è?"
"Mikey" un respiro profondo, "Sono Luke. Mi dispiace suonarti a quest'ora, ma-"
"Scendo."
Detto ciò, chiuse il citofono e Luke si ritrovò a sorridere fra sé e sé, con le mani infilate nelle tasche dei jeans e il petto agitato da un nuovo, ma allo stesso tempo familiare, sentimento.
Dopo pochi minuti, il portone di vetro si aprì, e ne uscì un Michael piuttosto trafelato, con i capelli più disordinati del solito, un invisibile residuo di dentifricio all'angolo della bocca ed un outift che si notava fosse fin troppo casuale.
"Ehi." buttò fuori in una specie di sospiro di sollievo, e Luke sorrise ancora.
"Ehi."
"Come mai qui?"
"Non volevo disturbarti, davvero. Scusami." mormorò il biondo, mordendosi il labbro inferiore e volgendo lo sguardo al marciapiede sotto di lui.
"Ero già sveglio, non preoccuparti. Non riuscivo a dormire." Michael fece spallucce, mostrando un piccolo sorriso.
"Ho sentito il messaggio." disse improvvisamente Luke, lasciando l'altro ragazzo senza fiato e con un'espressione di pura sorpresa dipinta sul volto.
"Oh." fu tutto ciò che riuscì ad esclamare, ancora a corto di parole.
Ci furono un paio di minuti d'imbarazzante silenzio, in cui Michael non fece altro che fissarsi le punte delle sue Vans ormai logore, e Luke si limitò a grattarsi il retro del collo con lo smanioso bisogno di fare qualcosa con le sue mani.
Poi, come se si fossero chiamati a vicenda, sollevarono entrambi lo sguardo nello stesso momento ed i loro occhi s'incontrarono.
Una strana ma piacevole scintilla percorse i loro corpi, mentre un timido sorriso si apriva sui loro volti.
"Ti va di venire a guardare l'alba con me?" domandò Luke, rompendo il silenzio.
"Certo." rispose Michael immediatamente.
"Porta la macchina fotografica. Ti aspetto in macchina."
 
 
 
Il sole era salito già da un po' nel cielo, erano arrivati troppo tardi. Ma era comunque piacevole e meraviglioso osservarlo dal basso, mentre se ne stava immobile a risplendere con le sue prime luci nel mezzo del cielo vasto.
Era altrettanto magnifico avere Michael al suo fianco, per Luke.
Sorrise, continuando a fissare la sfera infuocata con le palpebre socchiuse, mentre l'altro ragazzo tentava di fare una foto che riuscisse a ritrarre anche quei minuscoli ma veramente perfetti sprazzi di rosa sul fondo del cielo, che arrotondavano la fila di nuvole più in basso.
"Diamine, questo riflesso continua ad oscurare tutto!" imprecò Michael, studiando l'ennesima foto che aveva scattato.
Luke si voltò per osservarlo mentre se ne stava con le spalle leggermente curve, le sopracciglia aggrottate e la bocca corrucciata.
Sorrise.
Ed in quel momento, con la luce delicata dell'alba a baciare la sua pelle ed il suo profumo così vicino, Luke capì che Michael fosse tutto ciò di cui avesse bisogno.
"Non capisco come riuscire a-"
"Mike." lo interruppe, facendogli sollevare subito le iridi verso il suo viso.
Sorrise ancora, più ampiamente, poggiando le mani sul pavimento sporco del tetto del suo appartamento per sporgersi verso il ragazzo dai capelli rossi.
Gli poggiò una mano sulla guancia e lo fissò intensamente, dritto negli occhi, come per mostrargli tutto ciò che non sapeva come dirgli a voce.
Lo accarezzò lentamente, con delicatezza, sentendo la morbidezza della sua pelle sotto i polpastrelli.
Poi si avvicinò ancora, fino a far sfiorare i loro nasi, e gli poggiò una mano alla base del collo per tenerlo il più stretto possibile.
"Ti prego" sussurrò contro le sue labbra, così vicino che avrebbe potuto toccarle con le proprie, "Non darmi un pugno per questo."
E lo baciò.


































NOTA DELL'AUTRICE:



Ehilà! :)
La prima OS del 2015, che emozione!
Avevo detto che sarei tornata con un'altra storia sui muke, ma ci ho messo più del previsto per una serie di motivi che non vi sto qui ad elencare perché non ve ne frega nulla.
Dunque, tornando alla storia: finalmente l'ho pubblicata! Spero che a qualcuno sia piaciuta (anceh se è lunga e deprimente, come mio solito).
Sono 27.426 parole, wow! Non mi ero resa conto di aver scritto così tanto.
Beh, ho un paio di cose da dire al riguardo, dunque abbiate un po' di pazienza, pls.
Allora, prima di tutto: come affermo anche nella storia, Michael e Luke sono più grandi (hanno circa ventitre anni). Il motivo di questa scelta è puramente d'obbligo, perché altrimenti non avrei potuto inserire un'ellissi di quattro anni.
Seconda cosa: so perfettamente che sia impossibile dimenticare il tuo migliore amico d'infanzia dopo "solo" quatro anni passati distanti (infatti Luke non se la beve neanche un po'), quindi non è pura fantascenza ciò che ho scritto all'inizio :')
Terza ed ultima cosa: io adoro Calum, il suo personaggio è meraviglioso! Mi sono innamorata di lui, lol.
Okay, vi ho rotto l'anima abbastanza. Adesso mi dileguo.
A presto (spero)!
E, se avete qualcosa da dire, recensite! Io sarò sempre pronta a rispondervi (dato che non ho una vita sociale, yep).
Ily xx


Petra
  
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