Libri > Le Cronache di Narnia
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Autore: LyraB    27/11/2008    2 recensioni
Per salvare Narnia non basterà recuperare il Calice della Creazione: bisognerà distinguere gli amici dai nemici, scoprire di chi ci si può fidare, affrontare i propri sentimenti e sconfiggere le proprie paure... anche quelle inconfessabili.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Peter Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 

 

 

 

 

"Oh, no… Ti prego, no!" Pensai quando vidi spuntare dall'angolo del corridoio Adam Pitt e Jonas Connolly. Li temevo più di ogni altro, in quella scuola, e detestavo come riuscissero a farmi sentire in colpa per il mio aver paura di loro.

- Oh, guarda… chi si vede, la piccola Graham! - Esclamò Adam.

Abbassai lo sguardo e cercai di tirare dritto per arrivare il prima possibile al portone d'uscita.

- Hey, Graham, non si saluta? - Esclamò Jonas.

Purtroppo erano entrambi molto più alti di me, nonostante avessimo la stessa età, quindi mi raggiunsero in un battibaleno: si misero tra me e la fine del corridoio scambiandosi uno sguardo beffardo e poi chinandosi per arrivare alla mia altezza.

- Buongiorno, piccola. - Disse Adam con aria sorniona.

Abbracciai più stretti i libri che avevo tra le mani e distolsi lo sguardo, cercando di allontanarmi. Jonas mi strappò i libri che avevo in mano e iniziò a sfogliarli distrattamente.

- Ti sei di nuovo rifugiata in biblioteca, eh? Certo che una mocciosetta come te che ci troverà di bello in un buco polveroso come quello… - Disse.

- A chi sa leggere piace. - Replicai, ritrovando un po' di coraggio ma stupendomi di come la mia voce risultasse stridula.

- Bah, sei proprio noiosa! - Esclamò Adam, allungando un braccio quel tanto che bastava per far scivolare la cinghia della tracolla dalla spalla.

La borsa cadde sul pavimento aprendosi e spargendo sul pavimento tutto il suo contenuto. Mi inginocchiai per raccoglierlo senza dire o fare nulla: la cosa migliore che potessi fare era essere così poco interessante da invogliarli a sparire.

Come previsto, Adam alzò gli occhi al cielo e Jonas fece cadere i due libri che aveva in mano sul mucchio di quelli per terra, allontanandosi ridendo assieme al suo amico.

- Ci vediamo domani, Graham. Sempre che non ti si consumino gli occhi sui libri, nel frattempo! - Esclamò Jonas.

Mentre raccoglievo le mie cose nella tracolla sentivo la loro risata echeggiare nei grandi corridoi della scuola e quando fui certa che avevano cambiato aria tirai un sospiro di sollievo: Adam e Jonas erano i teppisti della scuola, quelli che comandavano su tutti, perfino su quelli dell'ultimo anno… e ovviamente in metà dei corsi erano proprio con me, la ragazzina che più degli altri aveva paura di loro.
Sebbene detestassi gli incontri con quei due ragazzi in corridoio, da quando la guerra era finita ed eravamo tornati alla nostra vita di sempre mi faceva piacere andare a scuola: avevo sempre amato studiare, ma la cosa che mi era mancata di più durante la guerra erano stati i libri della biblioteca cittadina.

Stavo infilando le ultime cose nella borsa, persa nei miei pensieri, quando mi accorsi che qualcuno mi stava tendendo un libro. Sorpresa dal fatto che ci fosse qualcun altro a scuola a quell'ora di sera, alzai gli occhi stupita: un ragazzo delizioso era accovacciato davanti a me e mi fissava con un sorriso divertito, mentre i suoi limpidi occhi azzurri scintillavano sotto un ciuffo disordinato di capelli dorati. Non ci avevo mai parlato in prima persona, anche se alcuni miei compagni di corso erano suoi amici, ma lo conoscevo lo stesso: era stato il protagonista di quasi tutte le rappresentazioni teatrali che avevano avuto luogo da quando il liceo aveva riaperto e a cui io non ero mai mancata.

- Hai avuto un incidente di percorso? - Domandò.

- Tutto a posto, grazie. - Esclamai, abbassando gli occhi e sentendo le guance arrossire. - Ho solo incontrato Pitt e Connolly, niente… niente di nuovo. -

Chiudendo la borsa e alzandomi in piedi, sistemai la sciarpa e la giacca della divisa scolastica cercando di ignorare l'evidente imbarazzo che si stava impossessando di me sempre più mentre il tempo passava. Evitando il suo sguardo, gli sorrisi timidamente.

- Ora vado, altrimenti perdo il treno. -

- Anche io sto andando in stazione. - Disse lui. - Vengo con te. -

- Non serve. -

- Sarebbe imbarazzante camminare a poca distanza, ora che ci siamo parlati e sappiamo di avere la stessa meta, non ti pare? -

Annuii vagamente, sapendo di avere le guance rosse e di non essere affatto pronta a una discussione con lui, ma mi avviai al suo fianco verso la stazione mentre il primo venticello tiepido di primavera ci spettinava i capelli. Per mia fortuna fu lui a sostenere la conversazione per tutto il tragitto: mi limitai ad annuire o a fare commenti banali di tanto in tanto. Quello che era sicuro era che non stavo dando l'impressione di una ragazza interessante.
Quando arrivammo al binario, il mio treno si era appena fermato con le porte aperte.

- Io vado, ciao! - Dissi sollevata. Avevo fatto tre passi verso il treno quando la mia buona educazione tornò a farsi viva: mi voltai e gli scoccai un mezzo sorriso. - E grazie! -

- Di niente! - Rispose lui, mentre il rumore delle porte che si chiudevano copriva le sue parole.

Mentre il treno sfrecciava per la campagna inglese che iniziava a riprendere vita dopo il torpore dell'inverno, mi appoggiai con la testa al finestrino e ripensai all'inconsueto incontro fatto in corridoio. Sorrisi al pensiero di quel ragazzo così gentile e a quello della sua buffa e meravigliosa famiglia, i Pevensie: li vedevo ogni mattina, tutti e quattro sorridenti e uniti come nessun altro. Le due ragazze poi, le invidiavo un po': la più grande si chiamava Susan ed era bella da lasciare senza fiato, con quei lunghi riccioli bruni e gli occhi color del cielo. La piccola Lucy, poi, prometteva di diventare ancora più affascinante della maggiore: bionda e delicata, con un fantastico sorriso e gli occhi vivi e trasparenti.

Sospirai. Le invidiavo, sì, le invidiavo davvero parecchio: la mia costituzione minuta e i miei capelli chiari che non volevano sapere di ricci e onde non mi avrebbero mai resa affascinante o attraente. Non che la cosa fosse importante, naturalmente. Non mi importava di fare strage di cuori o attirare sguardi maschili: trovavo la compagnia maschile difficile da gestire e sarebbe stata una bugia negare che stavo benissimo anche da sola.

Nel frattempo il treno era arrivato sferragliando alla stazione vicino a casa e camminando nella penombra del crepuscolo che avanzava raggiunsi la villetta a due piani che sorgeva ai margini del quartiere. Aprii la porta salutando, aspettandomi qualche segno di vita: per tutta risposta mia sorella mi gridò dalla sua stanza che lei era a casa da un pezzo e che aveva visto che non c'era niente per la cena.
Con un sospiro - senza però ammettere nemmeno a me stessa che stavo sospirando - presi qualche soldo per il droghiere e uscii per recuperare qualcosa da mangiare. Sapevo già che i miei genitori sarebbero tornati dal lavoro stanchi e irritabili e che sarebbe stato molto meglio fare trovare loro qualcosa di pronto sulla tavola, una figlia sorridente accanto ad essa e nei piatti tanta, tanta pazienza con cui placare gli animi burrascosi e stressati di chi stava soffrendo le ristrettezze del dopoguerra.

Mentre mi chiudevo la porta alle spalle e assaporavo l'odore dei fiori sbocciati da poco sul mio davanzale, così forte e intenso da impregnare l'aria attorno a tutta la casa, pensai che quella era la mia routine quotidiana: anche se a volte mi ritrovavo a detestarla non avrei voluto cambiarla per niente al mondo.

   
 
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