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Autore: Fannie Fiffi    29/01/2015    3 recensioni
[Bellarke; post 2x09; #TRADUZIONE]
« Ti amo, ma non sono sicuro di volerlo fare più. »
Bellamy torna e niente è come prima.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio gente! Eccomi qui con un nuovo lavoro, questa volta una traduzione. Non appena ho letto questa meraviglia, non sono stata in grado di trattenermi. Dovevo tradurla.

Così ho contattato l'autrice (ecco il suo blog tumblr: 
http://dropshipheroes.tumblr.com/) e le ho chiesto se le facesse piacere che io provassi a cimentarmi in quest'impresa. Lei è stata gentilissima, e, dopo aver parlato un po', mi sono messa a lavoro. 

Il mio consiglio è, ovviamente, quello di leggere anche l'originale (che trovate qui: 
http://archiveofourown.org/works/3233540).

Come ha spiegato già l'autrice, dropshipheroes, questa è un'ipotesi di come potrebbe andare la seconda stagione, quindi è molto interessante. La storia è piuttosto lunga, quindi mi raccomando, mettetevi comodi e godetevi questa meraviglia.

Spero di aver fatto un lavoro decente e, poiché questa è la mia prima traduzione ufficiale, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. 

Buona lettura!

 
 
An Ocean Between the Waves





La ragazza che era due giorni fa avrebbe pianto fino ad addormentarsi.

Questa ragazza, che si sente molto meno una bambina e molto più una guerriera, non ha tempo per le lacrime.

La loro assenza non significa che lei dorma più facilmente, però, e nel momento in cui l’alba sorge sul campo gli occhi di Clarke sono doloranti e pesanti dopo aver fissato l’oscurità per tutta la notte.

Bellamy parte non molto dopo che abbiano interrotto il loro digiuno – un pasto migliore della pappa grigia che hanno mangiato al Campo Jaha per le ultime due settimane, grazie ai cacciatori di Lexa, anche se Clarke lo ha a malapena assaggiato.

Lo vede prepararsi dall’altra parte del campo, mentre controlla il fucile legato al suo petto e quello nascosto al suo fianco, mentre Octavia gli stringe i lacci dello zaino e ci infila un coltello extra quando pensa che lui non stia guardando.

Questa mattina il suo volto è risoluto, severo e chiuso in un modo che le ricorda la loro prima settimana sulla Terra.

Minaccia di rompere qualcosa dentro di lei, sapendo che è la responsabile di questo, ma lei mette da parte le crepe nella sua risoluzione e mantiene la distanza, concentrandosi invece a spiegare una mappa della foresta che li circonda con Lexa al suo fianco.

Nonostante questo, è difficile non accorgersi del momento in cui lui e Lincoln si avviano verso il cancello.

È ancora più difficile non accorgersi del modo in cui Bellamy si ferma e si volta verso di lei, come se stia aspettando che lei lo fermi, che lo richiami e gli dica che è stato un errore, che non è disposta a rischiare la sua vita a nessun costo.

Ma Clarke ha trascorso la notte ad indurire il suo cuore, ha trascorso la mattina a ricordare a se stessa che in questo mondo non c’è posto per la debolezza, e così alza semplicemente una mano in segno di congedo.

Finge di non poter vedere la delusione che gli attraversa il viso quando restituisce il gesto e si volta per andarsene.

Non è facile, però, fingere di non vedere lo sguardo che le manda Octavia – non quando la ragazza più giovane arriva al suo fianco strusciando i piedi per assicurarsi che l’altra veda quello sguardo da vicino.

« Stai facendo un errore, Clarke. » Dice con una voce tanto severa quanto la sua espressione.

« Sto facendo quello che devo fare per salvare i nostri amici. » Risponde Clarke. Tiene lo sguardo sulla mappa, ignora al suo meglio quella tempesta di ragazza che è al suo fianco.

« Lo stai mandando a morire! »  Urla Octavia. Metà del campo sembra fermarsi a quella dichiarazione, molti di loro allontanandosi lentamente dal tavolo in cui si trovano le due ragazze.

Lexa posa perfino una mano sulla spalla di Clarke, lei non sa se per supporto o per comprensione o per sollecito, prima di allontanarsi e lasciarle discutere.

La bionda prende un respiro profondo, sente se stessa svuotarsi dentro mentre l’aria lascia i suoi polmoni, e quando si volta verso l’altra il suo volto è impassibile.

« Lui è forte », inizia lo stesso discorso che si è ripetuta come un mantra per tutta la notte. « Sa cosa fare, ed è abbastanza sveglio da sapere quando correre. Starà bene. »

« Non puoi saperlo. » Le dice Octavia. Sembra ancora arrabbiata, ma sta emergendo anche la tristezza, e Clarke è di nuovo costretta a guardare altrove.

« Bellamy sa che abbiamo bisogno di questo, ecco perché sta andando. » Dichiara, gli occhi di nuovo fermi sulla mappa davanti a sé.

« Lui sta andando per te. » L’altra si avvicina, non volendo lasciar cadere il discorso. « Lui farebbe qualsiasi cosa per te, Clarke, non riesci a capirlo? Morirebbe per te, e questo è quello che tu gli hai chiesto di fare. »

Clarke chiude gli occhi, i pugni stretti lungo i fianchi. E, proprio come ogni volta in cui li chiude, vede Finn appeso al palo davanti a lei, sente gli echi delle urla di Raven, percepisce il sangue sulle mani.

Da lì è come una sfilata di morte e perdita – Wells e Charlotte e Atom, ragazzi del loro campo che conosceva appena, i nomi di alcuni di questi che stanno già svanendo dalla sua memoria.

L’ultimo di tutto è suo padre, sempre suo padre, e lo sguardo di shock sul suo volto mentre le porte si aprivano e lui veniva risucchiato nell’oscurità dello spazio.

Tenta di recuperare la fredda indifferenza di prima, tenta di respingere la scia rossa di morte che corre nella sua mente all’infinito, poi risponde.

« Se muore salvando la nostra gente, allora sarà perlomeno una buona morte. È più di quanto possano sperare molti di noi, in questi giorni. »

Octavia indietreggia fisicamente a cause di quelle parole, e quando Clarke riesce a sollevare nuovamente lo sguardo, vede che quella rabbia è stata rimpiazzata da qualcosa di molto più puro: odio.

Solo per un momento vuole rimangiarsi quelle parole, ma non può. Non può essere debole, e se questo significa che lei la odi, allora così sia.

« Faresti meglio a sperare che lui ritorni, » dice lentamente, mentre sputa abbastanza veleno da spaventarla, se non lo era già prima. « O io e te avremo un problema. »

Quelle parole innescano un ricordo in lei, una conversazione che sembra avvenuta una vita fa, quando sanguinare lentamente a morte a causa di una malattia sconosciuta era il peggiore dei loro problemi.

La fa quasi sorridere, la nostalgia di quel momento, la fa quasi immaginare di nuovo come debba essere avere un fratello – come debba essere amare qualcosa nel modo in cui si amano quei due.

Ma poi pensa al modo in cui Bellamy l’ha guardata quando lei ha detto “Non posso perdere anche te” e al modo in cui l’ha guardata quando lei se lo è rimangiato, e pensa che in realtà dell’amore vuole saperne il meno possibile, perché, da quello che ha capito, porta solo sofferenza.

Octavia non attende una risposta, voltandosi con rabbia e marciando via, una mano sul manico del coltello alla sua vita e uno sguardo abbastanza cupo perché anche le guardie dei Terrestri le lascino il cammino libero.

Lexa torna qualche attimo dopo, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il fatto che ha ascoltato la conversazione. Però non fa commenti, né offre consigli come farebbero Raven o sua madre o perfino Kane.

Invece guarda Clarke con la stessa impassibilità negli occhi che lei sta iniziando a riconoscere, e dice: « Sei pronta per partire? »

La giovane Griffin annuisce, arrotola la mappa e la segue.
 
 

 
Alla fine non è né l’infiltrazione di Bellamy né l’esercito di Clarke che salvano l’impresa. È, invece, Raven, che riesce a bloccare il segnale di interferenza abbastanza a lungo da entrare nella radio dei quarantasette, che guida Miller attraverso il labirinto, facendoli uscire dai tunnel usando la copia della mappa di Clarke che Bellamy le aveva lasciato, e la sua voce li guida fino a casa.

L’esercito aiuta, ovviamente, impedendo alle guardie del Mount Weather di riportare indietro i prigionieri, e, senza la radio che Bellamy le aveva passato, lei non ci sarebbe proprio riuscita.

Ma nel momento del salvataggio, quando i ragazzi sono riuniti sia con gli amici che con le famiglie, Clarke e Bellamy sono entrambi assenti.

Non appena la connessione radio era stata instaurata, Miller li aveva informati che lui era stato preso, gli aveva detto che era scomparso da tre giorni e che non sapevano se fosse ancora vivo.

Quelle parole parevano aver mandato in pezzi qualcosa in Clarke, o almeno questo era come l’avrebbe descritto Raven in seguito, e prima che chiunque di loro avesse perfino realizzato che lei si stesse muovendo, era scomparsa lungo un tunnel ramificato ed era sparita.

Dopodiché non c’era stato tempo di preoccuparsi per lei, non quando erano tutti troppo occupati a sopravvivere.

Ma quando tornano dalla foresta e medicano anche il peggiore dei feriti prima di dirigersi al campo, è troppo chiaro chi sia ancora scomparso.

Octavia sta per tornare nella montagna lei stessa (“Non sarai da sola”, le dice Raven seriamente, stringendosi il tutore e nascondendosi una pistola dietro la schiena) quando un movimento all’entrata del tunnel principale attira la loro attenzione e le loro difese.

È in questo modo, con più o meno sessanta pistole e il doppio delle lance e delle frecce puntate contro di loro, che Clarke e Bellamy riappaiono – sanguinanti e feriti ma vivi.

La scena della riunione è breve, non c’è tempo per niente di più che qualche abbraccio e qualche lacrima, prima che debbano muoversi nuovamente. I ragazzi potranno essere fuori, ma il Mount Weather è ben lungi dall’essere neutralizzato, e trascorrere la notte davanti alla sua entrata sarebbe folle.

Octavia si appiccica al fianco di suo fratello per tutto il viaggio di ritorno – è sdraiato su una barella trasportata da due degli uomini di Lexa, essendo svenuto non molto dopo il suo ritorno – e Clarke cammina stoicamente dietro di loro.

I suoi occhi rimangono fissi sul selciato della foresta e respinge i tentativi di sua madre di almeno pulire il sangue che scorre dalla ferita sulla sua testa.

Raven è l’unica a cui permette di camminarle a fianco, e, per la prima volta dalla morte di Finn, Reyes non prova niente che non sia tristezza per la ragazza al suo fianco, mentre l’ultimo granello di rabbia scorre via a causa del fantasma di paura e rimorso che sta ancora rubando il colore dal volto di Clarke.

Quando raggiungono il Campo Jaha, Raven si allontana senza una parola, indicando ai ragazzi dove trovare cibo, coperte e soccorso medico. Vede Bellamy venir portato alla tenda dove la sua co-leader è stata ospitata al suo ritorno, ma non ha l’occasione di andare a trovarlo finché il resto degli altri non sono sistemati per riposarsi.

Non appena riesce ad andare, trova Clarke appena fuori la tenda, il sangue ormai sparito dal suo volto e un nuovo set di punti su un taglio vicino all’attaccatura dei capelli, ma con lo stesso sguardo ferito di prima.

« Come sta? » Chiede, e il suo tono sembra arrugginito, esitante, come se avesse dimenticato come parlare a questa ragazza senza rabbia e biasimo.

Clarke solleva lo sguardo come spaventata, poi gli occhi corrono all’ingresso, e l’altra ragazza capisce immediatamente che non è ancora entrata nemmeno lei.

« Sopravviverà. » Dice alla fine, e distoglie lo sguardo da quello di Raven e lo lascia ricadere sulle sue mani strette sul ventre.

« Allora è una cosa buona, no? » Domanda l’altra. Fa un piccolo passo avanti. « Insomma, è tornato, starà bene, è la miglior cosa che potesse succedere. »

Clarke non dice nulla per molto tempo, e quando solleva nuovamente lo sguardo i suoi occhi sono bagnati di lacrime.

Raven realizza che non l’ha vista piangere da quando Finn è morto, e assistere ora le procura un qualche dolore al petto.

« Lo avevano rinchiuso in una gabbia, » dice alla fine, mentre le parole la fanno tremare come se potesse pronunciarle a stento. «

Era a malapena cosciente, Raven. Le cose che devono avergli fatto, le cicatrici sul suo corpo… »

« Ehi, ehi, andrà bene, lui è forte. » Le assicura velocemente, abbassandosi con imbarazzo per sedersi vicino a lei, anche se il suo tutore ha disperato bisogno di essere allentato dopo questi ultimi giorni nella foresta.

Clarke tossicchia una risata che sembra più amara di qualsiasi altra cosa. « Questo è quello che ho detto ad Octavia, » dice, « quando l’ho mandato a morire. Le ho detto che lui sarebbe stato bene. »

« E sta bene. » Le ricorda Raven.

« Ma potrebbe non esserlo stato, » Insiste, « Per poco non lo era. Ed è tutta colpa mia. Sarebbe potuto morire, e l’ultima cosa che gli ho detto era che valeva la pena – che perderlo valeva la pena. »

Guarda verso di lei e i suoi occhi sono tormentati. La mora non sa come cambiare questa cosa, non sa nemmeno se dovrebbe.

Sono successe troppe cose fra loro per poter tornare com’erano prima, sono entrambe cambiate molto dal loro primo mese sulla terra, e Raven pensa che forse debba essere così – forse ora lei ha bisogno di soffrire, per ricordarsi che scegliere di respingere l’amore non significa poter evitare il dolore di questa scelta.

Eppure Clarke è anche sua amica, nonostante tutto, e c’è qualcosa di cui Raven non è stata sicura fino a questo momento. È vero, però, e non vuole vederla soffrire più di quanto lo stia facendo già ora.

« Ma lui non è morto, » dice gentilmente, « quindi hai la possibilità di aggiustare le cose. »

La bionda prende un respiro tremante e alla fine annuisce, e Raven lascia la sua testa cadere contro la propria spalla, mette un braccio attorno a lei e la lascia piangere finché non ci sono più lacrime e il sole sta tracciando una lieve linea rosa oltre l’orizzonte di un nuovo giorno.
 
 
 


Ci vuole una settimana perché  lei riesca ad entrare nella tenda.

Bellamy sa che lei è lì, proprio lì fuori, perché Raven (e Monty, e Jasper, e Miller) glielo hanno detto, ma lo avrebbe saputo lo stesso dallo sguardo infastidito e oscuro che ha Octavia ogni volta che va a trovarlo per prima.

Ma lei non entra dentro e lui è sotto stretto ordine di non uscire dal letto (come se potesse farcela anche se volesse), così non è fino alla mattina del settimo giorno che si sveglia e la trova seduto al suo fianco e la vede di nuovo.

Sembra stanca. I suoi capelli dorati sono tirati indietro in una treccia disordinata, la sua faccia è pallida e tesa, il che serve solo a enfatizzare i lividi e i tagli, i cerchi violacei sotto i suoi occhi.

Quando gli sorride trema, insicura in un modo in cui non l’ha mai vista prima, e lui vuole accarezzarle via quello sguardo, il che è parte del problema, no?

« Ehi, » Dice lei, la voce tremante quanto il suo sorriso.

« Ciao, » Risponde lui, mentre i suoi occhi scorrono su di lei con vigore, catalogandola di nuovo e prendendo nota di ogni ferita che riesce a vedere. « Stai bene. »

Lei ride, e sembra così tanto la vecchia Clarke ché gli stringe il petto. Quando lei prende la sua mano fra le proprie, lui si dimentica quasi di respirare. « Dovrei essere io a dirlo. »

« Certo che sto bene. » Riesce a dire, nonostante sia tremendamente difficile mantenere i suoi pensieri coerenti con le sue dita strette fra le proprie, «Servirebbero più di un paio di Mountain Men per sbarazzarsi di me, Principessa. »

Lei ride di nuovo, ma è lacrimoso questa volta, e, prima che lui sappia cosa fare al riguardo, Clarke Griffin sta piangendo sul suo petto e tutto quello che può fare è circondarla con un braccio e accarezzarle inefficacemente la schiena mentre cerca di non tirare i punti.

« Credevo fossi morto, » sussurra alla fine, quando ha smesso di piangere, le labbra ancora premute vicino al suo cuore, « Quando ti ho visto in quella gabbia, pensavo fossi morto, Bellamy, e oh, Dio… »

« Shhh, » la tranquillizza lui, muovendosi così da spostare la mano dalla sua schiena ai suoi capelli, lasciando scorrere le sue dita fra di loro gentilmente. Questo fa male in una maniera differente, non come i dolori fisici e le ferite, ma da qualche parte più in profondità, più vitale.

« Mi dispiace, » dice piano, afflitta, « Mi dispiace così tanto, Bellamy. Mi sento persa. Ero così sicura di dover essere forte, ma se tu fossi morto… »

Queste sono le parole che è stato troppo spaventato da sperare di sentire, eppure, ora che lo fa, non portano via il dolore come pensava. Anzi, scavano una ferita un po’ più profonda, perché realizza che ascoltarle non cambia niente, non rende la cosa in qualche modo più facile o migliore.

Il modo in cui la ama, e ora può ammettere perlomeno a se stesso che questo è amore, non è diminuito dal fatto che lei lo abbia respinto, e così essere riportato indietro ora non lo rende né più né meno di quanto sia già. Tutto quello che fa è spaventarlo, per lui e per lei.

« Come puoi non odiarmi? » Chiede lei alla fine, allontanandosi e lasciandolo più freddo per la distanza, « Per come mi sono comportata, per le cose che ho detto? »

Questa volta è Bellamy a posare una mano sulle sue, e fissa il punto di contatto. « Io non riesco ad odiarti, Clarke. Potresti chiedermi di tornare in quella montagna domani e io tornerei, per te. »

« Perché? » Chiede, e lui solleva lo sguardo intensamente, sicuro che lo stia prendendo in giro, perché come può non saperlo?

Ma tutto quello che vede è un qualche tipo di forte dolore nei suoi occhi, il tipo per cui lui distruggerebbe se stesso pur di non vederlo sul suo volto, quindi si ritrova ad essere più onesto di quanto aveva intenzione di fare.

«Perché ti amo. » Le dice, anche se è difficile pronunciarlo ad alta voce. Il suo intero volto si illumina con un misto di dolore e gioia che lui sente riecheggiare nel suo stesso cuore, anche se ora conosce il pericolo di quel sentimento.

« Bellamy, ti am- »

« Aspetta. » Dice, impedendole di continuare e prendendo un profondo respiro dei suoi. Ha avuto una settimana per pensarci, e c’è molto di più che deve essere detto, anche se finirà con l’ucciderlo davvero.

Perché anche se non è d’accordo con l’idea che l’amore è debolezza, lui adesso sa che non è nemmeno forza, non quando ha il potere di distruggerti completamente. E lui ama questa ragazza, la sua principessa, quasi più di tutto, abbastanza da voler essere disposto a morire contro delle rocce anche solo per vederla sorridere.

Ed ecco perché deve farlo.

« Ti amo davvero, » ripete, costringendo se stesso a sostenere il suo sguardo mentre lo dice, « ma, Clarke, non sono sicuro di volerlo fare più. »

Gli occhi di lei si spalancano e il suo intero corpo si immobilizza, per un momento è sicuro che non stia nemmeno respirando. Poi si muove, allontanandosi dal letto e chiudendosi in se stessa, anche se non sposta la mano lontano dalla sua.

Fa un rumore, qualcosa di piccolo e addolorato, a metà fra un sospiro e un singhiozzo, ma è lì ed è scomparso così velocemente che lui non è nemmeno sicuro di averlo davvero sentito.

« Dì qualcosa, » le chiede dopo un altro lungo minuto di silenzio. « Per favore? »

« Non sono sicura di cosa vorresti che io dica. » Sussurra, gli occhi che si rifiutano di incontrare i suoi. Lui flette le dita contro le sue e lei si irrigidisce, ma lui continua a stringerle, rifiutandosi di lasciarla scivolare ancora più lontano.

« Clarke, non sto cercando di ferirti. »

« Sei arrabbiato con me, » dice, « lo capisco, ne hai ogni diritto. Dovresti biasimarmi per questo, per quello che è successo. Lo capisco. »

« Non capisci. » Dice gentilmente e strattona la sua mano finché lei non lo guarda di nuovo. « Non ti biasimo, diavolo, in qualche modo credo che potrei stimarti ancora di più. Quello che hai fatto mi ha ferito, sì, ma lo capisco, Clarke. Ciò che abbia affrontato qui giù, le cose che abbiamo dovuto fare per sopravvivere? Avrebbero ridotto in pezzi la maggior parte delle persone, ma tu sei sempre stata così forte. »

« Non sempre. » Ammette, e lui può sentire la minaccia delle lacrime nella sua voce.

« Sì, sempre, » la contraddice, « e forse ascoltare le idee di Lexa riguardo la debolezza non è stato il piano migliore che tu abbia mai avuto, ma stavi facendo ciò che credevi fosse la cosa migliore. »

« E allora perché non vuoi più amarmi? » Chiede. Sembra piccola, il che non è come appare di solito, e lui rabbrividisce prima di rispondere, odia essere colui che l’ha costretta ad essere così.

« Perché tu farai sempre ciò che credi sia la cosa migliore, » le dice, impedendole di ribattere con una mano mentre continua, « Questa non è una cosa brutta. Ma significa che non puoi promettermi che non mi chiederai di nuovo di gettarmi contro la morte, e se io non la smetto di sentirmi nel modo in cui mi sento, non smetterò mai di soffrire quando me lo chiederai. »

« Allora non lo farò! »

« Non puoi prometterlo, » le parla gentilmente, « Non dovresti prometterlo. È così che funziona fra me e te. Noi mettiamo tutti gli altri al primo posto, o cerchiamo di farlo. Tu ci fai andare avanti e io mi assicuro che tu sia qui per farlo. È ciò che ci ha tenuti vivi fino ad ora, ciò che ci ha restituito la nostra gente. »

« Quindi stai dicendo che non vuoi essere innamorato di me per il bene della nostra gente? »

Bellamy scuote la testa. « No. Sto dicendo che non voglio essere innamorato di te perché fa troppo male sentirmi in questo modo, e non posso cambiare questa cosa senza cambiare anche te. E cambiarti è qualcosa che mi rifiuto di fare. »

Clarke lo sta fissando con il cuore negli occhi, le lacrime che ora cadono liberamente lungo le sue guance, e oh Dio, anche questo fa male, più di quanto lui si aspettasse, ma doveva farlo.

« Octavia e Lincoln stanno partendo per qualche settimana, per visitare il clan dei Grounders lungo la costa. Lincoln ha degli amici lì e pensa che potremmo essere in grado di negoziare con loro per stabilirci lì. Credo di dover andare con loro. »

« Ma ci vorranno settimane! » Ribatte, « E io non posso ancora lasciare il campo, non con così tanti feriti, siamo a corto di personale già così e- »
« Voglio dire che io dovrei andare, e tu dovresti restare. » La corregge, il che la ferma. « Forse del tempo separati è quello di cui abbiamo bisogno. Di cui io ho bisogno. »

« Per dimenticarmi. » Sussurra lei, e non attende una risposta, perché entrambi sanno che è la verità.

« Sì. »

« E se riesci a negoziare? » Chiede a bassa voce, mentre il proprio pollice traccia dei cerchi distratti contro il suo, « Mi chiederesti di rimanere qui mentre tu porti la nostra gente a costruire un nuovo campo? »

« Certo che no, » le dice, « Clarke, noi non ce la faremmo senza di te. Tu sei la nostra leader. Abbiamo bisogno di te. »

« Una dei leader, » sbuffa. A quel punto allontana la sua mano, la piega sotto la coscia e si rifiuta di incontrare il suo sguardo. « Tutte le decisioni che ho preso recentemente hanno ferito qualcuno. Hanno ferito te. »

« Clarke- »

« No, » Questa volta è lei ad interrompere lui, tirando su col naso velocemente e passandosi una mano sulla faccia per pulire le lacrime che sono rimaste.

« Mi sto comportando da idiota. Hai ragione, dovresti andare con Octavia e Lincoln. È un buon piano. »

« Tornerò. » Le assicura, sapendo che è un mero conforto. Lei allora lo guarda e lui può vedere che ha riconosciuto la bugia nelle sue parole – lui tornerà, di questo ne è relativamente sicuro, ma non tornerà per lei, non come lei vorrebbe che lui tornasse. Non se lui ci riesce, anche se questo significa strapparsi via il proprio cuore e lasciarlo da qualche parte lungo la strada.

Lei però non controbatte, si limita ad annuire una sola volta, si avvicina al suo spazio personale e poggia la fronte contro la sua, premendo gli occhi chiusi, con le mani sulle sue spalle.

« Mi dispiace. » Dice una sola volta, prima di allontanarsi, prima di andarsene, guardando verso di lui con le lacrime che si aggrappano alle ciglia e le ombre sul suo volto.

È bellissima, anche se in pezzi, e lui vuole rimangiarsi tutto quello che ha detto, vuole dirle di rimanere.

Invece dice: « Dispiace anche a me. » E chiude gli occhi, così non deve guardarla mentre se ne va.
 
 
 
« Bellamy è tornato! »

Monty ha un sorriso da un orecchio all’altro mentre consegna la notizia, e Clarke è a metà strada verso la porta prima che il resto del Consiglio possa anche solo alzarsi in piedi.

In un altro contesto si preoccuperebbe di non precipitarsi fuori così, ma è Bellamy e sono trascorse sei settimane da quando ha visto la sua faccia, e sei settimane sono troppo lunghe, quindi non ha intenzione di aggiungere un altro secondo a quel conteggio più di quanto debba.

Fortunatamente gli ingressi dell’Arca sono liberi a quest’ora del giorno, quindi non incontra ostacoli mentre segue Monty attraverso il campo. Jasper corre verso di loro mentre si avvicinano ai cancelli, accompagnandola dall’altro lato, e lei riesce a sentire il suono sconnesso dei passi di Raven che si avvicinano a loro. Questo però è un semplice rumore bianco nella sua mente, nel momento in cui intravede il suo volto attraverso la folla.

Sta bene. La sua pelle è più scura, presumibilmente per essere stato sotto al sole durante queste settimane, ma i suoi occhi sembrano più leggeri – come se abbia iniziato a lasciar andare un po’ dell’oscurità del suo calvario.

Il suo cuore sobbalza al pensiero che forse lui è pronto ad andare avanti, forse l’ha perdonata abbastanza da poterci provare. Per un momento sente il bisogno di correre, di schiantarsi contro di lui come ha fatto tutto quel tempo prima, durante la loro altra riunione, di gettare le proprie braccia attorno a lui e rassicurarsi che è reale, e sta bene, ed è .

Il pensiero va in mille pezzi, fermandola a metà movimento così velocemente che quasi inciampa dov’è, quando lo vede voltarsi, allungarsi oltre sua sorella e Lincoln per prendere per mano una figura dietro di loro, qualcuno di piccolo e sconosciuto e molto, molto femminile.

La ragazza ride per qualcosa che Bellamy ha detto e gli stringe forte la mano, e, quando si volta, sta sorridendo anche lui.

Il suo sorriso vacilla solo un po’ quando la vede, i loro occhi che si incontrano per un frammento di secondo attraverso la distanza rimanente, ma poi si ammorbidisce in qualcosa di quasi timido, e, anche se Clarke riesce a sentire il proprio cuore frantumarsi in mille pezzi, riesce a sorridergli a sua volta.

Quando si avvicina è ad un ritmo più discreto e con i suoi tre amici al seguito. Monty  intrufola una mano nella sua mentre camminano, e lei la stringe con gratitudine prima di lasciarla andare.

Nel momento in cui raggiungono il gruppo di ritorno, c’è un momento di imbarazzo, ma poi Jasper abbraccia forte Bellamy e tutti ridono, mentre la tensione svanisce almeno un po’. Quando è libero di nuovo, il maggiore dei Blake si volta verso di lei.

« Ehi. »

« Ciao, » ricambia la bionda, e si ritrova a sorridere ancora una volta nonostante se stessa, perché almeno lui è qui e per una volta non sta sanguinando su una barella. Il sorriso è più difficile da mantenere quando lui spinge la sconosciuta in avanti fino a che non sta al suo fianco.

« Clarke, questa è Nia. Nia, lei è Clarke Griffin. »

« Oh », dice l’altra ragazza, e i suoi occhi si spalancano mentre la guarda, « Tu sei la heda di Bellamy.  »

Clarke vuole ribattere che è molto più di quello, ma sono trascorse sei settimane e, con il modo in cui si sono lasciati, non è sicura che questo sia ancora vero.

Spera che siano almeno amici, ma forse si aspetta fin troppo. Essere il Comandante è meglio di niente, immagina, così lo accetta.

« Benvenuta. » Dice, e allunga una mano verso Nia mentre tutti gli altri la guardano con un misto di sorpresa e apprensione.

« Nia proviene dal clan dell’Oceano, » spiega Lincoln, una volta che si sono strette le mani senza versamenti di sangue. « È tornata con noi per terminare le negoziazioni per un nuovo campo vicino al suo villaggio. »

Dal modo in cui Nia sta guardando Bellamy, Clarke è abbastanza sicura che questa non sia l’unica ragione per cui è venuta.

E dal modo in cui Bellamy sta ricambiando lo sguardo, Clarke è abbastanza sicura anche del fatto che sarebbe più che poco diplomatico sbatterla fuori dal campo immediatamente.

C’è un altro piccolo momento di imbarazzo, ma la giovane Griffin non lo percepisce più così acutamente e può farcela, deve farcela, e così, con un altro finto sorriso, si sposta di lato e fa segno al gruppo di entrare all’interno del campo.

« Beh, immagino che dovremmo avviarci alle stanze del Consiglio per terminare le negoziazioni. »

Nia ricambia il sorriso che sembra apparentemente sincero. Bellamy sembra più scettico e fissa Clarke in modo strano, come se stia cercando di decifrarla. Lei si assicura di non incontrare il suo sguardo, è sempre stato troppo bravo a leggerla anche quando non dice una parola, e invece si volta verso Octavia e Lincoln con un sussurrato “Bentornati” sulle sue labbra.

Lincoln accenna un mezzo sorriso, che per lui equivale ad un abbraccio, e perfino Octavia non sembra tanto arrabbiata quanto lo era quando se ne sono andati tutte quelle settimane fa.

Bellamy sospira, ma non la provoca oltre e invece si mette al comando, camminando con la schiena verso l’Arca e Nia al suo fianco.

I loro passi non corrispondono nemmeno, sempre un po’ fuori ritmo l’uno con l’altro, e in questo Clarke coglie un piccolo e malsano piacere, mentre procede in fondo al gruppo, Raven di nuovo al suo fianco.

«  Vuoi che la faccia fuori? » Chiede lentamente l’altra, quando gli altri si sono allontanati abbastanza da non poter sentire.

Clarke si volta per sorriderle, ma trova l’espressione dell’altra ragazza seria, il che accresce il suo sorriso, anche se può percepire la tristezza fare capolino agli angoli.

« No, » dice con sicurezza, per quanto possa essere tentata dal pensiero. «  Lui è felice. Questo è quello che ho sempre voluto per ognuno di noi. Per lui. »

Raven emette un suono di disgusto, ma fa scontrare la spalla contro la sua giocosamente. La leader ricambia il contatto, ricordandosi di non piangere.
 
 
 



Se ne vanno dopo due settimane.

Finire le negoziazioni riguardava soprattutto l’insistenza del leader del clan dell’Oceano che fosse Clarke a stipulare il patto, qualcosa che, ne è sicura, ha semplicemente elettrizzato Bellamy.

Ricontrolla l’accordo pubblicamente, ma la verità è che si fida del suo co-leader, e se lui ha pensato che fosse abbastanza giusto tornare indietro, allora per lei è sufficiente.

Quando firma ufficialmente, lei e Nia devono brindare sul nuovo barile di moonshine di Monty, e Clarke forse butta giù più del necessario, dopo aver accostato il bicchiere a quello della ragazza che trascorre tutte le notti nella tenda di Bellamy.

Lasciare il Campo Jaha comporta meno sfarzo e celebrazioni, solo un gruppo raccolto ai cancelli (trentacinque dei quali sono stati salvati dal Mount Weather e i loro genitori, qualcun altro che è venuto giù con l’Arca. Non più di sessanta in totale, molti meno di quanti fossero all’inizio, ma con molto di più di quanto lei avrebbe potuto sperare.)

Sua madre arriva per salutarla, lacrime negli occhi, anche se il loro abbraccio è ancora rigido dopo tutto questo tempo.

Clarke sa che le mancherà, ma la distanza potrebbe farle bene in molti modi, dopo tutto.

Jaha stesso voleva fare un discorso, ma Kane ed Abby l’hanno convinto, e così è con poco più di un saluto delle mani che loro seguono la propria strada ancora una volta.

Clarke guida il gruppo, lo zaino pesante sulla schiena, pieno di medicine e altre necessità che non servivano all’Arca.

Cammina da sola per qualche momento, Raven è dietro di loro, guida uno dei carri che Lexa gli ha regalato, il resto dei suoi amici mischiati nel gruppo e allegri.

Ha un attimo per pensare se questo è come saranno le cose ora che lei è di nuovo la loro leader, questa volta senza un compagno al suo fianco.

Ma poi Bellamy è lì, vicino a lei, il sorriso sul suo volto più luminoso e libero di quanto sia stato per settimane.

Procedono in un ritmo perfetto l’uno al fianco dell’altra, spalla contro spalla, e guidano la loro gente in un nuovo mondo.

 
 
 
Organizzano il loro campo a mezzo miglio dalla spiaggia, un doppio anello di capanne attorno ad un fuoco centrale, lo stesso stile del clan dell’Oceano.

Nia rimane con loro per aiutarli a costruire, e continua a rimanere dopo che si sono stabiliti, trasferendosi nella capanna di Bellamy.

Clarke cerca di non rimanerci male, cerca di essere felice per loro, ma la sua stessa nuova casa sembra in qualche modo più vuota, sapendo che lui sta condividendo la propria con un’altra.

Fortunatamente c’è abbastanza lavoro da fare, e questo la mantiene occupata, non solo come dottore del campo, ma anche con i compiti giornalieri della pesca, della raccolta e della costruzione. La gente di Nia gli fa visita ogni tanto, insegnandogli come costruire reti per pescare, come trasformare l’erba in torce che bruciano bene con la legna che loro raccolgono.

Vengono organizzate delle ronde, nonostante la pace negoziata e la promessa dal clan dell’Oceano che non ci sono gruppi ostili per miglia e miglia, e turni più semplici – cucinare, costruire rimesse, portare i panni ad un ruscello vicino e riportare acqua fresca indietro.

Clarke ha un turno in ognuno di questi, e, se si assicura di non essere mai accompagnata da Bellamy e Nia, beh, questo è solo un vantaggio dell’essere il capo.

Evitare e lavorare duro non è tutto quello che fa, però. Ci sono anche momenti felici, come quando una notte Jasper inizia a cantare ad un falò, o quando Miller trova delle sorgenti calde nei boschi e tutti fanno a turno per avere il loro primo bagno caldo dopo quelli che sembrano anni.

I suoi amici sono di nuovo tutti con lei, e stanno tutti guarendo con ogni giorno che passa – sia fisicamente che interiormente.

Perfino la gamba di Raven fa meno male, in un clima più mite che sembra resistere lungo la costa, e anche le sue immersioni giornaliere nell’acqua calda contribuiscono.

Le cose vanno bene, pensa Clarke durante la maggior parte dei giorni. Non sono perfette, forse, non belle come una volta aveva sperato che sarebbero state, ma se perdere l’amore di Bellamy era il prezzo di tutto questo, allora non può dire che lui abbia sbagliato a chiederle di pagarlo.

Qualche volta trova Nia a guardarla dall’altra parte del falò, un’espressione indecifrabile, e Clarke si chiede cosa veda l’altra ragazza. Spera che non sia la durezza del suo cuore spezzato che brilla, o le cicatrici del passato scritte sul suo volto, permanenti anche se quasi sempre invisibili.

Ogni volta che coglie il suo sguardo, però, Nia si sbriga a voltarsi dall’altra parte, solitamente verso Bellamy, e così lei cerca di non soffermarcisi su.

La maggior parte delle volte ci riesce.
 



 
 
Clarke guarda il gancio nelle sue mani e poi alza gli occhi verso il tetto della capanna, appena fuori portata. Non è nemmeno un soffitto tanto alto, alcuni dei ragazzi più alti devono abbassare la testa quando sono dentro, ma è perlomeno una quindicina di centimetri troppo alto da raggiungere anche in punta di piedi, e lei non vuole salire sul letto proprio ora che ha delle lenzuola pulite.

Potrebbe semplicemente riprendersi la sua sedia da Raven, ma quello richiederebbe attraversare tutto il campo e senza dubbio essere interrotta dalle domande o dai bisogni di qualche ragazzo.

Tutto quello che vuole fare è attaccare questo dannato gancio, così potrà agganciare le erbe da far essiccare, è troppo da chiedere?

« Qualche problema, Principessa? »

Ovviamente questo è il momento in cui Bellamy avrebbe deciso di apparire, parlando lentamente con una sorta di derisione nella voce che all’improvviso le fa sentire caldo, anche se non vuole decidere se sia per l’imbarazzo o la frustrazione o qualcosa di completamente diverso.

«  Nah, me la cavo alla grande. » Risponde fra i denti, gettando uno sguardo al soffitto e domandandosi quanto sembrerebbe ridicola se saltasse e cercasse di agganciare l’affare.

Questa è la prima volta che lui la viene a trovare da quando si sono trasferiti, la prima volta che sono soli dopo mesi, e lei odia sentirsi in imbarazzo con lui in un modo in cui non si è mai sentita.

Odia volere che se ne vada immediatamente e rimanga per sempre alla stessa misura.

« Avanti, non fare così, » le dice, sbuffando un po’ con impazienza quando lei allontana il gancio dalla sua presa, « Lascia che ti aiuti. »

« Ce la faccio, grazie. » Lo dice forse un po’ più aspramente di quanto intenda fare, ma lui è così vicino, e il suo calore circonda il suo spazio, e il suo cuore sta battendo così forte che lui lo sentirà, se non si allontana.

« Clarke, smettila di essere così testarda. »

A quel punto la aggira, la costringe contro il muro della capanna, e le toglie il gancio di mano con un verso di trionfo.

Solo quando la guarda con quegli occhi accesi dalla vittoria e un ghigno spavaldo, sembra accorgersi di come stiano, premuti contro la parete della capanna.

« Uh, » dice lui, fissandola, e lei può giurare che per un momento i suoi occhi si siano spostati sulla sua bocca. Clarke si lecca le labbra nervosamente e lui arrossisce, un bel rossore sulle guance, mentre sposta lo sguardo sulla parete.

Lei è improvvisamente tentata di baciarlo, il che è definitivamente vietato, quindi fa in modo di premere contro il suo petto finché lui non indietreggia, gli occhi che tornano sul suo volto, ora che c’è un po’ più di distanza fra loro.

« Il mio gancio? » Chiede lei, allungando una mano, mentre lui continua a fissarla stordito. Lui sposta lo sguardo sull’oggetto nelle sue mani e sembra tornare in se stesso, scuotendo lievemente la testa come se si fosse svegliato da un sogno.

« Dove lo volevi? » Domanda, e ora c’è qualcosa di più morbido nella sua voce, il che è ancora più pericoloso del ritmo provocatorio di prima.

Lei indica il soffitto sopra ai suoi scaffali fatti in casa e lui lo raggiunge facilmente, infilando un’estremità del gancio nel filo attraverso i bastoni ombreggiati, così che pendoli abbastanza in basso da essere raggiunto facilmente.

« Grazie. »

« Figurati. » Dice lui velocemente, le mani in tasca ora che sono vuote, e indietreggiando lontano da lei, verso la porta. « Quando vuoi. »

« Volevi qualcosa da me? » Gli chiede, la voce esitante quanto la sua. Tutta questa cosa è strana, odia che sia strana, e non può smettere di pensare a com’era sentirlo premuto contro di sé, il che è meno strano e più frustrante.

« Cosa? » Gracchia lui, mentre il suo volto diventa più rosso e si rifiuta di guardarla.

« Quando sei venuto qui? » Gli ricorda. « Volevi qualcosa? »

« Oh! Uh, in realtà no. Volevo solo, um, controllare come te la passavi. »

Lei non può trattenere il sentimento di delusione nel suo stomaco, non che avesse sperato davvero che lui, dopo settimane, si presentasse con felici coccole per dichiararle il suo immortale amore o qualcosa del genere, ma un amichevole controllo dopo tutto questo tempo in cui si sono a malapena parlati sembra comunque una fitta di dolore.

« Beh, me la passo bene. Se era tutto… »

« Sì, » Conferma, « Era tutto. »

Lei si volta verso i suoi scaffali, comincia a sistemare le scorte mediche sistemate lì così da non dover vederlo andarsene, ma può ancora sentirlo dietro di sé, immobile.

Le sue spalle sono strette per la tensione, ed è pronta a dire qualcosa di probabilmente stupido, possibilmente cattivo solo per interrompere il silenzio, quando lui sospira.

« Sono venuto perché mi manchi. »

Il cuore di Clarke è nella sua gola mentre tossisce, « Oh? »

« Già, » Ammette. « Non abbiamo nessun turno insieme, e ho capito che poteva non essere totalmente casuale. E immagino che volevo dirti che spero tu non lo stia facendo per me, perché non ce ne è bisogno. Ora sto bene, io e Nia stiamo bene, e quindi se mi stai evitando per rendermi le cose più semplici, beh, non farlo, ok? Mi manca parlare con te e lo odierei se non potessimo essere nemmeno amici. »

Lei tiene gli occhi fissi sulla parete davanti a sé, non riesce a guardarlo e nascondere la minaccia delle lacrime che le bruciano gli occhi.

Riesce, però, a rendere la sua voce ben ferma quando risponde. « Mi manchi anche tu. »

« Davvero? » Le chiede.

Vuole scuoterlo, o abbracciarlo, o fare qualcosa. Vuole fargli vedere che non lo ha evitato per il suo conforto, ma per il proprio, che non è stata la mancanza di desiderio per la sua compagnia che l’ha tenuta lontana, ma la paura di quello che avrebbe potuto fare con troppa vicinanza.

Realizza, all’improvviso, che Bellamy non ha mai veramente creduto che lei avrebbe potuto amarlo nemmeno la metà di quanto in realtà lo ami, o altrimenti l’avrebbe già capito.

Ma è troppo tardi per dirglielo, troppo tardi per qualsiasi tipo di confessione che servirebbe solo a ferirlo di più, e così lei deglutisce il groppo alla gola e si costringe a voltarsi e sorridergli.

« Davvero. Vedrò cosa posso fare per spostare un turno o due, okay? Guarda caso ho agganci con il capo. »

A quello lui ride, un suono che lei ha sentito troppo poco durante il loro tempo insieme. « Okay. »

Dopo ciò se ne va davvero, un sorriso spontaneo sul volto e un occhiolino lanciato alle sue spalle mentre si avvia.

Lei lo segue fino alla porta, lo guarda camminare con il suo passo disinvolto verso il centro del campo, dove Nia sta insegnando ad alcuni dei ragazzi più giovani a costruire il falò.

Lui getta una mano attorno la sua spalla, posa un bacio al lato della sua testa, e Nia lo guarda così felicemente che Clarke è costretta a guardare altrove.





 
 
 
Una sera Octavia la trova durante il tramonto, cinque settimane dopo aver sistemato tutto e dopo che il campo inizia a sembrare una vera casa.

Clarke è seduta su una delle dune più alte, sta guardando la luna sollevarsi sopra le onde mentre l’oscurità cala, e non si gira quando l’altra ragazza si siede vicino a lei, accontentandosi di aspettare e vedere cosa la aspetta.

Per un lungo momento rimangono sedute, guardando il flusso della marea.

« Non ti odio più. » Dice Octavia alla fine, le ginocchia raccolte al petto e le braccia strette attorno alle cosce.

Clarke distoglie lo sguardo dall’acqua, appoggia la guancia sulle proprie ginocchia. « Andrebbe bene se lo facessi. » Dice con calma.

L’espressione di Octavia si incupisce un po’. « Lo so. »

«  Okay. »

« È solo che, » Si ferma, si morde le labbra in una maniera così simile a quella di suo fratello che Clarke sente un dolore acuto al cuore. Lo sguardo che l’altra le manda quando continua a parlare, però, è tipicamente suo.

« Quando l’hai mandato alla Montagna, hai spezzato il suo cuore. » Afferma senza pietà, e la bionda accetta la fitta di dolore perché è vero, e lei se lo merita.

« E quando è tornato era a pezzi. » Continua lei.

Sa che non intende solamente fisicamente, sa forse meglio di chiunque altro quanto lo abbia danneggiato. « Lo so. » Dice con calma.

« So che lo sai. » Sospira O. « Quando abbiamo lasciato il Campo Jaha per venire qui a negoziare, non pensavo che ti avrebbe mai dimenticata, e ti odiavo ancora di più per avermelo portato via e averlo gettato via come se non contasse niente. Ma, alla fine, ha iniziato a guarire. »

La bionda sa anche questo e cerca di non immaginarsi la bella faccia di Nia.

« E poi siamo tornati, » Octavia sta continuando, ora più lentamente, e la guarda come se sappia leggere i segreti nel suo cuore, « E ho capito che forse il suo cuore non era l’unico che era stato spezzato. »

Clarke deve distogliere nuovamente lo sguardo, mentre le parole graffiano con forza qualcosa dentro al suo petto. Fissa gli occhi nel fermo crescere e decrescere delle onde davanti a lei, si concentra nel combinare il suo respiro con il crescendo finché non fa più così tanto male.

« Mi dispiace. » Dice l’altra con sincerità, e Clarke sa che non si riferisce al fatto che ha detto la verità o che prima la odiava.

« Non è colpa tua. »

« So anche questo, » Insiste, « Ma le cose fanno schifo, per tutti e due, e mi dispiace per questo. »

Rimangono sedute in silenzio di nuovo, anche se ora c’è un’aria migliore fra di loro che non c’è stata per moltissimo tempo e che
Clarke trova vagamente confortante. Dopo tutto, le è mancata anche Octavia.

« Lui è felice? » Chiede alla fine, perché se qualcuno lo sa, quella è O, e lei in qualche modo ha bisogno di sentire la risposta, anche se fa male, « Con lei? »

Percepisce Octavia sollevare le spalle al suo fianco, incapace di guardarla negli occhi mentre attende per il rintocco della morte della sua speranza.

« Onestamente? Non lo so. »

Non è la risposta che si aspettava, e la brunetta sembra capirlo, perché alza nuovamente le spalle, prima di appoggiarsi alle proprie gambe e guardare in alto, verso le stelle.

« Quando eravamo lassù, sull’Arca, prima che tutto andasse al diavolo, pensavo che fossimo felici. Che lui fosse felice. Ma da quando siamo scesi qui giù… Non sono nemmeno sicura di sapere cosa sia la felicità, ormai. »

« Nemmeno io. » Ammette Clarke.

La minore dei Blake le concede un mezzo sorriso, triste e comprensivo, prima di voltarsi nuovamente verso il cielo.

Alla fine la leader si stende al suo fianco, e guardano le selle splendenti sopra di loro e più lontane che mai.
 
 
 
 
 
Tenendo fede alla propria parola, Clarke cambia leggermente il programma così che lei e Bellamy abbiano qualche turno insieme.

È ancora difficile, all’inizio, mentre loro cercano di capire, con molto imbarazzo, come stare di nuovo insieme, trovando un nuovo percorso fra le vecchie abitudini e gli antichi dolori.

Ci sono dei momenti, specialmente quando sono di guardia notturna, seduti spalla contro spalla ai confini del campo, e mentre parlano con voci ovattate per non svegliare nessuno, in cui sembra che potrebbe ucciderla continuare a fare tutto questo – continuare a fingere di non essere innamorata di lui.

Ma alla fine diventa più facile, e lei si ricorda che perfino prima di piacersi, loro lavoravano bene insieme, e, prima che l’amore si avvicinasse alla sua mente o al suo cuore, lei aveva davvero imparato a godersi la sua compagnia.

Si assicura tutt’ora che nessuno dei suoi turni sia con Nia, non ancora pronta a provare e instaurare un’amicizia, e, se Bellamy se ne accorge, non ne fa parola, fatto per il quale lei è grata.

Clarke si era preoccupata che lui avrebbe voluto vederle legare, che avrebbe voluto avvicinarle come amiche, ma quando sono insieme lui parla a malapena di Nia.

Lei si rifiuta di leggerci qualcosa dentro, però, perché alla fine di ogni sera Bellamy e Nia tornano comunque alla loro capanna insieme.

Tuttavia, nonostante i suoi migliori sforzi, Clarke non può impedirsi, qualche volta, di catalogare il suono della sua risata quando è con lei e il suono della sua risata quando lo vede sorridere con Nia attraverso il falò, durante la cena.

Non può fare a meno di quantificare il modo in cui guarda l’altra ragazza, cercando di trovare nel suo sguardo la scintilla che vedeva quando una volta guardava lei (la stessa che giura di vedere ancora adesso, soprattutto quando sono nel bel mezzo di una bella discussione).

Ricorda a se stessa dei pericoli di un pensiero speranzoso, e cerca di costringersi ad andare avanti e lasciarsi tutto alle spalle. Bellamy lo ha fatto e, mentre il tempo passa, deve farlo anche lei.

Ci prova, davvero. Quando è nel servizio di lavaggio con Miller, cerca di ammirare le sue braccia forti mentre passano il sapone sui loro vestiti, cerca di costringersi ad immaginare quelle braccia strette attorno alla sua vita e avvicinarla.

Non funziona troppo bene, però, e alla fine Miller le chiede di smetterla di fissarlo con uno sguardo esasperato sulla sua faccia, come se sapesse quello che sta facendo. Lei arrossisce e non lo guarda di nuovo per il resto del giorno.

Clarke osserva Monty aggiustare i fili e l’intreccio con il vecchio grammofono che ha trovato nel bosco, e cerca di immaginare le sue dita abili contro la propria pelle, ma lui le sembra troppo familiare, ha già il suo posto nel suo cuore come amico e membro di famiglia, niente di più.

Tenta addirittura di vedere se riesce a sentirsi in quel modo con Raven, che ama più di chiunque altro oltre a Bellamy – che, in realtà, ama tanto quanto Bellamy, solo che in un modo diverso.

Dopo tutto, la giovane Reyes è bellissima ed intelligente e capace e abbastanza arrabbiata da litigare con lei, il che qualche volta è bello.

Ma alla fine, dopo un bacio dovuto all’ebrietà del moonshine, Raven la infila a letto e le intima di smetterla di forzare qualcosa che non c’è, anche se è davvero lusinghiero per il suo ego.

Così, alla fine, Clarke mette da parte il fatto di andare avanti, e invece si concentra sull’imparare a vivere con il modo in cui si sente.

Anche questo diventa più facile e, dopo quasi due mesi nella loro nuova casa, realizza che amare Bellamy non è più un dolore affilato nel suo petto.

È, invece, semplicemente parte di lei, un ronzio sotto la sua pelle e una sicurezza nel suo cuore che sembra permanente in un modo che non fa più così male.




 
 
 
Celebrano l’arrivo dell’estate con una festa.

Viene invitato tutto il clan dell’Oceano, e trascorrono la settimana precedente a pescare, a raccogliere e a cucinare per l’evento.

Monty prepara un doppio carico del suo moonshine – abbastanza da farli ubriacare tutti – e sono tutti immersi nei loro bicchieri prima che il sole tramonti.

Clarke si aggira ai lati della celebrazione per un po’, all’inizio, assicurandosi che non ci siano tensioni o discussione durante questo primo vero mix dei loro gruppi.

Alla fine, però, Harper la trascina in uno dei loro giochi alcolici e lei si sente un po’ più brilla.

Sa che ad un certo punto Octavia ha tentato di farla ballare una delle danze dei Grounders, sa di aver trascorso qualche momento con la testa poggiata sulla spalla di Jasper, ridendo ad una barzelletta che entrambi hanno finito per dimenticare, e sa che ha esultato insieme a tutti gli altri quando Wick ha finalmente gettato Raven all’indietro e l’ha baciata.

Alla fine il cuore e la calca diventano troppo caldi, però, quindi si fa strada fuori dalla folla inciampando via, verso le dune.

Ultimamente sono diventate uno dei suoi posti preferiti, la sabbia lievemente smossa che trattiene il calore del giorno anche quando il sole è tramontato da un pezzo, e il vantaggio di un punto perfetto per osservare la marea cambiare o le stelle sollevarsi nel cielo.

Solitamente si ritrova lì da sola, mentre la maggior parte degli altri di notte preferisce stare più vicino al campo, ma stanotte, quando barcolla verso la salita della duna più alta, quella che considera come sua, trova qualcun altro già seduto al suo posto.

Bellamy si volta mentre lei si avvicina, e il suo sorriso è sghembo e anche i suoi occhi sono illuminati dal moonshine.

« Ciao, » le dice, sorridendole e colpendo il posto sulla sabbia al proprio fianco. « Vorresti unirti a me? »

Lei si sente come se dovesse sapere che questa sia una brutta idea, ma non può proprio ricordarsi perché, e poi è stanca per la camminata e comunque non è sicura di poter più stare dritta. Quindi si siede al suo fianco, rabbrividendo leggermente quando il vento sale dal mare.

Lui mette un braccio attorno a lei, e anche questo sembra qualcosa contro cui lei dovrebbe protestare, ma lui è caldo e consistente al suo fianco, così si fa più vicina e poggia la testa contro di lui.

« Ti stai divertendo stanotte, Principessa? » Domanda, un vecchio e familiare soprannome che nella sua testa rende le cose molto più confuse.

Tuttavia annuisce, sente la sua guancia appoggiarsi contro i capelli quando smette di nuovo di muoversi.

« Ti ricordi il Giorno dell’Unità? » Le chiede dopo un po’, la sua voce un sussurro che lei può percepire più che sentire.

Lotta contro il confortante calore di lui per riportare a galla il ricordo di un giorno che era iniziato felicemente ed era finito in modo triste, come molti di quelli a venire.

« Quale parte? Quella in cui mi sono ubriacata o quella dell’incontro fallito con i Grounders? O forse quando credevo che mia madre fosse morta? »

« Oh, » dice lui, sembrando sorpreso, « Mi ero dimenticato di quest’ultima parte. »

« Beato te. » Mormora, ma non c’è foga nella sua voce, è troppo comoda e felice per essere sconvolta da qualcosa che sembra avvenuto una vita fa.

« Stavo pensando alla prima parte, prima che tutto andasse a puttane. »

« La parte in cui ero ubriaca? » Domanda lei confusamente.

« La parte in cui eri felice, » La corregge, mentre il suo braccio si stringe di più attorno a lei, « Stavo pensando al fatto che quella è una delle ultime volte in cui ti ho vista sorridere veramente. »

Clarke vuole correggerlo, ma non ricorda proprio una singola volta in cui si sia sentita così spensierata come allora.

« Ricordo di averti guardata, » continua, riportandola alla realtà. « Stavi giocando a una certa versione del gioco della monetina con Sterling e qualche altro ragazzo. Sono abbastanza sicuro che tu stessi vincendo, sembravi così felice, cazzo, e ricordo di aver pensato che eri probabilmente la cosa più bella che io avessi mai visto. »

Clarke si sente raggelare, la sua mente che si schiarisce, la fa riflettere solo un po’ mentre lui parla. Le sue parole sono come un dolore pesante nel petto, come il peso delle lacrime che le stanno salendo agli occhi, diffondendo nello stomaco un calore che non le appartiene, fino alle dita delle mani e dei piedi.

« Bellamy, » dice, e non sa se sia una richiesta o un avvertimento.

Lui però non si muove, non la guarda, e, quando tossicchia una risata, lei pensa di poterne sentire il peso anche nel cuore di lui. « Sei ancora la cosa più bella che io abbia mai visto, Clarke. »

Non si è mai sentita così felice e così triste in un solo momento come si sente ora. Vuole così tanto che lui intenda davvero dire quello, che quella parole significhino davvero qualcosa per loro, ma non possono.

Perché Nia è da qualche parte nel campo, sta ridendo ed è felice e sta aspettando che lui ritorni. E perché Bellamy non vuole più questo, non per davvero. È ubriaco e nostalgico, e lei sarebbe davvero una persona orribile se si approfittasse di ciò, anche se vorrebbe davvero tanto.

« Sei ubriaco, » Gli dice gentilmente, allontanandosi un po’ e spostandosi in ginocchio davanti a lui, così che possa vedere il suo volto. « Non lo pensi. »

« Lo penso. » Le dice, e la sta fissando tanto sinceramente che lei quasi gli crede.

È abbastanza per ammorbidire la sua risoluzione per un momento, dopo tutto anche lei è piuttosto ubriaca, e si spinge in avanti per cingergli il volto con le mani. Lui chiude gli occhi, fa un altro rumore strozzato, metà triste e metà desideroso, e preme la propria guancia contro il suo palmo.

Lei vuole dirgli che lo ama ancora, vuole dirgli che alcuni giorni pensa che lui sia l’unica cosa davvero bella in questo pianeta dimenticato, ma poi lui apre gli occhi di nuovo e lei vede nel suo sguardo le tracce del cuore spezzato che lei ci ha messo dentro non molto tempo fa.

Quindi si mangia le parole, preme un bacio gentile sulla sua fronte e poi si alza, allungando una mano per aiutarlo ad alzarsi.

Ci vuole un po’ di frizione, ma lei lo tira su, si ritrova abbracciata e sta ricambiando l’abbraccio, il naso sepolto nel suo collo e il suo odore familiare e straziante allo stesso tempo.

Prima che lei possa perdersi nell’abbraccio, lui si allontana, lancia un braccio attorno alle sue spalle e li volta verso il campo.

Si separano prima di raggiungere la luce del falò, le dita di Bellamy che corrono lungo il suo braccio mentre lei si allontana fino a che il contatto è interrotto. Lui la osserva andare via per un minuto, sembra che voglia dirle qualcosa, ma alla fine le concede un ultimo sorriso sghembo e si volta verso la folla.

Anche Clarke si volta, e non ha più voglia di festeggiare.
 
 









Sono stati in questo villaggio vicino al mare per quasi sette mesi, quando Bellamy torna a casa da un mattinata di pesca e trova Nia che fa i bagagli in una borsa che non riconosce.

« Che succede? » Le chiede, curioso ma non ancora sospettoso, mentre appende canna e rete sulla parete fuori dalla porta. « Te ne vai prima per andare a trovare la tua famiglia? »

« Più o meno. » Gli dice, gettando gli ultimi oggetti nel suo zaino con un sospiro, prima di voltarsi per guardarlo in faccia.

Lui realizza, allora, che lei ha messo via decisamente troppo per un viaggio normale, che in effetti sembra che abbia eliminato ogni sua traccia dalla capanna, e così il timore si sta già infittendo nel suo stomaco quando lei dice: « Dobbiamo parlare. »

« Di cosa? » Chiede, odia che la preoccupazione ora sia accompagnata dal senso di colpa, odia di sapere già di cosa si tratti perché è piuttosto sicuro che sia tutta colpa sua.

« Di Clarke. »

Bellamy non è certo di cosa dire, pur sapendo che questo momento sarebbe arrivato. Questa non è la loro prima discussione riguardo Clarke, dopo tutto. In effetti, ancora prima che diventassero una coppia, lui e Nia erano soliti parlare dei loro passati, e Clarke era ovviamente una parte recente del suo, per cui Nia aveva saputo tutta la storia perfino prima che si baciassero.

Dato che vivono insieme, Clarke è stata un argomento sempre più frequente. All’inizio sembrava solamente una genuina curiosità – Nia stava tentando di ricamarsi uno spazio con la sua gente, e con Clarke come loro leader era sembrato solo naturale che volesse conoscere l’altra donna.

Ma con il tempo le discussioni si sono trasformate sempre più frequentemente in litigi riguardo a quanto tempo lui trascorra con Clarke, riguardo a cosa provi per lei, riguardo a cosa Nia pensa che Clarke provi per lui.

Non sembra essere rilevante il numero di volte in cui lui le assicura che quella porta è chiusa fermamente alle sue spalle, lei non sembra mai credergli del tutto.

Probabilmente non aiuta nemmeno il fatto che lui stesso non sia sicuro di crederci, la maggior parte delle volte. Ma ci ha provato.

« Cosa di Clarke? » Gracchia.

« Tu dici che è la tua heda, e una tua amica, » Dice Nia, la voce calma e triste, « Ma Bellamy, lei è più di questo. Lei è il tuo cuore. E io non posso competere con questo. È tempo che smetta di provarci. »

« Non è una competizione! » Insiste lui disperatamente, anche se può percepire la verità delle sue parole che gli riecheggia nel petto.

« Hai ragione, » Gli dice lei, e, quando lo guarda, questa volta può leggere la fine nei suoi occhi. « Non lo è. Ecco perché sto tornando al mio villaggio, dalla mia gente. E perché tu dovresti andare da lei. »

Bellamy non sa cosa dire, e la sua mancanza di parole sembra rivelarle più di qualsiasi altra cosa.

« All’inizio pensato che con il tempo lei sarebbe stata davvero una parte del tuo passato, » gli dice, « Pensavo che forse avresti imparato ad amarmi, ad amare la vita che avremmo potuto costruire insieme. Ma più resto qui, più vedo che sarà sempre lei, sia che ricambi i tuoi sentimenti o meno, per te sarà sempre lei. »

Questa volta non c’è più rabbia nella sua voce, solo una triste rassegnazione. Lui cerca di trovare una risposta da darle, cerca di rifiutare, ma non ci riesce.

« Credevo fossimo felici. » Riesce a dire, anche se non è nemmeno sicuro che sia totalmente vero.

« Lo eravamo, » Conferma, « Delle volte. Mi hai regalato una visione del mondo completamente nuova, Bellamy Blake, e mi piace pensare che io abbia contribuito a curare il tuo cuore. Ma se continuiamo così, non saremo più felici, e preferirei che ci separassimo da amici. »

Lui la guarda senza speranza, perché non può contraddirla, non è nemmeno sicuro di volerlo fare, per quanto lo faccia sentire colpevole. Lei gli sorride con dolcezza, anche se i suoi occhi sono ancora tristi e straziati, e gli bacia la guancia. « Grazie per tutto quello che mi hai dato. » Gli dice.

C’è un momento in cui Bellamy sa che potrebbe farla restare, se volesse. Potrebbe offrirsi di tornare con lei al suo villaggio, potrebbe dirle che ama lei e solo lei, potrebbe convincerla che Clarke non ha alcun posto nel suo cuore, figuriamoci esserlo.

Lei esita a tirarsi via e se lui volesse potrebbe cogliere l’attimo e tenerla qui con sé.

Invece lascia che il momento passi e prende la sua mano nella propria, poi dice: « Addio, Nia. E grazie a te, per avermi ridato me stesso. »

Il suo sorriso vacilla sotto le lacrime per un minuto, ma lei prende un respiro profondo e si raddrizza in un modo che gli ricorda talmente tanto Clarke che all’improvviso gli risulta davvero facile vedere perché ha scelto questa ragazza.

Il paragone non sarebbe ben accetto in questo momento, pensa, nonostante quanto lei stia essendo gentile riguardo a tutta la storia, quindi tiene la bocca chiusa e l’accompagna alla porta.

Lei lo bacia ancora, un concreto addio questa volta, e, quando se ne va, lui si rende conto che non le manca così tanto come si era aspettato, il che è triste, a modo suo.

Triste per lei, che alla fine lui non poteva amarla nel modo in cui lei meritava, e triste per lui, che il suo cuore è ancora legato ad una ragazza che avrà sempre il potere di distruggerlo.

Sono le prime ore del giorno e Clarke è fuori alle dune, tagliando e legando fasci di erba per il falò prima che faccia troppo caldo per lavorare.

Quando vede Bellamy avvicinarsi per il suo solito turno di mattina, il suo umore si solleva, il solo vederlo èabbastanza da farla sentire un po’ più leggera, anche se i suoi pensieri si confondono quando vede che è solo.

Non appena si avvicina, in piedi sopra di lei e gettando un’ombra dietro di lui, lei guarda su e sorride.

« Dov’è Nia? » Domanda, tagliando un altro mazzo e lanciandolo in cima alla pila. « Di solito non ha i turni di mattina con te? »

Bellamy si morde le labbra e si volta a guardare l’oceano, come se stesse evitando di incontrare il suo sguardo.

« Nia è tornata al suo villaggio. » Dice dopo qualche momento.

Clarke aggrotta le sopracciglia. « Per una visita? Pensavo non partisse prima di un’altra settimana. »
« Um, per sempre, in realtà. Noi, ah, noi non stiamo più insieme. » Pronuncia le parole con tranquillità, e rimane voltato, così che Clarke non possa nemmeno leggere la sua espressione.

« Oh, » Risponde lei, mentre le sue mani si fermano sopra il prossimo mazzo d’erba.

A quel punto lui si volta verso di lei, e, anche se sembra un po’ triste, il suo sorriso è genuino e leggero. « Oh? » La prende in giro, ridendo quando lei fa una smorfia.

« Ti dico che sono appena stato scaricato e tutto ciò che hai da dire è oh? Dio, Clarke, pensavo fossimo amici. »

Clarke lo sta ancora fissando in silenzio, incapace di elaborare le sue parole, mentre un milione di pensieri le attraversano la mente, la maggior parte di questi egoisticamente allegri.

Il sorriso di lui diminuisce un po’, e questo più di altro la riporta alla realtà. Lui ha appena perso una persona cara, questo non è il momento di perdersi in fantasia di qualche nobile momento romantico.

Inoltre, lui ha detto che è stata Nia ad andarsene, il che significa che non può aver avuto niente a che fare con qualche sentimento che Bellamy potrebbe o non potrebbe avere per lei. Giusto?

« Vuoi parlarne? » Gli chiede, compiaciuta di sembrare preoccupata e amichevole e non affatto alla disperata ricerca di altre informazioni.

Bellamy scrolla un po’ le spalle, si china per raccogliere una roccia dalla sabbia e la lancia verso l’acqua. « Non molto. »

Clarke non è sicura di cosa dovrebbe dire adesso, dovrebbe persuaderlo a condividere i suoi sentimenti? Offrirsi di abbracciarlo?

« Vuoi aiutarmi a tagliare l’erba? » Domanda, trasalendo non appena le parole escono dalla sua bocca.

Ma lui si volta verso di lei e sorride, di nuovo allegro. « Certo. »
 
 
 
A cena si siede vicino a lei.

Ogni notte, da quando Nia se ne è andata, lui l’ha trovata vicino al falò o ad uno dei tavoli comuni e ha preso il posto vicino a lei mentre mangiavano, discutendo di ciò che accadeva nel campo, le necessità del gruppo, i piani per il futuro.

È così simile a quello che facevano prima che tutto andasse al diavolo per l’ennesima volta, e Clarke è disperatamente grata per questo.

Le fa anche pensare fin troppo a cosa possa significare, il che è semplicemente il primo passo sul pendio scivoloso del volere che significhi di più di quello che significa, e lei cerca con ogni forza di non compiere quel passo.

Dovrebbe essere abbastanza, averlo di nuovo così presente nella sua vita. Dovrebbe essere abbastanza.

Ma la verità è che non si tratta solo della cena.

All’improvviso Bellamy sembra essere dovunque lei si volti, aiutandola alla clinica, facendole compagnia per il suo turno di guardia notturno, aiutandola ad alimentare il fuoco e dando lezioni di nuoto e insegnando le abilità basilari di botanica ai gruppi attorno a lui.

Lui è sempre nei paraggi, con i suoi sorrisi e le sue mani e la sua generale abilità in qualsiasi cosa, facendola arrossire e distraendola.

Clarke è piuttosto sicura che sappia anche quello, se i ghigni arroganti che le riserva sono qualche indicazione.

La sta facendo impazzire, ma sarà dannata se sarà lei a parlarne per prima. Non ha intenzione di rovinare qualsiasi sia la nuova fase dell’amicizia in cui stanno entrando confessandogli i suoi sentimenti non corrisposti per lui.

Nemmeno se ci sono momenti in cui non è così sicura che siano davvero non corrisposti.

Come quando lui si offre di massaggiarle le spalle dopo aver trascinato nuove pile di erba o dopo aver acceso il falò.

O quando la segue durante le sue passeggiate notturne alle dune, portando una coperta su cui possano sdraiarsi mentre guardano le stelle.

O tutte le centinaia di volte in cui le sta un po’ troppo vicino, le sorride un po’ troppo, lascia che il suo tocco si fermi su di lei per un po’ troppo.
Clarke non ha dormito come si deve per una settimana, girandosi e rigirandosi nel letto, di notte, con i pensieri su di lui (Alcuni più irritanti di altri, quando la riscaldano dalla testa ai piedi e la seguono nei suoi sogni finché non si sveglia, così piena di desiderio che quasi la fanno urlare).

Qualche volta anche lei pensa di oltrepassare il confine. Pensa di lasciare le proprie dita sfiorare le sue mentre si passano oggetti o armi, pensa di riposare la sua testa sulla sua spalla quando sono seduti davanti al fuoco, pensa di fare un passo più vicino e lasciare i propri occhi fermarsi pesantemente sulle sue labbra quando gli dà la buonanotte.

Non lo fa, però, perché è lui che ha messo quel confine fra di loro e così sarà lui a doverlo oltrepassare.

Lui non lo supera ancora. Ma tutte le notti a cena si siede vicino a lei.




 
 
La tempesta colpisce inaspettatamente, e loro non sono preparati, nonostante i segni di avvertimento a cui gli è stato detto di prestare attenzione. Entro l’ora di pranzo i cieli sono scuri e pieni di nuvole, e il vento s’è alzato abbastanza da farli correre ovunque tenendo ben stretta qualsiasi cosa possano raggiungere, prima che le faccia volare via.

Clarke conduce i ragazzi più giovani in una delle capanne più lontane dalla spiaggia, lascia Harper e Jasper ad intrattenerli e lascia Miller di guardia.

Corre attraverso il resto del campo, aiutando chiudere le entrate e tenendo d’occhio il mare che sembra invaderli.

Il clan dell’Oceano gli aveva assicurato che le onde non avrebbero raggiunto il primo cerchio di capanne, ma Clarke non vuole rischiare le loro vite basandosi su quella promessa.

Fortunatamente finora l’acqua sembra essere ancora abbastanza lontana, anche se le onde sono violente e turbolente, e l’acqua normalmente verdazzurra è diventata grigia e schiumosa sotto la loro forte pressione.

Quando tutto è stato sistemato al meglio, lei corre attraverso il campo ancora una volta, contando le teste.

Bellamy è fuori con un gruppo di sei persone, stanno cacciando nella foresta, ma tutti gli altri dovrebbero già essere nel campo, quindi, quando al suo conto manca una persona, sente un brivido freddo, che non ha niente a che fare con l’improvviso scrosciare della pioggia, attraversarle il corpo.

« Dov’è Rose?  » Chiede a Jasper, tornando alla capanna dove lui sta cantando con i bambini e deve quasi urlare per farsi sentire sopra la tempesta. Lo sguardo del ragazzo gira attraverso la stanza, cercando i capelli rossi del loro membro più giovane, e, quando si volta verso di lei, i suoi occhi sono spalancati di paura.

« Non si trova? »

Harper li raggiunge, notando l’improvvisa tensione. « Chi non si trova? »

« Rose, » Le dice Clarke, ansiosa di tornare fuori ed andarla a cercare. Harper la ferma con una mano sul braccio.

« Rose a volte si spaventa, » Risponde, sembrando lei stessa spaventata, «  E quando lo è, è probabile che vada giù verso il suo “nascondiglio” nell’acqua. »

Il cuore della leader si ferma nel suo petto. « Dove? » Domanda con impeto.

« La scogliera, giù verso la fine delle dune. » Le risponde velocemente Harper, « Quella che sfocia direttamente nell’oceano. »

Clarke sta correndo prima che l’altra abbia finito di parlare, il cuore in gola e il panico che la riempie più di qualsiasi cosa. Eppure la ragazza la raggiunge, già bagnata dopo solo pochi secondi all’aperto, e getta qualcosa fra le mani di Clarke.

È un vecchio salvagente, regalatogli dal clan dell’Oceano per usarlo ad insegnare alla loro gente a nuotare.

« Potrebbe servirti. » Le dice, e la bionda annuisce in segno di gratitudine prima di correre di nuovo via.

La sabbia si muove ed è pesante sotto di lei, rallentandola, e lei ruggisce con frustrazione quando inciampa verso l’ultima duna, proprio quando un fulmine squarcia le nuvole sopra l’acqua, illuminando l’orizzonte.

Grazie alla luce Clarke riesce a vederla, una piccola figura rannicchiata su uno spuntone di roccia, ora completamente circondato dall’acqua.

La giovane Griffin si getta il salvagente attorno le spalle mentre corre, stringendosi la cordicella che funge da cintura improvvisata attorno alla vita e calciando via le proprio scarpe, e, quando arriva ai confini dell’acqua, non esita prima di gettarsi fra le onde.

Non è la nuotatrice più forte, nemmeno dopo tutto questo tempo, ma riesce a lottare contro le onde e, non appena arriva alla roccia, il suo respiro è affannato, esce difficilmente quando si trascina fuori dall’acqua.

Rose l’ha vista arrivare, e corre al suo fianco con le lacrime agli occhi e il volto pallido come quello di un fantasma a causa della paura.

« Clarke, mi dispiace, » Singhiozza, «  Non sarei dovuta venire qui, ma mi sono spaventata. »

« Non fa niente, » Riesce a dire, sforzando di sorridere, anche se il suo respiro è affaticato, « Adesso sono qui e ti riporteremo al sicuro al campo, okay? »

La bambina annuisce, e Clarke si sente perlomeno lievemente sollevata che non sia immobilizzata dalla paura.

« Metti le braccia attorno a me, okay? » Dice, « Tu ti reggi forte e io ci riporto alla spiaggia. »

La giovane fa come le è stato detto, le piccole braccia che si aggrappano a Clarke da dietro mentre si arrampica sulla schiena e la più grande che corre di nuovo giù verso l’acqua.

Non si butta nemmeno, però, prima di realizzare che non funzionerà. Il loro peso tutto insieme è troppo forte per il salvagente, e ogni volta che lascia andare la roccia, riesce a sentirsi affondare.

Oltre il galleggiamento, Clarke sa di non essere una nuotatrice abbastanza forte da tornare a riva da sola, figuriamoci portarle entrambe. Prova a combattere la disperazione, costringendo la propria mente a trovare un’altra soluzione, mentre si trascina nuovamente verso la roccia.

« Perché non stiamo andando? » Chiede Rose, la voce un singhiozzo spaventato, mentre Clarke la incoraggia a lasciar andare la presa.

« Faremo più in fretta se usi tu il salvagente, » Le mente, « In questo modo tu puoi nuotare da sola, e io ti seguirò. »

Lei, perlomeno, è una brava nuotatrice. Se va adesso, prima ce le onde diventino troppo alte e con il salvagente ad aiutala, ha una buona probabilità di farcela.

« Non lo so… » Dice Rose con incertezza.

Clarke si sforza di sorridere di nuovo, togliendosi il salvagente e mettendolo attorno alle spalle della ragazza, allacciandolo forte.

« Puoi farcela, Rose, so che puoi farcela. Devi solo essere molto coraggiosa, okay? »

« Okay, » Accetta, la voce ancora tremante.

« E quando arrivi alla spiaggia, non guardare nemmeno indietro, okay? Corri verso il campo e basta, e vai a cercare Miller. »

« E tu? » Domanda la bambina, piangendo di nuovo.

« Sarò proprio dietro di te. » Promette.

Rose annuisce, e hanno terminato il tempo. Clarke la fa correre di nuovo verso l’acqua, la aiuta ad entrare dentro, e le dà una spinta verso la giusta direzione.

« Nuota! » Urla, sospira di sollievo quando Rose inizia a scalciare, il suo viaggio verso la riva lento ma regolare.

Sembra durare per sempre, e per due volte un’onda si schianta contro la testa della piccola e Clarke sia sicura di averla persa, ma ogni volta lei riemerge e continua a calciare.

Vorrebbe piangere, per orgoglio e paura, per amore e disperazione, tutto in una volta.

Quando Rose raggiunge finalmente la spiaggia, trascinandosi a riva e correndo verso il campo proprio come Clarke le aveva detto, la leader realizza di star ridendo con sollievo e non sembra riuscire a smettere.

È per via dello shock, ne è piuttosto sicura, ma alla fine riesce a calmare il respiro abbastanza da trascinarsi più sopra la roccia, mentre i denti sbattono per il freddo e si ricorda quanto sia bagnata e quanto forte sia soffiando il vento.

La tempesta sta esplodendo attorno a lei, e non sembra molto prima che le onde stiano raggiungendo i suoi piedi anche quando lei li tira più su, ma Rose è al sicuro e questo è tutto ciò che conta.

È alquanto sicura di stare per morire, e ha abbastanza conoscenza medica da sapere che affogare non sarà un modo piacevole di farlo. Forse però non sarà poi così male, pensa, perlomeno la parte del lasciarsi andare.

Forse sarà fortunata e sarà come addormentarsi, senza più preoccupazioni, senza più tristezza o solitudine o rimpianti. Non è sicura di credere nell’aldilà, ma, se esiste, almeno sarà in buona compagnia.

Il pensiero la fa sorridere, nonostante i suoi denti che sbattono. Forse sarà come tornare a casa.

L’acqua è arrivata alla sua vita, ed è solo la sua mano aggrappata ad una crepa della roccia a trattenerla dal galleggiare via mentre
le onde si infrangono contro di lei.

Si sdraia, sentendosi più infreddolita che stanca, si aggrappa e si lascia fluttuare.

Pensa a quanto riuscirà ad aggrapparsi, prima di lasciar andare. C’è un altro colpo di fulmine sopra di lei, e l’intero cielo diventa bianco, e lei vorrebbe almeno aver detto a Bellamy che lo ama, almeno una volta, prima che l’acqua si schianti contro il suo volto e la trascini nell’abbraccio dell’oceano.






 
 
La cosa successiva che sa è che sta tossendo acqua salata, il bruciore nella gola che rende visceralmente chiaro il fatto che sia ancora viva.

Bellamy sta tossendo al suo fianco, sulla sabbia, una mano stretta attorno al suo braccio, mentre l’altra lo sta sorreggendo mentre vomita acqua sulla spiaggia.

Sarebbe divertente, forse, se lei non si sentisse così disorientata, e se i suoi polmoni non facessero così male.

Lui smette di buttare fuori il mare dai suoi polmoni e subito dopo la sta trascinando più vicino, voltandola così da poter vedere il suo volto, anche mentre continua a respirare a fatica in profonde boccate d’aria.

Le sue dita sono gelato contro la pelle di lei, mentre la accarezzano, toccandole le braccia e il petto, il viso e i capelli, come se si debba assicurare che Clarke sia ancora viva.

Finalmente prende il suo volto fra le mani, i suoi occhi un po’ meno selvaggi, anche se ancora caldi e oscuri di emozioni, e la stringe un po’ troppo forte.

« Stai bene, » Dice lei, mentre le sue dita salgono a circondargli i polsi, a sentire la sua realtà e la sua solidità sotto le proprie mani.

« Dovrei essere io a dirlo. » Scherza debolmente, e poi lei sta piangendo e anche lui potrebbe star piangendo, e lei è stretta fra le sue braccia e tutto sembra di nuovo al sicuro e giusto.

« A che diavolo stavi pensando! » Gracchia lui alla fine, la voce roca, mentre si allontana abbastanza da guardarla negli occhi.

« Rose era lì fuori, » Gli dice, il che è in sé tutta la risposta. Sembra che lui voglia controbattere, come se voglia urlarle contro per aver rischiato la propria vita, ma lei sa che lui avrebbe fatto lo stesso, e anche Bellamy lo sa.

Invece l’abbraccia di nuovo, come se non la lascerà andare mai più. A Clarke sta bene, in realtà.

« Non fare mai più una cosa del genere. » Sussurra. «  Promettimelo. »

« Lo giuro. » Dice Clarke, anche se entrambi sanno che è una promessa che spezzerebbe in un attimo, per salvare qualcuno dei loro.

Non è questo il punto della promessa, però, ed entrambi sanno anche quello.

Per un lungo momento lui la stringe e basta, e ignorano la sabbia e il vento e il freddo, semplicemente premuti insieme sulla spiaggia come se avessero trovato il loro ultimo porto sicuro.

« Mi dispiace. » Parla lui alla fine, il cuore nella voce, mentre pronuncia le parole contro i suoi capelli.

« Non hai fatto nulla di male. » Ribatte lei, confusa.

« No, non per questo. » Il maggiore dei Blake si allontana, anche se non va molto lontano, e la sua espressione è seria mentre la guarda. « Mi dispiace di averti detto che non volevo amarti più. »

« Oh, » Mormora lei, insicura di come altro rispondere.

« È stato stupido, » Continua, e la sua bocca si solleva un po’ per l’espressione disorientata che lei deve aver fatto.

« Pensavo di poterti dimenticare, che sarebbe stato meglio sia per me che per te, ma mi sbagliavo. Non ho mai smesso, non importa quanto duramente ci provassi, e tu saresti potuta morire senza saperlo. »

Clarke comincia a ridere e la faccia di Bellamy va dall’essere sincera all’essere scontrosa nell’arco di due secondi. « Io ti confesso il mio amore e tu ridi di me? » Mugugna, il che la fa solo ridere più forte, finché non sta tossendo ancora.

Quando riacquista il respiro, gli sorride. « Ho pensato la stessa cosa, » Dice, ancora sorridendo, « Ero lì fuori su quella roccia pensando che sarei morta, e l’unico rimpianto che avevo era che non avessi mai avuto la possibilità di dirti quanto ti amo. »

Ora è il turno di Bellamy di apparire shockato, anche se si trasforma subito dopo in un sorriso speranzoso. « Davvero? »

« Davvero. » Conferma. « Ti amo, anche se a volte sei un idiota. »

« Beh, bene, » Le dice, il ghigno troppo grande per poter essere contenuto, « Perché ti amo anche io, anche se sei una nuotatrice da schifo che non sa come mettersi al sicuro. »

Lei ricambia il sorriso e poi lui la sta baciando, le labbra salate e fredde contro le proprie, e lei non si cura nemmeno del sapore di acqua salata fra di loro, perché la sua lingua è calda e le sue braccia sono strette attorno a lei e Clarke può percepire il suo cuore battere contro il proprio.

Si staccano quando sentono un grido dalla spiaggia, e Miller sta correndo verso di loro con Jasper e Octavia al seguito, e poi loro sono sommersi dai tre, mentre tutti ridono e piangono ancora d’accapo.

Alla fine si riprendono abbastanza da alzarsi e camminare rannicchiati l’uno contro l’altra verso il campo, per mettersi dei vestiti asciutti e riscaldarsi. Anche Rose è lì, felice e asciutta, e Clarke la abbraccia forte prima che Bellamy rivendichi le sue braccia tutte per sé.

Più tardi, dopo che la tempesta è finita e hanno bevuto del brodo caldo per riscaldarsi completamente, Clarke e Bellamy camminano verso le dune mano nella mano.

Il sole si irradia dalle nuvole proprio nel momento in cui raggiungono la vetta della collina più alta, e sta brillando e riflettendosi sull’acqua.

Non è nemmeno lontanamente paragonabile al bellissimo sorriso di Bellamy, però, e per la prima volta Clarke pensa che l’amore non è per niente dolore.







 
 
  
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