Salve gente, non
dico niente sul ritardo...che è meglio. Piuttosto mi scuso,
inchinandomi a Voi che avete dovuto attendere così a lungo. Spero
con questo capitolo di ripagare almeno un poco le vostre attese...
Che dire, è un capitolo diverso, non si tratta di un sabato! Non
svelo altro ;) Buona lettura, grazie a quanti stanno seguendo questa
storia *__*
Bidirezione
Una giornata perfettamente
normale.
Avevo sempre
ascoltato le canzoni di un autore che ai più non era mai piaciuto, e
con i più intendo quelli della mia generazione. “Che schifo”,
“Ma che è sta roba melensa?” “Vogliamo parlare dei testi?”
tutte domande che mi ero sentito fare ogni volta che avevo proposto
qualche canzone di questo autore ai miei amici, conoscenze o
chicchessia. Fino a che avevo deciso di tenermelo per me, il mio
cantante preferito, perchè tanto nessuno ci capiva un accidente.
Quello che vedevo io sentivo io nelle sue canzoni nessun altro lo
vedeva, se non quelli forse come me perchè legati a qualche ricordo
che, in una maniera o nell'altra, aveva avuto quella determinata
canzone di sottofondo. Così avevo preso ad ascoltarlo con le cuffie
nelle orecchie o a pieno volume nella “sala della musica” del
nonno al piano di sopra. Gelosamente ascoltavo canzoni che arrivavano
a toccare corde di me che nessun altra cosa al mondo – nemmeno
Sasuke - riusciva a toccare.
Si trattava di vera e propria
musicoterapia.
“Non è che vuoi entrare in qualche specie di
trance mistica tu?” mi domandò un giorno il nonno trovandomi steso
sul divano, chiuso dentro nella saletta con la canzone preferita del
mio album preferito del mio autore preferito a pieno volume. Avevo le
lacrime agli occhi quando risposi che “Musicoterapia, nonno. Non la
trovi una cosa figa?”
Nonno non mi rispose e scosse la testa
mentre usciva dalla stanza, dimenticandosi di chiudere la porta.
Avrei voluto chiedergli se a lui quell'autore piaceva, stavo quasi
per rincorrerlo perchè dopotutto era la mia ultima possibilità di
trovare qualcuno per cui quell'autore valesse come valeva a me,
ancora più di tutto l'oro del mondo; ma le noti trascinanti e
malinboniche della canzone mi fecero rimanere incollato al divano e
quella domanda non gliela feci mai più, anche se avevo un sentore
che a lui quell'autore in un modo o nell'altro lo conoscesse, gli
fosse familiare.
Avevo la sicurezza, mentre mi lasciavo cullare
da certe canzoni, di ritrovare una casa, una famiglia, un'atmosfera
che avevo avuto in passato. E mi si scioglieva quel groppo alla gola
che spesso mi mozzava il respiro e incominciavo a piangere come un
bambino.
Avevo quindici anni quando scoprii che certe canzoni ti
riportano indietro negli anni, nei ricordi, tolgono da te ciò che
c'è di oscuro, oltre che di positivo, mescolandoli a volte, creando
mix letali eppure benefici.
Scendevo giù in cucina dal nonno più
leggero e più riposato, seppur stordito a livelli incredibili, visto
quanto se la rideva il nonno mentre lo aiutavo ad apparecchiare la
tavola.
“Ti va di mangiare uova?”
“Uh si, ideona!”
Ma
poi cominciavo a parlare delle solite cose col nonno e anche la più
remota, ultima, possibilità di porre quella domanda al mondo veniva
meno.
Io e quell'autore eravamo definitivamente destinati a
rimanere legati senza che il mondo potesse intromettersi.
Cominciò
così la mia dipendenza dall'autore della mia vita.
A ripensarci
ora, a 14 anni ero un ragazzino proprio strano.
Musica malinconica
e soave, testi semplici metaforici ed infantili, grandi cori gospel o
sussurrati, simpatie di giochi linguistici: ecco tutto ciò che
adoravo in un brano musicale.
Eppure quel mix mi piaceva: toccava
cose dentro me, l'ho già detto, cose che avrei scoperto meglio più
avanti.
La vera musicoterapia sarebbe arrivata molto, molto più
avanti.
All'epoca ero esclusivamente un bambino strano, che andava
in cerca di emozioni nella sua stessa casa, in compagnia di se
stesso.
Tutto qua.
«
Che ci faccio qui? »
Guardai Sasuke c0n l'espressione più
sconfortata di cui ero capace, roteando poi gli occhi in giro per il
corridoio gremito di persone.
« Me lo sto chiedendo anche io, in
effetti. »
Riflettei intensamente sul fatto che mi trovavo in
una sede universitaria, o meglio: nell'università che frequentava
Sasuke. Stavo aspettando facesse l'esame.
Aspettavamo da quaranta
minuti e del professore neanche l'ombra. La gente attorno a noi
sembrava dovesse andare al patibolo o a combattere tra gladiatori,
l'atmosfera era così tesa che avevo tutto un brivido lungo il corpo.
Fortunatamente c'erano quei due - tre individui con un'aurea più
tranquilla che guarda a caso erano in piedi vicino a me e Sasuke. Con
un ragazzo col codino ci avevo pure parlato un po', ascoltando come
se ne sapessi qualcosa il suo affermare che la materia che aveva
studiato per quell'esame era stata la cosa più noiosa che avesse mai
incontrato dopo la sua fidanzata.
Mi faceva strano trovarmi in
quell'ambiente, e all'inizio mi ero sentito davvero a disagio: tutti
studenti prossimi alla laurea e io in università non ci avevo mai
messo piede prima! E soprattutto l'ultima volta che avevo studiato
davvero qualcosa era stato per l'esame di maturità, due anni e mezzo
prima.
« Ma sono andati a farsi l'aperitivo? » domandai cercando
lo sguardo non solo di Sasuke ma pure del ragazzo col codino, che mi
pareva si chiamasse Shikamaru. Questi ridacchiò appena annuendo, poi
alzò le spalle e « un classico.» disse con aria stanca.
Tornai
ad osservare Sasuke che sul volto dall'espressione composta tradiva
un velo di ansia, glielo notavo dal modo in cui socchiudeva le labbra
o risucchiava le guance, dagli occhi un po' troppo spalancati. Non
sapevo come confortarlo in una situazione del genere, perciò dissi
la prima cosa che mi passò in mente.
« Andrà bene, vedrai
»
Ovviamente non feci altro che irritarlo di più.
«
Ovviamente non serve che me lo dici tu. » sussurrò senza farsi
sentire da Shikamaru che comunque aveva preso a fissare fuori dalla
finestra, perso in chissà quali pensieri.
Mi faceva strano pure
vedere Sasuke nell'ambiente che lo aveva rubato un po' a me in quegli
ultimi due anni. Il suo seguire i corsi era stato un po' uno choc i
primi tempi, abituato come ero a vederlo ogni giorno. Ma poi avevo
preso a lavorare a tempo pieno dal nonno in agenzia e lo choc era
stato sostituito da un senso d'abitudine e dalla certezza che ci
saremmo visti ogni weekend.
Credo che pure per Sasuke i primi
tempi di allontanamento da me furono non facilissimi; a volte metteva
dei bronci incredibili senza apparente motivo, quando ci rivedevamo
il sabato pomeriggio o sera, e poi venivo a scoprire che era perchè
non avevo risposto a un suo messaggio e inutilmente gli dicevo che
era perchè all'agenzia non avevo un minuto. Sia chiaro, non me lo
dava a vedere che gli mancavo, non sarebbe stato da lui, ma quei
bronci e certi suoi sabati possessivi mi avevano sempre fatto capire
che all'effetto della lontananza non era estraneo nemmeno lui.
C'erano dei sabati notte in cui il suo corpo parlava da solo, si
trattava di quelle volte in cui mi sentivo desiderato in una maniera
così appagante da farmi dimenticare di colpo tutta la stanchezza e
la frustrazione di un'intera settimana passata lontano da lui e
vicino ai problemi fastidiosi della quotidianità lavorativa.
A
ripensarci ora, realizzo che mi sentivo come un papà che per un
motivo o per l'altro si ritrova nella scuola dove il figlio studia.
«
Ecco mi pare stiano arrivando. »
Arrivarono i professori in
smoking, o meglio, come avevo appreso, il professore e i suoi due
elegantissimi assistenti. Entrarono nell'aula di fronte a dove ci
trovavamo noi per uscirne subito dopo a fare l'appello.
Sapevo
che Sasuke era il primo della lista, poiché il giorno in cui si era
iscritto on-line all'esame era uno di quei sabati in cui eravamo
tranquilli a casa, lui sobrio io mezzo annientato dal sonno. Ma per
qualche strano (ma da quelle parti classico
caso del destino) si ritrovò sesto.
Mi colpì il modo in cui
Sasuke non protestò in alcun modo alla lista improvvisata che il
docente fece la lista scegliendo la gente a caso nel gruppetto che si
era formato di fronte a lui. Fui lì lì per protestare io quando una
tipa dai capelli rossi e dall'aria antipatica passò avanti a Sasuke
che stava per dire il proprio nome quando il professore lo aveva
guardato per dirgli di presentarsi.
Mi venne da sorridere.
« Che è quel sorrisetto?
»
Sasuke mi guardò con odio, appena la gente intorno a noi fu
scemata a causa dell'inizio dell'appello. In pratica quel giorno il
professore avrebbe esaminato dieci persone, quindi a parte i
curiosoni nel corridoio eravamo rimasti io, il ragazzo col codino, un
amico di questi, e delle ragazze troppo chiassose (tra cui la tipa
rossa di poco prima).
Quel giorno appresi un sacco di cose su
come funzionano le cose in università.
Mi sentivo così
sciocco!
« Nulla, nulla, però ti passano davanti noto... »
La
tipa rossa udì le mie parole e subito si mise a confabulare sotto
voce con una ragazza castana al suo fianco, lanciandomi occhiatacce
di sottecchi. Le mostrai la lingua e così lei mi diede le
spalle
«... questa è l'università, Naruto. Mica l'asilo. »
Di
certo Sasuke era nervoso, ma di un nervosismo diverso da quello che
gli conoscevo. Un nervosismo più normale, che accomunava un po'
tutti gli esseri umani davanti ad una prestazione di quel genere,
perciò non mi preoccupò quel nervoso. Anzi, sapevo che non avrebbe
fatto altro che aiutarlo a prendere un voto altissimo. Dopotutto
Sasuke aveva la media altissima, checchè ne dicesse quella merda di
suo fratello.
Ad ogni modo alta era l'ansia perchè aveva il
chiodo fisso del risultato da mostrare
a suo fratello: questa era una cosa che non potevo tollerare ma a
parte qualche volta non gli avevo detto nulla. Spiegargli che il voto
lo doveva prendere solo per sé era inutile.
Non era stato facile
giungere in università quel pomeriggio, a causa di questo gran
nervoso di Sasuke. Avevo rischiato di incendiarlo già da metà
mattina quando mi ero presentato a casa sua con uno sbadiglio che mi
bloccava la mascella. Mi aveva odiato: gli mettevo sonno! E non
poteva permetterselo. Inoltre avevo dimenticato di far benzina alla
macchina e la fermata al primo distributore disponibile era stata per
Sasuke un colpo al cuore. Quanto me ne aveva dette! Stavo per
bloccare la macchina e farlo andare all'università da solo ma poi mi
ero reso conto che era fuori dalla mia portata fare un'azione simile
e quindi avevo impostato la prima marcia e sgommai fuori dal
distributore.
« Pensa che è il tuo quasi ultimo esame! »
«
Me ne manca ancora uno dopo questo, coglione. »
Inutile, erano
cinque ore ormai che qualsiasi cosa dicessi non andava bene.
Cominciavo seriamente a innervosirmi anche io, quindi tirai fuori il
cellulare e mi misi a giocare con un gioco di memoria stupido.
Sasuke prese a fissarmi senza interruzione.
Quel giochino di
memory era un mio vizio, dovete sapere. Diciamo che era un po' il mio
scaccia-pensieri, il mio antistress. Nonostante non arrivassi che al
terzo livello quasi sempre, perdermi a giocarci rappresentava
recuperare un po' di solidità mentale. A volte mi aiutava anche ad
estraniarmi da un ambiente che mi metteva a disagio.
Di certo però
sembravo un idiota poiché era un giochino con i tasselli
raffiguranti del cibo, una cosa molto da bambini. Del tipo che dovevo
accoppiare delle brioche con delle brioche e dei gamberoni con dei
gamberoni, ecco. Potete immaginare come Sasuke odiasse quel gioco.
«
Dopo dobbiamo passare a prendere tuo nonno? »
Sasuke che mi
faceva una domanda era cosa più unica che rara, specie in quella
situazione, ma visto che stavo giocando a quella “merda” come la
chiamava lui e che l'ansia gli giocava brutti scherzi la vidi come
una cosa normale e col mio più grande sorriso chiusi il gioco al
terzo livello e risposi che sì, dovevamo passare a prendere Jiraya
visto che eravamo da quelle parti...nonno era andato a trovare un suo
vecchio amico non molto lontano da dove ci trovavamo noi, ci era
andato in corriera al mattino presto, avendo io la macchina.
«
Sperando non finiate a mezzanotte. » aggiunsi cercando uno sguardo
complice dai presenti, che ricevetti dal ragazzo col codino.
« A
quanto pare però è il mio turno. » disse questi e mentre lo diceva
sembrò davvero stanco e tristemente sorpreso. Lo vidi afferrare la
sua borsa da terra e entrare a testa bassa e ciondolante in aula,
mentre vi usciva il suo amico un po in carne che aveva appena
sostenuto l'esame.
Venni colpito per la seconda volta da una cosa:
dal modo in cui Sasuke si avvicinò al ragazzone e cominciò a fargli
quesiti su cosa gli avesse chiesto il professore.
Quei
lati di Sasuke mi impressionarono. Asociale, timido, chiuso,
arrivista? A me sembrava
tutt'altro da quello che lui stesso diceva di sé grazie al lavaggio
di cervello di quella strega di Itachi.
Era un Sasuke inedito
quello che mi si presentava, al di là delle arrabbiature con il
sottoscritto (la normalità). Una persona perfettamente integrata col
suo ambiente, ecco.
Ne fui felice. Talmente tanto felice che
cominciai anche io a intromettermi nella conversazione tra i due,
fino a salutare con una pacca sulla spalla quel ragazzone che scoprii
chiamarsi Chouji quando ci disse che doveva andare a prendere il
treno.
« La tua fisicità non ha limiti. » mormorò Sasuke
quando rimanemmo soli vicino alle finestre. Mi guardò con un
sorrisetto di compatimento, ma non sembrava poi così sconfortato da
quella mia manifestazione di solarità e fisicità con gente
sconosciuta.
« Mi ispirava quel tipo, sai come è. »
Sasuke
ridacchiò.
«...in che senso?
» mi chiese avvicinandosi a parlarmi con la bocca
all'orecchio.
Sembrava si fosse dimenticato di dove si trovasse
per qualche istante.
Mi sentii particolarmente ispirato dalla
situazione e mi chinai a mordicchiargli un orecchio, per poi
addossarmi alla parete già con le braccia a mo' di difesa per il
sicuro attacco che il buon tempestivo Sasuke mi avrebbe sferrato.
«
Cazzo fai? » ringhiò ma non mi diede alcuna botta, anzi si distaccò
da me di un passo andò a controllare se per caso si vedesse qualcosa
dalla porta semi aperta dell'aula dove si stava svolgendo l'esame.
Sembrava tutto composto nella sua tenuta elegante da esame, il
suo passo sicuro e la schiena bella dritta, ma sapevo che in quel
preciso istante stava sudando come fosse estate nella sua camicia
bianca stirata fin troppo bene dal fratello e che le spalle
nascondevano una tensione non poco piccola.
Lo avevo colto
decisamente di sorpresa con quel morso che, tra l'altro, mi aveva
eccitato non poco. Ma fortunatamente nessuno notò niente, poichè mi
ero subito girato verso la finestra e avevo preso a guardare fuori,
per distrarmi, anche se il pensiero di un Sasuke che non si era
accorto di star usando un po' troppa complicità
con me davanti a tutti mi stuzzicava al punto da farmi sorridere come
un ebete alla vetrata.
« E' il mio turno, idiota. »
Poco dopo
sentii un respiro caldo sulla nuca, mi rivoltai di scatto e lo trovai
pallidissimo e con gli occhi sgranati.
Era incredibilmente
terrorizzato, lo sapevo e per questo mi venne da sorridere: Sasuke
Uchiha che si faceva prendere dal panico prima di entrare nell'aula
di un esame!
Probabilmente questa fu l'unica cosa giusta che feci
in quelle ore d'attesa all'esame, visto che Sasuke acquisì colore
nelle guance e gli occhi si assottigliarono di colpo. Mi diede un
calcio su una caviglia e poi sgusciò via oltre la porta che richiuse
con troppo rumore alle sue spalle.
Lo avevo distratto e fatto
tornare in sé dopo la chiamata del professore, facendolo arrabbiare
certo, perchè avevo riso di lui, ma avevo fatto la cosa giusta,
tirando fuori uno dei miei sorrisi più ingenui, quelli che mostro
solamente quando qualcosa davvero coglie la mia attenzione.
A
pensarci ora: quanto era normale
tale giornata? Era da un sacco di tempo che non vivevamo del tempo
assieme con gli altri,
in un ambiente ricco di persone e stimoli sociali, che non
vivevamo all'infuori di noi.
E' una constatazione che mi fa fremere di tristezza, perchè so che
non ce ne furono altre per lungo tempo, poi, di giornate così
normali, di giornate come quelle della maggioranza delle persone,
forse.
Rimasto solo guardai a lungo la porta socchiusa davanti a
me e tirai le orecchie più che potevo ma non riuscii ad ascoltare
alcunchè di ciò che il professore stava chiedendo al mio Sasuke,
perciò venni preso da uno strano moto di ansia e mi rimisi a giocare
a memory sul telefonino, stringendomi nelle spalle ed appoggiandomi
alla parete fredda.
Aspettare un amico che fa un esame... tutto
così fottutamente
normale.
Eppure prima e dopo quell'esame era e sarà
l'inferno.
Mi si prospettava un pomeriggio buono, molto buono, nel
quale Sasuke sarebbe stato al settimo cielo per via del voto ricevuto
e sapevo che dovevo far tesoro dei sorrisi della felicità che Sasuke
mi avrebbe mostrato, eppure sapevo che non ci sarei riuscito poiché
il pensiero di quanto fosse assurdo che lui dipendesse da un voto –
da suo fratello – mi avrebbe
continuamente continuato a balenare per la testa, infastidendomi,
distraendomi dalla felicità – seppur finta – di chi
amavo.
Perciò sì abbracciai con trasporto Sasuke, appena
arrivammo dietro l'angolo dove nessuno ci potesse vedere, quando uscì
dalla stanza d'esame; perciò sì gli dissi che era un grande e mi
feci offrire da bere, ma le mie frasi, il mio sorriso continuò a
suonare troppo teatrale, stanco, sbiadito.
Avevo paura della
felicità di Sasuke, di qualsiasi forma di felicità potesse
trattarsi. C'era sempre il buio dietro le porte. Sempre.
«
Stasera dormo da te, deciso. »
Mi voltai a guardarlo stupito, una
volta salito in macchina.
Avevo
sentito bene? Era mercoledì!
«
Ma c'è il nonno... » biascicai riuscendo solo a pensare al fatto
che effettivamente il nonno in quei giorni si trovava a casa per fare
un po' il punto della situazione all'agenzia.
Mi si era inaridita
la gola, e non solo a causa del troppo parlare lungo il tragitto
verso il parcheggio dall'università o nel bar. Ero stato colto
talmente tanto di sorpresa che ero rimasto a bocca aperta, e poi
avevo respirato di bocca per non soffocare.
Nessuno mi ha più
stupito come Sasuke.
« E non ti pare le cose siano più
interessanti, così? »
Annuii immediatamente girandomi per non
dargli a vedere le guance rosse.
Erano momenti di felice stupore,
mi accontentavo e ci accontentavamo di poco, dopotutto.
Avremmo
fatto l'amore tappandoci la bocca l'un l'altro per non farci sentire
dal vecchio, sepolti sotto ad un mucchio di lenzuola, proprio come
una volta, come quando avevamo sedici anni.
Mi salì un brivido
lungo la schiena a pensare che davvero avremmo fatto l'amore
avvinghiati come due adolescenti che non vogliono farsi scoprire, a
reprimere le urla di piacere l'un con l'altro.
Sarebbe stata una
nottata memorabile, se solo avessi potuto godermi in pieno almeno
quella! Dannato pensiero! Dannato Sasuke che dipendeva da un voto! Da
un cazzo di giudizio! Dannato Sasuke che aveva risposto alla chiamata
di Itachi e gli aveva detto il voto, dannato Itachi che non era
capace di essere falso e aveva messo su un tono falso che l'avevo
sentito persino io vicino a Sasuke mentre gli faceva i complimenti e
gli diceva “Va' a divertirti”.
Dannato me che non ero capace
di sbattermene e di godermela e basta quella situazione idillica che
mi si prospettava con un tuffo nel passato più bello.
Dannato
pensiero.
Quando ripartimmo ero già che cantavo sulle note della
mia canzone preferita, “Senza di te”, di quel famoso mio autore
del cuore di cui vi ho parlato poco fa e Sasuke era già a
minacciarmi di morte se non tiravo fuori quel “cd indecente” e
mettevo su una “buona radio”.
Ero già tornato il Naruto
solito, quello scanzonato che tutti conoscono, persino Sasuke conosce
ancora.
Eppure dentro avevo l'inferno. Si specchiava nei miei
occhi all'incontrario, dentro me. Mi diceva, l'inferno, che stava per
arrivare.
Ero in preda ad un'illusione ormai, vivevo
così.
Disillusioni e illusioni. Che fine avrei fatto?
Intanto
avrei fatto l'amore, almeno questa certezza un po' sciocca in
testa.
Sì, avrei fatto l'amore.