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Autore: Black Swan    28/11/2008    2 recensioni
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha tutto.
E’ l’unico punto di contatto fra due delle più potenti famiglie del paese, ha ricchezza, bellezza, intelligenza, una posizione di prestigio.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha le idee chiare.
Sa cosa deve o non deve fare, ha imparato molto presto come far girare il mondo nel verso che gli fa più comodo, ha preso la decisione di condurre una doppia vita a soli quindici anni e custodisce segreti che i suoi genitori neanche immaginano lui possa conoscere.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory è convinto di avere già tutto quello di cui ha bisogno: i pilastri della sua vita sono già stati piantati, i confini già marcati. Si renderà conto che anche lui può sbagliare.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai fatto i conti con il suo cuore. Si accorgerà quanto prima dell’errore commesso.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai realmente ascoltato il suo cuore. Scoprirà che non è mai troppo tardi per cominciare…
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non E’ Mai Troppo Tardi

9

 

 

 

 

 

 

 

 

Jennifer entrò dentro l’abitacolo della macchina come se si aspettasse di essere morsa da un serpente… e ci voleva proprio fantasia per indovinare a chi toccasse il ruolo del serpente.

Sembrava anche più nervosa del solito… il che era tutto dire.

Suo padre rientrò dietro di lei e si sedette accanto al lui. «Siamo in orario Jennie, vero?» chiese poi.

La ragazza continuava a guardarsi intorno. Stava ancora cercando il serpente?

«Eh? Oh sì, grazie Connor.»

«Sai che è la prima volta che vado a prendere un figlio a scuola?» continuò suo padre salottiero «Anche se non sei figlia mia c’è una bella soddisfazione. Juna ha cominciato a frequentare effettivamente lezioni solo all’università e non ha mai voluto che qualcuno lo accompagnasse o lo andasse a riprendere.»

… e da come lo dice ancora non mi ha perdonato per questo…

Jennifer lo guardò come se avesse avuto quattro teste. «Non sei mai stato a scuola?» chiese come se solo questo fatto lo ponesse automaticamente sopra la media.

Si guardò bene dal fare commenti: con tutta probabilità aveva ragione.

Suo padre continuò a chiacchierare con la ragazza che sembrò rilassarsi e arrivarono a casa.

Il primo segnale che sua madre aveva parlato con sua nonna lo riscontrò nella disposizione dei posti a tavola: Jennifer era dalla parte esattamente opposta alla sua.

Se non si fossero specificatamente cercati, non si sarebbero neanche visti.

Possibile che le donne in seno alla famiglia McGregory ignorassero completamente cosa fossero le mezze misure?

Tornarono anche Melissa e Michael e, dai racconti del bambino, sembrò che il primo giorno di scuola nella nuova classe fosse andato anche meglio del previsto.

Appena dopo il caffè, decise di partire subito all’attacco.

Si alzò da tavola e si rivolse a Jennifer, «Hai mezz’ora da dedicarmi, Jennie? Vorrei parlarti da solo.»

Furono addirittura in cinque a cambiare colore: Jennifer, sua madre, sua nonna, Jeremy e Sarah.

Melissa e Michael, superato il primo momento di sorpresa, cominciarono praticamente a brillare… non poteva pensare a tutto.

Senza una parola, Jennifer si alzò da tavola e lo seguì fuori dalla stanza.

«Ti va di fare due passi nel parco?» le chiese… pardon: chiese alla sommità della sua testa.

Asserì semplicemente e lo seguì docile fuori.

Puntò verso il gazebo. «Forse hai già un’idea di quello di cui voglio parlarti.»

«Riguarda… riguarda stamani vero? Si tratta di mio fratello.»

«Esattamente Jennie, quindi rilassati. Credo che sia chiaro ormai che il fatto di esserti trasferita qui con la tua famiglia non comporti necessariamente il fidanzamento con il sottoscritto.»

La vide letteralmente sobbalzare e lo guardò, dritto negli occhi.

I miracoli potevano ancora succedere.

«Con chi hai parlato?» chiese.

«Jennie, sono sempre molto attento a quello che mi succede intorno, specie se mi riguarda, e per di più conosco anche troppo bene mia madre e mia nonna. La mia ipotetica fidanzata è il loro argomento preferito.»

La ragazza diede un sospiro di sollievo, «Temevo fosse stata mia madre a…»

Lei smise di parlare, lui smise di camminare.

«Tua madre?» le chiese.

Jennifer abbassò di nuovo lo sguardo.

Erano messi anche peggio di quanto immaginasse!

Da qualche tempo, anche se stava attento, tendeva a sottovalutare le situazioni, specie quelle peggiori.

«Ok, adesso abbiamo altro a cui pensare. Ricordati sempre che nessuno decide per noi, intesi? Parleremo di questo quando avrai fatto amicizia con l’idea che non mordo.»

Jennifer sorrise, «Sei impossibile Juna, parlo sul serio. Sembra non ci sia modo di avercela con te.»

«Lo dici come se fosse un obbligo. Perché dovresti avercela con me?»

Fece una retromarcia da manuale, «Hai detto che abbiamo altro a cui pensare, ricordi?»

Sorrise.

Arrivarono al gazebo ed entrarono dentro.

Jennifer si sedette dove aveva fatto colazione la mattina stessa e senza pensare le si sedette vicino.

«Ok, sono pronta. Parti.»

Mh… da dove?

«Preferirei che fossi tu la prima a dirmi cosa ti sconvolge.»

Jennifer gli lanciò un’occhiata, «Non hai usato un termine a caso vero? Micky è confuso… credo… è come se una parte di lui fosse stata cancellata e anche se mi fa paura, forse mi farebbe più paura il contrario.» Fece una pausa «Forse sono più confusa di lui.» Altro silenzio «Ti… ti ha più parlato del rapimento?»

Le annuì, un movimento che Jennifer dovette recepire con la coda dell’occhio perché si guardò bene dal voltarsi verso di lui.

Ci fu un lungo silenzio, poi vide distintamente gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime, «Perché con te sì e con me, papà o la mamma no? Non riesco a capire.»

«La spiegazione è più ovvia di quanto immagini Jennie: perché a me non vuole bene come ne vuole a voi tre.»

Era incredibile come quella ragazza, a sedici anni, avesse lo stesso comportamento di suo fratello di quattro quando si trattava di sorpresa.

«Cosa stai dicendo?» gli chiese con due occhi immensi.

«Io posso provare rabbia, amarezza, anche disgusto quando penso a cosa ha passato tuo fratello… non proverò mai il dolore e l’angoscia che provate tu e i tuoi genitori. E Micky vede la differenza. E ci sta male quanto voi se non di più. Tuo fratello pensa di proteggervi in qualche modo non parlandovi di quello che ha passato.» Cercò le parole adatte per dire la parte peggiore del discorso «E alla fine, se riuscirai ad essere onesta almeno con te stessa, ammetterai che anche tu e i tuoi avete paura che ne parli.»

Jennifer chiuse gli occhi, «Sì, riesco ad ammetterlo. E’ tutto così assurdo. Quando Micky non c’era mi sono convinta che quando sarebbe tornato tutto si sarebbe sistemato, invece i guai seri sono cominciati proprio quando è riapparso sulla soglia di casa. C’è… c’è una cosa che probabilmente non sai. Mio padre ha insistito per… per sottoporre Michael a una… una…»

«Tuo fratello mi ha parlato della visita per assicurarsi che non abbia subito abusi sessuali.»

«Te lo ha detto?» Ci fu una pausa, poi… «L’ha davvero presa bene come è sembrato?»

«E’ un bambino di quattro anni Jennie. Immagino e posso capire che da quando è tornato tu faccia fatica a ricordarlo perché temo che Michael sia cresciuto molto e troppo in fretta durante la prigionia, ma ha sempre quattro anni. Pensava che suo padre non gli avesse creduto quando gli ha detto che non era successo nulla. Ne abbiamo parlato un po’ e credo che abbia capito adesso. Forse anche troppo bene per la sua età.»

«Non tornerà più quello che era prima vero?»

Aveva bisogno che qualcuno le dicesse a voce alta quello che lei sapeva già. «No. Con pazienza potrà superare il trauma del rapimento e della prigionia, di questo sono certo: tuo fratello è un bambino forte. Ma tornare quello che era prima… no, è escluso.»

«Non so che fare Juna. E neanche mamma e papà. A volte Michael parla e noi stiamo ad osservarlo come in trance. Ancora non riesco neanche a credere che sia di nuovo con me.»

«Ti sembrerà una frase fatta, ma posso comprenderti. Il problema è che Michael se n’è accorto.»

«Anche la psicanalista ha detto che ha retto bene allo shock che deve aver subito nel trovarsi improvvisamente lontano da casa con persone che non conosceva.»

«Forse la psicanalista ha detto che ha retto anche troppo bene a questo shock?»

Jennifer annuì.

Lo sospettava.

«In altre parole lo sta covando. Jennie, tuo fratello è una bomba ad orologeria e nessuno sa quando il timer arriverà allo zero. Il fatto che dobbiate essere sempre pronti a tutto, non vi autorizza però a trattarlo come se fosse fatto di cristallo, o non riuscirà mai ad affrontare quello che ha dentro e superarlo.»

 

Juna sospirò pesantemente, «Ti sto dicendo cose che tu sai già, non credere che non lo sappia. Ti sto offrendo il mio aiuto e al momento non vedo modo migliore per aiutarti se non dirti chiaramente come stanno le cose.»

«Devo assolutamente riuscire a mettermi una maschera davanti a Micky, lo so… ma non sono mai stata in grado di nascondergli qualcosa, ed è questo che mi spaventa.»

«Quando penserai di non farcela, ricorda sempre che lo stai facendo per lui, non contro di lui. Sarà come vivere due vite separate e non sarà facile, lo so… ma non durerà per sempre perché anche Michael vuole che tutto questo finisca, gli serve solo che voi gli andiate incontro.»

Qualcosa nella voce di Juna le spedì una scossa elettrica lungo la spina dorsale, lo guardò e il ragazzo stava osservando un punto vuoto davanti a sé… lesse un qualcosa in quegli occhi che la sconvolse.

Tristezza, preoccupazione… sembrava così indifeso in quel momento.

«Non è facile fingere Jennifer, e ci vuole poco a capire che nel tuo DNA la cellula della finzione manca proprio. Sei trasparente Flalagan e ancora non mi spiego come hai fatto ad arrivare tutta intera ai sedici anni nel mondo in cui viviamo.»

Un pensiero le attraversò la mente mentre lo vedeva tornare di colpo il ragazzo che aveva conosciuto: mi sta dicendo che lui è abituato a mentire e fingere? Per questo può capirmi così bene? Per questo immagina quanto costi a me?

Juna sorrise, la sua voce tornò melodiosa, sparì il tono di tristezza, i suoi occhi tornarono a brillare di quella luce scanzonata e ironica che gli aveva sempre conosciuto, ebbe l’improvvisa certezza che Juna nascondesse qualcosa… le sembrò di non averlo mai visto prima di allora.

«Adesso però, devi cercare di non essere una brava ragazza, non del tutto almeno.»

«Ci proverò.»

Il ragazzo si alzò, «Molto bene: pseudo paternale terminata.»

«Devi tornare in ufficio adesso?»

«Il piano è questo, perché?»

«Niente.»

Juna reclinò appena la testa e un sorrisino gli curvò le labbra, «Io e te abbiamo già stabilito che non sai raccontare balle, ricordi?»

«Era solo curiosità.»

La testa si reclinò ancora di più e gli occhi si socchiusero appena, «Flalagan, fatti un favore: non cercare di nascondermi qualcosa perché sono più curioso di un gatto.»

Optò per una mezza verità, «Micky è più tranquillo se ci sei anche tu in casa.»

Tanto per farle sapere che non l’aveva bevuta, Juna ripeté semplicemente, «Micky.»

Accidenti a lui.

«Ok, e anche io» ammise alla fine senza guardarlo.

Juna sospirò, «Ho un appuntamento verso le quattro, torno a casa appena ho finito.»

Lo sentì uscire dal gazebo senza aggiungere una parola.

Si appoggiò al tavolo nascondendo gli occhi contro la mano… cosa dannazione sto facendo?

 

Suo padre lo intercettò appena messo piede in casa, «Spero che tu ci sia andato piano con lei.»

«Gli altri dove sono nascosti?» chiese prendendo la giacca.

«Juna…»

«Ho detto a Jeremy che avrei parlato con Jennifer e l’ho fatto. Ringraziando il cielo quella ragazza non è stupida papà, tutto quello che sto facendo, non lo sto facendo per me. Gradirei tanto che fra tutti quanti siete lasciaste le cose come stanno. Pensi che chieda troppo alla vita?»

«Le hai parlato di Michael?»

Si mise la giacca e si apprestò a controllare di avere tutto.

Notò sul display del cellulare l’icona che segnalava un messaggio non letto, ma preferì rimandare la lettura a quando fosse stato solo.

Un problema, anche se solo potenziale, alla volta.

«Di cosa avremmo dovuto parlare?»

«Non lo so, dimmelo tu.»

«Papà, a volte penso di lasciarti troppo solo con tua moglie, sai?»

Connor McGregory sorrise e scosse la testa, «Ok, ci siamo capiti. Resterei a casa, se non hai problemi ad affrontare Lynch da solo.»

«Solo? Magari, minimo avrà la figlia dietro. Tornerò a casa appena ho fatto con lui. A dopo.»

Uscì e ad attenderlo c’era già Kyle, l’autista che si occupava di lui e suo padre. «Buonasera signor McGregory.»

«Buonasera Kyle, direttamente in ufficio, grazie.»

Salì in macchina e Kyle prese posto alla guida.

Come partirono prese il cellulare e lesse il messaggio di Drake.

Forse Dio sarà sufficiente anche stavolta. Passo a trovarti verso le cinque e prendiamo un caffè insieme. Avvertimi se non puoi.

Rimise nella tasca il cellulare e sospirò. Aveva decisamente bisogno di buone notizie.

 

Tornò a casa anche più tardi di quanto preventivato, ma con Drake il tempo era volato.

Le uniche buone notizie erano che Lewing aveva personalmente controllato Dio-solo-sapeva-cosa ed era certo che in nessun modo informazioni o notizie su di loro fossero presenti sotto qualsiasi forma in qualche archivio dell’F.B.I. (a Drake la cosa era piaciuta così tanto che si era scritto la frase nero su bianco per ripetergliela alla lettera) e che sarebbero restati dormienti per tutta l’estate… a riposo nel gergo tecnico dell’F.B.I..

La seconda buona notizia era da prendere con il beneficio del dubbio, e lo sapevano entrambi, ma la buona volontà di Matthew e Richard era encomiabile.

Era una situazione a dir poco inverosimile.

Sia lui che Drake erano perfettamente coscienti che il punto focale di tutta la situazione era che quei due si erano presi un accidente da restarci scoprendo di avere da chissà quanto una talpa in seno alla sezione e come se una talpa non fosse un problema di tutto rispetto, adesso dovevano anche cercare di riconquistarsi quella fiducia totale che, da parte dei loro agenti, faceva la differenza fra una missione andata a buon fine e un esito disastroso.

Non li invidiava affatto.

Appena messo piede in casa furono in due a trotterellargli allegramente incontro, addirittura mano nella mano.

«Hai fatto tardi e ti sei perso la merenda» lo informò Melissa.

«Cosa mi sono perso esattamente?»

«Te ne abbiamo lasciata un po’, così la mangi dopo cena con il caffè» continuò Michael.

«Mh, promette bene. Qualcosa di dolce?» continuò togliendosi la giacca.

Anne apparve dal nulla e gliela tolse di mano per appenderla. La degna figlia di Howard.

La ringraziò con un sorriso ascoltando nel frattempo i due bambini che avevano tutte le intenzioni di coinvolgerlo in una specie di gioco a quiz.

«Sarà una torta.»

«Non c’è gusto a nascondere qualcosa a te: lo scopri subito!» disse Melissa imbronciata.

«Indovini anche di che torta si tratta?» chiese Michael improvvisamente preoccupato.

Melissa tornò allegra «Ah, questo no! Vero che non lo indovini?»

Sorrise, quei due facevano proprio una bella squadra. Alla fine sarebbero stati un aiuto prezioso l’uno per l’altra. «No, non lo indovino, me la mangio dopo cena.»

«Vieni in salone? Ci sono tutti» disse Melissa.

«Fatemi strada.»

Seguì i due bambini che continuarono a tenersi per mano.

Entrò nella stanza e la prima cosa che vide fu sua madre accanto a Jennifer: le stava insegnando il ricamo o aveva improvvisamente le allucinazioni?

«Buonasera.»

«Finalmente!» esclamò suo padre «Com’è andata?»

«Tutto ok. Lynch era addirittura estasiato quando ha scoperto quanto gli abbiamo fatto guadagnare.»

Suo nonno lo guardò con un sorriso, «Saresti in grado di vendere congelatori al Polo Nord, tu.»

«Solo agli esquimesi più idioti, nonno.»

Si levò un sottofondo di risatine.

«Ti hanno già avvisato che ti sei perso una merenda che non ha precedenti in questa casa?» chiese Justin.

«Sì, e mi hanno anche detto che per lasciarne un po’ a me ti hanno dovuto legare e imbavagliare.»

«Non è vero!» insorse Michael.

Guardò il bambino, «Mi stai dicendo che non lo avete dovuto legare e imbavagliare?»

Michael gli sorrise birichino, «No, non è vero che te lo abbiamo detto. Hai tirato ad indovinare vero?»

Justin rise, «Micky, mi conosce meglio di quanto pensassi!»

«Immagino che sia merito di Susan questa improvvisa predisposizione di casa McGregory ai dolci» disse prendendo posto nella sua poltrona preferita.

Come se si fossero messi d’accordo in precedenza, ed era certo che la cosa avesse richiesto quasi tutto il pomeriggio di contrattazioni, Michael e Melissa presero posto ai due lati mettendosi a cavalcioni sui braccioli… ovviamente dovettero lasciarsi la mano.

Lo sguardo angosciato di sua zia Elisabeth avrebbe sciolto una lastra di ferro, quello sorpreso di Sarah non era da commentare.

«La passione per i dolci di mio figlio è leggendaria quasi quanto il fascino di Juna» commentò suo zio Paul.

«Anche perché il bel faccino di Juna è molto più visibile» commentò l’interessato.

«Sono perfettamente d’accordo con te» ribatté lui prima che qualcuno potesse prendere il commento di suo cugino come una ripicca.

Justin andava capito, a volte neanche i suoi ci riuscivano, a forza di avercelo contro era diventato lampante per lui quando suo cugino scherzava.

«Sai cosa pensavo?» cominciò suo padre «Ne abbiamo parlato anche con il nonno…»

«… e con la mamma…»

«E’ pressoché impossibile parlare di te senza che quella donna se ne accorga, dovresti saperlo ormai.»

Sua madre ridacchiò brevemente, «Beh, devo farmi valere in qualche modo no? I McGregory sono più cocciuti dei muli, è risaputo» fu il commento. «Mi fa comunque piacere che mio marito si sia accorto che è difficile nascondermi qualcosa.»

«Tesoro, questa faccio finta di non averla sentita» commentò suo padre guardandola di traverso.

Sua madre gli sorrise raggiante.

«E a quali conclusioni siete giunti?»

Con la coda dell’occhio intravide Georgie entrare nella stanza.

«Sia tu che tuo padre potreste sbrigare il lavoro a casa, almeno il pomeriggio» disse suo nonno. «Sarebbe la scusa buona per cominciare ad usare quelle stanze che ho fatto aggiungere in pianta apposta… abbiamo comunque già portato la corrente e una linea telefonica nel gazebo, so quanto ti piace quella costruzione.»

Questa poi le batteva tutte…

Rimase in silenzio, aspettando le varie reazioni… che puntualmente arrivarono.

«Non sei d’accordo?» chiese suo padre.

«La cosa ti creerebbe qualche problema?» chiese suo nonno.

«Era solo un’idea, se non ti va…» disse Jeremy.

Tutti e tre insieme.

Jennifer guardava suo padre come se lo vedesse per la prima volta. Quindi lei era all’oscuro di tutto.

Stessa cosa non poteva dirsi per i due puffi che aveva ai lati: Melissa e Michael avevano un’aria colpevole e insieme implorante che gli tolse ogni dubbio sulla motivazione che aveva fatto scattare quell’idea.

«Non ho problemi, possiamo mettere il trasferimento di chiamata in ufficio fino alle sette e al limite Alison vedrà slittare il suo orario di lavoro. Le parlerò domani mattina.»

«Chi è Alison?» chiese Michael circospetto «La tua fidanzata?»

«Sta per sposarsi, ma non con me: è la mia segretaria.»

«Alison si sposa?» chiese meravigliata… e interessata sua madre.

«Sì mamma… e credo sia il momento adatto per ricordarti che ha quasi dieci anni in più di me…»

Sua madre lo guardò malissimo, ma la freccia era stata spuntata ancora prima che toccasse l’arco… e lo sapevano entrambi.

«L’ho conosciuta un anno fa credo… è molto simpatica» disse Melissa con un tono che l’intera stanza prontamente tradusse come un non è pericolosa per i nostri piani, tranquillo compare.

Jennifer cambiò letteralmente colore, sua nonna e sua madre si lanciarono un’occhiata allarmata, Sarah e Jeremy forse anche più che allarmata, suo padre guardava la nipote e il suo nuovo alleato fra il rassegnato e il divertito, Elisabeth guardava la figlia per niente divertita, Justin intercettò il suo sguardo e fece un gesto con la mano come per dire ecco, appunto, che ti avevo detto?… dulcis sin fundo, Georgie diede una leggera pacca sulla spalla di Jennifer… il messaggio era non preoccuparti, sono solo bambini.

Alison era comunque scampata ad un linciaggio e al momento tanto gli bastava.

«Bene Lissa, posso tradurlo come un assenso che Alison venga qui con me a lavorare?» chiese.

«Possiamo farti compagnia mentre lavori?» chiese di rimando la bambina.

«Potremmo imparare un sacco di cose» le fece eco Michael speranzoso.

«Da quanto sei appassionato di alta finanza?» chiese Jeremy cercando di riprendere in mano le redini della situazione.

«Da quando so che se ne occupa Juna» fu la lapidaria risposta del bambino.

Beh, aveva cominciato con quel piede, non nascondendo minimamente che se avesse potuto si sarebbe infilato in una sua tasca pur di non allontanarsi da lui, cambiando atteggiamento a quel punto effettivamente avrebbe destato più perplessità che altro.

Jeremy si arrese con un sospiro sprofondando nel divano accanto alla moglie, guardando il figlioletto come se si aspettasse che cominciasse a lievitare in aria da un momento all’altro.

«Dieci e lode per la sincerità Michael» disse Justin.

 

«Ascoltatemi bene voi due» disse Juna ai due bambini, i quali buttarono fuori istantaneamente il resto del mondo dalle loro vite per concentrarsi su di lui. «Io non ho nulla in contrario a lavorare a casa e ad avervi accanto, ma il fatto che porti qui il lavoro, non cambia che sia lavoro e come tale deve essere fatto bene, ci siamo capiti?»

«Saremo muti come pesci» disse Melissa solenne.

«E silenziosi come…» disse Michael, poi si bloccò non sapendo quale animale tirare in ballo «… come se non ci fossimo» ovviò al problema.

Apparve Howard e come al solito le fece fare un salto. Per fortuna aveva smesso di ricamare o avrebbe fatto un disastro.

Suo fratello avrebbe potuto dire silenziosi come Howard, non credeva che Juna potesse chiedere di più alla vita!

«La cena è pronta.»

«Arriviamo subito» disse Patrick.

Juna si alzò e sorrise, «Non importa che diventiate trasparenti, mi accontento che siate silenziosi come il nostro Howard!»

L’anziano maggiordomo guardò il ragazzo e, incredibile ma vero, sorrise «La ringrazio per il complimento signorino Junayd.»

«E’ vero Howard, non riesco ad immaginare questa casa senza di te. Sei encomiabile, anche quando ti prendo in giro.»

Fece in tempo a intravedere uno strano luccichio negli occhi dell’uomo, prima che si inchinasse e dicesse semplicemente, «E’ sempre un piacere prima di un dovere.»

Sparì com’era apparso.

«Quell’uomo ti adora Juna» disse suo padre. «A meno che non sia impazzito, il tuo semplice complimento lo ha portato alle lacrime.»

«A volte penso di dare parecchie cose per scontate Jeremy» rispose Juna. «Per esempio la presenza di Howard o di James, il giardiniere, forse ti ricordi di lui. Voglio molto bene ad Howard, è con me da quando sono nato. Una volta, avrò avuto due anni, ricordo che mi cambiò il pannolino, quando c’erano in casa altre tre donne che potevano farlo.»

«E’ vero» disse Manaar. «Quando tornai a casa e lo seppi mi sembrò incredibile. Chiesi ad Howard perché lo aveva fatto, quando appunto c’erano anche Anne e sua moglie in casa, oltre a Madeline che adorava fare bagnetti e cambiare pannolini. Beh, la sua risposta fu se avessi chiamato qualcuno avrei lasciato il signorino Junayd da solo ed era già evidentemente intenzionato a toglierselo da solo da come gli dava fastidio. Di necessità virtù… non è stato poi così difficile.»

Tutti risero divertiti.

Effettivamente Howard alle prese con un pannolino era un qualcosa che faceva sorridere… e se è per quello anche il pensiero che un bambino di due anni avesse portato un adulto a pensare o lo faccio io o ci pensa da solo non era da tutti i giorni!

D’altra parte, si stava parlando di Juna.

Cominciarono ad uscire dalla stanza.

Si trovò accanto a suo padre e sentì distintamente Patrick dire, «Il punto è che Juna è il nipote che più mi assomiglia, Jeremy. A prescindere che sia un genio, è un McGregory di prima categoria e Howard vede in lui il futuro capo dei McGregory e so che ha ragione. Madeline mi staccherebbe la testa quando mi sente dire cose simili, ma è Juna l’erede designato al di là di suo padre. Justin prenderà in mano il lato legale della compagnia e adesso so che saranno una squadra vincente… nessuno fermerà i miei nipoti, ma sarà Juna l’essenza stessa dell’impero che i miei nonni e mio padre hanno costruito prima di me.»

«Ti garantisco che è già evidente Patrick» continuò suo padre. «Juna è un leader nato, ma ha anche umanità oltre a fascino e carisma. E’ impossibile non volergli bene.»

«Esatto Jeremy, esatto.»

Sentì un braccio di suo padre cingerle le spalle, «Abbiamo fame principessa?»

«Abbastanza papà.»

«Jennifer, volevo dirti una cosa» riprese Patrick, «anche se, conoscendo mio nipote, Juna avrà già trovato il modo di dirtelo a chiare lettere: a prescindere dal fatto che in questa casa, chi più chi meno, tutti vi vediamo già sposati, gli unici che hanno e avranno sempre voce in capitolo siete tu e lui.»

Le sembrò che un macigno le atterrasse sullo stomaco, Patrick era il primo che affrontava il discorso usando le parole precise.

Si sforzò di sorridere, «Ci ha già pensato Juna, in effetti. Grazie però.»

Durante la cena il ragazzo fu stranamente silenzioso e distante.

Le occhiate che saettavano fra Manaar e Connor erano impossibili da non notare, come il fatto che Michael fosse attento e vigile ad ogni minimo movimento del ragazzo e Melissa mangiasse con un occhio a controllare di trovare la bocca e uno al cugino.

Improvvisamente Juna sospirò profondamente. «Nonno, non credo sia il caso di aspettare oltre.»

Si fece il silenzio più assoluto.

«Di cosa stai parlando Juna?» chiese Patrick.

«Lizar e Dragar devono vedere Jeremy, Sarah, Jennie e Micky.»

Michael si morse appena il labbro inferiore… sembrava sapesse di cosa stesse parlando il ragazzo.

Patrick si batté una mano sulla fronte, «Dannazione! E’ vero! Come ho fatto a non pensarci?»

«Chi sono Lizar e Dragar?» chiese Sarah.

«Dragar e il figlio di Betty-Blue e Northerst, te li ricordi Jeremy? E Lizar è la sua compagna.»

«Ah, stai parlando dei cani!» esclamò sua madre.

Bastò quella parola a darle i brividi.

«Sono i cani da guardia della villa» spiegò Paul. «Forse Jennie si ricorda i genitori di Dragar. Accidenti, non ci ho proprio pensato.»

«Beh, a dirla tutta nessuno ci ha pensato perché l’unico che può avvicinare Lizar e raccontarlo è Juna» disse Ryan.

«Sono dobermann vero?» chiese suo padre.

«Sì» rispose Connor. «Dragar essendo nato e cresciuto qui si fa avvicinare da tutti i componenti della famiglia, Lizar invece è proprio ostica.»

«Sono… sono addestrati ad attaccare?» chiese con voce il più possibile ferma.

Il risultato fu, ovviamente, una catastrofe.

«Sì, ovviamente sì» rispose Justin. «Li liberiamo la sera prima di andare a letto… beh, per la verità ci va sempre Juna.»

«Stasera verrete con me ad aprire la gabbia» disse allora il ragazzo.

«Che bisogno c’è che li veda o mi vedano? Io non esco la sera e Micky neanche. Possiamo evitare questo incontro no?»

«Ah beh, da ora in poi sono certo che ti barricherai in casa dopo il tramonto» fu il commento apertamente ironico di Juna. «Ed è esattamente quello che voglio evitare.»

«Io li vengo a vedere se pensi che debba farlo» disse suo fratello.

Juna rimase un attimo in silenzio, poi si appoggiò allo schienale della sedia. «Voi non immaginate il motivo del perché voglio che i cani li conoscano vero?»

«Beh…» cominciò Paul «può capitare che si trovino a passeggio nel parco.»

Juna scosse la testa, «No zio. Mi dispiace parlarne visto che tutti lo evitate accuratamente, so di ricordare cose quantomeno spiacevoli… ma sono certo che nessuno qui si è scordato il perché Jeremy e la sua famiglia sono in questa casa.»

Justin sospirò profondamente, «Lo sospettavo sai? In poche parole: Juna vuole essere sicuro che, nella peggiore delle ipotesi, i cani non abbiamo dubbi riguardo chi attaccare e chi proteggere… e se non conoscono Jennie e Micky, come possono farlo?»

Madeline dette in un’esclamazione soffocata, seguita da sua madre, Elisabeth e Lennie.

«Credi sia possibile che riescano ad entrare qui?» chiese Connor incredulo.

«Papà, sei pronto a mettere la mano sul fuoco circa la possibilità che non ci riescano?» fu la risposta di Juna «Sicuramente Villa McGregory è più sicura di dove abitano Jeremy e Sarah, ma non stiamo parlando di vaghe ipotesi, stiamo parlando di persone che hanno già colpito una volta.»

«Juna ha ragione, inutile girarci intorno» disse Patrick. «Siamo stati noi degli incoscienti a non pensarci subito.»

«Nonno, forse sarebbe il caso di far venire qui anche Indios, Venusia e Cocoon. Conoscono la villa e il parco.»

«Altri cani?» chiese suo fratello.

«Venusia e Cocoon sono i fratelli di Dragar. Indios è il fratello di Lizar. Per comodità loro tre li abbiamo sempre lasciati nella villa in campagna…» rispose Connor, «ma forse non è un’idea malvagia radunarli tutti qui per un po’. Quando siamo sicuri che conoscono chi sta in casa, possiamo lasciarli liberi anche il giorno.»

«Telefonerò stasera stessa a Ronald per avvertirlo di prepararli per il viaggio» disse Patrick.

«Posso venire anch’io con voi?» chiese Melissa.

«Andremo tutti quanti Lissa» disse Ryan. «Li vedranno con l’intera famiglia, sono cani intelligenti, non avranno dubbi riguardo il fatto che siano amici.»

Juna si alzò, «Mentre aspettiamo il caffè, vado a cambiarmi.»

Uscì dalla stanza nel silenzio più assoluto.

Poteva letteralmente ascoltare il respiro di suo fratello accanto a lei e percepiva addirittura quello di Manaar dall’altra parte del tavolo.

«Tuo figlio riesce ancora a sorprendermi, Connor» disse Paul.

«A chi lo dici» commentò Manaar. «In questi giorni lo vedevo così cupo e silenzioso che il primo pensiero è stato che avesse un problema. Sono arrivata a piombargli in ufficio fra capo e collo. La realtà è che mio figlio ha troppo a cui stare dietro.»

«E qualcosa si sta come… allentando in lui zia» disse all’improvviso Justin. «Lo dico adesso, davanti a tutti: Juna non sta bene, c’è qualcosa in lui che non va.»

«Just ha ragione. L’ho notato anche io.»

Anche i muri si voltarono verso Melissa, che aveva pronunciato lentamente l’ultima frase.

«Ok» prese la parola Connor, «sono pronto ad ammetterlo. Melissa, devi capire che mio figlio non è invincibile. E ti chiedo… vi chiedo» si corresse poi, «di non parlargli di tutto questo, per nessun motivo, perché conoscendolo si barricherebbe dietro un muro di allegria scanzonata e non ci sarebbe più verso di cavare il ragno dal buco. Fino a quando Juna non si rende conto che lo stiamo tenendo d’occhio, perché è esattamente questo che stiamo facendo, avremo qualche possibilità di capire cosa gli frulla per la testa, se si accorge di qualcosa, ci troveremo irrevocabilmente tagliati fuori.»

«Avete preso in considerazione l’ipotesi di parlare con Drake?» chiese Madeline «Se c’è qualcuno che può sapere qualcosa, quello è lui.»

«Effettivamente mi sono sembrati molti uniti quei due» disse suo padre.

«Quei due sono inseparabili dalla nascita» disse Manaar. «Io e Jessica ci conosciamo dal liceo e siamo sempre state legatissime. Quando Juna è nato lei e Drake erano nella sala attesa insieme alla famiglia. In pratica appena l’ha visto, Drake ha stabilito che Juna era “suo”» disse suo disegnando in aria delle virgolette con le dita… un gesto che le portò automaticamente in mente Juna.

«Il problema è che parlare di qualcosa a Drake è come dirlo in faccia a mio figlio» continuò Connor. «Quel ragazzo è geneticamente incapace di nascondere qualcosa al mio pargolo.»

«Io però ho parlato con Jessica» riprese Manaar, «e qualcosa è successo di sicuro, perché anche Drake da qualche giorno le sembra come su un altro pianeta.»

«Quindi se qualcosa è successo, è successo ad entrambi» disse Paul. «Oppure è successo ad uno solo e l’altro è talmente preoccupato per l’amico che non si da pace.»

«Ti giuro che non so cosa sperare» disse Manaar.

La voce di Juna riecheggiò nell’ingresso, «Ma dai… Tyler, ti rendi conto che è come comprare un salvavita dal boia di Londra? … Ecco, appunto, non voglio più uscire con lei e fisso con la cugina?? … Ma non mi interessa se è bionda e bella, il mondo è pieno di belle bionde, devo andare a letto con tutte?»

Manaar sgranò gli occhi, Connor cominciò a ridacchiare senza vergogna, seguito da quasi tutti i maschi presenti nella stanza.

«… Senti, ho detto di no, ok? Pensi quello che vuole, dille che sono malato, che esco con un’altra, che sono diventato gay, fai come vuoi… no, tutto quello che vuoi tranne questo, Drake! … Non voglio più sentire nominare né lei né qualcuna in qualche modo collegata alla sua persona, intesi? … Mh, ok… sì, va bene, ti aspetto domani, pranziamo insieme?» Apparve sulla soglia con il cellulare incastrato fra la guancia e la spalla, «Aspettarti nella hall? Ti ha dato di volta il cervello? … Drake, tu non sei mai puntuale con il sottoscritto, ok? La triste verità è che la tua esigua scorta di puntualità la riservi al resto del mondo e… … No, non sto parlando delle buche telefoniche, coda di paglia, sto parlando del fatto che se ti voglio in un dato posto alle quattro e mezzo, devo dirti che l’appuntamento è per le quattro! … Antipatico a me?? … Senti, io sono nel mio solito ufficio ok? Ed è lì che ti aspetto.» Cambiò orecchio, «Drake, se per caso stanotte impari ad essere puntuale, domani ti chiedo scusa, resta sott’inteso che a quel punto al primo sgarro che fai, t’inchiodo!» Scoppiò a ridere, rovesciando come al solito la testa indietro e prese il cellulare con una mano, «Lo scopri adesso che sono crudele e senza pietà verso il prossimo? … Ok, a domani.»

Chiuse il cellulare e lo mise nella tasca posteriore dei jeans.

«Capitano spesso dialoghi così… costruttivi fra te e Drake?» chiese Manaar.

«Direi che sono la norma più o meno da quando ho il dono della parola» rispose Juna. Poi sorrise, «Immagino che tu voglia sapere, nella fattispecie, da quanto i dialoghi fra me e Drake s’imperniano sulle bionde, per me, e sulle more, per lui, e sui letti, giusto?»

«Ti piacciono le ragazze bionde?» chiese suo fratello.

«Micky, abbi un po’ di pietà per tua sorella adesso ok?» disse Justin correndo in suo aiuto «Ha già un bel problema a cui far fronte stasera.»

Juna guardò il cugino e si sorrisero, poi tornò a guardare la madre, ignorando lei. «Mamma?»

«Lasciamo perdere Juna, ho l’impressione di aver appena perso una potenziale futura nuora, forse anche due.»

Il ragazzo fece una smorfia, «Impressione sbagliata, la bigamia è illegale in questo paese, sai? Ma fa niente.» Riprese il proprio posto a tavola e si guardò intorno, «Allora, di cosa stavate parlando?»

Silenzio.

«Quando torniamo dalla gabbia potremmo provare se i computers nel gazebo funzionano» disse Connor.

Juna soppesò per qualche secondo il padre con lo sguardo, poi si voltò verso di lei, «Jennie, di cosa stavate parlando?»

«Perché lo chiedi a lei?» chiese Ryan.

«Perché lei non sa mentire, almeno con me non ci riesce, e tanto mi basta.»

C’è sempre una prima volta nella vita e comunque, tentar non nuoce.

«Credevo che la battuta di Justin fosse abbastanza illuminante anche per te.»

Juna socchiuse gli occhi, «Stavate ancora parlando dei cani?» chiese.

Cercò d’ignorare il tono incredulo del ragazzo, «Non sono mai andata d’accordo con i cani in vita mia, non credo comincerò proprio stasera.»

«Io non voglio che tu vada d’accordo con i cani, tu devi andare d’accordo con Dragar e Lizar.»

«Ma perché?»

«Perché potrebbe fare una bella differenza.» Al suo silenzio sbuffò, «Jennifer, dannazione, pensi che mi stia divertendo?» chiese «Ricordi cosa ti ho detto oggi?»

Capì subito a cosa alludeva e asserì: stava continuando a dirle esattamente come stavano le cose. «Lo so Juna, ma…»

«Ti fosse venuto il dubbio, non ho alcuna intenzione di aprire la gabbia, sbattertici dentro, chiudere e venire via.»

La risata le salì alle labbra prima che se ne accorgesse, «Gentile da parte tua sottolinearlo! Il pensiero non mi ha neanche sfiorata comunque.»

Le risatine salirono di tono intorno al tavolo e di lì a pochi secondi tutti ridevano, anche suo padre e sua madre.

Soltanto Juna poteva far ridere qualcuno in momenti del genere.

«Era da tanto che non ti sentivo ridere così» le disse suo padre.

«Eh, a qualcosa servo anch’io» fu il commento del ragazzo.

Arrivarono Howard e Anne con i caffè e finalmente Juna si trovò a tu per tu con la torta al cioccolato di Susan, che portò lei stessa. «Il suo è l’unico parere che mi manca signor McGregory.»

«Ti ho sentito dare del tu a Jennie e ho solo tre anni in più di lei, Susan, posso sperare che almeno tu riesca a trattarmi come un ragazzo di quasi diciannove anni?»

Susan guardò Juna per qualche secondo, poi sorrise, «Esigo che tu la finisca, intesi?»

«Dai per scontato che mi piacerà… e se una fetta non mi bastasse?»

«Fra venti minuti sono pronte altre tre torte, giù in cucina.»

Michael e Melissa saltarono in piedi sulla sedia con un sincronismo sconcertante lanciando gridolini.

«Michael Flalagan, rimettiti subito a sedere!» esplose sua madre.

«Melissa!» esclamò costernata Elisabeth.

«Se voi due fate i bravi, vi dico subito la sorpresa che avrete domani mattina» disse Susan ai due bambini. «Una sorpresa di cui potrà beneficiare anche Jennie, sempre che…»

«Io sono sempre una brava bambina Sue» disse lei.

Era uno scherzo che andava avanti da quando lei aveva quattro anni.

«Da stasera si trasformerà in una bambina addirittura eroica…» commentò Juna prima di addentare la torta.

Lo guardò male, ma il ragazzo aveva chiuso gli occhi, inghiottì il pezzo di torta «Susan, parola mia, è la torta più buona che abbia mai mangiato. Includimi nella sorpresa di domani mattina, qualunque sia!»

«E io??» chiese Justin.

Lennie guardava il figlio con occhi sgranati, «Justin…»

«Cosa mamma?»

«Ti stai comportando come un bambino, ti rendi conto?»

Con naturalezza agganciò le occhiate di Juna, Georgie e Justin e capì al volo cosa doveva fare.

«Come un bravo bambino!» corressero ad una voce tutti e quattro.

Scoppiarono a ridere sotto gli sguardi sorpresi dell’intera stanza.

Ok, sarebbe sopravvissuta anche ai cani.

 

Dragar e Lizar lo avrebbero sentito e riconosciuto a chilometri di distanza, ancora prima che la gabbia fosse visibile fra la vegetazione che copriva il parco, il furioso abbaiare dei due cani esplose gioioso.

Ovviamente Jennifer era troppo tesa per cogliere sottili differenze come l’abbaiare di un cane festoso da quello di un cane che mira alla gola e in pratica se la trovò in collo.

«Scu… scusa» mormorò allontanandosi lo stretto indispensabile per farlo camminare.

Lizar e Dragar saltavano contro la rete, impazienti di fargli le feste come succedeva da cinque anni a quella parte.

«Fermatevi qui» disse agli altri.

Si avvicinò alla gabbia e la aprì.

In un lampo i due cani gli furono addosso, saltando, abbaiando e cercando le sue attenzioni.

Come sempre Dragar si staccò da lui e corse incontro al resto della famiglia.

Anche lui però si bloccò vedendo persone che non conosceva o riconosceva.

Jeremy si accovacciò a terra, «Ciao Dragar, Dio eri un cucciolo di poche settimane quando ti ho visto l’ultima volta, non puoi ricordarti di me.»

Lizar si appiccicò alla sua gamba e rimase in attesa di vedere cosa avrebbe fatto il suo compagno.

«La femmina è quella con Juna, vero?» chiese Sarah.

Nel frattempo Dragar aveva cominciato ad annusare con attenzione Jeremy.

«Papà…» cominciò Jennifer con una vocina appena udibile.

«Io non ho paura di loro, e Dragar lo sente… chissà che non si ricordi, lo tenni in collo un intero pomeriggio quando era piccolo.»

Alla fine con un debole guaito, Dragar cominciò a leccare il viso di Jeremy, «Ma sì che mi hai riconosciuto!» esclamò l’uomo contento.

Michael fu il primo ad agire e fece un passo verso Dragar che se ne accorse subito e si voltò verso di lui.

«Tu hai gli occhi più dolci di quelli che erano alla villa» decise il bambino. «Juna dice che non mi attacchi. Non mi attaccherai, vero?»

Fece un altro passo, più sicuro del primo e Dragar si girò completamente verso di lui.

«Micky, stai attento» disse Sarah.

Dando probabilmente fondo alla sua scorta di coraggio, Michael tese una manina verso Dragar che l’annusò con la solita attenzione.

Completamente rincuorato, il bambino si avvicinò, «Quegli altri me l’avrebbero staccata con un morso. Juna ha ragione: tu sei buono.»

Cinse il collo dell’animale alto quanto lui e cominciò ad accarezzargli il dorso.

Dragar fece un solo passo avanti e Michael perse l’equilibrio finendo a sedere in terra con una risata.

Sarah e Jennifer dettero in un’esclamazione terrorizzata.

«Mi stai lavando la faccia Dragar!» esclamò ridendo il bambino al cane che nel frattempo si era messo in piedi sopra di lui «Devo andare a letto fra poco, ma me la lavo con l’acqua! Smettila mi fai il solletico con quella lingua!»

Come se avesse capito, Dragar fece un passo indietro e… affondò il muso nel pancino di Michael.

Vedendo che il fratellino di stava divertendo, Jennifer sembrò rilassarsi.

Non si era neanche accorta che Lizar era arrivata alle sue gambe.

La cagna annusò la mano di Jennifer che improvvisamente realizzò che c’era qualcosa che non andava.

Gridò, letteralmente, e fece un salto indietro.

Lizar rimase immobile.

«Come ha fatto ad arrivarmi così vicina?!» esplose la ragazza addirittura con il fiatone, dall’accidente che si era presa «Non l’ho sentita!»

 

«E’ un ottimo cane da guardia proprio per questo Jennie» le rispose Juna con una calma che in quel momento odiò con tutto il cuore. «Hai appena rifiutato un suo incredibile gesto di amicizia, quindi devi fare tu il prossimo passo.»

«Non ho rifiutato niente, mi ha fatto paura!» protestò.

Lizar era rimasta perfettamente immobile.

«Ha capito che sei un’amica» disse Connor. «In caso contrario ti avrebbe già azzannato.»

In quel momento suo fratello riuscì a rimettersi in piedi e Lizar si concentrò su di lui. Mentre si puliva i pantaloni dalle foglie, la cagna gli si avvicinò alle spalle.

«Michael, voltati a conoscere Lizar» disse Juna.

Quei cani erano più grossi di suo fratello, lo avrebbero potuto uccidere in un attimo.

«Ciao Lizar, tu sei la più cattiva vero?» chiese girandosi. Si fermò a guardare negli occhi l’animale e si morse il labbro inferiore, «Sì, tu hai gli stessi occhi di quegli altri» disse poi.

Lizar si guardò intorno, poi decise che era proprio lei quella che le stava, e sperava davvero con tutto il cuore che fosse così, più simpatica.

La vide tornare verso di lei e le gambe non la ressero, piombò in ginocchio a terra e la cagna si fermò.

«Sente che hai paura di lei Jennie» disse suo padre. «Cerca di rilassarti.»

«Richiamala Juna, ti prego» disse in un sussurro.

Fu Dragar a sbloccare la situazione: trotterellò tranquillamente fino a lei, passando accanto alla sua compagna, e le dette una leccata a tutta faccia che la fece rimanere talmente inebetita dalla sorpresa che non reagì.

Poi rise, «E’ il tuo benvenuto questo? Sai che mio fratello ha ragione? Fai il solletico!»

Istintivamente gli accarezzò la testa e Dragar indietreggiò di qualche passo, sedendosi poi davanti a lei.

Guardò oltre lui e vide che Lizar non si era ancora mossa.

Dio solo sapeva il perché, visto che a lei tale motivo sfuggiva completamente, le tese una mano e Lizar non si fece ripetere l’invito la seconda volta.

Arrivò con il naso a meno di un centimetro dal suo dito e rimase immobile.

«Juna, potresti anche collaborare adesso: che devo fare?» chiese un po’ spazientita.

«Ritira lentamente la mano.»

Lo fece e si rese conto che Lizar avanzava allo stesso ritmo con il quale lei ritraeva il braccio.

«Che dannazione sta facendo?» chiese Paul.

«Sta stranamente rispettando la paura di Jennifer» rispose Patrick. «Possiamo stare tranquilli, i cani hanno capito perfettamente.»

Quando fra lei e la cagna ci fu meno di mezzo metro, il che significava che le era anche più vicina di Dragar, Lizar si spostò improvvisamente verso l’esterno e, aggirandola, si mise di fianco a lei.

«Non riesco a credere ai miei stessi occhi» disse Georgie. «Da quando quella cagna è qui, e sono ormai quasi sei anni, non c’è stato verso per me di avvicinarla.»

«Juna, secondo te è il suo modo per dirti che ha capito?» chiese Madeline.

«Può darsi nonna, purtroppo non sono né telepatico, né parlo con gli animali» rispose il ragazzo. «Ce la fai ad alzarti o devo prenderti di peso?» le chiese poi.

Racimolando tutto il coraggio, se così si poteva anche definire l’incoscienza, che le era rimasto si alzò di nuovo.

«In fondo non è poi così cattiva» disse Michael seraficamente appoggiato a Dragar.

Amore a prima vista.

«Cerchiamo di capirci, per favore» disse Justin. «Se i cani da due diventeranno cinque e soprattutto se abbiamo intenzione di tenerli sempre liberi devo saperlo per avvisare Diana.»

«Al più tardi la prossima settimana, le cose cambieranno in questo senso» confermò Patrick.

Lizar era tornata al fianco di Juna che chiuse la gabbia. «Faccio una passeggiata nel parco con i cani prima di rientrare» annunciò.

«Vengo anch’io!» esclamarono due vocine a caso.

«Melissa, devi andare a letto, è tardi» disse Ryan.

«Ma papà…»

«Niente ma, i patti sono chiari, ricordi?»

«Michael, preferirei che anche tu andassi a letto adesso» disse suo padre.

Suo fratello lo guardò per un secondo, poi annuì. «Può mettermi a letto Jennie?» chiese poi.

All’occhiata di suo padre, fu lei a muoversi.

Andò incontro al fratellino e lo prese in collo, «Avanti campione, a nanna.»

 

Gli si contorse lo stomaco nel vedere l’espressione di Melissa quando Jennifer prese in braccio il fratellino.

Conosceva bene quell’espressione e cosa si nascondeva dietro: neanche Drake era riuscito a colmare del tutto il vuoto che un fratello o una sorella aveva sempre lasciato in lui.

Nessuno ne aveva mai parlato, neanche Drake lo sapeva, e parlando con Justin aveva capito che lui e Georgie avevano appena intuito quello che aveva passato.

Sapeva che nei piani di sua madre e suo padre lui neanche avrebbe mai dovuto saperlo e infatti era stato un caso quello che lo aveva portato a conoscenza del fatto che il giorno della sua nascita era morto suo fratello.

Gemelli omozigoti. Perfettamente identici, in tutto e per tutto.

Aveva fatto una serie di ricerche sull’argomento da quando lo aveva scoperto e aveva imparato tante cose sul fratello, al quale era stato dato il nome di Jawad Tareq, che non aveva conosciuto.

Avrebbero avuto lo stesso identico DNA e addirittura le stesse impronte digitali.

Erano mesi che non pensava a lui.

La sua nascita-morte era stata tenuta nascosta praticamente al mondo intero, Dio solo sapeva il perché, non esisteva il certificato di nascita né quello di morte, lo sapeva per certo perché quando aveva avuto la possibilità di curiosare nel computer di Richard, il quale tanto per fare cifra pari gli aveva anche dato la propria password di accesso, aveva fatto qualche ulteriore ricerca in vari schedari e archivi e di Jawad non c’era traccia.

Aveva scoperto della sua brevissima esistenza, meno di dodici ore, perché a quattro anni aveva avuto per qualche tempo l’abitudine di nascondersi sotto il letto dei suoi a leggere… si nascondeva perché in un certo senso pensava di rubare i libri dalla biblioteca e, ovviamente, non voleva essere scoperto.

Sua madre quel giorno aveva avuto una specie di crisi di nostalgia per il figlio morto.

L’aveva sentita piangere per delle ore e quando suo padre era tornato a casa e l’aveva raggiunta in camera, per la prima e ultima volta aveva sentito nominare Jawad.

Fosse stato un bambino di quattro anni con l’I.Q. di un bambino di quattro anni, forse non avrebbe neanche capito quello che si erano detti i suoi genitori, ma essendo già all’epoca in grado di leggere e capire Il ritratto di Dorian Grey e destreggiarsi con l’andamento della borsa mondiale…

«Juna?»

Si riscosse.

Sua madre aveva il tono di chi non chiama qualcuno per la prima volta.

«Cosa?»

«Qualcosa non va?»

Si guardò intorno, «Dov’è Lissa?»

«Sembravi perso su un altro pianeta e Georgie è riuscita a convincerla a non disturbarti» rispose suo zio Ryan. «Temo però che per farla dormire dovrai rimandare di qualche minuto la tua passeggiata e salire a salutarla.»

Movendosi, si rese conto di essersi inconsciamente spostato mentre pensava a suo fratello e si era appoggiato con la schiena al tronco di un albero.

«Nessun problema, vado subito.»

Lizar abbaiò vedendolo avviarsi verso casa. «Torno subito, aspettatemi lì voi due.»

 

«Forse non parla con gli animali, ma gli animali lo capiscono alla perfezione» commentò Jeremy osservando i due cani che, inutile dirlo, si erano accucciati all’istante.

Riuscì a distogliere lo sguardo dal punto dove suo figlio era sparito e incrociò quello di sua moglie.

Era successo di nuovo.

Juna aveva qualcosa che lo preoccupava fino a farlo star male, sapeva di non essersi sbagliato: lo aveva visto muoversi fino al tronco quasi in trance.

Dannazione, cosa stava succedendo?

«Connor.»

Si rivolse verso suo padre, «Dimmi.»

«Stavolta l’ho notato anch’io. Io e tua madre stavamo pensando di dargli la possibilità di svagarsi un po’… non so, fare un viaggio… potrebbe andare a trovare i suoi nonni a Los Angeles.»

«Se Juna fosse un po’ meno sveglio e attento potrei fargli una proposta del genere, ma ti garantisco che adesso mangerebbe la foglia e comunque se c’è qualcosa che lo preoccupa qui, certamente non si allontanerà.»

Sentì le braccia di sua moglie cingergli la vita e automaticamente l’abbracciò.

«Sto cominciando a chiedermi da quanto tempo ha questi… vuoti» disse Manaar. «Amore, lo hai visto?»

«E se invitassimo Mansur qui?» continuò sua madre.

«Mio padre?» chiese Manaar… come se ci fossero almeno due Mansur al mondo.

«L’idea è di far distrarre un po’ Juna» le spiegò. «Sono certo che se c’è qualcosa qui lo preoccupa, sicuramente non partirà.»

«La scusa ufficiale sarebbe che voglio che Jeremy lo conosca» disse suo padre.

Manaar si agitò, chiaramente a disagio. «Non so come la prenderebbe Juna, messa così.»

«Che vuoi dire?» chiese suo padre sorpreso.

«Potrebbe vederla come la scusa per far conoscere Jennifer anche ai miei.»

Silenzio.

Aveva ragione.

«Qualcuno della tua famiglia finisce gli anni?» chiese sua madre «In questa casa siamo tutti nati fra agosto e aprile» aggiunse quasi dispiaciuta.

«Beh, mio padre fra un mese finisce gli anni, ma non ha l’abitudine alle feste.»

«E se gli spiegassimo perché deve farsela venire?» chiese.

Manaar alzò gli occhi al cielo, «Sarebbe capace di affittare la Casa Bianca e invitare tutta l’America.»

«Ancora non hai parlato di questo a Mansur» disse suo padre.

Non era una domanda, era una presa di coscienza della realtà.

«Ha voglia di scherzare Patrick? Mio padre sarebbe qui ancora prima che posassi la cornetta… e poi è tutto così confuso. Cosa gli devo dire? Come gli spiego che mio figlio, suo nipote, sembra essere talmente preoccupato per qualcosa che a volte mi spaventa? Se mi chiede da quanto va avanti questa storia, cosa gli dico? Che non lo so? Che me ne sono accorta da qualche settimana ma chissà? Patrick, lei può capirlo meglio di chiunque altro l’attaccamento che mio padre ha per Juna, con che coraggio gli dico una cosa del genere?»

«Zia, zio…»

Tutti si voltarono verso Justin che si era avvicinato. «Scusate se mi intrometto, ma ho ascoltato quello che stavate dicendo. Fra una decina di giorni è il compleanno di Diana, Juna potrebbe uscire con noi, che ne dite di questa scusa?»

Sua madre cambiò letteralmente colore, «Oh Santo Dio, che testa! La piccola Diana! Stavo per dimenticarmene!»

Justin rise, «Nonna, non te lo sei mai scordato in cinque anni che io e lei stiamo insieme! Te lo dico io perché non ti è venuta in mente lei: tu hai pensato a qualcuno che ti permettesse di organizzare una festa qui in casa e io e Diana siamo sempre usciti fuori a cena per il suo compleanno.»

Evidentemente rincuorata sua madre sorrise, «E’ vero! Beh, si può sempre cominciare no? Fra dieci giorni hai detto? I tempi sono un po’ stretti, ma potremmo organizzare qualcosa nel padiglione.»

Justin lanciò un’occhiata a lui e per la prima volta da che quel ragazzo era al mondo lo capì al volo, «Mamma, non è mai successo di organizzare una festa per Diana qui. Detesto sottolineare l’ovvio, ma mio figlio non è stupido.»

Madeline McGregory si spense, «E’ vero» ammise a malincuore.

«Potremmo organizzare una cena a sei» riprese Justin. «Volente o nolente Jennifer dovrà aiutarmi però. Per Georgie e Gary non ci saranno problemi, se Gary è a Boston.»

«Ottima idea Justin» concluse suo padre. «Parlane a Juna appena ti è possibile.»

   
 
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