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Autore: _Atlas    30/01/2015    1 recensioni
[Gerusalemme Liberata]
"Messer Tancredi, siete riuscito a farvi strada fin qui senza problemi? Temevo che non ce l'avreste fatta, non riuscivo a trovarvi da nessuna parte. State bene?"
Cuniberto gli parlò con voce calma, mentre gli teneva poggiata una mano sulla spalla con fare preoccupato, ma il fiatone e il volto annerito dal fumo confermavano il fatto che lo avesse cercato a lungo prima di essere costretto a ritirarsi.

[...]
"Prenderò il mio cavallo e vendicherò quest'affronto." Sibilò Tancredi, ordinando subito dopo a dei sottoposti di preparare il destriero baio per la partenza.
Cuniberto rimase immobile, bloccato da quelle parole colme di risentimento, e pensò che se anche quel prode guerriero fosse stato sconfitto, per loro sarebbe stata davvero la fine.

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Si si, c'è anche Clorinda, niente paura ;)
Per farla breve, poco amore e più combattimento (tutte le ragioni del caso spiegate nelle note all'interno) >:3
(Halp per il titolo T__T)
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tancredi si destò di soprassalto, svegliato dai rumori concitati che parevano attraversare l'accampamento da parte a parte come una lancia vibrante.

Non era certo la prima volta che nel mezzo della notte accadesse una cosa del genere quindi, rapido ed efficace, indossò l'armatura e si armò, precipitandosi all'esterno. Balzato fuori dalla tenda, fu subito investito da un intenso odore di legno bruciato, che gli penetrò nei polmoni e gli seccò la gola, costringendolo a piegarsi a causa degli spasmi di tosse.

Per non rischiare di soffocare, fu costretto a compiere una mossa evasiva verso l'esterno dell'accampamento, dirigendosi al limitare del boschetto dove venivano tenuti i cavalli dei soldati per ripararli dalla calura del giorno.

L'aria si faceva man mano meno soffocante più il guerriero si allontanava dal centro campo, e quando giunse alle prime piante, riunendosi ai commilitoni, poté già tornare a respirare normalmente.

Proprio mentre si appoggiava al tronco di una giovane quercia per riprendere fiato, fu raggiunto dal giovane Cuniberto da Montellieri, un suo sottoposto.

"Messer Tancredi, siete riuscito a farvi strada fin qui senza problemi? Temevo che non ce l'avreste fatta, non riuscivo a trovarvi da nessuna parte. State bene?"

Gli parlò con voce calma, mentre gli teneva poggiata una mano sulla spalla con fare preoccupato, ma il fiatone e il volto annerito dal fumo confermavano il fatto che avesse cercato a lungo il superiore prima di essere costretto a ritirarsi a sua volta.

Tancredi sorrise ai timori del ragazzo, non molto più giovane di lui stesso, e lo rassicurò rizzandosi in tutta la sua statura. Il guerriero più capace doveva poter infondere forza nei compagni.

"Non temere mai per me, ormai so come cavarmela. Piuttosto, che accade?"

Cuniberto abbassò gli occhi.

"Una disgrazia. Due guerrieri nemici si sono infiltrati nell'accampamento e hanno dato fuoco alla torre di sfondamento."

A quelle parole, il cavaliere sentì montare una furia ardente al centro del suo petto, bruciante come le stesse fiamme che proprio in quel momento straziavano una delle poche armi efficaci che l'esercito crociato aveva contro gli infedeli.

Tancredi volse lo sguardo verso l'accampamento, osservando l'aria livida ricolma di fumo e scintille rosse, e si diresse deciso verso la sua cavalcatura.

"Messere, che avete in mente?" Riuscì a domandargli l'altro giovane soldato, faticando a stargli al passo.

"Prenderò il mio cavallo e vendicherò quest'affronto." Sibilò Tancredi, ordinando subito dopo a dei sottoposti di preparare il destriero baio per la partenza.

Cuniberto rimase immobile, bloccato da quelle parole colme di risentimento, e pensò che se anche quel prode guerriero fosse stato sconfitto, per loro sarebbe stata davvero la fine.

"U-una divisione è già partita verso la collina, alla ricerca dei colpevoli, e a breve altri di noi verranno." Gli gridò dietro.

Tancredi alzò la mano sinistra per fargli cenno di aver sentito e, senza voltarsi, montò in sella e partì di gran carriera.

 

"Arimone." Soffiò il cavaliere, tirando le redini del suo destriero, mentre impotente osservava da lontano il nemico che colpiva mortalmente il suo compagno d'arme.

Dunque quello era un infedele! Si era mischiato alle loro fila, passando inosservato nella confusione per poi cercare di rientrare a Gerusalemme dall'entrata opposta in un secondo momento.

Ma Arimone l'aveva scoperto, ed era rimasto ucciso per aver tentato di fermarlo. E lui era stato l'unico spettatore.

Immediatamente l'onore verso l'esercito gli comandò di andare ad avvisare i soldati, ma poi, resosi conto che erano troppo lontani e il nemico già in fuga, decise di vendicare la morte dell'amico con la sua stessa lama.

Spronò il cavallo ad un galoppo riunito, cercando di dominare la furia che scavava nel suo cuore: era intenzionato a seguire l'infedele e sfidarlo a duello così da infliggergli, oltre alla morte, anche l'umiliazione della sconfitta.

Tancredi pedinò l'uomo per un tratto, contando comunque di apparirgli appresso d'improvviso come un angelo vendicatore, ma il rumoreggiare della sua armatura lo tradì.

Il soldato nemico si bloccò sul posto.

"Che cosa mi porti, così di fretta?" Urlò senza nemmeno voltarsi.

Spavaldo, ma una voce così acuta tradisce paura, o ben giovane età. Si ritrovò a pensare il crociato.

"Guerra e morte." Tuonò di rimando, scendendo da cavallo con la spada già in pugno. La sua sete di sangue non sarebbe stata di certo placata a causa della paura o dell'età del suo avversario.

"E guerra e morte avrai." Sibilò invece quello, sguainando rabbiosamente la lama lucente che portava al fianco destro.

Dunque giovane, arrogante e mancino. Ma anche ferito. Osservò Tancredi con una smorfia.

Avrebbe infatti preferito affrontarlo ad armi pari per rendergli la sconfitta ancor più bruciante, ma poi ricordò di non essere a sua volta nelle condizioni migliori per combattere, quindi i ruoli si riequilibravano. Inoltre, l'infedele impugnava l'elsa nella mano sinistra, implicando quindi l'utilizzo di uno stile di combattimento al quale il cavaliere non era avvezzo. E non doveva dimenticare che aveva anche mietuto il capacissimo Arimone.

Ripensare al compagno caduto infuse nuovo ardore alle membra del crociato, che si diresse quindi a grandi e poderosi passi verso il suo avversario. Pur essendo accecato da fiamme che gli bruciavano il cuore, cercò di tenere a mente di non sottovalutare il nemico.

Quando fu a pochi passi di distanza quello, infatti, si gettò in avanti con un grido feroce e si scagliò con tutta la sua forza contro la lama già in parata di Tancredi che, senza sforzo ed esitazione, inclinò la spada verso sinistra, facendo così scivolare via quella nemica, e contrattaccò con un rapido fendente diagonale, descrivendo un'ellisse ascendente e calando poi la spada verso la spalla del suo avversario. Quello sollevò velocemente il gomito e parò con la guardia, ma la forza dell'impatto lo fece barcollare.

Gracilino. Pensò il crociato con un ghigno.

Non aveva usato nemmeno un quarto della sua forza.

Rapidissimo, però, l'infedele si riscosse e menò una stoccata che Tancredi evitò di striscio, inclinando appena in tempo la spalla. Seppur sorpreso, quasi senza ragionare, sollevò d'impeto la spada e andò a colpire deciso il fianco dell'aggressore. L'impatto fu in parte assorbito dall'armatura, ma uno schizzo di sangue rivelò al cavaliere che il ferro della stessa cotta di maglia si era piegato e conficcato nella carne del nemico. Però, come se fosse stato scottato da una brace, il nemico sbarrò gli occhi e girò la lama, ancora in traiettoria d'attacco, con tanta furia che Tancredi non riuscì ad evitarla, subendo così una ferita al braccio sinistro.

Più del dolore fisico, che non era poi molto, fu il colpo all'orgoglio a scuotere il cuore del cavaliere, che piantò i piedi e prese a contrattaccare con un ringhio roco.

Quel dannato aveva risvegliato la sua fiamma.

Più il combattimento procedeva, più i ranghi si facevano serrati. Il modo di menar la spada di Tancredi era elegante, vigoroso e potente, ma lo stile dell'infedele era pulito, efficace e feroce quanto quello di una leonessa che vuole proteggere i suoi cuccioli.

Anche se mancava di forza, essendo molto più basso ed esile del crociato, egli possedeva grande velocità ed agilità, pertanto riusciva ad abbassarsi e gettarsi in avanti alle poderose falciate di Tancredi, colpendolo così alle gambe o ai fianchi. Le ferite non erano mai profonde, ma certamente logoranti per corpo e spirito.

Il cavaliere, dalla sua, aveva l'esperienza di innumerevoli battaglie e il rigore di un addestramento militare che gli imponeva di mantenere una mente fredda e distaccata, cosicché i sentimenti più soverchianti non potessero scalfire la sua concentrazione e l'efficacia della sua lama.

Così essi combattevano.

 

Il tempo scorreva come il sangue che colava dalle spade e dalle armature dei guerrieri, e solo l'orizzonte rosso annunciò loro l'imminente arrivo dell'alba.

Con un impeto non dettato dalla ragione ma dalla furia selvaggia che animava i loro corpi, i due nemici si scontrarono ancora una volta, incrociando le lame fino alla guardia e premendo gli elmi l'uno contro l'altro tanto prepotentemente da far stridere l'acciaio e taccare il filo delle lame.

Con un grido roco, Tancredi spinse via l'infedele ed entrambi rimasero, come un tacito accordo, discostati ed ansanti. L'uno di fronte all'altro, sfiniti e sanguinanti, poggiati ai pomoli delle reciproche armi, si lanciavano ancora sguardi dardeggianti di sfida e furia silente.

Il mortale silenzio che aleggiava sullo straziato campo di battaglia era rotto soltanto dai loro respiri affannosi.

Il crociato fu il primo a parlare, asciugandosi il sudore e il sangue dalle guance.

"La sfortuna ha voluto che non vi fossero testimoni al nostro duello, perciò esso andrà irrimediabilmente dimenticato, temo. Ma ti pregherei di rivelarmi il tuo nome ed il tuo grado, cosicché io possa sapere a chi dovere l'onore di una vittoria o di una sconfitta." Si morse la lingua a dover pronunciare l'ultima parola, però ormai il cavaliere era divenuto consapevole di aver trovato in quel giovane un degno avversario.

A dispetto della pacatezza della sua richiesta e dell'eleganza delle sue umili parole, non era pronto e non aveva intenzione di cadere sconfitto, nonostante avesse iniziato a provare un estremo rispetto nei confronti dell'altro soldato.

Inclinando un sopracciglio fu certo, nonostante la semioscurità, di vedere l'infedele metter sù un sorrisetto di scherno.

"Mi chiedi qualcosa che ho l'abitudine di non rivelare. Ma chiunque io sia, sappi che hai dinnanzi uno dei guerrieri che hanno incendiato la grande torre."

A quelle parole il cuore di Tancredi prese a battere forte di furia, e fatica e rispetto così ardentemente guadagnati svanirono di colpo, infondendo forza nuova alle membra tremanti del guerriero stremato. Un affronto simile lo scosse al punto da farlo risollevare in tutta la sua statura, fiero come non era mai stato.

"Hai scelto il momento sbagliato per rivelarmelo. Barbaro, che calpesti le regole della cortesia, colpevole dei più atroci misfatti…" Sputò indignato, come se le sue parole fossero intrise di veleno. "Pagherai con il sangue per la morte di Arimone, e con l'umiliazione della sconfitta brucerai come la torre che hai profanato!"

Con queste parole sferzanti, senza attendere replica, Tancredi si gettò urlando con furia sull'infedele arrogante, così tronfio anche nello svantaggio.

Egli infatti, aveva notato il crociato, era molto più sfinito e ferito di lui stesso. E questo avrebbe certamente limitato la sua formidabile velocità, condannandolo presto alla morte.

Con questa consapevolezza entrambi combattevano, l'uno per porre fine al combattimento, l'altro per ribaltare il verdetto. L'uno con feroce determinazione, l'altro con furia disperata.

Ma di colpo, come un lampo bianco nell'oscurità della tempesta, Tancredi ruppe la difesa del nemico con una potente stoccata verso l'alto e gli conficcò la larga spada nel petto, che affondò con decisione come se la carne fosse stata burro.

Il tempo parve bloccarsi mentre, incredulo, l'infedele sbarrava gli occhi e un fiotto di sangue gli colava a lato della bocca.

Solo in quel momento il cavaliere si accorse di stare osservando delle morbide labbra di donna, e per un attimo un terribile sospetto serpeggiò nel suo cuore, anche se fu subito scacciato dalla travolgente soddisfazione della vittoria appena conquistata.

Come la lama della donna cadde al suolo con un rumore sferragliante, il tempo riprese il suo normale corso, e il crociato estrasse con mortale rapidità la spada dal suo corpo, che ricadde sulle ginocchia come un manichino a cui viene tolto il sostegno. Istintivamente, ella si portò le mani al petto squarciato, quasi volesse trattenere la vita che gli sfuggiva sotto forma di un rosso fiume in piena, denso e caldo come lava di un vulcano.

Poi, con stupore di Tancredi, la guerriera boccheggiò un paio di volte e parlò con voce rotta dal dolore.

"Amico, io ti perdono, ma perdona tu la mia anima. Prega per lei, di modo che le sue colpe vengano lavate."

Quell'intonazione e quelle parole, pronunciate con così tanto trasporto in punto di morte, quasi commossero il cavaliere, che intuì il desiderio della donna di venire battezzata. Nonostante le sofferenze che ella sola aveva causato, decise che avrebbe esaudito la sua ultima richiesta, raccomandando così a Dio la sua anima e a delegare così a Lui il compito di perdonarla.

Non lontano da lì, scorreva un ruscello, così Tancredi fischiò alla sua cavalcatura e vi si diresse più in fretta che poté, sperando di ritornare prima che l'infedele spirasse.

Giunto nei pressi del rigagnolo, si tolse l'elmo dal capo, rivelando così il profilo fiero ed elegante, e lo colmò d'acqua fresca, dopodiché si affrettò a ritornare.

Quando scese da cavallo, la donna era riversa su un fianco, ma rantolava ancora, così il crociato le si avvicinò e la girò sulla schiena, sollevandole il capo per scoprirle la fronte.

Ma una volta che l'ebbe vista in viso, fu il suo cuore a fermarsi anziché il tempo. Lui conosceva quella guerriera, la stessa che quell'ormai lontano giorno stava rinfrescandosi ad una sorgente. La sua fierezza e grazia l'avevano subito colpito poiché già allora, ripensò con amarezza, ella era pronta a fronteggiarlo.

La tragica fine pareva scritta dall'inizio.

Come se si ritrovasse in un sogno, i contorni della realtà si fecero soffusi ed indistinti, i suoni distanti, mentre il cavaliere professava con solennità il rito e imponeva sulla fronte della donna il sacro segno della croce.

E bruscamente come era iniziato, tutto finì.

Clorinda spirò e Tancredi fu solo.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di Zazzy

 

Hya, è mezzo secolo che non pubblico o aggiorno (haha, e non lo farò mai :'3 ogni lasciata è persa), però ieri mi sono ricordata di questa storia che avevo scritto l'anno scorso per un compito d'italiano (rielaborare e blah blah focalizzandosi su blah blah).

E boh.

Ho deciso di pubblicarla visto che credo (e spero) di non averlo fatto.

 

Tutto quello che ho da dire è che i toni "romantici" del finale li ho dovuti inserire forzatamente, (per questo suonano innaturali) perché erano la consegna. Io non me la sarei sentita, perché non è che """"l'amore"""" fra i due sia proprio giustificato… è praticamente descritto nell'opera come unilaterale e giustificato forse dal fatto "sono un giovane uomo in crisi ormonale e quella è la prima donna che vedo da mesi, forse anni"

 

Alla prossima!

 

Bacioni <3 Zazzy


 

   
 
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