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Autore: Nahash    30/01/2015    3 recensioni
«Che diavolo aspetti a dargliela?» Kagami proruppe dopo aver letto la lettera. Non girò attorno, senza mezzi termini gli sbatté in faccia tutto ciò che pensava riguardo alla cosa. Anche lui era timido e mai gli avrebbe detto il perché avrebbe dovuto spedire quella lettera, ma una cosa era certa: lo avrebbe incoraggiato a muoversi verso la riuscita di quella faccenda che tanto gli stava a cuore.
[...]
Aokise
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, eccomi tornata con un'altra Aokise, spero vi piaccia---
Dunque, volevo scusarmi per gli errori che sicuramente ci sono, ma purtroppo, come dico sempre, molti non li vedo anche se rileggo più volte, quindi mi scuso in anticipo per questi >__>
Ho messo l'avvertimento ooc perché magari il contesto è un po' fuori genere o dai personaggi, non saprei, ho cercato di mantenerli più Ic possibile, ma per non saper né leggere, né scrivere, ho preferito mettere l'avvertimento ooc.
Ditemi voi cosa ne pensate magari :3
 

Kagami e Kuroko avevano finito i loro allenamenti giornalieri, come di consueto, dopo essersi sistemati, uscirono dalla palestra per fare ritorno a casa.
Poco prima che uscissero, però, i loro telefoni squillarono all'unisono, li guardarono, era un sms di Aomine.
Kuroko non sembrava molto sorpreso, ma sul volto di Kagami si dipinse una vera e propria espressione di stupore... cosa voleva Aomine da loro due in quel momento?
Il messaggio riportava una semplice richiesta, o meglio quasi un'affermazione senza possibilità di risposta negativa.
Venite qui, a casa mia.
Aomine che li invitata a casa sua.
«Deve essere morto qualcuno...» Borbottò Kagami mentre ancora teneva il cellulare in mano stupefatto dalla cosa...
Kuroko lo guardò senza dire nulla, pensando a cosa potesse essere successo a Daiki. Lui che lo conosceva un po' meglio, immaginava che dovesse esserci qualcosa che lo turbasse veramente per essersi spinto fino a quel punto.
«Oppure ha fatto fuori qualcuno e ci chiede aiuto su come nascondere il cadavere...» Rimuginò ancora sulla cosa, perché davvero non si aspettava un imprevisto del genere.
«Kagami-kun!» Lo fulminò all'istante Tetsuya, visto che non voleva che Daiki venisse considerato in quel modo o che Kagami potesse dire certe cose, ma effettivamente, sapeva che tipo di pensiero o che tipo di rapporto ci fosse tra i due.
Kagami volse lo sguardo di lato infastidito e imbarazzato allo stesso tempo, era impossibile per lui, pensare che Kuroko riuscisse a metterlo a tacere a quel modo e al tempo stesso cominciava a chiedersi il perché lui si facesse azzittire così facilmente, ma non era quello il momento di pensare ai suoi pensieri, dovevano andare da Aomine.
I due si incamminarono. Kuroko sembrava tranquillo, come suo solito, ma dentro di sé era preoccupato per Aomine, immaginando che qualcosa dovesse turbarlo nel profondo se arrivava a condividere qualcosa con loro due, non tanto per loro in sé, ma perché, Daiki, era il classico tipo che si teneva tutto dentro, che seguiva una scia, prendeva la sua decisione e agiva di conseguenza, a volte sbagliando, a volte no, ma faceva sempre quello che meglio riteneva opportuno per sé stesso, ora invece, Tetsuya cominciava a chiedersi cosa stesse turbando così tanto il suo amico.
Kagami, invece, era quasi curioso di sapere cosa avesse spinto l'altro a  tale stranezza, ma effettivamente, in quel momento non riusciva e non voleva pensare molto, perché tutta la sua attenzione si stava concentrando sul hamburger che stava trangugiando: dopo gli allenamenti ci voleva proprio per rifocillarsi.

 Quando bussarono alla porta, Aomine andò ad aprirgli e sul suo volto si poteva vedere benissimo un'espressione del tutto contrariata. Cosa aveva fatto? Perché aveva chiamato quei due? Sicuramente gli era andato in pappa il cervello per essere arrivato a tanto, ma effettivamente, quella cosa così misteriosa lo premeva così tanto da non farlo dormire la notte, doveva proprio liberarsi di quel peso, che come un macigno, stanziava sulla sua anima, senza dargli pace.
«Yo!»
Li salutò a suo modo, facendoli entrare subito dopo, mentre Kagami lo salutava con un'alzata di mento e Kuroko si spingeva al solito saluto formale.
«Ciao a te, Aomine-kun!» Gli sorrise appena, strano per Tetsuya, ma con lui gli veniva abbastanza spontaneo, ricordando sempre il loro passato alla Teiko.
«Allora si può sapere perché ci hai fatto venire fino a qua?» Domandò Kagami, ormai sazio.
«Per una questione.»
«Che questione?» reclamò Kagami, mentre Tetsuya aspettava che l'altro si prendesse il tempo necessario di esprimere ciò che lo turbava tanto.
Aomine sembrava decisamente nervoso, più per la becera figura che stava per fare e per la fretta che  Kagami gli stava mettendo addosso. La situazione era già difficile per lui, ma se si era spinto così lontano, cominciava davvero a credere che la cosa fosse importante.
Sapeva che poteva contare sulla sensibilità di Kuroko e sulla schiettezza di Kagami ─ se avesse fuso entrambe le cose, sicuramente avrebbe fatto la cosa giusta, sperando che poi, il destino, facesse tutto il resto.
«Daiki!»
Una voce squillante apparve nel salotto, mostrandosi agli altri, pronta a far fare la peggior figura di sempre al proprio figlio.
«No, mamma no...» Sapeva già cosa stava per dire, ma interromperla così di botto gli sarebbe sembrato scortese, oltre al fatto che c'erano degli ospiti lì.
«Hai già fatto leggere la lettera ai tuoi amici?»
Lei sembrava tutta contenta della questione, come se fosse una cosa normale, come se lui l'avesse condivisa con lei, invece aveva trovato sua madre, un giorno, a piagnucolare: si era commossa nel leggere quello che suo figlio aveva scritto. Quello fu il primo giorno più imbarazzante della sua vita, il secondo era appena iniziato.
Kagami strabuzzò gli occhi. «Aomine che scrive lettere.» Dové trattenere a stento una risata, ma la sua faccia furibonda per quella battuta lo stava già appagando abbastanza.
«Sta zitto!» Lo ammonì Daiki, pensando che la cosa fosse abbastanza grave già di suo, senza che quell'altro bestione ci mettesse il carico da dodici.
«Aomine-kun, per favore, dicci cosa intende tua madre.» Kuroko lo sollecitò con la sua dolcezza, fortuna che, a volte, c'era proprio lui che riusciva quantomeno a rilassarlo un poco.
Nel frattempo sua madre era scomparsa, per riapparire poco dopo con la lettera, ancora non imbustata, che aveva scritto Aomine.
Daiki si coprì il volto con una mano per la vergogna che gli stava facendo provare quella donna, anche se più che vergogna era disagio allo stato puro.
«Bhé leggila...» Gli disse Kagami sempre con il suo fare spicciolo.
Prese la lettera dalla mani di sua madre, guardandola per un momento di sguincio, come a dire che dopo avrebbero fatto i conti, e poi,guardò il foglio, a lungo. Non riusciva proprio a sbloccarsi.
Sono un idiota.
«Bhé non sai leggere?» Lo spronò Kagami più per incoraggiarlo che per altro, anche se scaturì l'effetto opposto e solo l'intervento di Kuroko riuscì effettivamente a placare gli animi.
«La leggo io...» Disse Tetsuya pacato mentre allungava una mano alla volta dei fogli svolazzanti che Aomine stringeva tra le sue.
Nel guardarlo si poteva percepire tutta la sua tensione, specie quando gli occhi di Tetsu avevano preso a scorrere sulle parole scritte dall'altro.
Come se non bastasse lo stupore di Kagami, le sue espressioni stupefatte sul volto, gli stavano facendo torcere lo stomaco come mai prima di quel momento, o forse come poche volte era accaduto.
«Che diavolo aspetti a dargliela?» Kagami proruppe dopo aver letto la lettera. Non girò attorno, senza mezzi termini gli sbatté in faccia tutto ciò che pensava riguardo alla cosa. Anche lui era timido e mai gli avrebbe detto il perché avrebbe dovuto spedire quella lettera, ma una cosa era certa: lo avrebbe incoraggiato a muoversi verso la riuscita di quella faccenda che tanto gli stava a cuore.
Doveva far avere quella lettera a Kise.
«Non è così facile quanto sembra.» Sì giustificò Aomine tergiversando un po', sapendo che doveva dare quella dannata lettera a Ryōta, ma non era facile, aveva paura del rifiuto.
«Aomine-kun, ascoltami.»
Lo sguardo di Aomine si calamitò su quello azzurro dell'altro pronto ad ascoltare ogni sua parola, che sicuramente, avrebbe espresso in maniera convinta, ma meno brutale di quanto Kagami aveva fatto poco prima.
«Credo che se tu pensi le cose che hai scritto qui dentro, allora dovresti fargliela avere. Puoi consegnargliela a mano, o semplicemente puoi spedirla, ma visto la situazione io direi che sarebbe meglio il caso se tu imbucassi la lettera.»
Kuroko, per non metterlo a disagio, gli stava suggerendo la situazione più consona al suo modo di pensare, perché, così, forse, entrambi, sia lui che Kise avrebbe potuto avere il tempo di metabolizzare la cosa e dare il giusto peso a tutto quanto. Tetsuya era un po' più riflessivo di Kagami, per questo Aomine volle fare affidamento anche su di lui: erano il perfetto mix per comprendere quella cosa.
«Va bene, allora esco a imbuco la lettera..» Daiki era quasi rassegnato a quell'idea, alla sua rovina. Non sapeva come l'avrebbe presa il biondo, sperava solo che potesse quanto meno sorridergli considerando le sue parole. Sperava che, visto i suoi atteggiamenti, almeno in parte potesse ricambiarlo o quantomeno accettarlo.
«Dopo passa da me, che voglio sapere come stai.» Quella gentilezza e quella disponibilità da Kagami non se l'aspettava, sapeva però, che alla fin fine, erano due burberi con un cuore tenero sotto quella scorsa da giocatori di Basket incalliti.
«Tsk! Ok.»
 
Aomine non sapeva se sentirsi umiliato o compreso. Da una parte provava una letterale vergogna nei suoi stessi confronti per essersi ficcato in quella situazione e per aver coinvolto altre due persone che ora sapevano cosa pensava veramente, dall'altra pensava alla figura che avrebbe fatto nei confronti di Ryōta.
Era una cosa allucinante e dopo aver imbucato la lettera, si toccò la tempia con la mano, massaggiandola, perché davvero era esausto, talmente esausto da avere il mal di testa.
«Che cosa sto facendo... » Realizzando però, che aveva già fatto quella cosa, spalancò gli occhi e si diede dell'idiota da solo.
«Che cosa ho fatto!»
Senza pensare si mise a camminare, andando inconsciamente verso casa di Kagami. Visto che poco prima lo aveva invitato, gli era venuto spontaneo percorrere quei passi, perché tanto una cosa più umiliante di quella non poteva esserci e orami era in gioco.
«Allora l'hai spedita?»
Neanche era entrato in casa che Kagami lo colpì brutalmente con quella domanda, facendogli ricordare che cosa aveva appena fatto.
Per il nervoso cominciò a camminare avanti e indietro davanti ai poveri malcapitati: Taiga e Testuya, che lo stavano guardando.
«L'hai spedita o no?» Incalzò Kagami ancora una volta.
«Kagami-kun, lascialo stare, così non fai che agitarlo.» Kuroko era sempre molto comprensivo e paziente rispetto a Kagami che voleva sapere l'effettivo risultato di quanto si era detto prima.
«Sì, maledizione, sì!» sbottò Daiki.
«Potresti smetterla di camminare avanti e indietro? Finirai per bucarmi il pavimento.»
Kagami si lamentò, Aomine sembrava intento a voler scavare una cunetta sul suo pavimento.
«Eh che vuoi che sia un solco piccolo, piccolo, su un pavimento così grande?» Lo schernì Daiki, perché proprio non riusciva ad essere tranquillo in un momento come quello, specie se Kagami lo istigava.
«Bastardo smettila di camminare avanti e indietro!» Kagami non riusciva proprio a tenersi buono, doveva istigarlo per forza, ma in realtà erano come due fiere che si scannavano per un territorio, sempre, anche se quello in cui stava era campo della tigre.
Quella giornata non era proseguita nei migliori dei modi, perché Kagami e Aomine avevano continuato a discutere fin quando, Kuroko, stanco del tutto, era intervenuto per fare da paciere.
Tutto quel teatrino aveva distratto per un po' Aomine, ma adesso, che i giorni passavano, l'ansia cominciava a farsi sempre più presente nel suo petto: non sapeva se la lettera gli fosse o meno arrivata o se l'avesse letta. L'agitazione cominciava a farsi sentire seriamente.
 
Kise, come suo solito, riceveva un sacco di lettere dalle sue fan, e come tutte le altre volte, era capace di portarsi quei pezzetti di carta anche all'interno dello spogliatoio.
Se ne stava seduto su di una panca, con una gamba accavallata, per stare più comodo nella lettura. Quando le leggeva, aveva sempre il sorriso dipinto sul volto, perché era felice di sapere cosa pensavano di lui le fan, era davvero molto importante ed era grato a tutte loro.
«Che avrai da sorridere tanto?» La voce di Kasamatsu arrivò prepotente alle sue orecchie, che lo distolse dalla lettura tanto idilliaca.
«Senpai...» gli rispose con un tono quasi lagnoso, perché era stato interrotto, voleva davvero leggere quello che gli scrivevano le sue fan.
«Non puoi capire.» Aggiunse subito dopo, sapendo perfettamente che tipo di ragazzo fosse Yukio, non poteva comprendere, quanto per lui fosse importante, quanto per lui fosse necessario capire di far un buon lavoro e una bella figura almeno con loro.
Una lettera però gli gelò il sangue nelle vene.
Non se lo aspettava davvero. La sua espressione cambiò radicalmente, tanto da far preoccupare l'altro.
«Che c'è? Tutto bene?»
«Eh? Sì, Senpai, tutto bene, esco un attimo.»
Così, Kise, si incamminò fuori, all'aperto, conscio di aver bisogno d'aria e poi l'aprì.
I suoi occhi dorati scorrevano lungo le parole e ad una a una rimaneva stupito e meravigliato di quanto stava apprendendo. Come era possibile?
Il suo cuore palpitava forte. Non sapeva se era gioia o l'amore che aveva sepolto per Daiki. Gli sembrava tutto così impossibile, sarebbe morto dalla gioia se solo avesse saputo come risorgere da quell'emozioni che, per quanto belle, lo stavano soffocando.
«Aominecchi... » sussurrò appena, con le lacrime agli occhi, stringendo la lettera al petto dopo averla letta.
Daiki era riuscito a scrivergli come avesse alimentato il sentimento per lui, perché fosse diventato tanto importante, al punto, da spingerlo a un tale gesto.
Sarebbe voluto correre da Aomine, così in fretta e furia, ma non poteva in quel momento, aveva gli allenamenti e non poteva deludere la sua squadra.
Però lo avrebbe raggiunto appena possibile, anzi se non ricordava male, il giorno dopo Daiki avrebbe dovuto avere una partita.  Per prima cosa lo avrebbe guardato dagli spalti e avrebbe fatto il tifo per lui e poi lo avrebbe aspettato fuori, paziente.
Guardare Aomine giocare per lui era sempre una gioia, lo faceva sorridere di rimando vedere che non aveva abbandonato il basket.
Non sapeva se aveva o meno contribuito a questa cosa, ma non gli interessava, sarebbe stato contento comunque.
Come da programma lo aveva aspettato fuori, ormai la luce che rischiarava il tardo pomeriggio era arancionastra e gli occhi di Ryōta come il suo sorriso risplendevano ancora di più.
Quando Aomine lo vide fuori ad aspettarlo, quasi gli si fermò il cuore in gola, ora avrebbe saputo l'esito.
Cominciava a pensare tra sé e sé che forse non sarebbe stato così brutto il responso, se Kise, era lì ad aspettarlo sorridendo.
«Kise...» Sussurrò il suo nome appena vedendolo e l'unica cosa che riuscì a fare fu un sorriso stringato e imbarazzato, ma non perché non voleva manifestare quanto scritto nella lettera, ma perché effettivamente stava morendo dentro.
Il biondo però, non si trattenne a lungo, gli gettò praticamente le braccia al collo e si precipitò a baciarlo e fu in quel momento che il corpo e l'animo di Daiki agirono per conto suo senza troppi ripensamenti: lo strinse a lui, cingendolo con le sua braccia, ricambiando quel bacio che era iniziato dolce, ma che poi si era praticamente acceso, scaldando i corpi degli altri.
Ogni tanto i due socchiudevano gli occhi per guardarsi, mentre quel bacio li avvicinava, li univa e li infiammava.
Tutta quella passione, tutta quella dolcezza era la lontananza di anni.
«Aominecchi, sorridi per me.»
Concluse così Ryōta prima che l'altro, dopo aver udito quella frase, si scaraventasse ancora una volta contro le sue labbra, senza esitazione, senza pensare a nessuno o a che qualcuno potesse vederli ─ anche se fortunatamente non c'era l'ombra di un passante. ─ mangiando e assaggiando ogni fibra delle labbra di Kise, che scioccamente, aveva pensato di non poter avere.
Si erano desiderati tanto senza saperlo.
Ora si sarebbero potuti amare.
Ora uno avrebbe rischiarato la vita dell'altro, abbracciandoli calorosamente, come la magnifica luce di quel tramonto.
 
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