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Autore: JKEdogawa    30/01/2015    1 recensioni
[Storia partecipante al concorso "Choose a face, write a story" di katniss_jackson del forum Scrittori on the road]
Scegliere è sempre difficile, ma alcune scelte sono più complicate da fare.
La scuola che si vuole frequentare, la carriera che si vuole intraprendere. Ed il Club di cui si vuole fare parte.
Ho cercato di interpretare, dunque, lo stato d'animo di Lucian Dark prima di entrare nel Club di Calcio della Raimon facendo riferimento a "Koda fratello orso" della Disney.
Buona lettura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Caleb/Akio, Hikaru Kageyama
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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[Storia partecipante al concorso Choose a face, write a story di katniss_jackson del forum Scrittori on the road]
Nome sul forum: JKEdogawa
Nome su EFP: JKEdogawa
Titolo storia: Una scelta molto difficile
Immagine scelta: Koda (5)
Fandom: Inazuma Eleven
Rating: Verde
Avvertimenti e generi: Missing Moments, Introspettivo, Otherverse
NdA: Che bello! Che bello! Partecipo ad un Concorso!
Okay, scusate per lo sfogo, ma mi ci voleva.
Dunque, che dire... Lucian è un personaggio che mi è sempre piaciuto, forse proprio per la sua situazione difficile e per la sua innocenza. Probabilmente è anche per questo che vedere Koda sorridente mi ha dato l'ispirazione per questa storia.
Lo ammetto, sono carini e coccolosi entrambi, ma ciò che secondo me li accomuna di più è la curiosità e l'intraprendenza. Quella piccola scintilla che abbiamo tutti da piccoli e la grande debolezza dell'inesperienza. Non sono semplicemente dolci, ma anche testardi se vogliono e coraggiosi se glielo si chiede.
Koda decide di seguire Kenai sapendo cos'ha fatto, Lucian decide di entrare nella Raimon benché tema le conseguenze. Due scelte difficili, una delle quali ho cercato di trasporre in One-Shot. Spero mi sia venuta bene.
Credo di aver fini... Ah, no! Come tutte le mie fic nel fandom anche questa è prevalentemente basata sul videogioco(l'ultima parte ne è la prova). Comunque il fatto che non ci abbiate giocato non influisce, semplicemente sarà diverso dall'anime e scoprirete com'è nel gioco.
Okay, ho finito. Buona lettura!^^

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Il sole era alto sopra Inazuma, l'aria frizzante muoveva gli alberi di quella primavera straordinariamente calda. Dava un po' di sollievo il movimento delle foglie e la brezza che rinfrescava l'arsura e l'affaticamento durante le ore di allenamento. Non era un vero e proprio allenamento, non come quello che facevano alla Raimon o in qualsiasi altra scuola che avesse una squadra, però gli faceva piacere lo stesso. Correre dietro il pallone lo riempiva di gioia ed entusiasmo, lo faceva sentire vivo benché avesse iniziato da pochi mesi.
Tante volte si era ritrovato davanti alla porta del Club di Calcio della sua scuola, ma altrettante era corso via appena aveva sentito qualcuno avvicinarsi. Lui voleva giocare a calcio, era il suo sogno, lo sentiva.
Però non poteva.
Non poteva entrare nel Club e dire “Salve a tutti, vorrei entrare in squadra.”.
In realtà l'avrebbe potuto fare, ma prima o poi la domanda che lo avrebbe smontato sarebbe arrivata inesorabile e lui non sarebbe mai stato in grado di rispondere se non con un “Scusate, ho sbagliato a venire”.
Il calcio gli era precluso, soprattutto quella squadra, come una legge del contrappasso che colpiva tutti quelli della sua famiglia.
Tirò il pallone troppo forte ripensando alla sua codardia. Colpì la traversa e lo prese in piena fronte facendolo cadere a sedere con un gran male alla testa. Si massaggiò dolorante ripetendo “Ahi! Ahi!Ahi!” con una piccola vocetta da criceto che gli veniva quando si faceva male. Teneva le mani tra i capelli blu scuro scompigliando quel poco di normale che avevano. Se si fosse nascosto dietro un vaso lo avrebbero probabilmente scambiato per una pianta grassa a causa dei ciuffi blu che gli spuntavano sul cucuzzolo della testa. Lo aveva anche detto quel suo nuovo compagno di classe.
Lui sì che aveva trovato il coraggio di entrare in squadra ed aveva anche già giocato una partita.
<< Potresti venire a fare l'attaccante, a me non importa.>> aveva detto alzando le spalle sotto i capelli azzurri a caschetto<< La mia specialità è la difesa, per cui...>>.
<< Quindi pensi che mi prenderebbero?>> aveva chiesto il nostro protagonista titubante.
<< Certo.>> il ghigno che aveva tirato fuori lo aveva solo spaventato ulteriormente<< Sempre che non ti scambino per un Imperiale.>>.
Ci mancava solo quella.
Se fosse stato identificato come Imperiale come minimo suo zio lo avrebbe disconosciuto da dietro le sbarre della cella in cui si trovava. Infine avrebbe sospirato esasperato, come se quel nipote timido ed introverso non fosse alla sua altezza. Come se non fosse nemmeno parte della famiglia.
Eppure non riusciva ad odiarlo.
Aveva fatto tante cose cattive in passato, era andato in carcere pentendosene, aveva fatto soffrire persone e famiglie. Però lui, suo nipote, quello che non vedeva come sangue del suo sangue, non riusciva ad odiarlo.
Non era certo un modello, sopratutto per la condanna che aveva lanciato su tutta la famiglia, però aveva quel fascino del giocatore decaduto che al ragazzino non dispiaceva.
Forse era per quello che continuava a calciare quel pallone all'insaputa di tutti. Forse era per quel motivo che non poteva smettere di allenarsi e cercare di capire come funzionava quello sport. I passaggi, i dribbling, le parate, i falli. Tutto lo attirava e probabilmente anche per riscattare il suo cognome.
<< È il cognome di un grande giocatore.>> aveva detto suo padre<< Ma è anche il cognome di una persona spregevole. Tocca a te decidere a chi ispirarti.>>.
Il suo problema è che non voleva ispirarsi a nessuno dei due.
Lui era lui, un ragazzino di tedici anni che tremava per un nonnulla e ogni volta che credeva di aver trovato il coraggio che gli serviva ricadeva nella timidezza e scappava dalle sue aspirazioni.
Scagliò il pallone e scivolò a pancia in giù coprendosi di terra la divisa scolastica.
“Perfetto.” pensò cercando di pulirsi il meglio possibile “La mamma mi ammazza se non lo fanno prima a scuola.” un brivido gli percorse la schiena e si guardò attorno allarmato.
Aveva già avuto a che fare con dei bulli e non voleva essere visto ad allenarsi. Di nuovo.
La prima volta gli avevano bucato il pallone ritenendo che “Lui non ne fosse capace”, la seconda glielo avevano mandato nel fiume(quando ancora si allenava al campo al fiume) con un calcio alto dicendo che “Lui non sarebbe mai stato in grado di recuperarlo”, cosa che aveva smentito riuscendolo a ripescare in una risacca pochi metri oltre il campetto, la terza volta glielo avevano rubato dicendo chiaramente che “Lui non aveva il diritto di giocare a calcio”.
Il pallone che aveva adesso era di seconda mano, sgualcito e gonfiato alla bene e meglio in un negozio di biciclette dove non gli avevano fatto troppe domande. L'aveva trovato in cantina, tra gli scatoloni dello zio e gli appunti del nonno. Nascosto come se fosse stato pericoloso usarlo all'aria aperta. O addirittura usarlo in generale.
Era il suo tesoro, il suo piccolo segreto che nessuno, nemmeno i suoi genitori, sapevano.
Una sfera tonda di cuoio dove aveva riposto tutte le sue speranze ed i suoi sogni.
Aveva anche recuperato degli scarponcini neri con due linee rosse, ma non li usava molto. La prima volta che suo padre li aveva visti gli aveva chiesto dove li avesse trovati e lui aveva risposto innocentemente “in cantina”.
Avevano fatto un nuovo viaggio negli scatoloni tra buio ed umidità costringendolo a tornare a perquisire quel posto all'insaputa di tutti, compresa dei suoi genitori.
Non voleva pesare sulle spese della famiglia ed un paio di scarponcini con i tacchetti costavano parecchio, anche i più economici. Aveva usato la paghetta per comprarsi il pallone che gli avevano rubato e non voleva certo andare a chiedere ai suoi genitori. Sopratutto giustificando la spesa con l'onestà che lo distingueva.
Un conto era nascondere, un altro era mentire apertamente ad una domanda.
Lui era capace a fare la prima cosa, ma la seconda no. Se mai(il dio del calcio gliene scampasse) suo padre gli avesse chiesto “Cosa fai il pomeriggio?” oppure “Cosa porti nello zaino che sembra sempre così pieno?” dopo un momento di esitazione avrebbe ceduto senza troppe pressioni, neanche fosse stato davanti al terzo grado di giudizio in tribunale.
Calciò il pallone verso la rete. Incrocio destro dei pali e rimbalzo, questa volta in piena faccia. Fece un paio di capriole indietro ripetendo “Ahi! Ohi! Uhi!”, ed infine rimase steso a terra ansimante guardando il cielo con gli occhi castani.
L'azzurro del cielo rilassava la mente, ma l'assenza completa di nuvole dava un non so che di ansia. Come se non ci fosse nulla che potesse proteggere da qualcosa che cadeva dall'alto. Come un pallone ad esempio.
Gli arrivò sulla pancia come una palla di cannone prima che si rendesse conto che non stava sognando ne aveva allucinazioni. Rotolò di lato chiedendosi come fosse successo, poi qualcuno disse:<< Scusa, non ti avevo visto. Con quei capelli sembri una pianta grassa. È tuo questo pallone?>>.
Il ragazzino si alzò a fatica ancora scosso dai colpi, poi guardò l'uomo che gli stava davanti. Doveva avere ventiquattro anni, capelli castani scuri che gli ricadevano sulle spalle. Alcuni ciuffi erano all'insù, come la cresta di un gallo, mentre gli occhi blu scuro lo fissavano perplessi.
<< Tutto bene?>> domandò mentre il pallone gli rotolava sotto al piede.
<< Sì... credo...>> rispose il ragazzino.
<< E questo è il tuo pallone?>> insistette l'uomo accennando ad un lieve sorriso, l'unico problema è che sembrava un ghigno calcolatore più che un un gesto di amicizia.
<< S... sì...>>.
<< Sai, non vedevo un pallone così da anni.>> gli fece un passaggio facile da prendere<< Dove lo hai preso?>>.
<< Era nella cantina di casa mia.>> rispose il ragazzino non riuscendo a mentire. Provò a passare nuovamente la palla ma scagliò completamente l'uomo che guardò la sfera di cuoio rotolare via con le mani in tasca come se se l'aspettasse<< Mi scusi.>>.
<< Se parlasse direbbe “Certo che ne ho vista di gente scarsa, ma come te proprio mai.”>> disse l'uomo recuperando il pallone e facendo arrossire il ragazzino<< Davvero lo hai trovato in cantina?>>.
<< Sì signore.>> annuì rigido.
<< Come gli scarpini?>>.
<< E... esattamente, signore.>> lo vide sorridere e s'irrigidì ulteriormente<< Non sto mentendo, lo giuro.>>.
<< E io ti credo.>> gli passò la palla<< Ti piace il calcio?>>.
<< Sì.>> calciò sbagliando nuovamente la direzione<< Ops, mi dispiace.>>.
<< E giochi in qualche squadra?>> recuperò il pallone e lo passò nuovamente al ragazzino<< Non mi sembra di averti visto nelle squadre del Cammino Imperiale.>>.
<< Non ho mai giocato a quel livello.>> sorrise appena<< In realtà mi è venuta la passione guardando proprio quei ragazzi giocare.>>.
<< E la tua scuola ha una squadra?>> un'altra volta il ragazzino sbagliò l'obbiettivo e la palla finì contro un albero.
<< Sì.>> rispose cupo<< Sì, ce l'ha.>>.
<< Quindi ne fai parte?>> gli fece l'ennesimo passaggio facile.
<< Non mi prenderebbero.>> il pallone gli colpì lo sterno, poi rotolò a terra praticamente abbandonato.
<< Perché sbagli un paio di passaggi?>> rise<< Devi guardare l'obbiettivo, è questo il segreto.>>.
<< Non è quello.>> alzò la palla sul piede<< È solo che...>>.
<< Cosa?>>.
<< Non posso dirglielo.>> prese la palla tra le braccia<< Se glielo dicessi se ne andrebbe.>>.
Lo guardò poi scoppiò a ridere:<< Questa è forte, Testa da Pianta.>>.
<< Testa da Pianta?>>.
<< Non so il tuo nome, Testa da Pianta è la prima cosa che mi viene in mente.>> sorrise<< Comunque non mi serve il tuo nome, il pallone e gli scarpini parlano per te.>>.
<< Cosa?!>> iniziò ad agitarsi.
<< Li ho portati anch'io tempo fa. A Ehime.>> guardò verso il cielo quasi a perdersi nei ricordi<< Non sono mai stato bravo a scuola, e nemmeno in altre attività. Però il calcio mi piaceva, mi faceva sentire forte e veloce.>> prese un respiro profondo<< Era liberatorio, ma non mi sentivo mai all'altezza. Me ne stavo da solo, isolato. Un po' come te, insomma. Poi un uomo è venuto, mi ha visto e mi ha proposto di giocare nella sua squadra. Come capitano.>>.
<< Caspita.>>.
<< Già.>> sorrise<< Non sono mai stato il suo pupillo, anzi sono sempre corso dietro ad altri tre ragazzi che ha allenato prima e dopo di me. In confronto a loro ero niente, solo uno dei tanti a cui ha dato la possibilità di giocare, credo.>>.
<< Ora la vedo meno bene.>>.
<< Però grazie a lui mi sono allenato con uno schema, una disciplina. Ho imparato molte cose e alla fine sono pure stato scelto per la nazionale. Già devo tutto a tuo zio, il Comandante.>>.
Il ragazzino avvampò:<< Le... le... lei ha ca... ca... ca...>>.
<< Certo! Io sono un detective.>> scoppiò a ridere<< No, Testa da Pianta. Mi ricordo di averti visto qualche anno fa nei pressi del carcere.>>.
<< Poteva dirlo prima.>> sbuffò.
<< E poi dove stava il divertimento? Inoltre riconoscere le persone dopo quasi dieci anni che non le vedo è un po' difficile, mi ci è voluto qualche minuto.>>.
<< Effettivamente.>>.
<< Dai, passa.>>.
<< Ma non ho buona mira.>>.
<< Cosa ti ho detto? Occhi sull'obbiettivo.>> il ragazzino ci provò e la palla quantomeno arrivò ai piedi dell'uomo<< Bene, ora però manca la forza.>>.
Rimasero a calciare il pallone per delle ore sotto il sole che piano piano calava all'orizzonte. Le luci attorno al campetto iniziarono ad accendersi al crepuscolo dando loro l'opportunità di proseguire senza problemi. Nel frattempo parlarono anche di cosa fare, di come migliorare e del passato che sembrava così in comune.
<< Abiti qui vicino, Testa da Pianta?>> chiese l'uomo mentre stavano seduti sull'erba a riposare, il ragazzino annuì<< E hai deciso cosa fare?>>.
<< Non lo so.>> rispose guardandosi i piedi.
<< Meglio se ti sbrighi a fare una scelta, potrebbero metterti nelle riserve se ci metti troppo.>>.
<< A me interessa solo giocare a calcio.>> l'uomo lo guardò eloquentemente e lui rise<< Va bene, non mi dispiacerebbe giocare tra i titolari.>> s'incupì<< Ma non mi prenderanno mai.>>.
<< Perché?>>.
<< Vado alla Raimon.>> l'uomo scoppiò a ridere<< Che c'è?>>.
<< Il loro allenatore è un bonaccione, non rifiuta nessuno.>> gli dette un affettuoso pugno sulla spalla<< Nemmeno te.>>.
Qualcuno chiamò nella strada.
<< Cavolo! La mamma!>> esclamò il ragazzino<< Se mi trova qui sono morto.>> infilò rocambolescamente nello zaino il pallone e gli scarpini, poi andò verso l'uscita del campetto<< Ah, grazie signo...>>.
<< Caleb, chiamami Caleb.>> disse prima che qualcuno gridasse dalla strada “STONEWALL”<< Diamine! Sono in ritardo per il lavoro.>>.
Infatti un uomo dai capelli viola e vestito da cuoco arrivò di corsa e lo prese per un orecchio.
<< Dovevi essere al ristorante quasi un'ora fa!>> esclamò<< Muoviti, abbiamo degli ordini da recapitare.>>.
<< Scusami, Testa da Pianta.>> disse Caleb<< Non entrare in squadra, se poi ti prendono in nazionale rischi di trovarti come datore di lavoro un tuo compagno dei bei tempi andati. Piano Archer, mi fai male.>>.
Il ragazzino li guardò allontanarsi ridendo per la scenetta, poi sua madre arrivò e lo riportò a casa nello stesso modo in cui i due adulti se ne erano andati.

Il giorno dopo era di nuovo davanti alla porta del Club di Calcio della sua scuola.
La squadra era già entrata e sembravano discutere del più e del meno tra compagni. Sarebbe mai riuscito a fare amicizia? Ne dubitava. Sembravano tutti conoscersi così bene, inoltre erano lì da molto più tempo e probabilmente non sarebbe mai riuscito a farsi accettare.
Un ragazzo dai capelli grigi a caschetto ed un po' mossi che stava leggendo gli puntò gli occhi color rosso mattone addosso e lui rabbrividì.
<< Ehi tu chi sei?>> domandò perentorio mentre lui si faceva piccolo piccolo e chiudeva la porta. Lui e la sua malsana curiosità. Poteva benissimo ascoltare, perché aprire ed osservare?
<< Che cosa succede, capitano.>> chiese qualcun altro all'interno. Era il momento buono per scappare, per andarsene. Poteva tornarsene nel campetto vicino casa e lontano da scuola, andare a studiare, magari scegliere un altro club. Quello di musica sembrava interessante, aveva anche la chitarra e non se la cavava malaccio. Eppure qualcosa lo spingeva a rimanere lì.
<< Qualcuno ci sta spiando.>> disse il primo ragazzo serio, poi ordinò<< Vieni fuori!>>.
<< S... scusate.>> rispose aprendo la porta<< Io non vi stavo spiando, ve lo giuro. È così. Io... io voglio solo giocare a calcio.>> lo guardarono tutti sorpresi<< Fatemi entrare nel club. Lo desidero da tanto tempo! Farò quello che volete.>>.
<< Ehm... dicci come ti chiami...>> chiese una donna dai capelli blu mossi sorridendo affabile.
<< I... il mio nome è Lucian.>> non poteva più tirarsi indietro, quella era la sua occasione<< Lucian Dark.>>.
   
 
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