- 1. Convocazione al Maniero
- Quando Lucius l’aveva convocata
per la prima volta non voleva andare.
- Poi capì che lo doveva fare, come
minimo per Harry e Ron. Si erano impegnati tanto per la guerra che si
era da
poco conclusa, erano riusciti a imprigionare la maggior parte dei
Mangiamorte e
Harry aveva ucciso Voldemort. A soli diciott’anni avevano
vissuto tutte le
emozioni di un una vera guerra sulla loro stessa pelle. E se ora Lucius
Malfoy
voleva dirle qualcosa che ancora non sapevano sul mondo di cui aveva
fatto
parte finché a lui e al suo odioso figlio era venuto comodo,
beh, allora dovevo
andare a sentire cosa avesse da raccontarle.
Harry e Ron erano davvero preoccupati per lei,
avevano tentato di
convincerla a declinare l’invito, o semplicemente a non
presentarsi. Al suo
fermo rifiuto si erano offerti di accompagnarla, o perlomeno di
scortarla fino
a quando non avesse fatto il suo ingresso nell’antico
maniero. Non cedette,
seppur lusingata dalle loro attenzioni. Era una cosa che doveva fare da
sola. Sembrava
strano da dire ma Lucius Malfoy in persona voleva vedere proprio lei. E
se si
fosse portata dietro la scorta sarebbe finita male, soprattutto
conoscendo il
carattere dei due. Inutile che perdesse tempo a ricordar ai suoi amici
che era
sempre stata lei, la più equilibrata.
- La mattina che precedeva il suo
incontro pomeridiano con Malfoy Senior, lo stesso Draco Malfoy, lungo i
corridoi di una Hogwarts tenuta ancora sotto controllo dagli Auror e
sfollata
dei suoi studenti, l’aveva squadrata con fare altezzoso,
mentre saliva le
scale, e le aveva ricordato l’appuntamento col padre. -Sii
puntuale
Mezzosangue- le aveva detto -E vedi di venire da sola! - aveva aggiunto
con un
ghigno che le faceva venire voglia di avada-kevadrizzarlo
all’istante. -Sono
gli ordini di Lucius- aveva aggiunto, prima di proseguire lungo
l’esile
corridoio e sparire dalla sua vista, seguito dallo svolazzare del
proprio
mantello.
-
- Quando si smaterializzò a poche
decine di metri dalla salita che conduceva al maniero, maledisse la sua
coscienza per costringerla a fare sempre "la scelta giusta”.
La verità è che
aveva una paura maledetta! Si incamminò a capo chino e al
suo arrivo nei pressi
del gigantesco cancello che la sovrastava in tutta la sua imponenza,
con certe
inferriate che terminavano in punte apparentemente parecchio acuminate,
non
fece in tempo a cercare intorno a sé un qualche modo per
richiamare
l’attenzione di chi stava là, molti metri
più in su, poiché lo sbarramento si
aprì da solo, ovviamente cigolando. Rimase a bocca aperta,
sentendosi
incredibilmente stupida e anche parecchio osservata. Mormorò
a mezza voce un
“Ron, perché non sei qui con me? “ ed
entrò, proseguendo per quella salita
sempre più ripida.
-
- Stava insieme a Ron da qualche
mese ormai, il loro era un legame solido e fatto per durare.
- O almeno, questo era ciò che
dicevano tutti, e con tutti si intendeva Ginny, Harry, la signora
Weasley, Fred
e George, qualsiasi altro rosso famigliare dei componenti della Tana,
nonché
lei stessa. Se lo ripeteva nei momenti di sconforto, le (non) poche
volte in
cui si era chiesta se avesse fatto la scelta giusta a
“sacrificare” la loro
casta amicizia per un “salto di
qualità”. A diciotto anni, o poco meno, nel
mondo Babbano sarebbe stata considerata più che giovane,
quasi una bambina,
razionalmente sapeva che aveva l’età giusta per
compiere degli errori belli
grossi, in campo sentimentale. Non era solo un suo diritto, era quasi
inevitabile, e mettersi con la persona con cui si era convinti si
sarebbe
finiti per condividere la propria intera vita, subito dopo una guerra,
quando
aveva bisogno di spensieratezza e non era sicura che le sue scelte
potessero
essere attendibili come suo solito, capitava che non le sembrasse
più una
grande idea.
- Si sentiva come se la loro
relazione dovesse ingranare subito e al meglio o sarebbe andato tutto a
farsi
benedire, e a volte si chiedeva se averci tentato così
presto non fosse stato
uno sbaglio, si chiedeva se avrebbero potuto riprovarci più
avanti, nel caso
non avesse funzionato, o se la loro unica possibilità di
stare insieme se la
stessero giocando ora. Comunque, quando ci pensava a mente lucida, non
trovava
nessun motivo razionale per cui non sarebbe dovuto andare tutto per il
meglio,
non c’era nessuno di più adatto a lei. Forse
l’unico problema stava nell’aggettivo
“razionale”. Voleva
bene a Ron, lo
adorava, avrebbe dato la vita per lui, come d’altronde
l’avrebbe data anche per
Harry o per Ginny. Quando vedeva i futuri coniugi Potter vicini,
impegnati a
coccolarsi, non riusciva a riconoscere nel loro trasporto gli attimi di
tenerezza incerta che condivideva con Ron. Dava la colpa alla sua
impacciataggine e alla propria presunta freddezza, lui per scherzo la
chiamava
“frigida”, ma a lei non faceva tanto ridere.
-
- Una volta avevo chiesto a Ginny
quando aveva deciso che Harry sarebbe stato il ragazzo con cui avrebbe
voluto
passare il resto della propria vita (quei due guardavano già
molto più avanti,
per Ron ed Hermione i progetti a lungo termine riguardavano il week-end
seguente). Ginny l’aveva guardata con un piccolo sorriso tra
il divertito e
l’imbarazzato, quasi come se una domanda del genere non
potesse esserci una
risposta esaustiva. Disse che lei non lo aveva
“deciso”, semplicemente l’aveva
capito, era successo. Con tono solenne le aveva detto -Ma, Herm, non si
sceglie
mica d’innamorarsi di qualcuno, non lo si decide, capita e
basta! - Hermione
aveva riso con lei, assentendo, già, che razza di domande
andava a fare! Ma era
rimasta con l’idea che per ogni persona funzionasse in
maniera differente, nella
sua vita, ad esempio, tutto doveva essere meticolosamente preso in
esame. Ron
aveva delle qualità, quasi dei requisiti, che lo rendevano
l’uomo perfetto per
lei, la compensava. Era accomodante, istintivo nelle cose che faceva e
ridanciano. Amava Ron. O almeno ne era abbastanza certa per la maggior
parte
delle volte in cui veniva assalita dai dubbi.
-
- Ovvio che invocare il suo nome in
un momento di paura non le diede chissà quale
rassicurazione.
- Primo perché non l’avrebbe di
certo sentita. Secondo perché non avrebbe potuto fare un bel
niente, tanto più
che in quella situazione ci si era cacciata da sola, quando avrebbe
semplicemente potuto scordarsene casualmente – sebbene
sarebbe certamente stata
prelevata da dovunque si trovasse e recapitata al maniero, in
un’eventualità
del genere. Terzo, c’era da dire che, se fosse stato
lì con lei, sarebbe
toccato a lei l’arduo compito di rincuorarlo, prima, e di
limitare i danni
della sua irruenza, dopo. Perciò prese a invocare il nome di
Harry sottovoce,
il che l’aiutò un po’ di più,
continuando a camminare nella candida neve che
formava un morbido manto in cui affondava fino quasi al polpaccio.
Aveva
sentito il pesante cancello in ferro chiudersi alle sue spalle con un
frastuono
degno di un temporale e la cosa l’aveva fatta sobbalzare
leggermente. Una
risata strascicata e fin troppo nota giunse alle sue orecchie. Si rese
conto di
avere i sensi volti a captare ogni più piccolo rumore e i
nervi a fior di
pelle. Tremava leggermente, quando si voltò verso la sua
destra.
-
- Su una panchina di pietra,
sostenuta da dei leoni in pietra dall’aria sofferente avvolti
nelle spire di
grossi serpenti dello stesso materiale, sedeva l’Essere,
meglio conosciuto come
Draco Lucius Malfoy l’Egregio Rompipalle. Hermione
sibilò -Malfoy, che cazzo,
mi hai fatto prendere un colpo! - ma ciò non fece altro che
aumentare le sue
grasse risate. Non aggiunse altro e si limitò ad osservarlo
per bene, era
diventato un ragazzo dalla bellezza sprezzante, se ne stava stravaccato
sulla
suddetta panchina, con l’aria di poter prendere tra le mani
l’intero pianeta e
giocarci a pallacanestro, se solo avesse voluto. Indossava una leggera
camicia
nera, sbottonata per i primi tre bottoni, con
l’autocompiacimento di chi sta
mostrando i suoi addominali al mondo per il gusto di provocare gli
ammiccamenti
delle donzelle. Il mantello era gettato alla sua sinistra e i capelli
di un
biondo più scuro di quanto non fossero quando avevo avuto
“l’onore” di
conoscerlo a undici anni, finalmente liberi dal gel e leggermente
più lunghi di
quando li teneva pettinati all’indietro, gli ricadevano,
spettinati, sulla
fronte, fin quasi negli occhi. Occhi impenetrabili come al solito.
-
- -Hai finito di farmi la lastra?
Tutto a posto? Se vuoi una foto autografata, Granger, non fare
complimenti! Ora
possiamo andare? Avrei una certa fretta di rientrare, qua fuori si gela
–
l’aggredì, con la sua classica aria sfacciata.
Hermione non lo degnò di alcuna
risposta, riprese il suo faticoso cammino verso la porta del maniero e
lo sentì
chiaramente alzarsi e seguirla. Quando salirono i pochi gradini che
rialzavano
l’ingresso dal terreno e lo vide sbattere via lo sporco e la
neve dal mantello
che trasportava ripiegato sul braccio, gli chiese -Non ti sembra un
po’
incosciente stare in maniche di camicia, quando fuori nevica? - La poca
stoffa
che indossava era arrotolata sugli avambracci, lasciava scoperte due
mani
grandi, attraverso la cui pelle candida s’intravedevano le
vene, e due braccia
robuste. -Non sei
già stufa di fare la
mamma a Lenticchia e Sfregiato? La devi fare anche a me? - la
zittì lui.
Stizzita, decide di non contro ribattere, che morisse assiderato, se
era scemo
non ne poteva niente nessuno!
- Quando finalmente Malfoy si
decise a spingere il portone in legno scuro, che lei pensava essere
chiuso
dall’interno, e a farle cenno di entrare, Hermione prese il
più grande
scivolone della propria vita. Si trovò col sedere a terra su
quell’ultimo,
spesso, duro, gelido gradino. Draco, che stava giusto di fianco a lei,
la
soppesò per qualche secondo con lo sguardo, prima di
scoppiare in una risata
che sapeva più di derisione, che di reale divertimento. Le
passò oltre e varcò
l’ingresso del maniero, dolorante lei si alzò e
fece lo stesso, con uno slancio
impostole dalla vergogna. Il parquet di legno, sotto le sue suole
innevate, la
fece vacillare nuovamente, prima che potesse rovinare a terra per la
seconda
volta, portandosi dietro metà della mobilia a cui, per
frenare la caduta, si
sarebbe istintivamente aggrappata, venne riacciuffata per un gomito dal
coetaneo, che fece forza sulla propria presa per non essere trascinato
giù con
lei. Mentre Hermione cercava di ritrovare un proprio equilibrio, la
mano che,
in concomitanza, aveva aiutato a sostenerla, scivolò via dal
fianco su cui si
era appoggiata. Con orrore, la Grifona seppe di aver registrato la
robustezza
del corpo caldo di Malfoy e sapeva di averne sondato la
solidità col tatto.
Guardò la propria mano appoggiata al suo petto come se non
le appartenesse,
sentì lo sguardo di Malfoy su di sé mentre si
allontanava con tutto il corpo,
ormai lasciata libera di muoversi. -Ti hanno almeno insegnato a
camminare,
lurida Mezzosangue? - le sputò addosso, con disprezzo. Si
sentì umiliata e gli
diede le spalle, mentre si rassettava i vestiti, decisa a non
rivolgergli mai
più parola per tutto il resto della propria
“visita”. Quell’essere spocchioso
la precedette per un intrico di corridoi che la fecero addentrare
sempre più a
fondo all’interno del maniero. Le porte di tutte le stanze
erano serrate, i
corridoi assomigliavano l'uno all'altro, un brivido le passò
lungo la schiena e
per un attimo l’irrazionalità d’un
pensiero fugace ebbe il sopravvento: poteva
anche essere, si disse, che, in un posto come quello, nessuno fosse
più in
grado di ritrovarla.
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- * * *
- Data di pubblicazione:
28/11/2008
- Edit: 20/06/2015
- 1. Convocazione al Maniero