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Autore: Snow_Elk    01/02/2015    3 recensioni
Tratto dal Cap. I:
"Inspirò profondamente, indossò la sua maschera, posò la mano destra sul cuore e sospinse quella sinistra verso l’azzurra volta del suo palcoscenico immaginario con un movimento leggero, facendola aprire come ad indicare qualcosa di estremamente lontano, perso chissà dove. Quella era l’ultimo atto, il suo epilogo, l’ultima battuta.
Espirò, socchiuse gli occhi, chinò la testa, distese tutti i muscoli e la mano sinistra raggiunse la destra ad abbracciare la fonte di tutte le emozioni, l’inizio e la fine di ciò che siamo, quell’incendio di fiamme cremisi divenuto un fuoco fatuo."
Storia scritta solo da SNOW
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Fallen Down

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Episodio I- Un Epilogo Dolciastro


E’ abbastanza alto? Non lo sapeva, non ne era certa, ma l’avrebbe scoperto. Presto, molto presto.  Probabilmente era quel tanto che bastava, niente di più, niente di meno.
Una bella giornata, una splendida giornata di sole accompagnata da una leggera brezza marina, nessuna nuvola in cielo, nemmeno l’ombra. Quello sì che era il colmo per ciò che voleva fare.
L’avrebbe fatto? Ne aveva il coraggio? Non lo sapeva, non ne era certa, ma l’avrebbe scoperto. Presto, molto presto. Ci si spinge all’estremo, si supera il limite e non si può più tornare indietro.
Domenica, era domenica, una splendida domenica di sole, già. L’aveva scelto lei quel giorno, perché non c’era nessuno in giro, il liceo era vuoto, perché nessuno l’avrebbe disturbata, fermata o ascoltata. Ascoltare, perché? Cos’altro c’era da dire?
 
Quel che è fatto è fatto, non si può tornare indietro. Lo sapeva bene, qualcuno glielo stava urlando dentro la testa, per ricordarglielo, altrimenti non si sarebbe ritrovata nemmeno lì, a fissare la città in lontananza, sola, di nuovo sola. Che strano silenzio.
Da quanto tempo era lì? Qualche minuto? Mezz’ora? O forse un’ora? Non lo sapeva, aveva perso la cognizione del tempo, doveva ammetterlo, ma continuava a restare ferma lì, a lanciare lo sguardo fin dove poteva spingersi, ad aspettare.
Aspettare? Che cosa? Non ne era certa, forse quel poco di forza e coraggio che le mancavano per fare ciò per cui era lì, quell’ultimo gesto estremo, la sua unica via di fuga.
 
“Quel suo cuore così accecato la spinse verso l’abbraccio dell’oblio più ingannevole e subdolo. Che cosa stai facendo? Non dovresti tradirmi a quel modo, non farlo, ti prego, mi sono sempre fidata di te, sempre…”
 
Rabbia. Sorrise amareggiata, un’altra citazione che calzava a pennello nelle sue circostanze. Curioso, vero? Le prime volte erano sembrate semplici coincidenze, come quelle che si vedono nei film o si leggono nei libri. No, non lo erano, o perlomeno lei credeva che non lo fossero mai state, c’era qualcosa di più, c’era un collegamento che andava ben oltre la sua immaginazione. Lo sentiva.
Non era curioso, era inquietante, anzi ancor più affascinante, perché in un modo o nell’altro c’era sempre stato e anche in quel caso, ferma lì a scrutare l’orizzonte e i
suoi colori, aveva sussurrato al vento quelle parole, quella frase in particolare.
 
E’ abbastanza alto? Se lo stava chiedendo di nuovo, aveva perso il conto di quante volte l’avesse già fatto, ma che cosa si aspettava? Una risposta? O stava semplicemente temporeggiando in attesa di qualcosa?
Saltare, doveva semplicemente saltare e lasciarsi andare, al resto c’avrebbe pensato dopo. Non si aspettava che sarebbe finita così, non ci avrebbe mai creduto, ma era lì, su quel cornicione bianco e in parte l’aveva deciso di testa sua.
Non aveva altra scelta, se lo continuava a ripetere come per farsi forza, per auto convincersi che quella era l’unica via di fuga, l’estrema soluzione, ma allora perché non agiva? Perché continuava a restare ferma? Mancava così poco, giusto due o tre passi. Qualche centimetro che sembrava un’eternità e poi il vuoto, fine. Semplice, no?
 
Le sarebbe mancato tutto, lo sapeva: il cielo, le nuvole, la brezza del mattino, le risate tra i banchi della classe, i discorsi nell’aula della compagnia, i pomeriggi trascorsi tra il teatro e il parco, quei drink che prendevano sempre prima di raggiungere il promontorio, la felicità di aver raggiunto un altro traguardo o la tristezza di aver fallito nell’afferrarne uno nuovo, tutto, qualunque cosa. Le sarebbe mancato tutto, lo sentiva, ma non poteva tirarsi indietro, non riusciva a pensare di poter continuare a vivere con quel peso sulla coscienza, sul cuore e nell’anima.
 
Non aveva voluto aspettare oltre, non avrebbe avuto senso, e non aveva voluto avvisare nessuno, non avrebbe avuto senso lo stesso.  Un biglietto, una lettera, qualche frase sconnessa. No, non aveva lasciato niente, forse perché non aveva trovato le parole adatte per dire addio ai suoi amici, alla sua famiglia, a tutti, o forse perché non era riuscita a trovare una giustificazione di quel gesto che, probabilmente, ai loro occhi sarebbe apparso come pure follia. No, non potevano capire come si sentiva, non avrebbero mai potuto, nonostante le volessero bene, era qualcosa che andava oltre la loro comprensione, un veleno che si era insinuato nella sua pelle, nero come l’inchiostro, caldo come il magma.
 
Che cosa stava aspettando? Due passi e poi il vuoto, due passi e poi il nulla, due passi e si sarebbe portata dietro quel silenzio e tutti i suoi mali. I suoi occhi ripresero a viaggiare, seguendo le linee sottili del paesaggio, spaziando da una parte all’altra, bramosi di memorizzare tutto ciò che stavano vedendo, ingordi di quelle ultime immagini. Riconosceva ogni luogo, lo osservava per alcuni secondi, lo collegava a dei ricordi, sorrideva amareggiata e piena di malinconia, poi passava ad un altro posto e il giro ricominciava. Una, due, cinque, dieci volte. Da quanto tempo stava ripetendo quei gesti? Non lo sapeva, non voleva saperlo, era piacevole, in parte placava i suoi tumulti interiori e riusciva quasi a sentire il mare, il dolce suono dell’ondeggiare.
 
Che cosa pensava una persona prima di fare qualcosa del genere? Se l’era sempre chiesto, dopo aver letto una scena simile a quella che stava per vivere lei, ma non era mai riuscita a concepire qualcosa di vagamente concreto. Ora invece sì, le cose erano cambiate, non era più l’osservatore esterno di quel tragico gesto, ma la diretta interessata, la protagonista per così dire. Un altro sorriso amaro, stava vaneggiando, stava temporeggiando, guardandosi intorno, immergendosi nei ricordi, ripensando a tutto ciò che aveva fatto nella vita, rivivendo tutti i luoghi in cui era stata e plasmando in una forma sempre più vivida il movente per cui si trovava su quel benedetto cornicione.
E’ questo che fa una persona che si appresta a passare dall’altra parte, è questo che fa chi dalla vita è stato tradito e pugnalato alle spalle senza alcuna pietà proprio nel momento in cui si sentiva davvero felice, è questo che fa un “suicida”.
 
“Suicida”
 
Quella parola le metteva i brividi, ogni volta che la pronunciava o pensava, una sorta di ingiuria, un insulto, una calunnia. No, era il marchio con cui venivano segnati per sempre quelli come lei, coloro che preferivano il freddo abbraccio della nera signora al dover affrontare i propri fantasmi, le varie manifestazioni del dolore o più semplicemente la propria coscienza.
Così la fonte del proprio male diventava la giustificazione, quel gesto estremo una forma di cura, i bei momenti passati insieme agli altri solo degli specchi infranti e tutte le emozioni che aveva provato qualcosa di vagamente simili a dei ricordi.
Ironia della sorte.
 
Lei, proprio lei che aveva sempre sostenuto davanti agli altri l’importanza di vivere al massimo, di godersi ogni singolo giorno ed emozione, di sorridere perché la propria vita era un dono speciale, qualcosa di unico e personale, proprio lei stava per strapparsela via dal petto con le sue stesse mani. Ironico, davvero ironico.
Le venne quasi da ridere facendo quei pensieri così strani eppure estremamente lucidi.
Era davvero questo ciò che pensava un suicida? Ricordi solcati da crepe, emozioni sbiadite, folli riflessioni su argomenti che talvolta non avevano alcun senso, ombre del passato che tornavano a farsi sentire.
E ancora piccoli frammenti del futuro, pensieri su cosa sarebbe potuto succedere, su cosa sarebbe diventata, sensi di colpa, sensazioni di mancamento, la malinconia che ti avvolge con le sue mille braccia, un abbraccio che dura un attimo, ma lungo un’eternità.
 
All’inizio aveva pensato che la sua mente sarebbe stata vuota, un deserto arido in cui riecheggiavano chissà quali voci, troppo presa da ciò che doveva fare, dal cercare quella forza necessaria ad agire. Invece era accaduto l’esatto contrario, non c’era un centimetro della sua anima che non fosse in tumulto per qualcosa, e perfino la causa della sua agonia sembrava essere passata in secondo piano, sormontata e calpestata dal paesaggio, dai ricordi, dalle emozioni.
Ed era felice, in un certo senso era davvero felice che fosse accaduto tutto ciò, l’idea di andarsene per sempre rivivendo ancora e ancora quei momenti interminabili, quell’incubo così reale, l’aveva terrorizzata e per poco non si era tirata indietro.
 
Che cosa stava aspettando? Forse ora conosceva la risposta a questa domanda: aveva paura, paura di andarsene per sempre e non poter più vedere, sentire, vivere.
Non voleva tirarsi indietro, non voleva rinunciare alla scelta che aveva fatto, la determinazione di lasciarsi andare nel vuoto e farla finita era ancora lì da qualche parte, dentro di lei, ma stava temporeggiando per un solo motivo, ora lo sapeva.
Vivere. Voleva assaporare la possibilità di vivere ancora per qualche minuto: il calore del sole sulla pelle, i brividi lungo la schiena causati dalla brezza, gli occhi che riflettono quel panorama mozzafiato, l’aria nei polmoni, il cuore che batte, seppur ferito, che batte con determinazione, senza arrendersi. Le sarebbe mancato tutto.
Quasi inconsciamente stava raccogliendo tutte quelle sensazioni, stava scolpendo quegli ultimi attimi di vita nella sua memoria, per custodirli, per farli diventare un tesoro da difendere insieme ai ricordi più preziosi, qualcosa da proteggere oltre quel passo. Oltre la morte.
 
Guardò di sotto: era abbastanza alto? Avrebbe sentito qualcosa o non avrebbe sentito niente? Quanto sarebbe durato? Non lo sapeva, non ne era certa, ma l’avrebbe scoperto. Presto, molto presto.
Si strinse nelle spalle, un brivido gelato la avvolse per alcuni secondi, facendola rabbrividire. No, non era la brezza, quel gelo proveniva direttamente dalle fredde labbra della paura che la bloccava impedendole di fare qualsiasi cosa.
“Avanti, fatti coraggio, manca poco, fatti coraggio!” urlò contro se stessa, ma quel conflitto interiore che la teneva ferma in quel limbo si ostinava a proseguire, senza tregua, come se fosse strattonata da due persone: una tentava di buttarla di sotto, aiutandola a compiere la scelta che aveva fatto, l’altra la stringeva a sé e lottava con tenacia per farla tornare sul tetto, ricordandole che la vita era unica e singola, che non poteva sprecarla a quel modo, dopo tutto ciò che aveva detto, pensato, sentito.
Chi l’avrebbe spuntata? Stava iniziando seriamente a chiederselo e in tutta sincerità doveva ammettere di non conoscere la risposta.
 
Ripensò alla sua vita, ad ogni singolo giorno che aveva vissuto, e ai suoi amici: con loro aveva trascorso i momenti più belli, con loro aveva riso, pianto, sofferto e gioito, non importava per cosa, l’avevano fatto insieme. Dal primo momento in cui si erano incontrati la sua vita era cambiata, per sempre, prendendo una piega che non si sarebbe mai aspettata. Quel gruppo era stato la sua famiglia, il suo mondo, il suo sostegno nei momenti difficili, tutto. Le sarebbe mancato, più di qualsiasi altra cosa e al pensiero di non rivederli più sentì salire le lacrime, ma le trattenne, non voleva piangere, aveva pianto già troppo.
Probabilmente non l’avrebbero mai perdonata per quel gesto, forse l’avrebbero capita ma era qualcosa di inconcepibile e incomprensibile agli occhi degli altri, anche se quegli altri erano le persone che più l’avevano compresa ed accettata.
Forse avrebbe dovuto davvero lasciare un biglietto, qualche parola, una spiegazione, ringraziare per tutto ciò che avevano fatto per lei, per ogni minuto trascorso insieme, per ogni sentimento vissuto spalla a spalla, mano nella mano, per tutto. E infine, delle scuse, tante, troppe scuse, per essere diventata ciò che non sarebbe mai voluta essere: una suicida, una debole, una vigliacca e piagnucolona suicida.
 
Sam, Dom, Nina, Alice, Matt e Brian. Quell’ultimo nome la fece rabbrividire e ogni residuo di felicità e nostalgia scomparve, spazzato via dal furore tempestoso del dolore, dalle urla inumane della rabbia, dalle sferzate avvelenate della frustrazione.
Sentì la luce della sua stessa vita venir inghiottita dall’oscurità perenne e di colpo abbassò lo sguardo, percependo dentro di sé che ormai era giunto il momento, non poteva più tirarsi indietro.
Quell’ultimo schiaffo emotivo, rivedere la sua faccia, il suo sorriso, i suoi occhi oscuri e penetranti, scolpiti nella sua memoria, quella era stata la goccia che aveva fatta traboccare, per l’ultima volta. Era arrivato il momento di far calare il sipario sul suo palcoscenico, definitivamente, senza alcun gioco di luci, senza quella melodia dolciastra che ti accompagna come un fedele amico, senza alcun pubblico che applaude entusiasta per la perfomance appena conclusa. Non ci sarebbe stato nulla di tutto ciò, solo lei, il cielo, il silenzio e un volo che avrebbe sperato durasse per sempre.
 
Inspirò profondamente, indossò la sua maschera, posò la mano destra sul cuore e sospinse quella sinistra verso l’azzurra volta del suo palcoscenico immaginario con un movimento leggero, facendola aprire come ad indicare qualcosa di estremamente lontano, perso chissà dove. Quella era l’ultimo atto, il suo epilogo, l’ultima battuta.
 
Espirò, socchiuse gli occhi, chinò la testa, distese tutti i muscoli e la mano sinistra raggiunse la destra ad abbracciare la fonte di tutte le emozioni, l’inizio e la fine di ciò che siamo, quell’incendio di fiamme cremisi divenuto un fuoco fatuo.
- Allungo le braccia verso il perpetuo crepuscolo di quella che abbiamo sempre chiamato vita, colei che come una sorella ci ha sempre accudito alimentando le nostre illusioni col nostro stesso sangue. Perché mi hai fatto questo? Perché mi hai tradito?
No, non ti permetterò di farmi ancora del male, abbandonerò questo mondo in cerca dell’altro, mi lascerò alle spalle l’oscurità di questo cielo per immergermi in un oceano di stelle. Spiccherò il volo come una farfalla dalle ali d’ametista e tu non potrai fare nulla per fermarmi.Cosi diciamo tutti- per ogni parola un gesto, per ogni gesto un ricordo, per ogni ricordo una lacrima asciutta che abbandonava il rifugio sicuro dei suoi occhi. Si morse leggermente le labbra, mimando un leggero inchino verso la platea immaginare che stava applaudendo cupa al suo finale dolciastro.
 
- Fallen Down è noi.. – allungò la gamba destra verso il vuoto, quell’ultimo passo prima dell’oblio, lungo come tutta la sua vita, breve come un battito di ciglia, intenso come era stato il suo primo bacio, pronta a lasciarsi andare  - noi siamo Fal…-
- Ana! -  si irrigidì di colpo, la gamba immobile oltre il cornicione, immobile in quel passo intrapreso e mai concluso, il cuore in gola, il respiro sottile e quasi impercettibile, la gola improvvisamente secca, gli occhi ancora chiusi.
Quella voce, conosceva quella voce, ma non poteva averla sentita davvero, doveva essersela immaginata. Già, uno scherzo di cattivo gusto, la sua mente provata e subdola si prendeva gioco di lei proprio quando si era finalmente decisa a farla finita. Sì, doveva averla immaginata per non saltare, per avere una scusa e fermarsi, per concedere un’altra vittoria schiacciante a “Lady Paura” e al suo corteo di incertezze, dubbi e timori.
- Ana, fermati! – ancora quella voce, questa volta era più vicina, più decisa, non poteva essersela immaginata, non di nuovo, non era pazza. La gamba destra ritornò al suo posto, il respiro si fece più intenso, il cuore batteva più forte del solito, non se l’aspettava, non era previsto nei piani, non doveva succedere. Nessuno doveva essere lì a parte lei, nessuno. Aprì gli occhi, inspirò nuovamente, irrigiditasi come se qualcuno le avesse puntato una pistola alle spalle e con ancora il cuore in gola si volse lentamente verso quella voce, senza però abbandonare la sua posizione.
- Sam… - mormorò, ancora incredula.
   
 
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