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Autore: Macy McKee    01/02/2015    8 recensioni
Il domani sarà accompagnato dal suono di lame che lacerano aria e pelle e carne. Danzerà sulla melodia di un coro di urla scandita dai colpi del cannone.
Non teme il domani, non lei. Il futuro è gloria e potere.
Dovrebbe essere il domani ad avere paura di lei. A temere
loro, pensa, mentre sente i passi di Cato e una mano si chiude attorno alla sua spalla. Loro, perché si completano, in quel modo distorto e violento e letale che hanno di essere due metà della stessa lama spezzata.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: Questa storia doveva accadere. Sapevo di dover scrivere qualcosa su questa ship (con cui, sì, mi sono fissata. Mi hanno risucchiato la vita, e non riesco a cacciarli dalla mia mente) ispirato alla frase che trovate in apertura, perché questa canzone è troppo adatta a loro, e finalmente l’ispirazione si è mostrata.
Questa storia getta le basi per un progetto più ampio che ho su questa coppia. Sto pianificando una serie di storie che diano loro un
background il più coerente e completo possibile, e qui vengono anticipati un paio di dettagli che verranno ripresi poi nelle storie successive.
Frase iniziale e titolo tratti da “Dying song” degli HIM, frase finale tratta da “Lifeline” di Anastacia.
Ambientata la notte prima dell’inizio dei settantaquattresimi Hunger Games.

 
At the sight of you and I
Crawl back into bed
Tomorrow’s trembling at the sight
Of  you and I

Capitol City urla oltre la finestra. È una preda ferita, la città, mentre geme e si contorce e rivolge verso di lei i suoi occhi che si aprono e chiudono a intermittenza, iridi dai colori osceni che sfregiano il cielo.
Clove respira sul vetro con tutta la forza che possiede, come se la condensa potesse ergere una barriera fra lei e l’esterno.
Capitol City è rumore e esibizionismo e confusione senza fine, senza scopo. Confusione che alimenta se stessa ed esiste soltanto per generare altro disordine. Non ha nulla del caos dell’opera d’arte sapientemente danneggiata, squarciata da mani esperte, che è il Distretto Due.
Odierebbe quel luogo con passione, se le importasse abbastanza.
Ma non le importa. L’unica funzione di Capitol City sarà assistere alla sua vittoria e gioire per il suo trionfo. Svolto quel compito, la città potrebbe anche dissolversi senza che lei se ne accorgesse.
Odiare Cato le richiede molta meno cura: non ha bisogno di impegnarsi, per detestarlo. Le viene naturale come respirare, come accarezzare l’impugnatura dei suoi coltelli con la punta delle dita.
Lo odia perché crede di poterla sconfiggere, e perché riesce a farla vacillare quel tanto che basta da aprire nella sua mente una crepa attorno alla quale subito si ammassano dubbi e debolezze, ansiosi di insinuarsi fra i suoi pensieri. Nessun altro la conosce abbastanza a fondo da riuscirci, e nessuno dovrebbe poterlo fare.
Lo odia perché lui sa tenere sotto controllo la paura, convertendola in rabbia, quando la paura è l’unica emozione che lei non ha imparato a reprimere: quando si è resa conto di quanto fosse devastante, era ormai troppo tardi; aveva già vissuto troppo a lungo per imparare a ingoiare la paura senza esserne avvelenata.
Lo odia perché le aveva assicurato che sarebbe venuto da lei, ma non è lì. E possono andare al diavolo tutti i un’ultima volta prima di ucciderti pronunciati ad alta voce e i non c’è nessun altro degno di condividere con me la vigilia della mia vittoria bisbigliati dagli occhi socchiusi e ardenti.
La sua mano è ferma a mezz’aria, mentre Clove considera l’idea di scrivere un messaggio ingiurioso a Capitol City sul vetro appannato. Un’ultima bravata prima di raggiungere la meta verso cui ha marciato da sempre, prima di immergersi nel futuro che ha atteso per tutta la sua vita.
Ha appena deciso che quel luogo non è degno dei suoi insulti quando la porta geme di un cigolio elegante – devono aver studiato i cardini con il preciso scopo di produrre quel lamento irritante, ne è certa – e si fa prepotentemente largo nella stanza il suono di passi che lei ha imparato, contro la sua volontà, a conoscere meglio dei suoi stessi pensieri
Oh, guarda che si è degnato di farsi vedere. Troppo tardi, non ho più voglia di giocare.
 «Vattene» gli dice. La sua voce contiene il perfetto equilibrio di disinteresse e noia, e lei ne è soddisfatta. Sa che parlargli così lo fa infuriare, e l’irritazione che le stuzzica la mente si complimenta con lei. Che si arrabbi.
Con suo disappunto, la sua provocazione rimane sospesa nell’aria.
Le risponde il cigolio delle molle del suo letto che protestano mentre lui si lascia cadere sul materasso, e Clove sente il suo ghigno come le la sua smorfia urlasse.
«So che mi stavi aspettando» le dice lui, ed ecco il suo sogghigno echeggiare sotto le sue parole, insopportabile ed esasperante come solo lui sa essere.
Clove si gira lentamente, gli occhi che lampeggiano un avvertimento. È uno sguardo che significa a un tempo attento, non superare il limite e non meriti neanche la mia irritazione.
Lui ammicca, stendendosi sul letto come se la stanza fosse di sua proprietà. 
«Bene, ora sei stato qui. È stato un piacere vederti. Buonanotte.»
Cato sogghigna, divertito.
«Sei arrabbiata perché pensavi che mi fossi dimenticato di venire?»
«Come se mi importasse come passi le tue notti.»
Clove si avvicina al letto, le braccia incrociate e gli occhi socchiusi che gli urlano la sua indifferenza.  
«Oh, ti importa, e anche tanto» ribatte lui, e prima che lei possa insultarlo per quella punta di arroganza che secondo lui è  oh, così affascinante, Cato si è sporto dal letto e ha afferrato i suoi fianchi con una mano.
Clove si lascia cadere. Forse, tutto il suo peso basterà a strappargli un lamento.
Non è così fortunata. Atterra sul suo petto, i gomiti piegati che incontrano solo muscoli compatti e una risata crudele.
Lo odia.
Odierebbe di più se stessa se si arrendesse a lui senza lottare, anche se sanno entrambi cosa accadrà. Sanno che lei cederà, e non avrà importanza, perché anche lui soccomberà. Non esiste un vincitore, quando combattono. Importa solo la battaglia, e non fa differenza se le armi siano lame affilate o i loro corpi.
E Clove lotta, scivolando fuori dalla sua presa e sedendosi sul suo petto, le mani strette attorno alle sue spalle. Lui potrebbe farla cadere in qualunque momento, ma non lo farà.
Non lo fa mai.
Le afferra i polsi con le mani, attirandola verso il basso, ma Clove si oppone.
Raddrizza la schiena, aggredendo i suoi occhi con lo sguardo.
 «Credi che questo mi tratterrà dall’ucciderti, domani?»
«Facciamo questo da anni e non ti ha mai impedito di cercare di uccidermi.»
Touché.
Le appoggia le mani sulla schiena, spingendola contro il suo petto di colpo. Non è gentile, non lo è mai. E lei non vorrebbe che fosse in nessun altro modo se non come è, anche se non lo sopporta, anche se lo odia, anche se lo ucciderà e si tingerà la pelle con il suo sangue.
E quando affonda i denti nelle sue labbra ha un piccolo preludio del piacere che proverà quando gli squarcerà il petto.

*

La notte ha inghiottito il cielo quando Clove scivola fuori dal letto, il respiro di Cato che accompagna i suoi passi. C’è qualcosa nelle luci della città che la chiama ad appoggiare le mani al vetro freddo e osservare dall’alto quelle vite così piccole, così sciocche, che sciamano sotto di lei. Troppo lontane perché lei possa vederle, troppo vuote perché lei possa considerarle vite vere.
Ma il cielo che sovrasta la città è reale, e reali sono le nuvole che si rincorrono davanti alle stelle, ricordandole che il tempo non si è fermato.
Il domani striscia verso di loro, implacabile, e Clove sente già nell’aria l’odore metallico del sangue. Non il suo sangue, mai il suo.
Quello della ragazza in fiamme per prima, perché nessuno può sottrarle la gloria che le appartiene di diritto e sopravvivere.
Quella del ragazzo dell’Undici poi, perché è alto e presuntuoso e al di sopra di tutti, e questo è sufficiente a farla infuriare.
Quello di Glimmer, perché Clove vuole vedere se i suoi occhi perfetti scintilleranno ancora quando non ci sarà più vita dietro le iridi.
Quello di Cato.
Il pensiero le provoca un brivido di piacere – è di piacere, deve essere di piacere; non può significare nient’altro.
Il domani sarà accompagnato dal suono di lame che lacerano aria e pelle e carne. Danzerà sulla melodia di un coro di urla scandita dai colpi del cannone.
Non teme il domani, non lei. Il futuro è gloria e potere.
Dovrebbe essere il domani ad avere paura di lei. A temere loro, pensa, mentre sente i passi di Cato e una mano si chiude attorno alla sua spalla. Loro, perché si completano, in quel modo distorto e violento e letale che hanno di essere due metà della stessa lama spezzata.
Sarà un piacere ucciderti, gli dice con gli occhi, mentre alza lo sguardo verso di lui. Sarà un piacere estirpare quella parte di lei che la rende completa, ed essere metà, imperfetta e affilata.
«Spaventata?»
I suoi occhi lo ucciderebbero, se potessero. Ma dove sarebbe tutto il divertimento, poi?
«Mai.»
E non lo è davvero. Potrebbe permettersi di esserlo, se la morte, la sua morte, fosse un’opzione. Ma non lo è. Lei vivrà, ne è certa quanto è sicura di essere viva ora.
Tornerà a casa, anche se non ha mai avuto davvero una casa alla quale fare ritorno. Anche se il villaggio sarà un po’ più vuoto senza la presenza rumorosa di Cato.
Comincia già a percepire il freddo di quel vuoto, attraverso il calore del corpo che preme contro il suo.
Dovrebbe esserci abituata, dopotutto. Tutta la sua vita è vuoto. Si nutre di quel vuoto, lo respira come se fosse aria.
Colmerà la mancanza con il ricordo delle urla che gli sfuggiranno quando lei lo ucciderà, decide.
«Sarà un piacere ucciderti» le sussurra lui, facendo eco ai suoi pensieri.
«Sarà un piacere distruggere le tue illusioni.»
Un gorgoglio di scherno, le labbra di Cato che si appoggiano contro la sua nuca mentre si piegano in un sogghigno.
Non le crede. Vedrà.
«Torna a letto» le dice, ed è un invito e un ordine.
«È quasi domani» mormora lei. Lui non capisce, e non c’è bisogno che comprenda: è un segreto fra lei e il tempo.
Le mani di Cato si stringono attorno ai suoi polsi, conducendola attraverso la stanza. Si lascia guidare, per quella notte soltanto, senza opporsi. Gli può concedere una piccola vittoria, prima del suo grande trionfo.
Un attimo dopo sta sprofondando fra le sue braccia e le lenzuola, immersa nel calore che ha imparato a conoscere.
Forse non è così abituata al vuoto, dopotutto.
E non ha alcuna importanza, perché il domani è già lì.
Show me some life
‘cause I got nothing left in me tonight
 
 
 
 
 
   
 
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