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Autore: mamogirl    02/02/2015    1 recensioni
*Sono presenti spoiler dal documentario appena uscito in America.*
And I don't want the world to see me
Cause I don't think that they would understand.

Brian non voleva che il mondo sapesse. Brian non voleva mettersi di fronte alle telecamera e cercare un modo per spiegare che cosa stava passando. Perché avrebbe potuto parlare fino a diventare afono, avrebbe potuto spiegare e spiegare fino a quando non avesse più avuto fiato, ma nessuno sarebbe mai riuscito a comprendere fino in fondo la sua angoscia e l'incubo in cui era stato catapultato.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brian Littrell
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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A Dark World Aches For a Splash In The Sun

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

And I don’t want the world to see me

‘Cause I don’t think that they’ll understand

-          Iris, The Goo Goo Dolls

 

 

 

 

 

 

 

“Che cosa dobbiamo rispondere ai produttori quando ci chiedono che cosa c’è che non va con la tua voce?

“Che sono stanco di fare il tuo lavoro.”

Brian trasalì risentendo il tono della sua voce e la freddezza con la quale aveva ribattuto contro Nick. Era stato un colpo basso, ne era pienamente consapevole. Era stato un meccanismo di difesa, un’arma che aveva dovuto usare nel momento in cui si era ritrovato esposto nelle sue più nascoste e profonde ferite. Nick aveva metaforicamente strappato via quel mantello in cui si era nascosto fino a quel momento e lo aveva fatto in modo consapevole ed intenzionale: aveva voluto fargli del male e, sebbene fino a quel momento era stata solamente la rabbia a fargli portare avanti la discussione, ora Brian si rendeva conto che quelle parole erano state lanciate per scuoterlo, per metterlo di fronte alla realtà e per dargli modo di rendersi conto che non c’erano più angoli in cui nascondersi.

Anche se ancora voleva farlo. Anche se ancora non era pronto per quel momento, forse mai sarebbe stato pronto ad ammettere che non poteva più fare il suo lavoro come una volta. Ammettere che era una debolezza, l’anello più fragile di quella già traballante barca che voleva ritornare a solcare le onde dei mari e degli oceani più grandi e importanti, era qualcosa che lo spaventava e lo teneva imprigionato in quella sorta di falsa realtà e normalità.

Aveva reagito di istinto. Di fronte a quelle parole, aveva reagito come se niente fosse cambiato. Di fronte a quel tono duro, di fronte a quegli occhi colmi di risentimento, rabbia e totale e pura preoccupazione, Brian aveva rialzato le difese e si era aggrappato a qualsiasi eco della persona che era stata per non soccombere sotto quel peso. Aveva dovuto mordersi la lingua, aveva dovuto ingoiare un groppo e una tensione che già quasi lo stavano strozzando, per non lasciarsi sfuggire ciò che veramente avrebbe voluto rispondere a Nick.

Niente. Ecco che cosa avrebbe voluto che Nick e gli altri rispondessero se e quando fossero stati messi di fronte a quella scomoda domanda. Niente. Ecco ciò che Brian avrebbe risposto se qualcuno, se chiunque, gli avesse chiesto all’improvviso che cosa non andava. Perché Brian non voleva che il mondo sapesse ciò che gli stava succedendo, non voleva ritrovarsi in mezzo all’occhio del ciclone e dover rimbalzare da una domanda all’altra per spiegare qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto comprendere. La risposta Niente lo metteva al riparo da ciò, quella semplice parola gli permetteva di continuare con la sua messinscena e quell’illusione da cui non voleva staccarsi. Perché più la ripeteva, più si comportava e aveva l’atteggiamento di chi non stesse in realtà vivendo un dramma, allora forse avrebbe potuto davvero convincersi di essere solamente all’interno di un incubo.

Un terribile, inquietante e angosciante incubo.

Che cosa avrebbe potuto dire, d’altronde? Che cosa avrebbe potuto spiegare se nemmeno lui, ancora, riusciva a comprendere ciò che gli era successo? O, dettaglio ancor molto più importante, per quale motivo fosse successo proprio a lui. Nick la faceva sembrare semplice, come se bastasse solamente un’etichetta per dare una completa spiegazione di quello che era diventata la sua vita quotidiana. E non lo era, maledizione se non lo era! Nessuno avrebbe potuto comprenderlo. Nessuno avrebbe potuto capire come ci si sentiva a svegliarsi un giorno e accorgersi che la propria voce era improvvisamente scomparsa, come se un’invisibile e intangibile Ursula si fosse presentata di notte e gliela avesse rubata mentre lui ne era completamente ignaro. Nessuno avrebbe potuto comprendere come ci si sentiva con uno strumento che non rispondeva più ai suoi comandi e che, anzi, tentava quotidianamente di strozzarlo e di portargli via anche la più piccola particella di aria e di ossigeno. Come avrebbe potuto spiegare il momento in cui gli avevano detto che, all’improvviso e senza apparente spiegazione, il suo cervello aveva smesso di comprendere e di inviare i segnali che gli permettevano di cantare? Era qualcosa d’inspiegabile, era qualcosa che lo aveva trascinato e buttato in una buca nera e profonda e da cui lui non riusciva nemmeno a vedere un benché minimo filo di luce e di speranza. Come avrebbe potuto spiegare che c’erano mattine, ancora, in cui persino il semplice alzarsi dal letto sembrava qualcosa di angosciante? A che cosa serviva uscire, vestirsi se tanto non sarebbe nemmeno riuscito a parlare, men che meno cantare? A che cosa serviva se tanto era anche inutile come padre, impossibilitato nell'aiutare suo figlio con i compiti o allenarlo come aveva sempre fatto? come avrebbe potuto spiegare il senso di imbarazzo e vergogna quando era quello stesso bambino, ancora troppo piccolo per comprendere che cosa stava succedendo, a dover parlare e rispondere per lui? Come avrebbe potuto dipingere quel cumulo di rabbia, frustrazione e angoscia nello scoprire di esser stato sentenziato a ciò che sembrava una prigione senza nemmeno avere la possibilità di difendersi o di opporre obiezione?

Per questo non voleva parlarne. Per questo Brian si nascondeva ancora nell’illusione di essere il protagonista di un incubo, un brutto sogno dal quale non riusciva a svegliarsi per qualche motivo a lui incomprensibile. Per questo indossava la maschera felice e contenta, quel sorriso che sapeva avrebbe rincuorato e rassicurato chiunque fosse al suo fianco e chiunque lo avesse visto anche per un solo e breve attimo. E, sempre per quel motivo, Brian preferiva non dire nulla ai suoi amici e compagni di lavoro come stessero andando le terapie. In parte, era perché si imbarazzava e si vergognava ad ammettere di quanto inutili e totalmente fallimentari fossero. Oh, funzionavano. Ma per qualche giorno. Nel migliore dei casi qualche mese. E si illudeva. Brian, in quei mesi di miglioramento e di risultati positivi, si illudeva di essere finalmente vicino alla fine del tunnel. Ma poi, all’improvviso, si ritrovava con ancora quel rauco sussurro. Poi, all’improvviso, si ritrovava con quella tensione che si stringeva e si stringeva sempre di più attorno alle sue corde vocali. E l’illusione crollava. L’illusione si rompeva in mille pezzi, frammenti così minuscoli che difficilmente Brian sarebbe riuscito a rimettere insieme in qualche modo.

E lì tornava la rabbia. Perché non era giusto. Non era stramaledettamente giusto, soprattutto perché nessuno gli aveva detto che cosa aveva fatto di male o il motivo per cui veniva punito in quel modo così terribile. Il non sapere, il non avere qualcuno contro cui potersi arrabbiare o una motivazione vera e propria, era forse la parte peggiore di tutta quella situazione. Era il tarlo che non lo lasciava mai in pace, che non gli permetteva di dormire alla notte o di focalizzare ogni energia sul rimettersi in piedi e ricostruire quella connessione che si era persa fra il suo cervello e la sua voce. Non riusciva a smettere di pensare a ciò che aveva potuto sbagliare in tutti quei venti anni di carriera e di cantare, non riusciva a non ripercorrere ogni singolo momento per capire se era stato quello o quell’altro a causare il primo danno. E se riusciva a comprenderlo, se fosse riuscito a identificare il preciso istante in cui tutto era incominciato, allora forse avrebbe potuto trovare un modo per ricucire quello strappo. Ma era una tortura fisica e mentale e niente, niente di quello che avrebbe potuto dire sarebbe stato in grado di farlo comprendere agli altri. Al mondo.

Non era giusto con il gruppo. Lo sapeva, Brian. Lo sapeva perfettamente ma ormai era così diventato bravo a mentire e a mascherare che persino lui stesso era diventato vittima di quelle menzogne e bugie. Sapeva che avrebbe dovuto mettersi da parte. Se fosse stata quella persona onesta e giusta che tanto millantava di essere, Brian avrebbe rassegnato le sue dimissioni e avrebbe appeso il suo microfono per non trascinare, in quell’orribile e infrenabile caduta, anche il gruppo. Ma non riusciva. Forse era il suo ego, forse era solamente l’orgoglio di chi per anni aveva dovuto dimostrare di non essere fragile, che gli impediva di abbassare la testa e ammettere la sconfitta. Per quanto inconcepibile, per quanto così difficile da comprendere che nemmeno i suoi stessi amici, nemmeno Nick, erano riusciti a prenderne significato, cantare in quel momento era l’unica salvezza di Brian. Perché era la sua vita. Perché, in quel momento, era l’unico aspetto della sua vita che ancora rimaneva ben saldo, l’ultimo tassello che ancora la malattia non gli aveva strappato via. E non importava se doveva impiegarci quasi due ore per pochi versi, non importava se tremava e trasaliva quando risentiva la sua voce nelle cuffie e doveva ripetersi e ripetersi che era ormai quella. Che era proprio la sua, quel dono che gli era stato donato e che ora era stato ripreso senza nemmeno un preavviso. Non importava perchè, almeno fino a quel momento, era qualcosa che quella stronza di malattia non era ancora riuscita a portargli via. Non importava perchè, quando riusciva a fare e cantare la sua parte, era una vittoria e una sferzata di ottimismo per quell'infinita guerra, costellata bi battaglie perse e altre, invece, portate via con i denti.

Per questo non parlava. Per questo avrebbe voluto rispondere Niente alla domanda di Nick. Per questo non teneva informato il gruppo dei suoi non esistenti miglioramenti o di quale nuova terapia la sua terapista aveva tirato fuori dal cilindro. A che senso se tanto poi non succedeva, anzi, non cambiava mai nulla? Quale senso se poi... l’altra sua paura si sarebbe rivelata reale? E se lo avessero cacciato? E se lo avessero costretto a fermarsi? Non credeva alle parole di Howie, non credeva a quella sorta di investitura a cardine fondamentale del gruppo, il tassello senza cui il puzzle non avrebbe mai potuto considerarsi completo. Avrebbero potuto farlo. Se avesse detto loro quanto senza speranza si sentiva, quanto ogni nuovo giorno portava solamente tortura e angoscia, Brian sapeva già quale sarebbe stato il loro consiglio. La loro decisione. Poteva raccontare a tutti che lo stava facendo per se stesso, poteva millantare di come avrebbe prima dovuto migliorare e prendersi cura di se stesso solamente per sé ma era una fottuta bugia. Doveva farlo anche per il gruppo. Doveva continuare a lottare anche per loro, per quella fiducia incondizionata e per quella comprensione che però non aveva fondamento. Anche se questo era una lama a doppio taglio perchè era un altro peso che si doveva portare sulle spalle, un altro gruppo di persone che non poteva assolutamente deludere. Per questo non diceva nulla. Così poteva evitare loro illusioni e speranze che poi, inevitabilmente, si sarebbero distrutte in un colpo rauco. 

Come poteva Brian raccontare tutto questo? Come poteva raccontare e far comprendere quello che stava passando? Niente era la migliore risposta e più l’avrebbe ripetuta, più forse un giorno essa sarebbe potuta diventare realtà. Come un mantra, come un incantesimo. O come quella bacchetta magica che aveva continuato a chiedere alla sua terapista, o tutte quelle notti in cui gli era stato impossibile trattenere ancora a lungo le lacrime. O quella giornata in cui aveva quasi distrutto il suo studio, il corpo fremente per la rabbia dopo l’ennesima ricaduta e l’ennesimo ruzzolone all’indietro Aveva pregato, aveva scongiurato e aveva promesso ogni sorta di comportamento o premio. Eppure nessuno aveva risposto alle sue preghiere, nessuno gli aveva teso una mano e spiegato che una soluzione facile e semplice per risolvere quella situazione, e ridare al gruppo la sicurezza di poter sempre contare su di lui, esisteva.

Nemmeno le parole di Nick erano riuscite a far breccia in quell’armatura che doveva indossare per non lasciar trapelare nessuna vulnerabilità e debolezza. Le aveva ascoltate, certo. Ma Brian non era riuscito a sostenere il suo sguardo, quegli occhi colmi di così tanto fede e fiducia che si sarebbero, di certo, trasformati in armi e pugnali se solo lui lo avesse guardato. Anche per un misero e fugace attimo.

“Mi manca quella voce. Mi manca davvero. E credo che tu possa riaverlo indietro. Credo in te. Ho fede che tu migliorerai. Abbiamo bisogno di Micheal Jordon. E so che succederà.”

Come poteva Nick avere così tanta fiducia in lui? Come poteva farlo quando nemmeno sapeva la reale e seria entità del problema? Credeva forse che sarebbe bastato ripetersi “ce la posso fare. Posso migliorare.” per davvero ricevere quel miracolo tanto sperato? Nick credeva davvero che non ci avesse provato prima? O che fosse lui la prima persona che glielo ripeteva? Eppure, una parte di Brian si aggrappava a quelle parole. Se davvero c’era qualcuno così ostinato ad avere fede in lui, chi era lui per non rubarne un pezzetto e usarla in quel momento? La sua si era esaurita, la sua era stata abbattuta a suon di note spezzato e respiri annaspati. La sua fede non esisteva più, non almeno quella in se stesso. Forse era quella la bacchetta magica che tanto aveva chiesto: non un oggetto fisico, non un lungo bastoncino di legno che, agitandolo e mormorando alcune parole magiche, sarebbe stato in grado di riportare indietro le lancette e donargli la sua voce. Forse la bacchetta magica era quel piccolo dono, quel piccolo seme di fede e di speranza e quelle poche forze che Brian adesso si stava aggrappando con unghie e artigli, con denti e con tutto ciò che poteva usare. Forse non sarebbe stato necessario, forse Brian si stava creando un’altra, l’ennesima, illusione. Ma era davvero così deleterio lasciarsi trascinare via dall'onta di quelle parole? 

E che cosa altro aveva da perdere?

L’unico orgoglio rimasto era quella forza per continuare a lottare per ogni assolo. L’unico conforto erano quei momenti in cui un’ombra della sua voce riusciva a farsi strada fra le dita che lo strangolavano e quel cervello andato all’improvviso in vacanza. L’unica illusione era quella di continuare a non dire nulla, a tenersi dentro ogni minima preoccupazione e paura sperando che quello fosse il modo giusto per farle finalmente scomparire. L’unica illusione era continuare a sperare di potersi alzare un giorno e trovarsi completamente guarito, nel fisico e nella mente.

Se continuava a crederci, forse un giorno ciò sarebbe potuto accadere. E allora... allora forse avrebbe raccontato al mondo quello che era successo, non pretendendo che essi potessero capire che cosa aveva passato. Non sarebbe servita la loro comprensione perché il peggio sarebbe già stato messo alle spalle. Doveva solo tenere duro, Brian. Doveva solo abbassare la testa e cercare di uscire da quella tempesta.

In un modo o nell’altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il titolo viene da "Cough Syrup", di Young The Giant.
Sapevo che sarebbe arrivato questo momento. Fra la visione del documentario e tutte le interviste che Brian ha rilasciato in questa settimana, ho materiale per poter scrivere almeno una decina di storie. E questa è la mia reazione a forse la mia scena preferita di tutto il film, quelle parole di cieca fiducia in Brian da parte di Nick e l'espressione totalmente senza speranza di Brian.
Ringrazio ogni giorno che questo ragazzo, questo Pocket di forza, abbia cambiato idea cinque mesi fa.
Cinzia 

   
 
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