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Autore: mary_cyrus    03/02/2015    23 recensioni
“Sesso, droga e rock 'n' roll” questo è l'inno di ogni Spring Breakers che si rispetti. Probabilmente lo stesso a cui quattro amiche per la pelle si stanno recando per la loro settimana di vacanza. In parte sanno cosa le attenderà, ma sicuramente non sanno ancora chi le sta aspettando.
Tra alcool, colpi di scena, nuovi amori e anche qualche problema con la giustizia si muoveranno le quattro protagoniste che non potrete dimenticare tanto facilmente.
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- My Space -

 

Ciao a tutti! Per chi ancora non mi conoscesse mi chiamo Mary c:
Giusto due paroline introduttive dal momento che siamo al primo capitolo, poi non vi annoierò più, lo prometto ahah e il my space sarà in fondo.
Ma prendetevi giusto due minutini per leggere, è importante.
Come potete vedere ho pubblicato già diverse storie su efp e, come dico sempre, le idee sono moltissime ma il tempo è poco. Detto ciò voglio presentarvi questo “esperimento”, chiamato così perchè lo avevo già pensato da due anni ma poi non l'ho mai messo su carta, aspettando forse la svolta geniale. Forse sì forse no è arrivata, ma questo sarete voi a dirmelo, infatti per il momento vorrei vedere a quante recensioni arriva questo primo capitolo, giusto per capire se c'è interesse da parte vostra. Perciò se lo gradirete lasciate un piccolo commento, così anche io so cosa vi è piaciuto di più, cosa di meno e se avete consigli su come migliorare e/o portare avanti la storia.
Per ora lo schema che ho in mente è vago e potrebbe subire qualsiasi variazione. La svolta di cui parlavo è arrivata con i 5sos, per cui ho pensato che sarebbe stato un bel mix usare sia loro che questo film, che come avrete capito dal titolo è “Spring Breakers”. Le protagoniste della mia storia sono in parte basate sulle attrici e in parte di mia fantasia; per comodità di banner userò loro (Vanessa Hudgens subirà qualche modifica per adattarsi al mio personaggio).
Questo capitolo introduttivo non sarà molto lungo, ma i prossimi sì.
Mi sembra di aver detto tutto, spero di leggere i vostri pareri a fine capitolo, sarebbe davvero stupendo!
Pubblicherò il secondo capitolo (in corso) ad almeno 15/20 recensioni perciò spargete la voce c:
Il banner è mio perciò se lo usate datemi i crediti.
Grazie di essere arrivate in fondo, buona lettura <3

-Mary






 

 

Capitolo 1

 

Un forte tonfo fece vibrare il piano di plexiglas, provocando un leggero stridio dovuto all'attrito tra il vetro e quel finto legno plasticato.
Un respiro pesante, un po' per l'alcool appena ingerito e un po' per tutti i pensieri che si annidavano in quella testa coperta di ricci biondi, si frappose fra il barista e colui che aveva appena svuotato il drink.
Partì un colpo di tosse e poi, subito, un profondo respiro, accompagnato da un sonoro mugolio per lo sforzo fatto nello stirare le braccia muscolose dietro la schiena.

Il ragazzo si ridestò, dunque, sullo sgabello e giocherellò con i piedi facendolo roteare a destra e a sinistra in maniera apparentemente casuale e ripetitiva, ma che per lui pareva avere un senso.
Alzò lo sguardo di fronte a sè e, accorgendosi della mano che gli porgeva l'ennesimo bicchiere di quella sera, lo afferrò senza troppi complimenti e lo portò alla bocca ingerendolo tutto d'un fiato, sotto l'espressione un po' severa di colui che glielo aveva appena riempito.

“Dai, Ash... è il settimo stasera” una nota di premura fece capolino nella voce del barman, intento ad asciugare numerose stoviglie appena lavate ed a riporle con cura sulle mensole trasparenti dietro di sé.
Il ragazzo riccio non rispose, si limitò a sollevare il mento nella direzione di chi aveva parlato, come assorto nei suoi pensieri o, meglio, come se fosse appena uscito da una trance. Provò a mettere meglio a fuoco ciò che lo circondava, nonostante gli fosse più che famigliare quell'ambiente dal momento che lo aveva sempre frequentato fin dall'infanzia.
Il locale si era svuotato definitivamente ormai da una buona ventina di minuti e nell'aria primaverile ma piacevolmente calda, come era d'abitudine lì in California, si respirava una calma assoluta, interrotta solamente dal fastidioso ronzio di qualche insetto che ogni tanto svolazzava nei dintorni. La luce fioca, diradata dalle luci dei lampioncini che costeggiavano la stradina ciottolata che permetteva di attraversare la spiaggia, illuminava debolmente l'esterno del locale, dal quale invece si potevano chiaramente notare a distanza forti luci, anche se ormai ancora per poco. In lontananza, se si prestava sufficiente attenzione, ci si poteva far cullare dalla rilassante melodia creata dall'infrangersi delle onde sulla spiaggia. Visione estatica per chi veniva a passare l'estate in quel luogo, essendo originario della città, rumore monotono e ormai famigliare per gli abitanti del posto.

La verità era semplicemente che chi stava lì desiderava essere altrove e, a sua volta, chi non poteva godere quotidianamente di quel paradiso avrebbe voluto passarci l'eternità.

“Non un'altra predica, Jack... Non sono in vena oggi” la voce trascinata e la violenza con cui si fregava le mani sugli occhi lasciavano ben intendere quanto potesse essere ancora lucido Ashton.
Un mazzo di chiavi richiamò la sua attenzione quando quasi gli cadde addosso, scaraventatogli in malo modo da Jack. Un'espressione interrogativa sostituì quella smarrita che aveva avuto fino a qualche attimo prima.

“Sali in macchina, ti riporto a casa” sputò d'un fiato l'uomo che, freneticamente ma in modo meticoloso stava finendo di riordinare il bar.

Ashton scrollò il braccio destro e l'orologio che portava al polso rivelò la tarda ora che si era fatta, nonostante non fosse del tutto convinto di leggere benissimo quali numeri segnassero le lancette.

“No. Lascia perdere, è troppo tardi. Farò un giro a piedi, almeno prendo un po' d'aria” rispose, ma restando visibilmente con la testa nel suo mondo.

Il barista non insistette. Lo conosceva abbastanza da sapere che non gli avrebbe fatto cambiare idea, così ripiegò lo strofinaccio umido e scese dalla pedana dietro al bancone dove solitamente passava le sue giornate a lavorare. Restò un attimo a fissare il suo interlocutore, provando anche un po' pena per come si era ridotto ormai da mesi. Prese la chiavi dal grembo di quest'ultimo che a fatica scese dallo sgabello e, dopo essersi passato una mano tra i capelli, si diresse verso la porta di vetro d'uscita.
Con un secco rumore metallico causato dal giro della chiave nella toppa della serratura, Jack chiuse il locale e si diresse verso la sua Jeep parcheggiata di fronte ad esso. Guardò di sottecchi Ashton scalciare la sabbia fredda che, neanche a dirsi, penetrò negli stivaletti di pelle nera che indossava. Teneva le mani nelle tasche degli skinny jeans, anch'essi neri e un po strappati, e lo sguardo basso, perso nel vuoto, a fissare cosa non lo sapeva bene nemmeno lui. Una canotta bianca e cosparsa di buchi e strappi mostrava la scritta in grassetto “Jimi Hendrix” e, sotto, una caricatura dell'artista.

Il ragazzo si portò una mano alla tasca posteriore dei pantaloni e ne estrasse un cappellino di cotone nero, un “beanie” stretto che tanto andava di moda quell'anno e che ultimamente sostituiva le svariate bandane che era solito portare per tenere a bada i capelli ribelli. Da questo, così come se fosse il cilindro di un prestigiatore dal quale ti aspetti, quasi senza sorpresa, che esca un coniglietto bianco, così ne tirò fuori un pacchetto di sigarette. Lo aprì quasi meccanicamente e con noncuranza afferrò tra due dita l'accendino che, poco dopo, servì a dare la scintilla alla sigaretta che ora aveva tra le labbra socchiuse. Fece un tiro svogliato come se la sigaretta che, assieme alle altre, gli andava ad accorciare ogni giorno di più la vita, fosse solamente una monotona azione abitudinaria piuttosto che un effettivo bisogno del momento.
Jack non gli tolse gli occhi di dosso per tutto il tempo, si sentiva così impotente di fronte a quel ragazzino che, nonostante avesse ormai vent'anni, non poteva non vedere come il bambino che fino a pochi anni prima veniva ogni giorno nel suo locale a comprare il gelato con la mamma. Lo aveva visto crescere ed aveva sviluppato un forte legame con quel bimbetto tutto pepe che era sempre al centro dell'attenzione di tutti i bambini della spiaggia, quello che aveva sempre mille idee per la testa e che ogni giorno trovava il modo di divertirsi anche solo con due bastoncini trovati abbandonati sulla battigia.
Da lì, probabilmente, l'innata passione che aveva sviluppato nel tempo per la musica, in particolare per suonare la batteria. Lui stesso gli aveva dato qualche dritta e lo aveva aiutato a perfezionarsi dopo che, sfortunatamente, il padre di Ashton li aveva lasciati quattro anni prima, morto a seguito di un incidente d'auto causato da lui stesso. Era sempre stato considerato un eroe dal figlio finchè, il giorno della tragedia, era venuto a conoscenza di come stavano realmente i fatti: l'uomo, infatti, aveva problemi di alcolismo già da diversi anni e questo aveva contribuito a peggiorare anche la situazione a casa con la moglie, che cercava di sopportare in silenzio per il bene del figlio. Jack lo aveva conosciuto una sera di tanti anni prima proprio grazie alla musica, dal momento che sia lui che il padre del ragazzo suonavano in due band diverse, e in un piccolo locale della zona si erano ritrovati a darsi battaglia all'ultimo sangue per vincere un concorso.
Sapeva quanto Ash avesse sofferto per la sua morte, forse quasi più per le recenti rivelazioni che per il fatto in sé, comunque sia aveva cominciato a comportarsi così da allora, proprio nella fase più critica che ogni adolescente è costretto a superare. Sua madre gli è sempre rimasta vicino, ed il loro rapporto è sempre stato bellissimo, Ashton pareva tutta un'altra persona con lei. Forse, capendo lui stesso quanto dolore si potesse provare e sapendo quanto altro ne avesse sempre occultato la donna, aveva deciso di essere forte lui per entrambi.
Nonostante questo, Jack continuava a vederlo infelice, insoddisfatto della sua esistenza. Sapeva che con il suo amabile carattere, quel ragazzo avrebbe potuto diventare chiunque ed ottenere tutto dalla vita, ma questo sembrava non sfiorargli minimamente la testa. Lo vedeva un po' come il figlio che non aveva mai avuto, dopo che la sua ragazza era rimasta incinta a quindici anni ma aveva perso quella creaturina che entrambi tanto desideravano per formare la famiglia perfetta sognata fin da bambini. Da quel giorno si erano lasciati e lui aveva trovato lavoro qui in città, appunto al locale che Tom, l'anziano padrone dell'epoca, essendo solo e senza eredi, lasciò in eredità proprio a Jack.

“Ragazzo...” esordì l'uomo, la mano sulla fredda portiera della macchina, gli occhi colmi di una speranza ancora viva dentro di sé.

Questo si voltò ma non proferì parola, si limitò a togliere la sigaretta dalla bocca e farne ricadere la cenere sulla sabbia scura. Lo osservò per qualche istante poi, con tono piatto ma serio, disse solo:

“Quando hai detto che dovrebbero arrivare le ragazze?” alzò un sopracciglio, forse per la prima volta davvero interessato alla risposta che avrebbe ricevuto.

L'uomo continuò a fissarlo, sentendo morire il piccolo barlume di luce che si era acceso poco prima. Credeva che, nonostante tutto, nel cuore di quel ragazzo ci fosse ancora molto da dare e che avrebbe dovuto salvarlo adesso, finchè poteva essere ancora in tempo.

“Domani, in giornata.” esitò qualche secondo e poi riprese “Sai che resteranno qui solamente per una settimana, vero? E sai anche benissimo a quale scopo sono venute, vero Ashton?”

Ci fu un intenso e lungo scambio di sguardi, uno più supplichevole, l'altro sempre più spento. Una leggera brezza di vento fu l'unica a frapporsi tra il silenzio dei due che, seppur spoglio di parole, ne portava il peso di molte altre non dette.

“Certo. Vogliono esattamente la stessa cosa che desidero anche io.” inspirò rumorosamente e subito dopo lanciò via la sigaretta, rilasciando poi il fumo dalle narici, il quale andava a creare strane forme nell'aria che, in un batter d'occhio, distruggeva.

Jack lo guardò un'ultima volta, dopo di che si decise a salire sulla propria auto ed a metterla in moto. Gli inesistenti finestrini della Jeep gli permisero di sentire, in lontananza, i passi di Ashton che si stava allontanando nella direzione opposta, senza una meta precisa.
Sospirò, sperando che a breve le cose sarebbero cambiate e che quel perdigiorno che era diventato trovasse invece uno scopo nella vita, facendovi prima chiarezza. Scalò il cambio in seconda dopo aver invertito la marcia e presto si trovò sulla strada principale diretto a casa, dove non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarlo.

Rimasto ormai solo, Ashton si concesse qualche minuto per ritornare col pensiero a pochi anni prima. Rivide lui da piccolo, stringeva forte la mano di sua mamma, troppo agitato e contento per aver meritato il premio che, comunque, la donna le donava ogni giorno. Insieme, infatti, andavano sempre al bar di Jack a prendere un gelato; lui non cambiava mai i gusti, era solito scegliere sempre menta e cioccolato fondente. Amanda, invece, prediligeva la crema alla quale affiancava ogni volta un gusto diverso alla frutta: quando melone, quando ananas, quando la specialità del giorno.
Il piccolo chiosco di Tom fu presto trasformato in un più ampio bar da Jack, quando venne assunto, così da permettergli di lavorare sia al giorno che alla sera.
Un leggero sorriso si curvò sul volto dell'Ashton ormai grande, consapevole (o forse no) delle sue azioni e scelte. Pensava a ieri, ed al giorno ancora precedente. Non riusciva a capacitarsi di come fosse diventato così. Aveva sempre avuto tanti sogni, mille progetti. Ma, forse, adesso non avevano più così tanta importanza.
Continuò a camminare, questa volta con l'intenzione di rincasare, nonostante sua madre, ormai, avesse perso le speranze di stabilire un coprifuoco. Dopotutto si fidava di lui, sapeva che era un bravo ragazzo ed era anche conscia che, forse, questa situazione avrebbe richiesto tempo a suo figlio.

Con il risucchio avido del mare, che sembrava voler tenere solo per sé quelle onde cristalline, ormai nere come la pece ed immerse nella notte, a fargli da sottofondo, proseguì a passo lento verso la fila di villette a schiera che si poteva scorgere poco lontano, tra cui avrebbe subito riconosciuto casa sua per la piccola e debole luce che sua mamma ogni sera lasciava accesa nella cameretta del figlio.

  
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