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Autore: ilovebooks3    05/02/2015    2 recensioni
Una raccolta di one shots per immaginare le nuove vite di Jane e Lisbon immediatamente dopo il finale della sesta stagione.
Perché la tempesta è finita, ed entrambi si meritano un po’ di arcobaleno.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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SILVER STAR ON TOP OF THE TREE
 


È la vigilia di Natale.
In una graziosa villetta bianca appena fuori dal centro di Austin fervono i preparativi.
Una testa bionda sbuca tra i rami dell’invadente abete che giganteggia in salotto, mentre un paio di occhi verdi sta osservando attentamente la scena dal basso.
«Un po’ più a destra…no, un po’ più a sinistra», incita Lisbon, come un esigente regista che dirige con severità maniacale i suoi attori.
«Non sono molto chiare le tue spiegazioni», si lamenta Jane, in bilico su una sedia, mentre appoggia sulla cima dell’albero un puntale argentato a forma di stella, anch’esso pericolosamente in bilico.
«È storto», dichiara lei, trattenendo a stento una risata.
«Non è vero», insiste il mentalista, sia per reale convinzione sia per partito preso.
«Sì, invece», insiste la poliziotta, più per partito preso che per reale convinzione.
«Allora sali e mettilo tu».
«Non ci penso neanche. Io ho già sistemato le palline e le luci».
«Eh già, in effetti decorare l’albero non è proprio la tua specialità», butta lì Patrick, indirizzando uno sguardo rassegnato al groviglio di lucine e alla disposizione ben poco armoniosa delle decorazioni.
«Come osi? Vorresti dire che l’esperto in materia sei tu?», lo prende in giro Teresa, con una punta del suo irresistibile sarcasmo. È  consapevole di non essere dotata di un particolare estro artistico, ma, occupandosene lei, ha salvato quelle povere palline da sicura distruzione e l’intera casa da un probabile cortocircuito.
«In effetti, non arriveresti fino alla cima dell’albero», la provoca lui, sorridendo e squadrandola dall’alto in basso.
«Maleducato. Se cadi e ti sfracelli non ti soccorrerò».
«Suvvia, non puoi negare la palese realtà, ovvero che io sono più alto di te, quindi più adatto a questa delicata incombenza».
«Alto…non esagerare, Jane!». Lisbon increspa le labbra in un sorriso provocatorio.
«Invidiosa!», ironizza lui, mentre scende a terra con un buffo balzo:« Sei la mia poliziotta preferita in formato tascabile», continua, dandole un tenero e rapido bacio sulla fronte.
«E tu il mio rompiscatole preferito», ribatte lei, tutta soddisfatta di questa perfetta, e sincera, definizione.
«Modestamente lo so», ammette Patrick, mentre la stringe in un abbraccio che, per colpa degli appiccicosi brillantini che ricoprono il puntale e, dunque, le sue mani, si colora di argento.
«Come ti sembra?», chiede poi l’orgoglioso arredatore, accennando alla sua creazione.
Ma Teresa non sembra affatto intenerita dalle precedenti effusioni, per quanto gradite. La sua risposta è crudele e inequivocabile: «Storto».

 
*********
 

Dopo molti tentativi la stella è ancora più storta di prima, ma, in compenso, i brillantini iridescenti si sono depositati ovunque, compresi il viso di Lisbon e i capelli di Jane.
«Ti dona il trucco glitterato».
«E a te la parrucca argentata».
Il mentalista le sfiora la guancia, fingendo di pulirgliela, ma la sua è più che altro una scusa per farle una carezza.
Si guardano intensamente, sorridendosi con tenerezza, perdendosi uno negli occhi dell’altro…fino a quando uno strano odore di bruciato giunge alle loro narici.
«Il tacchino!» gridano all’unisono, ricordandosi improvvisamente del povero pennuto da poco infornato.
«Tutta colpa tua, Jane!»
«Lisbon, ti ricordo che avevi detto che al tacchino ci pensavi tu».
«Allora è colpa tua che mi hai distratto».
«….col mio immenso fascino, lo so».
Ma Teresa non fa in tempo a sentire questa impertinente frase (il naso di Patrick è salvo, per ora), perché ha la testa presa in altre faccende, anzi, ha la testa letteralmente dentro il forno.
Il tacchino, per fortuna, è recuperabile. Le responsabili del preoccupante odore sono solo due misere presine carbonizzate.
La fiducia di Lisbon nelle proprie capacità culinarie, però, è in rapido crollo.
«Forse avremmo dovuto prendere qualcosa in rosticceria», si rammarica.
«Ma no, Lisbon. So quanto ti piace l’idea di un tradizionale cenone di Natale cucinato in casa», la incoraggia Patrick, anche lui incuriosito da questa novità; non tanto dal Natale o dal cenone, quanto dal fatto che lo trascorrerà con Teresa.
«È da quando è morta mia madre che il mio Natale non è tradizionale», ammette lei.
«Lo so. Ora però ci sono qui io per rimediare», mormora Jane con una voce profonda, colma di significati e promesse.
Teresa vorrebbe ringraziarlo, ma non trova le parole adatte, quindi si limita a sfiorargli la mano con la propria e a indirizzargli un sincero sorriso. Poi torna seria e pensierosa.
«Mio padre si ubriacava più del solito la sera del 24. Io e i ragazzi cercavamo di festeggiare tra noi come potevamo, ma non era facile», ricorda.
È strano, ma parlarne non le fa più male, a patto che Patrick sia al suo fianco.
«Scommetto che compravi i regali dei tuoi fratelli, mentre tu non ricevevi nulla», butta lì Jane con voce incolore. Quanto vorrebbe viaggiare indietro nel tempo, modificare i  Natali della piccola Teresa e regalarle un’adolescenza spensierata.
«Più o meno. Poi, quando sono cresciuti e io ho iniziato a lavorare, ho sempre badato ad essere di turno il 24 e il 25», ammette lei. Non era stakanovismo il suo, soltanto autodifesa. I colleghi non l’avevano mai capito. Jane sì.
«Quest’anno non ci sei riuscita», commenta il mentalista con un sorriso birichino.
«Quest’anno sono molto felice di non esserci riuscita. Anzi devo ringraziare Abbot», concede Lisbon, in un eccesso di espansività.
«A proposito, Abbot è stato carino a dare ferie a tutti e due, non credi?», domanda Patrick, stupito e lieto della generosità di quel burbero, ma a suo modo adorabile, capo.
«L’aggettivo “carino” non si confà molto a Dennis. L’hai ricattato per caso?», insinua la poliziotta.
Sarebbe un tipico comportamento alla Jane.
«No, donna di poca fede! Meh, Abbot non sarà carino, ma è stato il primo a tifare per noi».
«Ricordami di ringraziarlo anche per questo», si raccomanda Lisbon, in un secondo eccesso di espansività.
«Dovremo farlo davvero, un giorno o l’altro». Jane è serio, stavolta. Forse, senza le insistenze di quello scorbutico omone, lui sarebbe ancora in Messico, lontano dalla donna che non aveva il coraggio di amare.
Forse, senza la sua macchina, quella sera non sarebbe arrivato in tempo in aeroporto e lei, a quest’ora, sarebbe già sposata con l’uomo dei pancakes. Rabbrividisce al pensiero.
Sì, ha deciso: Abbot santo subito!
Teresa, intanto, non può fare a meno di ripensare a quando assisteva, da impotente spettatrice, ai Natali solitari di un Jane spezzato e determinato a fingere che fossero giorni come tutti gli altri.
Per lui, in effetti, lo erano. Anzi, erano molto peggio.
«Anche tu è tanto che non passi un Natale come si deve».
La donna si pente subito di questa stupida e inopportuna frase. Ora Patrick ripenserà ai pochi bellissimi Natali trascorsi con Angela e la piccola Charlotte, e si rattristerà. Poi ricorderà quelli miserabili passati a sonnecchiare sul divano del CBI, ad autocommiserarsi e a meditare vendetta.
Brava Teresa, si complimenta con se stessa, altro che rendere speciale il suo Natale: ecco il modo perfetto per renderlo soltanto più malinconico.
«Già», acconsente lui con tranquillità dopo una breve pausa silenziosa; è serio, ma apparentemente sereno.
«Scusami, non volevo farti tornare in mente…tutto…», sussurra Lisbon, sentendosi la peggiore delle criminali. Quanto vorrebbe entrare nella mente di Patrick, cancellare i suoi orribili Natali e regalargli solo bei ricordi.
«Tranquilla, non c’è niente di cui scusarti, hai detto la verità. No, non ricordo di aver passato un Natale felice negli ultimi dodici anni», ammette, calmo.
«Ma ora ci sono qui io per rimediare», azzarda lei, accennando un sorriso esitante.
«Lo so. Grazie, Teresa», dice Jane, intrecciando le sue dita con quelle della poliziotta. Con a fianco questa piccola donna meravigliosa perfino il Natale, ovvero un giorno che aveva deciso di odiare o ignorare, sarà speciale.
«Siamo una bella coppia di disadattati», ironizza lei, per alleggerire l’atmosfera.
«Sì, lo siamo». Il viso di Patrick si illumina; «Una bella coppia, intendo».
«Già».
«E anche disadattati».
«Parla per te».

 
***********
 
 
Dopo alcune ore, Jane e Lisbon, fieri delle loro imprese culinarie, abbandonano il luogo di battaglia, ovvero i fornelli, per un po’ di meritato riposo sul divano.
Ma in salotto li attende una spiacevole e sconvolgente sorpresa: la stella argentata in cima all’albero è sparita.
Per un attimo ognuno pensa che si tratti di uno scherzo dell’altro.
Ma basta guardarsi negli occhi per capire che entrambi sono all’oscuro di questa strana faccenda.
In effetti Jane non comprometterebbe ma la sua faticosa operazione, e Lisbon, beh…semplicemente non arriverebbe alla cima neanche sporgendosi in punta di piedi sulla sedia.
Ai due non resta che analizzare rapidamente la scena del crimine. Almeno la vigilia di Natale pensavano di essere esonerati da questa abituale incombenza. Invece no.
La finestra aperta rappresenta l’unica via di entrata e di uscita che il ladro aveva a disposizione. Non manca nient’altro. La sedia è stata riaccostata all’abete per arrivare ad afferrare l’ambitissimo oggetto.
«Chi mai può rubare un puntale comprato dai cinesi per due dollari?», chiede Patrick, alla sua partner quanto a se stesso.
«E che perde pure chili di brillantini», aggiunge Lisbon.
«A meno che non sia in realtà un preziosissimo monile di cui ignoravamo il valore».
«A meno che il ladro non sia rimasto inorridito da come l’avevi sistemato e abbia deciso di porre fine allo scempio».
Le due povere vittime di furto non hanno perso la voglia di punzecchiarsi a vicenda, ridendo dell’assurdità della situazione.
Poi si sporgono alla finestra e in un attimo capiscono.
Un gruppetto di ragazzini, cinque maschi e due femmine, all’incirca sui dodici o tredici anni, stanno giocando a palla in strada.
«È stato uno di loro», esclamano all’unisono il mentalista e la poliziotta, sorprendendosi della loro geniale intuizione simultanea.
«Scommetti che in tre minuti trovo la refurtiva?», propone Lisbon, avvicinandosi pericolosamente a Jane con un intrigante sguardo di sfida.
«E scommetti che in tre minuti scopro chi è stato?», ribatte Jane, piuttosto divertito e affascinato (ma per nulla intimorito) dall’espressione determinata che rende ancora più brillanti i meravigliosi occhi verdi di Teresa.
I due investigatori si precipitano fuori: Lisbon osserva attentamente la scena e il terreno, torna un attimo dentro casa, poi, dopo aver dato una carezza di incoraggiamento alla giacca del suo partner, sparisce dietro un albero; Jane, invece, attacca subito bottone con i ragazzini.
«Ciao», saluta, piuttosto ottimista. Di solito ci sa fare con i mocciosi.
«Che vuoi?», chiede il più alto del gruppo, probabilmente il leader. Forse Patrick ha perso il suo appeal tra i giovanissimi. Forse è semplicemente invecchiato.
«Niente».
«Ok».
Il gruppetto decide di ignorare Jane e di ricominciare a giocare.
Il più grassoccio del gruppo sbaglia tutti i passaggi, e viene preso in giro soprattutto da una ragazzina bionda, tanto antipatica quanto carina. Tutti gli altri ridono alle sue battute tranne un ragazzino magro e occhialuto, e una bimbetta bruna, la più giovane del gruppo, che passa sempre il pallone all’imbranato giocatore.
Al re degli osservatori non sfugge nulla di tutto ciò, insieme a molti altri dettagli apparentemente insignificanti.
«Si può sapere che vuoi?», riattacca dopo qualche minuto il capo, sentendosi minacciato dalle insistenti e irritanti occhiate di Jane.
«Sapere chi ha rubato la stella argentata del mio albero di Natale», butta lì Patrick, sfoderando il più ingenuo dei sorrisi.
«Non siamo stati noi».
«Mi permetto di insistere».
«Se lo pensi è un problema tuo. Lasciaci in pace».
«So esattamente chi è stato di voi», annuncia l’ex sensitivo con tono profetico, allontanandosi leggermente, pur continuando ad osservare le reazioni di ognuno di loro.
«E chissenefrega», dichiara il capo, subito imitato dalla ragazzina bionda.
Nel frattempo riappare Lisbon: dietro la schiena nasconde qualcosa, mentre le sue labbra increspate tentano di nascondere un sorriso vittorioso. Arrivata a un passo da Patrick sfodera il puntale scomparso con gesto teatrale.
«L’hai trovato! Sono colpito Lisbon. Come hai fatto?», chiede il mentalista, sinceramente stupito.
«Non ho intenzione di rivelarti i miei segreti», dichiara la poliziotta, mettendo su il suo irresistibile broncio.
«Tu non hai segreti per me».
«Invece sì».
«Ne dubito. Io ovviamente ho già scoperto chi è stato».
«Ovviamente».
«È stato il ragazzino sovrappeso, quello che non azzecca un passaggio, insieme al suo amichetto occhialuto», rivela mister So-tutto-io.
«Ok», si limita ad annuire Teresa.
«Non mi chiedi come ho fatto?».
«Fai pure, visto che muori dalla voglia di dirmelo».
«È palese dalle loro reazioni: sono gli unici che mi guardano di sottecchi e si irrigidiscono tutte le volte che mi avvicino. L’idea deve essere stata del cicciotto, probabilmente voleva regalarla alla biondina carina e senza cuore che non se lo fila; ma da solo in piedi sulla sedia non sarebbe arrivato alla cima dell’albero, quindi doveva avere un complice, abbastanza suo amico da volerlo aiutare e abbastanza magro da potergli salire in spalla. Chi se non il piccoletto occhialuto, anche lui emarginato dal gruppo? E poi entrambi hanno le mani coperte di brillantini».
«Ok».
«È tutto quello che sai dire, Lisbon?»
«Guarda nella tua tasca».
Patrick si fruga nelle tasche della giacca e in una trova un foglietto di cui non conosce la provenienza.
«Leggilo».
È la scrittura piccola e frettolosa di Lisbon: “I colpevoli sono il ragazzino biondo che non ha un futuro da pallavolista e il suo amico occhialuto”.
Jane deglutisce e fatica a ritrovare il dono della parola. Poi sorride. «Oh. Mi hai sorpreso, Lisbon».
«Lo sapevo che un giorno o l’altro l’avrei fatto».
In realtà Teresa riesce a sorprenderlo molto più spesso di quello che lei stessa crede.
Ogni giorno il mentalista è sorpreso dalla sua bellezza, dalla sua generosità, dalla sua onestà, dalla sua sarcastica ironia. E dai meravigliosi sorrisi che ultimamente sembra riservare solo a lui.
Ma non le dice nulla di tutto ciò. «Come l’hai capito?», si limita a chiedere.
«Solo dai brillantini. È bastato un minuto», spiega lei. Da lontano aveva notato subito che solo le mani dei due ragazzini avevano riflessi argentati; poi una debole, ma provvidenziale, scia sul terreno l’ha condotta dritta al nascondiglio della refurtiva.
«Touchè. I cari, vecchi indizi che piacciono tanto a voi poliziotti».
«Esatto. Altro che le tue osservazioni da mentalista».
«Le mie osservazioni da mentalista mi hanno portato anche al movente».
«Al movente ci sarei arrivata tra cinque minuti, cioè dopo aver interrogato i sospettati».
«Agli ordini, agente Lisbon, andiamo a interrogarli».
I due colpevoli, Tom e Alan, non provano nemmeno a negare. Sono mortificati e si scusano decine di volte, mentre la vergogna tinge di rosso le loro guance.
«Direi che questa volta possiamo lasciare ai ladri la refurtiva, se promettete di non rubare mai più in tutta la vostra vita», dichiara solennemente Lisbon dopo una severa lavata di capo.
In effetti a Natale si è tutti più buoni. Vale anche  per gli agenti federali.
Tom, la mente del crimine, è felicissimo e, incredulo, ringrazia la strana coppia di generosi investigatori.
«È raro che l’agente Lisbon rinneghi i suoi principi morali, ritieniti molto fortunato», spiega Jane al ragazzino, lanciando uno sguardo di approvazione alla sua magnanima partner.
«Di solito lo faccio solo in casi molto speciali», dichiara la donna, increspando le labbra in un sussurro pieno di significato, tutto dedicato al suo partner.
Patrick sorride. La mente di entrambi corre a tutte le volte in cui la poliziotta ha trasgredito la legge per assecondare il consulente o salvargli il fondoschiena. Succederà ancora, questo è certo.
«Io ho una seconda condizione, però», aggiunge Patrick, rivolgendosi di nuovo a Tom e strizzandogli l’occhio. «Lascia perdere la bionda antipatica: regala la stella alla tua amica magrolina che mi sembra cotta di te».
 

**********

 
Il crimine è risolto, gli investigatori sono corsi a comprare un secondo puntale per rimpiazzare quello ormai perduto, la casa non è andata a fuoco a causa degli arditi esperimenti culinari, la tavola è apparecchiata di tutto punto e il cibo sembra perfino commestibile.
Patrick e Teresa possono finalmente godersi il tanto sospirato cenone natalizio.
Gli stuzzichini preparati dal cuoco mentalista sono buoni e sofisticati, il brodo è saporito, il tacchino che Lisbon ha rischiato di carbonizzare non è affatto male, e la frutta secca, di cui entrambi sono ghiotti, abbonda.
L’atmosfera è rilassata e calda. Merito dell’ottimo vino, delle candele o degli enormi sorrisi che i due commensali si scambiano? Forse di tutte e tre le cose.
Parlano di tutto e di niente, riempendosi l’uno della presenza dell’altro.
I loro occhi sono più luminosi della stella argentata che brilla sulla cima dell’albero.
«È mezzanotte, Jane», sussurra Teresa a un certo punto, un po’ emozionata. Tra una chiacchiera e una fetta di panettone, non aveva più guardato l’orologio. Quando è con Patrick ha spesso la sensazione che il tempo si fermi.
«Già». Il mentalista non ha alcun bisogno di sapere che ore siano: quando è con Teresa ha spesso la sensazione che il tempo non esista.
Guidato da un istinto irrefrenabile afferra la mano della sua partner e la tiene per qualche istante tra le sue. Poi se la porta alle lebbra, lasciandovi un bacio leggerissimo.
«Non sei curioso del tuo regalo?», lo stuzzica lei, cambiando discorso per cercare di distrarlo dal suo improvviso (e giustificato) rossore. La vicinanza di Patrick, e in particolare i suoi baci, continuano a farle questo effetto.
«No», risponde lui con prontezza, serio.
«Perché sai già che cos’è?». Dalla voce di Lisbon traspare una punta di delusione. D’altronde se lo aspettava: fare una sorpresa a Patrick Jane è una missione impossibile.
Ma il mentalista scuote la testa, sorridendo. Poi la guarda intensamente. «No. Perché il mio regalo è già qui, davanti a me».
 
 
*********
 
 
Malgrado la sua dichiarazione di poco fa, Jane è piuttosto curioso dell’oggetto incartato che ha adocchiato sotto l’abete.
È cubico, né grande né piccolo, fasciato di argento.
No, il re dei mentalisti non ha indovinato cosa possa contenere. E non ha la minima intenzione di farlo.
Vuole lasciarsi sorprendere. Per una volta non ha tutto sotto controllo, e non se ne rammarica.
Teresa, dal canto suo, dimostra un vivacissimo interesse nei confronti del pacchetto di cui non conosce il contenuto. È rossa in viso e impaziente come una bambina di cinque anni.
Altro che razionale agente federale quarantenne!
In effetti, l’ultimo regalo che ricorda di aver trovato sotto un albero di Natale era stato un maglione verde che le aveva comprato sua madre.
«Prima tu», incita lei.
«No prima tu», insiste lui.
«E va bene».
Teresa è ben felice di aprire il suo.
È piatto. Sembra carta. È piuttosto strano, ma in effetti da Jane non ci si può  aspettare qualcosa di normale.
Le tremano le mani per l’emozione. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbe accoccolata sotto un sempreverde per sfasciare i regali con Patrick Jane?
Dentro c’è davvero della carta: anzi no, ci sono delle foto.
La prima è quella di un grande maneggio. Sembra bellissimo, confortevole e immerso nel verde. Dall’insegna in bella vista sembra si trovi appena fuori Austin.
La seconda…no, non può essere.
Sembra la foto del suo pony, quello che le aveva regalato Patrick tanti anni fa.
Era stato un gesto folle e dolcissimo.
Teresa l’aveva venduto a malincuore, quando si era trasferita nello stato di Washington un paio di anni fa; l’aveva fatto perché non poteva permettersi di pagare il trasferimento in un maneggio più vicino, ma anche perché sarebbe stato un ulteriore modo per allontanarsi da un Patrick Jane già troppo lontano da lei.
È incredibile ma è proprio lui, il suo piccolo pony marrone pezzato di bianco: lo riconoscerebbe tra mille.
L’ormai esperto commerciante di cavalli sta osservando ogni minima reazione della sua partner.
«L’ho ritrovato, ma non è stato facile riaverlo. Il nuovo proprietario è un osso duro. Alla fine ha ceduto e me l’ha venduto. Ora è in un maneggio in periferia di Austin», spiega.
Sa quanto a Lisbon piacciano i cavalli, e quanto, da bimba, sognava di possederne uno. Era quello il motivo per cui gliel’aveva regalato la prima volta, molti anni fa.
Questo Natale vuole che sia speciale per lei, vuole che Teresa torni un po’ bambina. È questo il motivo per cui le ha regalato il pony per la seconda volta. Sperava di renderla felice.
Ma da Lisbon nessuna risposta.
«Non sei contenta?». A volte non riesce proprio a capire cosa stia pensando la sua non-sempre-traslucente partner, e questa è una di quelle volte.
«Sono senza parole».
«Ma sei contenta?»
«Secondo te?»
«Non saprei».
«Strano che tu non lo sappia già. Perché sono molto, molto contenta. Grazie Patrick», sussurra Lisbon con voce malferma, stringendogli dolcemente il braccio.
«E io sono contento che sei contenta, Teresa», rispondendo alla stretta.
«Quando possiamo andarci?». Adesso sì che sembra proprio una bambina.
«Anche domani mattina, se vuoi».
L’impetuoso bacio che la poliziotta gli scocca sulle labbra gli suggerisce che è d’accordo; e che no, Teresa non è affatto una bambina.
«Ok, ci andiamo domani. Ammesso che tu mi dica come l’avevi chiamato».
Lisbon vorrebbe rifiutarsi, ma si rende conto che non può. Prende fiato e si prepara alla rivelazione: «Gilé».
 

********

 
Ora è il turno di Patrick.
Apre lentamente il pacchetto, scartandolo con cura quasi maniacale, sorridendo, e gustandosi il momento.
Dalla scatola di cartone estrae due tazze azzurre. Molto simili alla sua storica tazza, quella che era andata in frantumi quando erano andati in frantumi il CBI e quella vita che si era faticosamente ricostruito.
«Ho cercato dappertutto per trovarne una simile. E ho pensato che ce ne volessero due», spiega Lisbon, un po’ imbarazzata.
«Sì. Perché ora siamo in due», sottolinea Jane, quasi incredulo.
«Già».
«Grazie. È un regalo bellissimo». Quelle due tazze significano molto. Significano tutto.
Le accarezza i capelli, commosso. Poi le accarezza le labbra con le proprie, e intanto sorride.
Non pensava che si potesse baciare e sorridere contemporaneamente.
Rimangono a guardarsi per un tempo indefinito, ancora accovacciati sotto l’albero di Natale.
Finchè l’attenzione di Patrick è attirata da un lieve movimento. Si alza con lentezza e si sporge dalla finestra.
«Tesoro, vieni a vedere», esclama dopo qualche minuto.
Teresa si precipita, mentre il suo cuore perde un battito. Non saprebbe dire se per il “tesoro” con cui l’ha chiamata Jane o se per il meraviglioso spettacolo a cui stanno assistendo: la neve.
Soffici candidi fiocchi danzano nell’aria, impazziti.
L’atmosfera è ovattata, quasi surreale: il silenzio diventa ancora più silenzioso e il bianco si fa argento.
Teresa adora il Natale sotto la neve, e Patrick lo sa. La stringe per la vita, facendola accoccolare contro il suo corpo. Si sta comodi così, stretti stretti.
Già, adesso anche lui pensa che la neve sia meravigliosa.
 

**********

 
«Signore, non so cosa ho fatto per meritarmi tutto questo. Abbiamo sofferto tutti e due, ma ora siamo qui, insieme. E io sono felice come non sono mai stata. Ti ringrazio e ti prego con tutto il cuore di proteggere Patrick dal mondo e da se stesso. Ti prego di farci trascorrere molti altri Natali come questo. Ma, se anche questo dovesse essere l’ultimo, ti ringrazio lo stesso. Sia fatta la tua volontà. Affido Patrick a te, Gesù Bambino che nasci oggi. Amen».
«Buonasera Dio, o qualunque sia il tuo nome. Io non ho mai creduto in te, lo sai. Ma Teresa sì. E se lei crede in te, io voglio credere che tu da qualche parte esista e la protegga. Ti chiedo solo questo. Proteggila quando io non sarò in grado di farlo».
Queste due mute preghiere, così diverse eppure così simili, prendono forma all’unisono nelle menti di Teresa e Patrick, mentre una coltre candida sta ricoprendo la città.
«A cosa stai pensando?», chiede lui, prendendola per mano senza sciogliere l'abbraccio.
«Sto pensando che Natale è stare con la persona che più ami al mondo», risponde lei, sorridendo.
«Allora siamo molto fortunati».
«Già, lo credo anch’io.
«Buon Natale, Teresa».
«Buon Natale, Patrick».
Sì. Natale è stare con la persona che più ami al mondo. Mano nella mano. A guardare la neve.
 
 
 
 
 
 
 
 
***********
 
 
Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Spero che mi scuserete per questa one-shot natalizia ritardataria.
Ho preferito di gran lunga la scena della tazza in versione telefilm (*_*) , ma l’avevo pensata così da molto tempo quindi l’ho inserita lo stesso.
A presto
 
 
 
 
  
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