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Autore: VeganWanderingWolf    05/02/2015    0 recensioni
è una raccolta di varie nonsense scritte anni fa (le ho a malapena rilette prima di buttarle on-line), che hanno un solo filo conduttore (almeno per me): l''io' di queste nonsense si rivolge ad un fratello, profondamente amato, ma perduto lungo il tempo e le battaglie, o per l'essersi dedicati al perdere o al ritrovare se stessi. un gabbiano che affonda nel petrolio. perché qui si scorre attraverso giornate nere e sporche, ci si fa strada a suon di sudore e sangue, si combatte coi denti e con le unghie. ma qualcuno a volte semplicemente, sembra aver l'anima di perdersi. non è un giudizio. poiché è tutto un dubbio se sia mai una vittoria - anche solo momentanea - continuare a lottare (per cosa? contro cosa? ah... lunghe storie, davvero troppo lunghe). forse la lotta più vivida qui, è quella per non perdere se stessi. ma non si può sempre lottare per non perdere altri, e non si può mai lottare al posto di qualcun'altro e per quel qualcun'altro. è questa è una lezione imparata, forse. non da impartire - giammai. al massimo da raccontare. o sulla quale "nonsenseggiare" in fondo...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Nonsenses'
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.strange dreams.

 

Ho fatto un sogno strano l’altra notte, fratello

Te lo canto nel vento della notte, che forse ho scambiato per giorno o viceversa

A volte qui le cose non sono chiare, a volte i miei occhi non sono certi di cosa vedono

A volte sono su un altro livello, il mondo attorno si dipana e si appanna, e così le persone

E la mia considerazione è diventata una sfera di cristallo opaco

la nebbia ci si arriccia dentro, mi da alla testa come un fumo tossico

in cui vago a pugni bianchi chiusi, occhi spalancati, mani che cercano

E il calore della pelle di qualcuno tante volte non lo ricordo, non so più che sia

al punto che diffido della sincerità del calore del mio stesso sangue

E mi sfilerei la pelle di dosso, da gran che non ha più peso, da gran che mi zavorra

Così mi rapiscono le intuizioni, come rapaci, non so dove mi porteranno

il loro nido è un luogo lontano in cui non puoi arrivare da sveglio e non sai cosa ti succederà

forse verrai fatto a brandelli senza falsa pietà, e i tuoi occhi rimarranno a fissare

spalancati come un urlo muto su una lucidità spietatamente piana e perfettamente leggibile

 

Ma ti parlavo di quel sogno, fratello, non lo ricordo chiaramente

Ma ti parlavo di giorni in cui splendeva un sole nero, e che forse sono di notte

e di notti in cui gli occhi sprofondano attraverso l’aria come in una trasparenza di notturna visione

Perciò non ti ingannerò, fratello, perché vedi, non sono completamente affidabile

Perciò non te la starò a raccontare, fratello, perché vedi, non so più se sto dormendo o sono troppo sveglio

In quel sogno il corvo aveva perso le sue penne, gliele avevo strappate a forza di cercarlo

non faceva che volare per seminarmi e la cosa mi aveva stancato

e non faceva che tornare quando gli pareva, per cercare rifugio, e la cosa mi aveva avvelenato

Gli strappai le penne, ma quando vidi la sua pelle così sottile e quel piccolo cuore che batteva

con spropositato coraggio, contrariamente a qualsiasi azzeccata predisposizione e valutazione

ebbi una specie di pietà, perché capii che aveva così disperatamente bisogno delle sue illusioni

Come tutti noi, fratello, lo so, come tutti noi, e non sono io che posso distruggere quelle altrui

Così aprii le mani, distesi le dita e disincofficcai le unghie dei miei sguardi a rete di lama

Ed esso se ne andò nudo com’era, a farsi ricrescere le penne dopo essersi lamentato

Perché non riuscivo più a perdonarlo abbastanza né a prendere ciò che voleva e dare ciò che gli pareva

 

E il corvo svolazza e scherza, schernisce e scherma, mi cerca con le sue lucide nuove penne nere

Ma ha un’ombra con la mia impronta sulla pelle e sotto lo sguardo e io non glielo incrocio mai

Non riesco più a giocare con lui come un tempo, quel tempo che ho bruciato fino all’osso

Mi sono scosso la cenere dal capo e ho soffiato via quella del suo fuoco rivolto ad un cielo di tempesta

Ammiro il suo volo attraverso i fulmini, ma ci siamo persi, e, oh, vorrei tanto sapere il modo

in cui questo potesse essere chiaro anche a lui senza ferirlo più, lasciandogli tutte le sue nuove lucide penne

E c’era il cervo che correva in una polvere dorata, ma ha sbattuto il muso fino a farlo sanguinare

Strisce di sangue impolverate sul suo muso troppo morbido per questo mondo che scalfisce a roccia dura

E io non trovo più le parole per dirgli che andrà tutto bene, anche se ci vogliamo bene, ma credo

Che un giorno capirà che non c’è niente di così veramente bello come possiamo immaginare

Noi e la nostra immaginazione distorta dalle nostre ambasciate di auto-inflitto sforzo per tenerci a galla

‘E guarda’, gli vorrei dire, ‘il corvo sfida i fulmini e gioca coi venti, ma vola basso e teme le nuvole scure’

Quelle che solcherei come freccia ogni volta che ho lo spirito di infilarmi in una nuova tempesta

E ad ognuno che ci abbia chiesto cosa è accaduto, cosa è andato storto e come ci siamo fatti male

Schernendo un sorriso dico che non è più niente ormai, e lui mente e distorce su qualcosa che non  ha importanza

E poi, sai, tutto andrà bene quando meno te lo aspetti, girerai un angolo e non sarai più morto

Girerai un angolo e ti ritroverai stecchito dallo schizzo di qualcuno impazzito nella gabbia delle lancette a ghigliottina

 

Ma tu non farci pensiero ora, e impara a colare diversamente l’oro fuso dall’acqua limpida

Perché i gioielli non potranno più essere scambiati con l’acqua un giorno della tua vita

Avrai scelto gli uni o gli altri, starai andando a fondo con gli uni o il tuo corpo correrà via con la corrente, dormendo in pace su qualcosa che hai seguito fino alla fine

E poi il ragazzo della foresta continua a sognare a occhi aperti, eppure vede tutto chiaramente

O non vede niente, nemmeno in se stesso, perché si perde negli echi tra gli alberi, e ogni voce ha ragione

Ma egli le ascolta credendo che dicano tutte una cosa diversa, sindrome del lupo della steppa

Non ha quattro zampe ma diecimila, e in qualche modo devono tutte essere del suo pelo

E della sua schizofrenia rinchiusa nelle stanze a labirinto, cercando il trucco per susseguirsi nella propria mente

Chissà se troverà la porta dell’uscita di sicurezza, alla quale lo aspetto ogni tanto con la sigaretta in bocca

E un sottile sorriso di traverso, che non dice proprio ‘te l’avevo detto, no?’, quanto piuttosto ‘hey, eccoti qui, in fondo lo sapevi fin dall’inizio, sai?’

Come tutti noi, come noi tutti, ognuno a suo modo, e alla fine rinunciamo al vello d’oro per reindossare la nostra pelle

 

Come quel lupo che seppellì il suo cuore nella terra calda della foresta, che glielo tenesse da conto

Sarebbe tornato a dormirci sopra quando sarebbe caduto per sempre, rotolato giù per qualche china di guerra e morte infine

Tuttavia non riusciva più a correre a perdifiato verso il nord senza cuore, non riusciva più, non era più

E tornò a capicollo a riprenderselo e a ringoiarlo, chiedendo scusa alla terra per quella sciocca richiesta

E lei, ridendo senza alcuna ironia, disse che era tornato appena in tempo, e che non ci sarebbe stata una seconda volta

Certi errori non si possono ripetere, e per quanto sanguini e si trascini, ognuno che non si porti dietro il suo spirito è fregato in partenza

Attraverso la pioggia di coloro che più non sono, si può sempre tornare a casa, a casa dove riposare finalmente, per sempre

Ma non si può tornare a cercare ciò che di sé si è abbandonato, ormai un mucchio putrefatto, di cui qualcun altro si è cibato

Allora conservami il cuore in un luogo sicuro, che sia dentro me stesso e in nessun’altro

E quando provai a raccontarglielo, il ragazzo della foresta sapeva già tutto e mi venne da ridere

Perché mai dovremmo dirci cose che sappiamo entrambi così bene, in fondo? Se non per trovarci e ritrovarci all’infinito

 

E sai, fratello, so che ti ho perso, e mi dispiace, perché correvamo così bene nel buio insieme

E tu sapevi farmi ombra intorno, in modo che fosse come non risplendesse più  alcun mattino

Come se fosse tutto già finito ed esattamente all’inizio di ogni cosa, quando ancora non esiste niente

Perciò non c’era da affannarsi da nessuna parte, si poteva stare lì a girarsi su se stessi,

E se vivevamo con tanto lusso di indifferente imperturbabilità

Mi chiedo come mai quei momenti ci si siano incisi tanto profondamente addosso

Come se niente potesse più avere significato a quel modo, come se fosse diventata una parentesi di esclusiva esperienza

E io avevo le mie lame sottili con cui saettavo in quell’oscurità misericordiosa e assassina

E avevo paura che la morte mi trovasse davvero per vendicarsi dell’usurpazione, e sai

Non ho mai provato il desiderio di uccidere per  indifferenza o per noia, ma solo per disperazione e odio e rabbia

Mentre tu non avresti sopportato la vista del sangue sulle tue o sulle mie mani, e le apersi per mostrartele pulite

‘Vai’, ti dissi, perché volassi via libero e integro e leggero, ad affondare nel tuo nero sangue liquido di speranze abortite

Tu che non hai illusioni e non sai raccogliere nemmeno un sassolino di opportunità

 

Oh fratello, ti amo come nessun’altro fratello, ma conosco bene la tua scelta, e come non potrà mai essere la mia

‘Vai’, ‘vado’, e tu affondasti senza nemmeno più dibatterti, e non so più dove sei da tanto tempo

Anche se ogni volta reincontrarci è così chiaro e limpido, perché sai che non possiamo fare a meno di volerci così bene

E tuttavia saremo per sempre bastardi, diversi come giorno e notte, già, quelli che più non distinguo così bene

Ma non credo sia grave, no, credo non lo sia, solo profondamente triste, inconsolabile e chiaro e libero come il senso delle cose reali

E tu, fiamma di buio intenso e chiarezza sibillina persa nei tuoi multiformi veleni per addormentarti un cuore troppo vivido e fragile

Sei per sempre cosa persa per me, in queste strade dei nostri amici che crescono e si dividono con le loro mal comprensioni

Noi almeno avemmo tutto chiaro, e tu volasti al centro della tua pozza, e io corsi lontano, promettendoti che ti avrei voluto bene per sempre

Ed è ancora così fratello, lo sai, che ti vorrò bene per sempre, e ti racconterei i miei sogni incompresi e inconcludenti

Quelli che gli altri credono siano solo sciocchezze, ma tu capiresti che ogni sciocchezza incide strane vie sul palmo delle nostre strade infide

E poi, dopotutto, non siamo che orfani perenni di noi stessi e degli altri, chiudendo i tracciati che percorriamo a volte con certa incongrua noncuranza

E tu sai, cosa voglio dire, quando il licaone pensava di poterti dichiarare perso dopo la prima messa alla prova

E io dovevo rifiutarmi di ascoltarlo, come sempre, e nessun’altro capiva, tra chi ti abbandonava alle tue scelte e chi voleva persuaderti ad altre

Che stavi già volando via al centro della tua spirale senza fondo, ma sai, fratello mio, tu sai, che non potevo spezzare un tozzo della mia linfa da donarti

E ognuno ha la sua, come ognuno degli alberi della foresta, come ognuno dei fili d’erba che nascono e muoiono ad ogni stagione

Ed ogni sottigliezza pare inconsistente, ma ha uno spessore acuto che si infiltra tra le pieghe del mondo

Scomparendo alla vista superficiale e andando a conficcarsi con lievi ramificazioni nel battito perpetuo che mi tambura nelle orecchie e contro le pareti delle vene

 

L’altra notte ho fatto un sogno strano , fratello, e lo canto nel vento perché ti sfiori la nuca come una carezza scherzosa e provocatoria

C’era una ragazza che cantava su un tram, andandosene, e la strada era buia, i lampioni erano saltati, un sussurro stupendo che sputava la meravigliosa parola blackout

Tutto era immobile e silenzioso, a parte il vento che squarciava il tempo spazzando la via spazzatura, e ogni nefandezza quotidiana volava in mulinelli fin troppo disordinati

E le persone erano morte perché rincorrevano i loro pensieri stanchi, chiuse in se stesse, insignificanti come comparse stracciate in un quadro a due dimensioni piatte

E io ne ho sorriso fratello, perché vedevo solo io quella ragazza che cantava sul tram, e solo io sentivo il suo canto

Oh, avresti dovuto sentire, perché cantava dal cuore della tristezza di ogni essere umano, come se risorgesse quel ritmo della pelle di schiena spezzata sotto il sole cocente e di quella delle caviglie e polsi sfregiate dalle catene

Oh, avresti dovuto sentire fratello, perché cantava di tutto ciò che si è perso per sempre e che si porterà comunque per sempre con sé, e brillerà finché si avrà vita di propria preziosa luce

E io ne ho sorriso fratello, come quando sorridiamo senza credere alla nostra stessa capacità di mostrare denti eppure non in ringhio per quanto ci sferzi in  faccia tutta la vita da cima a fondo

E io ne ho urlato fratello, dritto nella tempesta,e i mulinelli di venti impazziti hanno rapito il  tormento e l’hanno portato a disperdersi nel cielo nero di tempesta

Ho pensato che i corvi l’avrebbero afferrato, ma è sfuggito persino a loro e si è disperso più lontano

E ho pensato ai gabbiani che volano intorno al grande blu liquido e fanno picnic nelle spazzature con i loro occhi inespressivi e le loro limpide penne bianche bordate di nero e di gialle zampe

Per questo ho pensato a te, e al mio altro fratello di penne bianche che andava cercandosi il tesoro inconsistente risalendo il fiume al contrario

Non distinguo più il giorno dalla notte molte volte, fratello, e so che tu mi puoi capire meglio di quasi chiunque altro

A parte forse il nostro amico che si gioca le ore nel cercare di avere moneta corrente per cui andare a cercare la sua altra metà di cuore là dove la trova

A parte forse quel corvo che non riesce mai a posarsi su nulla ma corre a sorvolare tutto e giocherebbe per un nonnulla e calerebbe a fulmine ogni volta che ne valga la pena

Vorrei imparare il trucco di girare il tempo come il cielo sotto al mare, capovolgere la cronologia per rincontrarti ancora quando potevamo camminare sugli stessi passi

Ma il tempo deve essere più saggio di noi nel negarci ogni udienza

 

E sai, ho fatto molti strani sogni fratello mio, e in nessuno d’essi riesco mai a rincontrarti, ma so che tu puoi capirmi nel raccontarteli

Vivi in pace con te stesso fratello, dopotutto ne vale ogni pena, e se avessi una vita migliore da confezionare te la regalerei

Ma la vita dev’essere spietatamente saggia, fratello, perché non si lascia delineare col righello e si imbizzarrisce continuamente come fuoco nelle nostre vene

Non dormire mai senza sognare, fratello, perché ci sarà il tempo in cui potremo dormire in pace

E non smettere mai di cantare le tue parole di marcio e di strade malsane, giacché almeno possano alzarsi verso il cielo e spirare via

Giacché almeno possiamo ancora condividere la precisa sensazione di tutto il veleno che ci circola addosso e intorno, mordercelo fuori dal sangue e sputarlo via

Anche se non possiamo più condividere lo spirito di rivalsa o la speranza che avremo prima o poi, una per una, nostra sincera vendetta

  
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