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Autore: Nimel17    06/02/2015    9 recensioni
Merida Human!Mor'Du. C'era un altro concorrente, al torneo e la principessa non l'aveva previsto.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Merida si guardò allo specchio, preferendo concentrarsi sul suo riflesso piuttosto che sul tono orgoglioso della madre che parlava in fretta alle serve che si affaccendavano per il matrimonio.
Dopotutto, il suo sogno si stava avverando: il regno sarebbe stato finalmente unificato e sua figlia vi avrebbe regnato.
Peccato che in cambio avesse dovuto cedere la sua libertà.
Gli occhi azzurri minacciarono di riempirsi di lacrime di stizza, ma la fanciulla si rifiutò di mettersi a piangere come una bambina…. Eppure, aveva appena diciassette anni.
L’accordo matrimoniale era stato sancito due anni prima, ma il suo promesso sposo aveva ringhiato che avrebbe aspettato, perché non voleva una bambina per moglie.
Ed ora era lì, una pallida giovane donna che aveva perso la rotondità del viso per acquistare invece zigomi alti e con i capelli di una tonalità di rosso più scura rispetto a prima per il tempo passato al chiuso a diventare…  non una perfetta principessa – una regina.
Nonostante gli sforzi di sua madre, le lentiggini non erano andate via col succo di limone: meglio così, erano l’ultimo legame con la sua antica libertà, ad eccezione del suo adorato Angus.
Quante volte aveva sognato di fuggire via sul suo fido destriero, scappare da quel matrimonio incombente per vivere sola e libera! Non aveva mai voluto essere una principessa, non era giusto!
Ci aveva provato, durante i primi sei mesi dopo l’annuncio delle nozze, ma la prima volta era stata scoperta da Maud,  che tuttavia aveva acconsentito a non parlarne con la madre sotto minaccia di aizzarle contro i gemelli.
La seconda…. Se ci pensava le veniva voglia di prendere la spada e colpire una colonna del letto come faceva da piccola, dalla rabbia. Era riuscita a prendere Angus e ad arrivare galoppando più in fretta che poteva fino al cerchio di monoliti, ma lì aveva trovato il suo promesso sposo in sella al suo enorme stallone nero ad aspettarla, serio come sempre.
Si era lasciata ricondurre a casa, sconfitta, e lui aveva taciuto fino al portone del castello, per poi guardarla fissa negli occhi.
Solo i codardi fuggono davanti alle responsabilità e tu non lo sei, Merida di Dumbroch.
Avevano fatto passare il tentativo di fuga per una gita per conoscersi meglio e la cosa era finita lì.
Anzi, poteva dire che quello era stato non una fine, ma un secondo inizio. Il primo era stato la giostra con la sua mano in palio.
Il giorno del torneo c’era un tempo ideale: il sole era luminoso e non tirava un filo di vento che potesse deviare le frecce. La principessa aveva già pronto vicino al piccolo trono il suo arco e cercava di non dimenarsi in quello scomodo e ridicolo vestito che la soffocava: come avrebbe fatto a tirare con le cuciture così strette?
Alzò le spalle: nella peggiore delle ipotesi, l’avrebbe strappato.
Il primo arciere, il giovane McGuffin, aveva fatto un tiro piuttosto mediocre e lei si era lasciata sfuggire un impercettibile sospiro di sollievo: non provava nessuna attrazione per l’erede dai capelli biondi, il volto massiccio e gli occhi vacui… senza contare che non riusciva mai a capire quello che diceva.
Era poi seguito il primogenito del clan Macintosh, certamente il più bello dei tre, ma con manie da primadonna tali da farlo apparire a Merida come un bambino petulante e capriccioso. Aveva fatto un tiro quasi perfetto, ma non aveva fatto centro.
L’ultimo turno era quello del giovane Dingwall, un ragazzino dai denti da coniglio e l’aria spaesata che non aveva chiaramente mai tirato una freccia in vita sua.
Alla fine suo padre, re Fergus, si era spazientito e gli aveva urlato di sbrigarsi, spaventando il ragazzo al punto da lasciarsi sfuggire la freccia, che si era conficcata… al centro esatto del bersaglio.
Merida era già pronta a supplicare sua madre, inorridita al pensiero di dover sposare quello sciocco, quando una voce tonante, seconda solo a quella del re, si era imposta.
“La gara non è finita.”
Tutti, naturalmente, avevano riconosciuto subito il nuovo arrivato.
Tutti sapevano che una volta era stato un principe, che poi aveva tentato di usurpare il trono dei fratelli e il padre l’aveva cacciato, esiliandolo.
Era diventato un guerriero famoso in tutte le isole, il suo coraggio pari solo alla sua ferocia, ma nessuno ricordava più il suo vero nome.
Era conosciuto da tutti come Mor’Du e persino Merida non osava pronunciare quel nome a voce alta… la gente credeva fosse come evocare la morte.
“Mio padre è morto, così pure i miei fratelli. Io sono l’unico rimasto e l’ultimo desiderio del mio genitore è stato di riunificare i nostri regni, come lo erano un tempo.”
Merida lo fissò: era alto come suo padre, con le spalle ampie, muscoli che dovevano essere d’acciaio, il viso dai lineamenti aspri ricoperto da una barba non troppo folta, corvina come i suoi capelli che, pur essendo lunghi, si fermavano poco sotto il mento.
La prima cosa che si notava di lui erano le cicatrici: ne aveva una che gli attraversava l’occhio e una la guancia opposta, le braccia e le gambe ne avevano diverse.
La seconda erano gli occhi: naturalmente lei aveva già visto iridi nere, ma quelle di Mor’Du facevano sembrare tutte le altre sbiadite, grigiastre. Era quasi impossibile distinguere la pupilla e si aveva l’impressione che ci fosse del fuoco, nascosto in quell’oscurità.
Secondo Merida, in essi vi era celata una fame profonda, atavica, primordiale e ora erano fissi su di lei. Alzò il mento e sostenne quello sguardo bruciante, facendogli capire che la sua volontà non era facilmente piegabile.
Se possibile, Mor’Du apparve ancora più affamato.
Quando il padre gli fece cenno di continuare, la madre le strinse la mano e la principessa credette che le avrebbe visto in viso un’espressione d’orrore, d’empatia.
Invece sorrideva leggermente e, per chi la conosceva, quel sorriso su un’altra persona sarebbe stato raggiante.
Merida si era sentita morire: non aveva speranze di battere un guerriero esperto come Mor’Du e non aveva più il coraggio d’infrangere il sogno di sua madre.
Sarebbe stata sacrificata e lei doveva accettare il sacrificio, come la fanciulla che si era fatta immolare all’altare per permettere ad una guerra d’iniziare nei libri d’oltremare che le aveva fatto leggere il suo tutore.
La freccia di Mor’Du spezzò quella fortunata di Dingwall in due parti nette e si era conficcata con tanta forza da essere per tre quarti aldilà del bersaglio.
“Merida! Presta attenzione quando ti parlo!”
La fanciulla ritornò alla realtà, sentendo già l’abito delle nozze che le stringeva la gola. Era di velluto candido bordato d’oro, simile a quello indossato per ricevere i pretendenti e non si vedeva nemmeno un ricciolo rosso davanti agli occhi.
“Perdonami, madre, ero sovrappensiero. Stavi dicendo?”
La regina Elinor si era già voltata a dare ordini alle cameriere e Merida si accasciò più a fondo sulla sedia, desiderano sentire ancora un’ultima volta il vento sferzante sul viso.
Al diavolo, perché non poteva farlo? Angus stava probabilmente sonnecchiando nella stalla, ma aveva dei piedi e poteva usarli.
“Scusatemi, vado a prendere una boccata d’aria.”
Si alzò di scatto e uscì prima che la madre potesse negarle il permesso, scendendo di corsa le scale e passando per un corridoio poco utilizzato perché sboccava quasi direttamente sulla scogliera.
Lì avrebbe potuto sentire tutto il vento che voleva.
O almeno, quella era la sua intenzione: in pratica, la porta era bloccata da una figura alta e possente.
Stava già per girarsi e andarsene di corsa prima che lui si accorgesse di lei, ma Mor’Du si era già voltato e l’aveva inchiodata sul posto con il suo sguardo nero come la pece.
Si chiese se gli apparisse come un fantasma, vestita interamente di bianco, pallida e con la gonna fluttuante per gli spifferi d’aria fredda.
Io sono Merida, principessa di Dumbroch, e non mi lascerò intimidire da nessuno, tantomeno dall’uomo che diventerà mio marito.
Si costrinse a stirare le labbra in un sorriso e ringraziò la penombra che la ricopriva, perché sapeva che era una frana a fingere.
“Buongiorno. Stavo andando a fare una passeggiata lungo la scogliera.”
“Vi accompagno.”
Non aveva mai notato prima quanto fosse profonda la sua voce. Era bella, in fondo, si disse.
Sicuramente il suo promesso doveva avere altre qualità… non poteva negare che in battaglia fosse molto coraggioso, persino troppo, ma lei temeva che fosse solo la sua sete di sangue a spingerlo.
“State per andare in convento?”
Merida sobbalzò e lo guardò, stupita e un po’ spaventata.
“No! Assolutamente no! Perché lo chiedete?”
“Il vestito…”
La fanciulla avrebbe voluto sprofondare. Non le sarebbe dovuta importare la sua opinione su quello stupido vestito che non piaceva neppure a lei, però si sentiva le guance e le orecchie infuocate per la rabbia e la vergogna. Si fermò di colpo.
“Si tratta del mio vestito da sposa, e fareste meglio ad apprezzarlo, visto che è stato fatto per voi!”
Un secondo dopo si sarebbe presa a schiaffi. Cosa le era saltato in mente di parlare in modo così irrispettoso? Se sua madre l’avesse saputo, l’avrebbe uccisa di sicuro!
Ma lui se l’era meritato.
Mor’Du si girò verso di lei a quelle parole, la bocca incurvata in un mezzo sorriso che gli raggrinziva la cicatrice sulla guancia. Era sicura che lo facesse apposta a sorridere da quel lato.
In meno di un istante le si era avvicinato e la torreggiava prepotentemente, ma Merida era abituata ad essere sovrastata dal padre e socchiuse gli occhi.
“Non ho niente contro il vestito. Solo…”
Con una mano grossa quanto il suo viso le afferrò la stoffa che le ricopriva il capo e lo strappò via con un gesto deciso, lasciandola a bocca aperta a toccarsi i capelli sciolti in riccioli rigogliosi che ora ricadevano sulla schiena.
“Come facevate a respirare?”
Merida si toccò la gola, ora libera dalla costrizione del vestito. Era talmente sorpresa da rispondere sinceramente.
“A fatica, ma a mia madre piaccio con questi abiti.”
Voleva allontanarsi. Probabilmente doveva allontanarsi da quegli occhi che seguivano i movimenti delle ciocche mosse dal vento come un lupo la sua preda, ma non riusciva a muoversi, come quella volta da bambina che si era trovata faccia a faccia con un orso enorme.
S’irrigidì quando le dita ruvide di lui le sfiorarono la guancia e la chioma, non osando muovere un muscolo.
“Sono felice che non sia riuscita a togliervi le lentiggini.”
“Ce l’ha messa tutta.”
Mor’Du strinse forte la stoffa candida rimastagli in mano e abbassò lo sguardo: lei poteva vedere che aveva stretto i denti dalla linea più dura della mandibola… si chiese se si sarebbe tagliata se avesse osato accarezzargli quei lineamenti così severi.
“Sono un guerriero, principessa. Mi scuso per le mie maniere, ma ormai sono troppo insite nella mia natura per cambiarle. Mi dispiace per aver rovinato il vestito.”
“Non ci si metterà molto a sistemarlo…”
“Ma non mi dispiace il risultato. Voglio che portiate i capelli sciolti il giorno del matrimonio. Se la regina non è d’accordo, ne discuterò io con lei.”
Merida sorrise apertamente. Non le sarebbe dispiaciuto assistere a quella scena.
“Sarà la battaglia più dura che abbiate mai affrontato, milord.”
“Qual è stata la vostra, principessa?”
Lei si chiese se la stesse prendendo in giro, ma non c’era traccia d’ironia nella sua voce. La stava fissando come per sfidarla a nascondersi, ad evadere la domanda.
“Quella che non ho combattuto.”
“Per sottrarvi al matrimonio, immagino.”
“Se quel giorno non foste arrivato, sarei scesa in campo e avrei vinto. Sono molto brava nel tiro con l’arco e sono una primogenita. Sarei rimasta libera.”
Lo vide tremare con la coda dell’occhio e si chiese se l’avrebbe picchiata per la sua audacia. Nessuno le aveva mai permesso di parlare così francamente…
Solo quando udì un suono soffocato, capì che Mor’Du stava trattenendo una risata.
Stava ridendo di lei.
“Vi state divertendo, milord? Forse non credete che le donne possano combattere?”
“Per gli Dei, ragazza, siete più permalosa di vostro padre. Stavo semplicemente pensando che mi sarei fatto da parte solo per vedere la reazione della regina.”
“Oh, si sarebbe infuriata, ma nemmeno lei può cambiare le leggi.”
Per un attimo, Merida sentì dentro di sé l’euforia di quando aveva messo a punto quel piano. Si era sentita invincibile.
“Sono stato un bastone tra le ruote del vostro carro.”
Lei sbuffò.
“In fondo, mia madre mi avrebbe comunque costretta prima o poi a sposarmi. Meglio voi che uno di quei tre idioti.”
Maledizione, perché parlava sempre troppo? Perché aveva una tale boccaccia? Non aveva certo bisogno di voltarsi per vedere il ghigno sarcastico del suo futuro sposo.
“Attenta, Merida, o potrei credere che mi abbiate appena fatto un complimento.”
“Ho solo detto che non siete un idiota, non montatevi la testa.”
Si sentì afferrare per il braccio e rabbrividì a quella stretta autoritaria. Tuttavia, non aveva paura. Non più.
“Avete una bella parlantina, principessa, ma anche la mia pazienza ha un limite.”
Lei si girò verso di lui, i grandi occhi azzurri spalancati in una finta espressione di sorpresa.
“Altrimenti mi mangerete per cena?”
Lui le si avvicinò di più e abbassò il viso al suo livello. Merida si sentiva come quando si arrampicava sulle rocce scoscese, o correva al galoppo senza sella e si rese conto che la sensazione le piaceva.
“Vi divorerei in un boccone.”
  
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