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Autore: Kapitan Kefiah    07/02/2015    0 recensioni
Via Lattea, Anno 2174.
sono passati vent'anni dagli eventi di Pandora, e quasi duecento dai fatti del Distretto 9.
La Galassia Conosciuta è un cosmo complesso, in cui diverse specie tentano di preservarsi e di convivere più o meno pacificamente nonostante gli interessi contrastanti, è un' era di Crisi, di pericoli e di punti cruciali, ma anche di opportunità.
Pericoli e Opportunità si intrecciano su questa luna nel Sistena Alpha Centauri, che si trova in un punto di svolta come mai prima nella sua storia.
Una storia che si dipanerà attraverso gli occhi e le azioni di coloro che vivono in questa era.
Benvenuti nell'era WEIJI.
Genere: Generale, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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 (POV: Leila)
Leila si svegliò.
Stropicciò gli occhi, si sistemò i vestiti e scosse la testa.
Guardò l’orologio:
18:17.
Erano lì da più di dieci ore.
Si sorprese di non avere caldo, e sentì il condizionatore ronzare dietro di lei.
La clinica era una stanza larga sei metri e lunga quindici, l’alto soffitto bianco era illuminato da gelide luci neon, a intensità diminuita a causa della luce del sole che ancora entrava dalle grandi finestre della stanza. Erano presenti dieci letti, sei erano occupati.
Per Leon avevano dovuto mettere insieme tre letti.
Era lì disteso privo di sensi, la base della coda, il braccio destro inferiore e il piede destro erano fasciati, e aveva delle doppie flebo piantate nelle vene dei polsi di ogni braccio, le flebo si collegavano a un biodispositivo di filtraggio, nella parte inferiore vi erano i meccanismi e nella parte superiore un globo trasparente pieno di soluzione fisiologica, contenente un organo a forma di ferro di cavallo simile ad un rene, in cui il sangue veniva filtrato, al centro stava un organo pulsante, un piccolo cuore, che pompava a senso unico il suo sangue attraverso la sacca. Capillari di plastica iniettavano sostanze predigerite che nutrivano l’ organo.
Se non altro, ne avevano trovato uno compatibile con la biologia na’vi.
A fianco del letto c’era un marchingegno bianco e cilindrico che proiettava una HUD olografica, sul display erano indicate pulsazioni e attività neurale.
L’attività neurale era una linea blu che ondeggiava leggermente, bassa.
Le pulsazioni oscillavano tra 65 e 70, basse per un na’vi, Leon aveva perso molto sangue e per di più all’ospedale non erano riusciti a rimediare abbastanza sangue da riportarlo alla pressione ottimale, ma se non altro il ritmo era regolare.
Sentì il sudore freddo sul proprio corpo.
Quella cosa che lo aveva morso, aveva trovato informazioni sull’unico dei suoi testi di xeno biologia.
Un onnivoro predatore dal morso velenoso, causava paralisi e stordimento negli h’yaech e nei khral, invece causava nausea e spasmi violenti negli umani, ma non aveva trovato nulla riguardo agli effetti sui na’vi.
Quella roba poteva non fargli nulla come poteva ucciderlo.
“Non ci provare nemmeno a crepare qui!” gli disse “hai capito? Sei vissuto dieci anni a Johannesburg e ne sei uscito vivo, non puoi tirare le cuoia per un paio di morsi…”
“Non è andato in arresto cardiopolmonare” disse in afrikaans una voce dietro di lei “e non si è staccato la lingua per le convulsioni, quello è già un buon segno”.
Una voce ferma e baritonale, con un timbro metallico.
Le sembrava quasi familiare.
Si voltò.
Dietro di lei uno h’yaech alto quasi due metri e di corporatura robusta, con la pelle kaki scuro chiazzato di un seppia quasi nero, che sfumava nel crema sul ventre, una criniera nera acconciata in trecce gli ornava il collo, il suo tozzo volto da rettile era squadrato e segnato di cicatrici, di cui una che gli attraversava il lato sinistro della mandibola, gli spaccava le labbra scagliose e arrivava pericolosamente vicino a uno dei suoi quattro occhi verde acqua, attenti e infossati; dai lati della mandibola pendevano quattro barbigli bianchi simili a quelli delle triglie, le sopracciglia scagliose e la fronte erano inspessite dall’età.
Aveva addosso una vecchia tunica senza maniche a motivo CAMO  urbano piena di ricuciture, un soprabito con cappuccio a mezze maniche di tessuto beige quasi altrettanto rovinato, e pantaloni larghi rinforzati tenuti su da una cintura di cuoio e chiusi sui talloni da legacci, a uno dei polsi portava un computer da polso di fattura venusiana, un dispositivo nero di forma trapezoidale con una tastiera retrattile a mezzaluna, e all’altro un vecchio bracciale di bronzo decorato da arabeschi, le mani a quattro dita coperte da guanti fingerless neri, le braccia dello h’yaech erano segnate da altre cicatrici, tra cui una da taglio che percorreva l’avambraccio sinistro e tre da arma da fuoco sul mesobraccio destro.
“…Cosa? come lo sa?” chiese lei.
“Anni fa” disse lo h’yaech mentre prendeva una sedia “mi sono ritrovato tre settimane bloccato negli acquitrini dei Canyon Solforici di Assha’rai” si sedette “quei canyon sono ricchi di vita ma i corpi d’acqua sono infestati dalle Yim’arriksh, le specie dei canyon sono più piccole ma più velenose, ho visto tre tuoi simili morire tra gli spasmi, e se non fosse stato per una nave-soccorso un morso avrebbe ucciso anche me”.
“Capisco” Leila si sistemò per guardarlo meglio “ma lei chi è? e perché è qui?”
“Mi scusi” disse lui alzandosi, vide la sua pelle mutare colore, diventando più chiara “mi chiamo Khshar’Hal’Raed” le porse la mano destra “e vi devo la vita”.
Leila spalancò gli occhi.
“Ah! Lei è quel tipo della salamandra!” si alzò rapida “io sono Leila, Leila Pfeiffer” strinsero le mani, la sua mano era scagliosa come uno squalo sul dorso ma morbida sul palmo, i polpastrelli sembravano ventose “piacere di conoscerla”.
“Piacere mio, Leila’Pfeiffer!” rispose lui.
Lei si risedette, lo h’yaech afferrò la propria borsa con un tentacolo, la prese con le mani e fece per aprirla.
“Perdoni la domanda signor...”
Le si inceppò la lingua.
Schiesse, come cacchio funzionava l’onomastica h’yaech?Khshar…Hal…Raed…
“…Hal’Raed?” sparò alla fine.
“Prego, chiamami pure Khshar” rispose lo h’yaech mentre tirava fuori un sacchetto di plastica trasparente contenente quelli che sembravano dei gyoza.
“Khshar? Va bene…dicevo, come ci è finito in mezzo a quell’acquitrino?”
“Ero sulla mia Skuth e stavo macellando un paio di Esshaim quando…”
Leila alzò un sopracciglio.
“…Was?”
“Scusi” Khshar prese un paio di ‘gyoza’ dal sacchetto “ero sulla mia…diciamo ‘barca-casa’ e stavo macellando un paio di pesci quando uno Yimir, voi umani li chiamate ‘Marauder’ se non sbaglio, ha fiutato il sangue e distrutto la mia barca, sono riuscito a nuotare via con l’essenziale, ma non avevo contato le yim’arriksh…”
“Sarebbero quelle cose che si sono quasi mangiate…”
“Esatto, nella lingua h’yaech più diffusa si chiamano yim’arriksh, significa ‘Morte Saltante’…” Khshar avvicinò due dei ‘gyoza’ alla bocca, le quattro fauci esterne ai lati della bocca si aprirono rivelano le vere fauci irte di denti larghi e seghettati adatti alla masticazione, in contrasto con quelli lunghi e ricurvi delle fauci esterne.
Vide lo h’yaech mettersi in bocca i due ‘gyoza’, le sue fauci esterne si richiusero mentre quelle interne si muovevano per masticare.
Sentì lo stomaco gorgogliare.
“Ehm…potrei avere un paio di quei…cosi?”
Khshar guardò il sachetto e poi lei, poi deglutì.
“Meglio di no” disse “la carne di Qorrash è leggera ma le altre spezie ti torcerebbero le budella”
Kak.
“Capisco” replicò lei atona.
“…Senp…”
Con la coda dell’occhio notò un movimento al proprio fianco.
Guardò Leon, si muoveva e sussultava.
“Leon!” Leila balzò in piedi e gli si avvicinò “puoi sentirmi?”
Gli toccò la fronte, sentì le sue vene pulsare con forza e il sudore sulla sua pelle.
Si voltò verso Khshar “per favore cerca un medico!”
“Subito!” Khshar balzò in piedi.
Leon spalancò gli occhi e si alzò di soprassalto.
Leila cadde a terra, intontita dallo stupore e dallo spavento.
“PEHRR NGA TING MYKYUN NE OE SEMNA!?”
 
(POV: Leon)
Nero.
“…Ti prego basta!”
Bruciore alla gola.
“Taci!”
“Non continuare così! Ti ridurrai come…tuo fratello!”
Lacrime calde sulle guance.
“Cosa? COSA!? Osa ripeterlo e…”
Un brivido lungo la spina dorsale, le sue braccia scattarono.
Si aspettava il dolore dello schiaffo, invece nulla.
“…Sì, hai ragione…persino tu hai ragione…ma ormai che importa, ormai non c’è più motivo…”
“Ci sono io!”
“Che?”
“Ci sono ancora io! Farò tutto quello che posso!”
In lui una nuova forza, una forza disperata.
“Penserò io a portare avanti tutto! Sono in età da cacciatore, andrò dai tawute e farò qualcosa per cui mi paghino…vedrai, troverò qualcuno che ci aiuti, sistemeremo le cose…”
Lui lo fissava, con i soliti occhi secchi e stanchi.
“…Stupido bambino, se solo potessi crederti…”
Un tonfo al cuore, e una morsa allo stomaco.
E poi rabbia.
“PERCHÉ HAI SMESSO DI ASCOLTARMI ZIO!?”
 
La luce lo abbagliò, istintivamente si riparò con un braccio.
Vide il letto su cui era disteso, il muro bianco davanti a lui, le finestre esagonali.
Poi al suo fianco vide Leila, e uno h’yaech dalla pelle color seppia.
Sentì il sangue smettere di arrivargli alla testa, trattenne a stento il vomito e ricadde giù.
Il suo corpo era ancora intorpidito, il dolore gli pulsava dal braccio destro inferiore e dalla base della coda, la testa gli pulsava e sentiva un formicolio ai polsi.
Stropicciò gli occhi, si guardò i polsi e vide le flebo.
Avrebbe potuto alzarsi a sedere ma era troppo stanco per farlo.
“Finalmente!”
Sentì la mano di Leila stringerli la sinistra inferiore, la guardò.
Era in piedi di fianco a lui, aveva il volto contratto ma sorrideva.
“Come ti senti Leon?”
“Così su due piedi?”  replicò lui con un filo di voce “come una merda pestata…piuttosto siamo in un ospedale, giusto?” si guardò ancora intorno “da quanto sono qui?”
“Quasi 11 ore” rispose lo h’yaech.
“E quando posso andarmene?”
“Secondo la cartella clinica non sei in pericolo di vita, il veleno ha avuto poco effetto sulla tua biologia, tuttavia hai perso molto sangue e ti hanno imbottito di antibiotici” continuò lo h’yaech mentre leggeva la cartella clinica olografica al lato del letto “quindi non appena il biofiltro avrà finito di depurarti il sangue penso che potrai andartene”.
“Eh no, non posso farmi stendere da un’infezione!” finalmente trovò la forza di alzarsi a sedere “Ma lei, scusi la franchezza, chi cazzo è?”
“Lui è Khshar” intervenne Leila indicandolo lo h’yaech “è quel tipo che hai cavato dall’acqua!”
“Ti devo la vita” disse ‘Khshar’.
“Mi sembra più il contrario” Leon si sistemò sul letto “se lei non fosse intervenuto, quelle cose mi avrebbero fatto a pezzi!”
“E se tu non mi avessi tirato fuori dall’acqua, avrebbero fatto a pezzi me!” gli rispose Khshar alzandosi dalla sedia e avvicinandosi “Non avrei mai pensato di incontrare un na’vi, tantomeno uno come te”
Lo h’yaech gli porse la mano “Khshar’Hal’Raed, piacere di conoscerti!”
Leon allungò la mano e strinse “Leon van Niekerk, e a quanto sembra ho la fortuna di avere salvato l’unico h’yaech che parla Afrikaans”
“L’ho imparato da una banda di mercenari di cui ho fatto parte”
“Interessante” replicò lui.
“Pensa a riprenderti” intervenne Leila dandogli una pacca sulla spalla “che mancano sei ore al nostro volo per Pandora!”
Vide Khshar bloccarsi.
Leon lo squadrò, stava muto e la sua pelle si era scurita, i suoi quattro occhi erano spalancati e fissavano Leila.
“…Pandora?” disse lo h’yaech lentamente.
“Sì” disse Leila “siamo impiegati dell’ICA e dobbiamo prendere il prossimo volo dallo Spazioporto”
“Capisco”.
   
 
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