[LIBRO PRIMO]
Prologo
Nessuno mi aveva mai detto che esiste una realtà diversa da quella che
conosciamo. Nessuno, neanche nei suoi sogni, avrebbe mai potuto sperare
in qualcosa di così inverosimile.
Eppure io ero riuscita a viverlo sulla mia pelle.
C'erano creature fantastiche attorno a me. Le avevo sognate, cercate...ma mai
-e dico mai- avrei pensato che sarebbero comparse davanti a me come
un'apparizione....
e che mi avrebbero cambiato la vita.
1.
Introduzione alla mia vita
Era una giornata qualunque, per
me.
Dopo essere stata svegliata dal
chiassoso trillare della sveglia elettrica sul comodino, mi ero alzata
meccanicamente, e avevo cercato nel mio armadio qualcosa da indossare. Come al
solito, niente mi sembrava adatto.
Non ero una ragazza qualunque, in
fatto di abbigliamento, perciò se il resto del mondo formato da adolescenti
indossava jeans a vita bassa, io preferivo le gonne lunghe.
Ma okay, forse così mi spiego
male…
Chiariamo: ero gotica.
Nel senso più stretto della
parola.
Perciò, non sarebbe stato il non
seguire la moda il problema.
Solo che davvero non sapevo cosa
indossare. Adocchiai nel marasma d’indumenti una camicetta nera con una rosa
cucita al petto, e dei jeans a sigaretta neri.
Naturalmente il nero era il colore
predominante.
Li lanciai sul letto e mi
concentrai sulle scarpe. Gli stivali erano esclusi a priori, ero tremendamente
goffa, perciò puntai su un semplice paio di scarpe da ginnastica.
Mentre ancora cercavo qua e là
qualche cosa da indossare –accessori, perlopiù- sentii la voce di mia madre
provenire dalla cucina.
-Samantha! Il tuo cappuccino si
fredderà!-
ecco, mamma era così. Non si
preoccupava tanto del fatto che se non mi fossi vestita –e truccata- in fretta
avrei fatto tardi a scuola, ma della colazione che ignoravo totalmente.
Sbuffai scocciata, come ogni
mattina, e risposi –Mamma, preferisco berlo dopo!- e detto questo trascinai gli
abiti prescelti in bagno e mi lavai veloce, per poi indossare il tutto e
guardare l’immagine riflessa con fare critico.
Non mi ero mai truccata prima di
arrivare al quarto ginnasio –ovvero il primo anno nella scuola superiore-, ma
da quando mi ero imparata, non riuscivo più a farne a meno.
Così, con mano ferma, passai
l’eye-liner sul contorno superiore degli occhi, poi aggiungi l’ombretto e la
matita –rigorosamente neri- e mi affannai per cercare il rossetto, sotterrato
dalla miriade di roba che tenevo in una borsa inutilizzata e scucita dell’Onix
(a otto anni non potevo sapere che sarei diventata una tipa gotica).
Quando lo trovai, lo passai
velocemente sulle labbra, che si accesero subito di un rosso sangue.
Adoravo l’effetto.
Sogghignai soddisfatta dell’opera
e non mi preoccupai di pettinare i capelli lunghi fino alle spalle.
A fine mese sarei andata da
Emanuele, il parrucchiere davvero simpatico che me li aveva tagliati una sola
volta precedentemente entrando nelle mie grazie.
Aveva talento il tipo!
Feci per uscire dal bagno vestita,
truccata e profumata, ma mi bloccai sulla soia.
Avevo scordato un particolare
importante: le lenti a contatto color ambra.
Sì, un colore del tutto strano. Ma
che mi faceva sentire tremendamente vicina ad una persona…anzi, un personaggio.
Edward Cullen.
Lo amavo. Il che sembrava ancora
più strano del normale.
Ma partiamo dall’inizio…era il
personaggio di una saga di romanzi per teen agers, “Twilight”
Un essere abbastanza macabro e
affascinante al col tempo. In parole povere? Un vampiro.
E sì, avete capito bene, lo amavo.
La cosa buffa è che non avevo
riversato i miei sentimenti sull’attore che lo interpretava sul grande schermo,
alias Robert Pattison, ma su di lui…nel senso profondo.
Anche quella mattina, prima ancora
di aprire gli occhi, il suo nome era passato per la mia testa, flebile.
Questo accadeva da tempo, e non
avevo voglia di lasciar perdere. Sentivo che faceva parte di me.
I miei sentimenti per lui erano
nati molto tempo prima, quella sera in cui il libro finì tra le mie mani, non
avrei mai pensato che la realtà si sarebbe unita alla fantasia…eppure, era
accaduto.
Nei quasi tre anni in cui avevo
seguito la serie con passione, mi ero sentita tremendamente legata ad Edward e
tutta la sua famiglia, fino a quando non erano iniziati i sogni.
Fino a quando lui e gli altri, non
mi avevano fatto visita nelle notti di vuoto e malinconia.
Un sogno ricorrente era quello in
cui il giovane ed io ci trovavamo in una camera completamente bianca e vuota,
con solo un divano nero ed una sedia, sul quale ero seduta.
Ogni volta il suo volto cambiava
espressione. Da seria diventava preoccupata, e poi all’improvviso si alzava dal
divano e faceva per venirmi vicino, come a volermi avvertire di qualcosa…ma a
quel punto mi svegliavo, e notavo la luce del sole filtrare dalle persiane
abbassate.
Era mattina, di nuovo…ed io non
ricevevo risposte, ma domande.
Quel giorno entrai in cucina più
malinconica del solito. Era lunedì. Perciò un’intera settimana di tortura si prostrava
dinnanzi a me.
“Se avessi potuto definire la
scuola in un qualunque modo, sarebbe stato un inferno.” Le parole dette da
Edward sul primo capitolo di Midnight Sun mi fecero sorridere.
Aveva tremendamente ragione.
Mia madre stava seduta su uno
degli sgabelli del tavolo, intenta a bersi il secondo caffè della mattinata.
-Bevi il tuo cappuccino e vai…è
ora-.
Sbuffai e accontentai la sua
richiesta. Sinceramente, non avevo così voglia di fare colazione.
Corsi in camera a recuperare un
cappotto soffice per ripararmi dal freddo e poi misi lo zaino in spalla.
Diedi un bacio a mamma e cercai di
non svegliare papà, che dormiva russando sonoramente nella sua camera. Faceva
il turno di pomeriggio all’Ama, non mi andava di disturbarlo ora che poteva
dormire un po’ di più.
Il suo solito turno di mattina
sarebbe stato alle cinque, altrimenti.
Poi cercai il mio cane, un
mostriciattolo bianco, nero e spelacchiato di nome Semola. Lo trovai
accoccolato sul suo lettino, vicino al termosifone.
Freddoloso…non resisterebbe un
solo giorno a Forks! Proprio come mamma!
Ero troppo imbranata…e sapevo
perfettamente a chi potevo somigliare.
Pensai poco alla protagonista del romanzo.
Isabella Swan. Per me, una
nemica…un ostacolo.
La odiavo. Provavo per lei una
gelosia profonda.
Aveva ciò che io sognavo e basta.
Non è una cosa tanto gradevole.
Aprii il portone con troppa foga e
quello sbattè contro la parete. Borbottai impropri e camminai veloce oltre il
cortile, verso la fermata dell’autobus, abbastanza distante da casa mia.
Maria comparì da dietro l’edicola
proprio quando l’autobus si fermò e aprì le porte. Sospirai sollevata e la
salutai con la mano.
Lei ricambiò e corse per
raggiungermi.
-Ciao!- ci scambiammo due baci
sulle guance e salimmo sul 781.
Durante il viaggio –che consisteva
in tre fermate soltanto prima di scendere dal mezzo e fare una strada isolata a
piedi- parlammo di un sacco di cose.
Ma ero io la vera chiacchierona.
Naturalmente, i miei discorsi
erano sempre i soliti.
Le stavo raccontando della mia
seconda uscita pomeridiana con le amiche per andare al cinema a rivedere
“Twilight- the movie”.
Lei non sembrava stancarsi delle
mie cronache noiose e ripetitive, perciò l’entusiasmo in me non scemava mai.
-…e poi quando Emmett ha salutato
Bella con il coltello sono scoppiata a ridere…- e continuai così durante tutti
i dieci minuti di camminata.
Arrivate al giardino della scuola,
ci separammo. Non eravamo nella stessa classe, perciò mi affrettai a
raggiungere Giulia.
Lei era una delle poche che in
classe aveva letto quel libro, ma aveva un solo problema: le piaceva Robert.
A me non era mai sembrato molto
adatto per il ruolo di Edward, ma alla fine ci avevo fatto l’abitudine.
Lei invece era davvero rapita dal
tizio.
Roba che io lo avevo persino visto
di persona! Con un’amica –carissima- di chat che avevo incontrato la sera del
festival del cinema di Roma, Laura…una jacobiana patita.
Ecco, ora, vorrei parlare di
questa giovincella.
Su Laura non ho molte cose da
dire, la si può descrivere anche con una sola parola: unica.
Vi chiederete perché volessi così
bene ad una ragazza incontrata solo una volta di persona, oltretutto –e
tremendamente- fissata per Jacob Black…la risposta potrebbe sembrarvi
addirittura contorta, ma posso solo dire che era il mio perfetto opposto, e la
apprezzavo proprio per questo.
La prima volta che avevo notato le
nostre foto sui profili di msn, le avevo detto esattamente questo: “Se ci
incontrassero insieme penserebbero subito che tu vieni da la Push ed io da casa
Cullen!”.
Non potrò mai rimangiarmi questa
affermazione.
Se ci vedeste, direste che ho
ragione al cento per cento.
Ma comunque, lei era un
concentrato di energia pura; se vi capitasse d’incontrarla, avrebbe certamente
un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, e incorniciato da una matassa
di capelli scuri, scompigliati e dotati di vita propria. In poche parole,
indomabili.
Il suo colorito messo al confronto
col mio dava l’effetto “latte e cioccolato”, solo che ero io il gessetto
vivente.
Per questo, quando ci incontrammo
quel giorno a via Nazionale, il contrasto fu evidenziato ancora di più
dall’abbigliamento.
Io potevo sembrare Mortisia, lei
Mafalda…ma credo sia inutile dirlo.
La adoravo, nel senso più stretto
del termine, e se mai ci fosse stata l’occasione, avrei dovuto conoscere un suo
caro amico, Tommaso.
Ora, la domanda che vi starete
ponendo è: e questo tizio adesso che c’entra?
Bene, vi spiego anche questo.
Tom era il sosia perfetto del
licantropo –acerrimo rivale di Edward, sottoscrivo- ed ero curiosa fino alla
morte di poterlo vedere con i miei occhi, di persona, non solo in foto.
Il problema erano la scuola e le
uscite.
Sia io che la mia amica avevamo
troppi impegni.
Perciò la cosa restava sospesa lì,
nel vuoto più assoluto.
Durante le cinque ore di lezione,
seguii le spiegazioni dei professori molto poco.
Ero impegnata a disegnare Edward
su una pagina del mio diario.
Naturalmente era uno scarabocchio,
e mi consolavo ripetendomi che la perfezione non può essere ricreata su carta.
Forse col tempo però sarei
riuscita a disegnare qualcosa di più simile ad un essere umano che ad un manga.
Ogni domenica era stata riempita
da immagini, tutte create da me.
Le mie compagne di classe spesso
mi chiedevano perché avessi scelto il liceo classico invece dell’artistico, al
che io facevo spallucce e dicevo di non saperlo davvero.
Non era la scuola ad importarmi
sul serio di quei tempi.
Nella mia testa le immagini del
suo volto erano vivide. Era l’unica cosa a cui pensassi nell’intero arco di una
giornata.
Edward…
Ed il suo nome faceva sì che un
sorriso solcasse le mie labbra.
Alessandra, seduta al mio fianco,
ogni tanto notava l’espressione beata e alzando gli occhi al cielo borbottava
–Ecco…di nuovo a pensare a quel coso buffo stai…-
Ma la ignoravo.
Lui non era buffo, per niente!
Accadde un giorno, poco tempo
prima, che Valeria –un'altra amica- leggesse il mio diario segreto, che avevo
deciso di portarmi a scuola per scrivere una cronaca dettagliata delle ore di
lezione, e di ciò che gli altri combinavano.
Chiariamo, quasi tutte le pagine
erano piene del suo nome fino a scoppiare, e se mancava il colore era
solo in quelle volte in cui avevo raccontato i sogni che facevo.
Le parole che uscirono dalla bocca
della ragazza mi causarono una fitta acuta di dolore, ma come poter dire la
verità a lei?
-Ma Sammy…è solo il personaggio di
un libro! Non esiste!- il suo tono era quasi tenero, materno. Non era sua
intenzione ferirmi, eppure ci era riuscita.
Ma non avevo detto che aveva
ragione.
No, questo non potevo farlo.
Questa storia è tremendamente autobiografica all'inizio, spero
quindi che riuscirete a comprendere che mi sto mettendo a nudo. I miei sentimenti, le
mie amicizie...è tutto vero. I
personaggi non sono frutto della fantasia, esistono, e li ringrazio proprio per
questo.
Il mondo surreale si unirà presto alla storia, ma dovrete pazientare massimo un altro capitolo o due.
Questo
racconto è dedicato ad una persona fantastica(ndt:
non Edward XD): Laura.
[La mia stupenda amica di chat, nonchè confidente e
complice durante l'inseguimento a Rob Pattison XD].
[Laura, ti
adoro].
Ringrazio in anticipo chi leggerà e se vorrà
lascierà commenti.
Grazie infinite a tutte.