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Autore: Willow Whisper    01/12/2008    8 recensioni
Postato capitolo 14-parte seconda (POV SAM-ABRAHAM) del libro III
[LIBRO PRIMO- terminato]
(POV Sammy+ UN SOLO CAPITOLO POV Laura)
[LIBRO SECONDO- terminato]
(POV Sammy+ POV Laura + UN SOLO CAPITOLO POV Seth)
[LIBRO TERZO- iniziato]
*Second life- when you are a Cold*
(POV Sammy, Laura, Seth, Gabriel, Nessie & sorprese)
"Stare in mezzo a loro non mi piaceva.
Era orribile essere circondata dai nemici, dal pericolo.
Eppure ero lì, pronta a sacrificarmi per difendere chi amavo.
Mi ero chiesta tante volte se la mia seconda vita
sarebbe stata migliore della prima,
ma la risposta non c’era mai stata,
o almeno, fino a quel momento...
No. Non era affatto come speravo."
Genere: Dark, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie "Dream"'
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capitolo 1

[LIBRO PRIMO]
Prologo

Nessuno mi aveva mai detto che esiste una realtà diversa da quella che conosciamo. Nessuno, neanche nei suoi sogni, avrebbe mai potuto sperare in qualcosa di così inverosimile.
Eppure io ero riuscita a viverlo sulla mia pelle.
C'erano creature fantastiche attorno a me. Le avevo sognate, cercate...ma mai -e dico mai- avrei pensato che sarebbero comparse davanti a me come un'apparizione....
e che mi avrebbero cambiato la vita.

 
1. Introduzione alla mia vita

Era una giornata qualunque, per me.
Dopo essere stata svegliata dal chiassoso trillare della sveglia elettrica sul comodino, mi ero alzata meccanicamente, e avevo cercato nel mio armadio qualcosa da indossare. Come al solito, niente mi sembrava adatto.
Non ero una ragazza qualunque, in fatto di abbigliamento, perciò se il resto del mondo formato da adolescenti indossava jeans a vita bassa, io preferivo le gonne lunghe.
Ma okay, forse così mi spiego male…
Chiariamo: ero gotica.
Nel senso più stretto della parola.
Perciò, non sarebbe stato il non seguire la moda il problema.
Solo che davvero non sapevo cosa indossare. Adocchiai nel marasma d’indumenti una camicetta nera con una rosa cucita al petto, e dei jeans a sigaretta neri.
Naturalmente il nero era il colore predominante.
Li lanciai sul letto e mi concentrai sulle scarpe. Gli stivali erano esclusi a priori, ero tremendamente goffa, perciò puntai su un semplice paio di scarpe da ginnastica.
Mentre ancora cercavo qua e là qualche cosa da indossare –accessori, perlopiù- sentii la voce di mia madre provenire dalla cucina.
-Samantha! Il tuo cappuccino si fredderà!-
ecco, mamma era così. Non si preoccupava tanto del fatto che se non mi fossi vestita –e truccata- in fretta avrei fatto tardi a scuola, ma della colazione che ignoravo totalmente.
Sbuffai scocciata, come ogni mattina, e risposi –Mamma, preferisco berlo dopo!- e detto questo trascinai gli abiti prescelti in bagno e mi lavai veloce, per poi indossare il tutto e guardare l’immagine riflessa con fare critico.
Non mi ero mai truccata prima di arrivare al quarto ginnasio –ovvero il primo anno nella scuola superiore-, ma da quando mi ero imparata, non riuscivo più a farne a meno.
Così, con mano ferma, passai l’eye-liner sul contorno superiore degli occhi, poi aggiungi l’ombretto e la matita –rigorosamente neri- e mi affannai per cercare il rossetto, sotterrato dalla miriade di roba che tenevo in una borsa inutilizzata e scucita dell’Onix (a otto anni non potevo sapere che sarei diventata una tipa gotica).
Quando lo trovai, lo passai velocemente sulle labbra, che si accesero subito di un rosso sangue.
Adoravo l’effetto.
Sogghignai soddisfatta dell’opera e non mi preoccupai di pettinare i capelli lunghi fino alle spalle.
A fine mese sarei andata da Emanuele, il parrucchiere davvero simpatico che me li aveva tagliati una sola volta precedentemente entrando nelle mie grazie.
Aveva talento il tipo!
Feci per uscire dal bagno vestita, truccata e profumata, ma mi bloccai sulla soia.
Avevo scordato un particolare importante: le lenti a contatto color ambra.
Sì, un colore del tutto strano. Ma che mi faceva sentire tremendamente vicina ad una persona…anzi, un personaggio.
Edward Cullen.
Lo amavo. Il che sembrava ancora più strano del normale.
Ma partiamo dall’inizio…era il personaggio di una saga di romanzi per teen agers, “Twilight”
Un essere abbastanza macabro e affascinante al col tempo. In parole povere? Un vampiro.
E sì, avete capito bene, lo amavo.
La cosa buffa è che non avevo riversato i miei sentimenti sull’attore che lo interpretava sul grande schermo, alias Robert Pattison, ma su di lui…nel senso profondo.
Anche quella mattina, prima ancora di aprire gli occhi, il suo nome era passato per la mia testa, flebile.
Questo accadeva da tempo, e non avevo voglia di lasciar perdere. Sentivo che faceva parte di me.
I miei sentimenti per lui erano nati molto tempo prima, quella sera in cui il libro finì tra le mie mani, non avrei mai pensato che la realtà si sarebbe unita alla fantasia…eppure, era accaduto.
Nei quasi tre anni in cui avevo seguito la serie con passione, mi ero sentita tremendamente legata ad Edward e tutta la sua famiglia, fino a quando non erano iniziati i sogni.
Fino a quando lui e gli altri, non mi avevano fatto visita nelle notti di vuoto e malinconia.
Un sogno ricorrente era quello in cui il giovane ed io ci trovavamo in una camera completamente bianca e vuota, con solo un divano nero ed una sedia, sul quale ero seduta.
Ogni volta il suo volto cambiava espressione. Da seria diventava preoccupata, e poi all’improvviso si alzava dal divano e faceva per venirmi vicino, come a volermi avvertire di qualcosa…ma a quel punto mi svegliavo, e notavo la luce del sole filtrare dalle persiane abbassate.
Era mattina, di nuovo…ed io non ricevevo risposte, ma domande.
Quel giorno entrai in cucina più malinconica del solito. Era lunedì. Perciò un’intera settimana di tortura si prostrava dinnanzi a me.
“Se avessi potuto definire la scuola in un qualunque modo, sarebbe stato un inferno.” Le parole dette da Edward sul primo capitolo di Midnight Sun mi fecero sorridere.
Aveva tremendamente ragione.
Mia madre stava seduta su uno degli sgabelli del tavolo, intenta a bersi il secondo caffè della mattinata.
-Bevi il tuo cappuccino e vai…è ora-.
Sbuffai e accontentai la sua richiesta. Sinceramente, non avevo così voglia di fare colazione.
Corsi in camera a recuperare un cappotto soffice per ripararmi dal freddo e poi misi lo zaino in spalla.
Diedi un bacio a mamma e cercai di non svegliare papà, che dormiva russando sonoramente nella sua camera. Faceva il turno di pomeriggio all’Ama, non mi andava di disturbarlo ora che poteva dormire un po’ di più.
Il suo solito turno di mattina sarebbe stato alle cinque, altrimenti.
Poi cercai il mio cane, un mostriciattolo bianco, nero e spelacchiato di nome Semola. Lo trovai accoccolato sul suo lettino, vicino al termosifone.


Freddoloso…non resisterebbe un solo giorno a Forks! Proprio come mamma!

Lo osservai un minuto e poi uscii di casa, correndo giù dalle scale e quasi ruzzolando al penultimo gradino.
Ero troppo imbranata…e sapevo perfettamente a chi potevo somigliare.
Pensai poco alla protagonista del romanzo.
Isabella Swan. Per me, una nemica…un ostacolo.
La odiavo. Provavo per lei una gelosia profonda.
Aveva ciò che io sognavo e basta. Non è una cosa tanto gradevole.
Aprii il portone con troppa foga e quello sbattè contro la parete. Borbottai impropri e camminai veloce oltre il cortile, verso la fermata dell’autobus, abbastanza distante da casa mia.

Maria comparì da dietro l’edicola proprio quando l’autobus si fermò e aprì le porte. Sospirai sollevata e la salutai con la mano.
Lei ricambiò e corse per raggiungermi.
-Ciao!- ci scambiammo due baci sulle guance e salimmo sul 781.
Durante il viaggio –che consisteva in tre fermate soltanto prima di scendere dal mezzo e fare una strada isolata a piedi- parlammo di un sacco di cose.
Ma ero io la vera chiacchierona.
Naturalmente, i miei discorsi erano sempre i soliti.
Le stavo raccontando della mia seconda uscita pomeridiana con le amiche per andare al cinema a rivedere “Twilight- the movie”.
Lei non sembrava stancarsi delle mie cronache noiose e ripetitive, perciò l’entusiasmo in me non scemava mai.
-…e poi quando Emmett ha salutato Bella con il coltello sono scoppiata a ridere…- e continuai così durante tutti i dieci minuti di camminata.
Arrivate al giardino della scuola, ci separammo. Non eravamo nella stessa classe, perciò mi affrettai a raggiungere Giulia.
Lei era una delle poche che in classe aveva letto quel libro, ma aveva un solo problema: le piaceva Robert.
A me non era mai sembrato molto adatto per il ruolo di Edward, ma alla fine ci avevo fatto l’abitudine.
Lei invece era davvero rapita dal tizio.
Roba che io lo avevo persino visto di persona! Con un’amica –carissima- di chat che avevo incontrato la sera del festival del cinema di Roma, Laura…una jacobiana patita.
Ecco, ora, vorrei parlare di questa giovincella.
Su Laura non ho molte cose da dire, la si può descrivere anche con una sola parola: unica.
Vi chiederete perché volessi così bene ad una ragazza incontrata solo una volta di persona, oltretutto –e tremendamente- fissata per Jacob Black…la risposta potrebbe sembrarvi addirittura contorta, ma posso solo dire che era il mio perfetto opposto, e la apprezzavo proprio per questo.
La prima volta che avevo notato le nostre foto sui profili di msn, le avevo detto esattamente questo: “Se ci incontrassero insieme penserebbero subito che tu vieni da la Push ed io da casa Cullen!”.
Non potrò mai rimangiarmi questa affermazione.
Se ci vedeste, direste che ho ragione al cento per cento.
Ma comunque, lei era un concentrato di energia pura; se vi capitasse d’incontrarla, avrebbe certamente un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, e incorniciato da una matassa di capelli scuri, scompigliati e dotati di vita propria. In poche parole, indomabili.
Il suo colorito messo al confronto col mio dava l’effetto “latte e cioccolato”, solo che ero io il gessetto vivente.
Per questo, quando ci incontrammo quel giorno a via Nazionale, il contrasto fu evidenziato ancora di più dall’abbigliamento.
Io potevo sembrare Mortisia, lei Mafalda…ma credo sia inutile dirlo.
La adoravo, nel senso più stretto del termine, e se mai ci fosse stata l’occasione, avrei dovuto conoscere un suo caro amico, Tommaso.
Ora, la domanda che vi starete ponendo è: e questo tizio adesso che c’entra?
Bene, vi spiego anche questo.
Tom era il sosia perfetto del licantropo –acerrimo rivale di Edward, sottoscrivo- ed ero curiosa fino alla morte di poterlo vedere con i miei occhi, di persona, non solo in foto.
Il problema erano la scuola e le uscite.
Sia io che la mia amica avevamo troppi impegni.
Perciò la cosa restava sospesa lì, nel vuoto più assoluto.

Durante le cinque ore di lezione, seguii le spiegazioni dei professori molto poco.
Ero impegnata a disegnare Edward su una pagina del mio diario.
Naturalmente era uno scarabocchio, e mi consolavo ripetendomi che la perfezione non può essere ricreata su carta.
Forse col tempo però sarei riuscita a disegnare qualcosa di più simile ad un essere umano che ad un manga.
Ogni domenica era stata riempita da immagini, tutte create da me.
Le mie compagne di classe spesso mi chiedevano perché avessi scelto il liceo classico invece dell’artistico, al che io facevo spallucce e dicevo di non saperlo davvero.
Non era la scuola ad importarmi sul serio di quei tempi.
Nella mia testa le immagini del suo volto erano vivide. Era l’unica cosa a cui pensassi nell’intero arco di una giornata.

Edward…

Ed il suo nome faceva sì che un sorriso solcasse le mie labbra.
Alessandra, seduta al mio fianco, ogni tanto notava l’espressione beata e alzando gli occhi al cielo borbottava –Ecco…di nuovo a pensare a quel coso buffo stai…-
Ma la ignoravo.
Lui non era buffo, per niente!
Accadde un giorno, poco tempo prima, che Valeria –un'altra amica- leggesse il mio diario segreto, che avevo deciso di portarmi a scuola per scrivere una cronaca dettagliata delle ore di lezione, e di ciò che gli altri combinavano.
Chiariamo, quasi tutte le pagine erano piene del suo nome fino a scoppiare, e se mancava il colore era solo in quelle volte in cui avevo raccontato i sogni che facevo.
Le parole che uscirono dalla bocca della ragazza mi causarono una fitta acuta di dolore, ma come poter dire la verità a lei?
-Ma Sammy…è solo il personaggio di un libro! Non esiste!- il suo tono era quasi tenero, materno. Non era sua intenzione ferirmi, eppure ci era riuscita.

…Non esiste…

ma questo lo ripetei nella mente, quando le risposi, dissi –Sì…lo so-.
Ma non avevo detto che aveva ragione.
No, questo non potevo farlo.

Questa storia è tremendamente autobiografica all'inizio, spero quindi che riuscirete a comprendere che mi sto mettendo a nudo. I miei sentimenti, le mie amicizie...è tutto vero. I personaggi non sono frutto della fantasia, esistono, e li ringrazio proprio per questo.
Il mondo surreale si unirà presto alla storia, ma dovrete pazientare massimo un altro capitolo o due.
Questo racconto è dedicato ad una persona fantastica(ndt: non Edward XD): Laura.
[La mia stupenda amica di chat, nonchè confidente e complice durante l'inseguimento a Rob Pattison XD].
[Laura, ti adoro].

Ringrazio in anticipo chi leggerà e se vorrà lascierà commenti.
Grazie infinite a tutte.

   
 
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