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Autore: SakiJune    08/02/2015    0 recensioni
Sto, Cintura di Casivanian. Vastra e Jenny stanno progettando di avere un figlio e il loro socio Alonso s'innamora di un certo Jack Harkness.
Terra, Sistema Solare. Gordon Stewart si è appena fidanzato con Billie, la sua amica d'infanzia, e progetta di lasciare il suo lavoro negli Stati Uniti.
Gallifrey, Costellazione di Kasterborous. Lord Jelpax, Coordinatore della Matrice, è diviso tra la sua fedeltà al Dottore e i continui ricatti del famigerato Vansell e della sua Agenzia Interventista.
E c'è un'unica finestra da cui può vedere il futuro... una finestra aperta su Trafalgar Square.
Seguito di "Stars of Kasterborous"
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - Altro, Jenny, Nuovo personaggio, Osgood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Alla Base 5 c’era sempre qualche Groske gironzolone, anche di notte, perciò Malcolm Taylor non saltò su dalla sedia quando udì i rumori. Ma ricordandosi che ormai lavorava alla Torre da due anni, aggrottò la fronte e si risolse a scoprire chi o che cosa avesse deciso di tenergli compagnia.

Il corridoio sembrava deserto, ma la porta del laboratorio accanto al suo era aperta. Non aveva senso, chi si sarebbe mai riuscito a intrufolare bypassando i controlli di sicurezza? Un terrorista? Aveva acceso la luce e nel silenzio aveva percepito un respiro affannoso, di cui aveva cercato di individuare l'esatta provenienza: un suono distinto e inconfondibile gli aveva poi tolto ogni dubbio, strappandogli un mezzo sorriso e un sospiro di sollievo.

- Beccata. Quell’affare è piuttosto chiassoso, a meno che tu non volessi farti scoprire di proposito - ridacchiò lui, accennando all’inalatore.

Osgood rimase dov’era, sentendosi incredibilmente stupida, ma almeno ora riusciva a respirare meglio e il batticuore si era calmato. Era sempre così strano. Quasi come se...

- Chiedo scusa, dottor Taylor - riuscì a balbettare, alla fine. Si mordeva il labbro inferiore come se si aspettasse di venire fucilata. O di soccombere sotto il lancio di parecchi gavettoni gelidi.

- La domanda è una sola: come hai fatto a passare sotto il naso delle guardie?

- Dormivano.

Lui non sembrò sorpreso. - Oh. Fammi capire, saresti andata in giro indisturbata per tutta la notte ficcando il naso in giro?

- No, no, non intendevo… mi sarei portata avanti con il lavoro. Mi rilassa.

Non sapeva perché le credeva. Forse perché quella sera lui stesso era rimasto di sua iniziativa a finire ciò che stava facendo, mentre tutti i suoi colleghi erano andati a casa. Forse perché, pur di far avverare i suoi sogni, si era bruciato gli anni dell’adolescenza, rimanendo così un eterno ragazzino. Certamente un genio nel suo campo, e anagraficamente un uomo maturo, ma senza aver mai provato né desiderato ciò che gli uomini provano e desiderano.

- Sì, ecco, non c’è nessuno che possa capirti più di me, ma hai degli orari. E non li puoi decidere da sola, non al tuo livello almeno.

- No, certo, mi scusi.

Malcolm sospirò di nuovo. Cominciava a sentire un certo vuoto allo stomaco. Poteva essersi accidentalmente dimenticato di cenare, concentrato com’era sulle prove virtuali di posizionamento dei rilevatori. - Hai fame? I chioschi qui fuori sono chiusi, ormai, ma conosco un pub…

Lei deglutì e scosse la testa, incredula per quella domanda. - Non ho l’autorizzazione ad uscire dalla base.

- Che cosa? - Malcolm accennò a una risatina, che si spense presto quando si rese conto che la ragazza non stava affatto scherzando.

- Tecnicamente non sono una dipendente, signore. Sono un… qualcos’altro. Un individuo in attesa di identificazione.

Lui la fissò. Valutò tutte le variabili e sentì arrivare un pizzico di rabbia a offuscare quel ragionamento; per il momento la ignorò e si concesse di esprimere un cauto ottimismo. - Ascolta, non è per immischiarmi in un settore che non mi compete, ma trovo un po’ strano che ti venga permesso di lavorare qui se esiste il pericolo che tu sia una pericolosissima spia o una bomba umana, no?

- Non lo so. Non ci ho mai pensato, dottor Taylor…

- Io ci sto pensando eccome, e Kate mi sentirà, oh, sì.

- Non voglio farla inquietare… lei è sempre molto premurosa con me, e non voglio… - Aveva già notato in precedenza il suo strano modo di parlare. A volte sembrava aver imparato l’inglese da un romanzo di Jane Austen, altre volte da un corso accelerato in quattro CD.

- Se non volevi far inquietare nessuno, perché sei scappata dalla tua camera? Sempre che sia una camera e non una gabbia con tanto di mangiatoia…

- Non rida di me. Non lo sopporto! La prego!

Intuendo le lacrime che stavano per arrivare, Malcolm si pentì di avere scherzato a quel modo. Si avvicinò e cercò di trovare le parole giuste: - Scusami, davvero. È solo che mi ferisce, non essere stato avvisato della tua situazione. Mi deve delle spiegazioni, tutto qui.

Per tutto il tempo in cui lui rimase a parlare al telefono, Osgood lo guardò gesticolare oltre la porta socchiusa. Le sembrò profondamente diverso da come l’aveva considerato fino a quel momento, con quell’aria arruffata, sempre concentrato nei suoi calcoli e poco propenso a venire interrotto. Ora lo vedeva acquisire una sorta di… autorevolezza? E stava parlando con la dottoressa Stewart, non con la donna delle pulizie. Il timore che, chiedendo spiegazioni su di lei, si stesse andando a gettare nel baratro del licenziamento svanì e si scoprì a sorridere, un movimento che non le era usuale. Non da quando aveva memoria.

 

- Tutto sistemato. Andiamo? Il locale americano è chiuso, ma al Liberty Bounds fanno un ottimo fish and chips.

- Che cos’è il fish and chips?

Malcolm rimase a fissarla per qualche secondo e poi, di nuovo, si rese conto che non si trovava di fronte ad uno scherzo. - Oh. Forse hai vissuto su un altro pianeta, prima di capitare qui. Bene, ti assicuro che è molto più buono di qualsiasi robaccia che ci propinano qui alla mensa. Oh, no, usciamo da quest’altra parte…

Lei esitò. - Ma ha detto che le ha dato il permesso...

- Ho detto che ho sistemato la cosa, non ho parlato di permessi ufficiali. Forza, il pub chiude a mezzanotte. - Lo seguì per un corridoio, poi un altro, finché non arrivarono ad una porta che lui aprì con il suo badge ed ecco Londra, con le sue luci e la sua gente. Osgood non ricordava di aver mai visto niente di così bello… o spaventoso.

 

- Non ricordo niente, in realtà. - Trovava l’impanatura deliziosa, ma non era solo per questo che era così concentrata sul piatto. Temeva un po’ lo sguardo di lui, sorpreso dalle sue rivelazioni. Dalla vetrina del locale poteva intravedere il profilo della fortezza che sinora l’aveva separata dal resto del mondo, e al di là di essa un ponte illuminato. Dove portava? - Niente di niente. Solo che, a quanto pare, so leggere e scrivere e non sono digiuna in materia scientifica.

- Decisamente, sei piuttosto brillante. - Era un eufemismo, in effetti. Dal suo arrivo aveva dimostrato conoscenze e intuizioni fuori dal comune. In principio se n'era persino preso a male, convinto com'era di essere il genio supremo del Regno Unito... ma poi l'orgoglio aveva lasciato il posto ad una calorosa ammirazione.

Troppo timida persino per ringraziarlo di quel complimento, lei continuò: - A volte non sono sicura se voglio davvero sapere chi sono. Insomma… - Una patatina era mezzo immersa nella salsa sul lato del piatto. Scoprì che non le piaceva granché, ma la mangiò lo stesso; forse si era ormai abituata a mandare giù anche ciò che non le piaceva. - Posso conviverci, imparo in fretta. Devo solo capire come smettere di pensarci, perché è allora che inizio ad aver paura…

- Hai ancora paura, adesso? - le chiese Malcolm.

Osgood fu sorpresa a sua volta da quella domanda. Certo che ne aveva, perché doveva essere costretta a ripensarci? Viveva rinchiusa nella base di un’organizzazione militare governativa, nel centro di una città enorme e sconosciuta, senza il minimo indizio sul suo passato, soffriva di un’affezione bronchiale cronica e aveva le diottrie di una Legnotalpa… una… qualunque cosa fosse.

- Adesso, sinceramente - ripeté lui. - Ti senti un po’ meglio o è ancora quella paura terribile?

Lei alzò gli occhi e si guardò intorno. Quasi tutto, in quella stanza, sembrava rassicurarla. C’erano molti sconosciuti ai tavoli, ma badavano più che altro a mangiare o a conversare tra loro o a guardare dagli schermi un qualche genere di incontro sportivo. Le pareti, come il mobilio, erano di legno lucido; c’era profumo di cibo e moquette fantasia e il dottor Taylor era così gentile e all’improvviso le venne voglia di piangere e ridere insieme. - Sì, ho paura che la dottoressa Stewart faccia irruzione con una squadra e ci trascini via di qui.

- No, un momento, la sottovaluti. Onore ai suoi meriti: è abbastanza educata da fare irruzione con tre squadre, spaventando a morte ogni singolo individuo qui dentro, e poi aspettare che finiamo di mangiare e solo allora… - Era una risata autentica, quella che vide sbocciare sul suo viso e tintinnare per un tempo che gli parve infinito o forse troppo breve. Ne rimase stralunato. - Grazie. Grazie, davvero.

“Ora sono io ad aver paura” pensò Malcolm Taylor, ma sentiva di non voler più tornare indietro. Sempre che fosse ancora possibile.





- Sappiamo della Finestra, Lord Jelpax. Sai di non potermi nascondere niente, vecchio mio.

Il Coordinatore non si voltò, continuando a monitorare la sequenza di immagini ed estraendone le informazioni essenziali. Solo quando ebbe terminato, e senza fretta, decise di dargli attenzione.

- Gradirei che quest’ultimo appellativo venisse evitato. Abbiamo la stessa età e, se non sbaglio, lo stesso numero di rigenerazioni alle spalle.

Vansell sogghignò. - Su questo non confermo né smentisco; non tocca a me rispondere alle domande.

- Sapete di cosa si tratta, tutti voi... e non vi è venuto in mente un nome più fantasioso de “La Finestra”?

- Tutti noi. Che paroloni. È una chiacchierata tra vecchi amici…

- Non. Siamo. Amici! - sillabò Jelpax, gli occhi che lampeggiavano di stizza. - Non lo siamo da molto, molto tempo, e lo sai. Perciò smettiamola, d’accordo? Che cosa vuoi esattamente?

- Sapere se sei a conoscenza del Progetto Finale.

- Potrei far finta di non averne mai sentito parlare, ma non servirebbe. Sì, so di cosa si tratta. E so anche che cosa credi di sapere sulla mia opinione a riguardo.

- Cosa credo di sapere? - lo sfidò Vansell.

- Che io intenda oppormi, che stia preparando un piano per distruggerlo, che strillerò e batterò i piedi come uno scampolo capriccioso. Ebbene, non sono affatto contrario. Sono convinto che il limite di rigenerazioni esista per un buon motivo. Il Dottore ha avuto più di ciò che gli spettava, per un motivo altrettanto valido, la rinascita di questo pianeta, della nostra civiltà… ma no, non c’è ragione che se ne procuri ancora. Proprio come sarebbe sbagliato per me, o per te. - Si sentì più sicuro man mano che si accorgeva di quanto le sue parole spiazzassero il suo interlocutore. - Sì, il Comitato ha la sua ragione di esistere e ha la mia piena collaborazione.

- Qual è il trucco, Jelpax? - Ovviamente non aveva creduto ad una sola parola.

- Qual è il tuo, Vansell? Stiamo parlando di un distaccamento che opera in trasparenza, secondo le leggi vigenti. E affermo che non trovo nulla di negativo nei suoi fini. A meno che…

Vansell sfoderò un sorrisetto trionfante: - C’è un ma, quindi. Me lo aspettavo.

- Semplicemente, io collaborerò con suddetto comitato, se sarò chiamato a farlo, e non con la tua torbida Agenzia. Arrivederci, Vansell.

- Arrivederci, Lord Coordinatore, molto presto. - Oh, quant’era ingenuo. Gli faceva quasi tenerezza, a tracciare confini dove non ne esistevano da tempo, dove forse non erano mai esistiti... in nome di che cosa? Onore? Amicizia? Scosse la testa, compatendolo e poi ritrovandosi disgustato da quell’attaccamento a principi inutili e dannosi.

 

Jelpax lasciò che i passi di Vansell si dileguassero nel silenzio, poi trasse un lungo sospiro.

Premette un pulsante e parlò nel microfono: - Entra, se la via è libera.

Damon apparve nel vano della porta, il volto pallido e un’espressione contrariata, ma deferente.

- Ebbene? - lo apostrofò, scosso dal colloquio appena terminato, e desiderava più che mai mantenere il controllo su ciò che poteva ancora controllare.

- Signore… mi perdoni, Io… io non sono nessuno, lo comprendo, soltanto mi chiedo perché. Perché giocare con la vita del Dottore in questo modo?

Il Coordinatore controllò i sistemi di sicurezza della stanza, prima di rispondergli a denti stretti: - Dovrei richiamare quell’essere viscido e consegnarti a lui. Sarebbe d’aiuto alla mia strategia. - Studiò la sua reazione, che non tardò ad arrivare.

- Dunque ha una strategia, signore. Non crede davvero che quel comitato abbia ragione…

L’espressione di Jelpax mutò e si distese un poco. - Mio caro Damon, potrei allungare una mano e passarti attraverso. Sei così trasparente da sconvolgermi, e bada, ben poco riesce a farlo ormai. Ho sigillato e cancellato esistenze, ho ricostruito percorsi intricati quanto il tempo stesso, ho visto deviare il corso degli eventi fin quasi a far esplodere la realtà, tutte le realtà, senza battere ciglio. Ma tu, tu sei incredibile. Non temi proprio nulla? Né per la tua vita, né per la tua patria? T’interessa solo il bene del Dottore? - Dopo che ti ha sfondato lo stomaco a pugni, fra l’altro, avrebbe voluto aggiungere, ma preferì non infierire.

- Non il suo, signore.

- Ah, capisco. - Annuì, ricordando la sofferenza estrema della donna che il Dottore e Damon avevano amato. Così umana. Così fragile, eppure… persistente, tanto che riusciva, da un’epoca imprecisata, a guidare i pensieri e le azioni di un Signore del Tempo. Tale era il potere dei sentimenti. - Sì, capisco, e forse potrei rispondere ai tuoi dubbi. Ma dopo questa volta, non ti sarà più permesso di dubitare. Sei con me?

- La rivedrò? - Era come un muro di materiale respingente. Lei l’aveva lasciato, di nuovo illuso e usato, arrivando a rubargli la TARDIS. Eppure tutto ciò che chiedeva era di rivederla.

- Questo non posso assicurartelo. Non ho idea di come salvare la situazione, di come far coincidere la loro volontà con la mia. Ho bisogno innanzitutto di conquistare la loro fiducia, oppure avrò perso in partenza…

- Sono con lei comunque, signore. Mi mostri questa Finestra. - I suoi occhi erano invasi da una febbre indomabile. Non esattamente ciò di cui aveva bisogno, ma di freddi calcolatori era già circondato a sufficienza.

 

- Eccoci. Terra, ventunesimo secolo.

L’ologramma si svelò ai loro occhi come un semplice scorcio cittadino. Illuminata da un sole alieno, dalla luce chiara ma filtrata attraverso uno spesso strato di nuvole, la piazza era abbellita da una colonna, sormontata dalla statua di un uomo, e da due grandi fontane. Veicoli piuttosto rudimentali ne percorrevano i lati, diretti verso viali e strade che si aprivano intorno ad essa. Una scalinata conduceva ad un palazzo che certo non rivaleggiava, a livello architettonico, con le costruzioni della Cittadella, ma possedeva comunque un certo fascino. La scena si chiudeva bruscamente contro uno dei suoi ingressi secondari e si riapriva ad un livello inferiore della costruzione. Damon trasecolò quando si accorse dei quadri: erano stati creati con la tecnica dei Signori del Tempo, non vi erano dubbi. E man mano che la scena si spostava lungo i corridoi e le stanze di quella che sembrava una galleria d’arte, notò altri manufatti poco compatibili con l’epoca e il luogo. Solo in un secondo momento si accorse della decorazione alle pareti. - Sembra l’interno di una…

- TARDIS vecchio modello, precisamente. - A Jelpax sembrò di parlare ad un bambino sovraeccitato. Si domandò se avesse fatto la scelta giusta, confidandosi con lui. Ma non era più possibile rimediare, non seguendo la sua morale.

Damon non fece in tempo a leggere la targhetta sulla porta socchiusa, ché già l’interno di quella stanza, uno studio dall’arredamento essenziale ma confortevole, si era svelato ai loro occhi. Un uomo dall’aspetto anziano era seduto in poltrona. Aveva capelli candidi, lineamenti forti e poteva dedurre che fosse piuttosto alto. Sembrava catturato in un sonno leggero, perché aveva sì gli occhi chiusi e la testa leggermente reclinata ma reggeva tra le mani un libro cartaceo, tenendone il segno con due dita.

Lo fissò per un poco e poi distolse lo sguardo, in soggezione. - È lui, non è vero?

- Già. L’ultima incarnazione del Dottore. Così sembra. Così sento. - Jelpax sorrise brevemente, poi la sua espressione tornò seria, quasi truce, e fece svanire l’ologramma. - Vogliono assicurarsi che rimanga tale. Il problema è che la Finestra non va oltre. E sappiamo tutti che invece esiste un momento in cui tra quelle mura è stato deciso il destino di Gallifrey. - Damon non sembrò afferrare il nesso. - Andiamo. Tre incarnazioni del Dottore che insieme fermano la Guerra del Tempo? La tentata invasione degli Zygon su Sol 3? Ormai è storia.

Ciò che aveva visto acquisì un nuovo significato, tutto d’un colpo. - Ricordo, eccome. Fu lei a parlarmene. I quadri sono… oh, è possibile?

- Più che possibile, è certo. Non si azzarderebbero a pasticciare con quell’epoca, non prima di quegli eventi. Possono mandare qualcuno dei loro agenti e attendere, ma temono che ciò possa condurre ad una catena distruttiva, o l’avrebbero già fatto, non trovi?

Damon sembrò impercettibilmente sollevato da tali conclusioni. - Non sono ancora sicuro di voler sapere come andrà. Ma ne ho bisogno.

- Ebbene, ci sei dentro anche tu, adesso. Credimi, potrei ubbidire loro in tutto e per tutto, invece di seguire una mia strada. Non so dove mi porterà. Spero in alto. Ma non al prezzo che hanno stabilito loro, no. Se posso evitarlo… se posso… se possiamo. - Jelpax sospirò e si schiarì la gola, poi lo squadrò con fare sarcastico e mise su il suo tono più autoritario: - Andiamo, puoi tornare al tuo lavoro, adesso. Cosa credevi, di poterti prendere la giornata libera?

 

   
 
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