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Autore: Black Swan    01/12/2008    2 recensioni
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha tutto.
E’ l’unico punto di contatto fra due delle più potenti famiglie del paese, ha ricchezza, bellezza, intelligenza, una posizione di prestigio.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha le idee chiare.
Sa cosa deve o non deve fare, ha imparato molto presto come far girare il mondo nel verso che gli fa più comodo, ha preso la decisione di condurre una doppia vita a soli quindici anni e custodisce segreti che i suoi genitori neanche immaginano lui possa conoscere.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory è convinto di avere già tutto quello di cui ha bisogno: i pilastri della sua vita sono già stati piantati, i confini già marcati. Si renderà conto che anche lui può sbagliare.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai fatto i conti con il suo cuore. Si accorgerà quanto prima dell’errore commesso.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai realmente ascoltato il suo cuore. Scoprirà che non è mai troppo tardi per cominciare…
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 11

Non E’ Mai Troppo Tardi

11

 

 

 

 

 

 

 

 

In qualche modo passarono altre tre settimane.

Era crollata qualche altra barriera fra lui e Jennifer, specie da quando aveva chiesto il suo aiuto per cercare di salvare i suoi risultati scolastici, crollati vertiginosamente durante il rapimento di Michael.

Da quasi due settimane, tutte le sere dopo cena, passavano due o tre ore nel gazebo, che Jennifer sembrava adorare almeno quanto lui, armati di caffè e degli esplosivi dolci di Susan, con la compagnia di Lizar, Dragar, Indios, Venusia e Cocoon, per rimettere insieme come un puzzle le materie che aveva lasciato più indietro.

Aveva scoperto le meraviglie della fisica e della chimica.

I rapporti fra Jennifer e Lizar miglioravano, mentre era stato amore a prima vista fra la ragazza e Cocoon… effettivamente il più dolce di tutta la banda, l’unico che di cane da guardia aveva solo la nomea.

Michael aveva ufficialmente adottato Dragar e non era raro trovarli insieme.

Non era raro neanche trovare Drake con Sharon e aveva la netta sensazione che il suo migliore amico si stesse innamorando.

Con il passaggio di proprietà dell’azienda, lui ebbe comunque modo di godere poco di questo nuovo equilibrio, anche se il pomeriggio lo passava a casa.

Georgie camminava a mezzo metro da terra e la sua mente e le sue energie erano tutte proiettate al futuro.

Ignorava totalmente tutto quello che vorticava dietro l’attività che tanto la appassionava.

La sua vita sociale era precipitata sotto lo zero in un batter d’occhio, e Drake cominciava a lamentarsi… anche se con pochissima convinzione, sempre merito di Sharon, ma doveva ammettere che gli unici momenti della giornata dove si divertiva erano quelle ore passate con Jennifer sui libri.

Probabilmente questo fatto da solo la diceva già tutta sulla situazione.

Da qualche giorno poi, la situazione stava degenerando: un mal di testa feroce non lo mollava un attimo, non c’era aspirina o analgesico che tenesse, e il suo umore ne aveva risentito vistosamente.

Quando quella mattina, poco dopo le undici, si trovò improvvisamente a tu per tu con sua cugina, vuoi per il mal di testa, vuoi che sarebbe voluto essere da qualsiasi altra parte che non fosse il suo ufficio, la linea del suo stato d’animo era di parecchie tacche sotto lo zero del buon umore.

Diciamo che era molto vicino alla definizione di asociale.

Concentrarsi su qualsiasi cosa era un’autentica tortura.

Ringraziò il cielo di essere già seduto.

«Ciao Juna» lo salutò con un sorriso.

«Come mai Alison non mi ha avvisato del tuo arrivo?» chiese forse un po’ troppo sulle sue.

Georgie sembrò non notarlo, «Le ho detto che volevo farti una sorpresa.»

«Ok, cosa vuoi?»

«Questo è per te.»

Un bombolone, presumibilmente alla crema, si materializzò completo di piattino e succo di frutta ancora sigillato sui fogli che stava cercando di leggere.

In qualsiasi altro giorno della sua vita quella sarebbe effettivamente stata una bella sorpresa, perché andava pazzo per i bomboloni alla crema, ma quel giorno il suo stomaco fece una piroetta da manuale.

Non mangiare e dormire poco e male non era il massimo della vita. Non avrebbe retto ancora per molto in quella condizioni, ma non sapeva cosa fare.

Non capiva il perché stava così male.

Alla sua occhiata la cugina lo gratificò di un nuovo sorriso e scosse graziosamente le spalle… era una sua impressione o dietro il sorriso lo stava osservando con un’attenzione tutta nuova?

Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo che erano almeno ventiquattr’ore che scansava il cibo…

«Ieri sera ti sei vergognosamente approfittato del fatto che ero fuori e non hai cenato e già sono arrabbiata per quello, in più da qualche giorno spesso e volentieri salti il pranzo, senza contare che non hai fatto colazione stamani, così…» concluse il ragionamento con un’eloquente occhiata al bombolone.

Decise che non era curioso di scoprirlo.

Appoggiò il documento che aveva fra le mani sulla scrivania, nel farlo però si sporse in avanti e il movimento gli dette l’impressione che il suo cervello si fosse liquefatto dentro la bacinella che era la sua testa.

Ringraziò il cielo di avere lo stomaco vuoto, perché se l’improvviso coniato di vomito non ebbe esito fu solo grazie a quello.

La parte peggiore fu però la fitta che partì dalla sua nuca trasmettendosi all’istante a tutta la testa, come se il suo cranio si fosse trasformato in una cassa di risonanza.

Chiuse gli occhi premendo i palmi delle mani sulle tempie e reprimendo testardamente il gemito.

Cercò di concentrarsi. «Grazie Georgie, molto gentile da parte tua.»

«Juna, cos’hai?»

Registrò un significativo cambiamento nel tono di sua cugina, ma era troppo occupato ad impedire alla sua testa di staccare la spina con il resto del mondo per analizzarlo. «Nulla.»

«Nulla?? Per la miseria ho fatto bene a venire qui: Jennie aveva ragione!»

Jennie? Cosa dannazione c’entra lei adesso?

Alzò lo sguardo su sua cugina e non la vide più davanti alla scrivania.

Una mano fresca gli sorresse la fronte e Georgie lo aiutò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona.

«Juna, oh Dio, hai la febbre alta.»

«Ma no, non…»

«Juna, per favore, dammi retta: sembri una caldaia.»

La voce di sua cugina era angosciata.

«E’ solo un forte mal di testa.»

«Accidenti ai testardi, non hai niente da invidiare ad un mulo!» prese fuoco «Sono almeno tre giorni che Jennie vede degli strani comportamenti in te! Mettiti la giacca, ti riporto a casa… e non ti azzardare a fare storie o te le do di santa ragione! Nella condizioni in cui sei non saresti neanche in grado di difenderti!»

La vide uscire dalla stanza come un ciclone.

Ma perché a lui? Cosa poteva aver fatto per meritarsi una cosa del genere?

La porta si aprì con cautela e fece capolino Alison. «Juna?»

«Entra Ali.» Cercò di abituarsi all’idea di alzarsi in piedi, «Mangialo tu alla mia salute, ok?» aggiunse indicando il bombolone.

Alison si avvicinò alla scrivania osservandolo, «Dio che occhi lucidi hai. Come ho fatto a non accorgermi di niente?»

La domanda giusta è un’altra: perché adesso qualcuno se n’è accorto. Perché il mio muro, la mia facciata tanto faticosamente costruita, sta crollando completamente Alison, ecco perché.

«Sono un ottimo attore Ali, non preoccuparti.»

«Ti vengo a trovare a casa oggi» lo avvertì quasi fosse una minaccia, «e se ti trovo fuori dal letto…»

Era una minaccia.

Fece leva con le mani sul piano della scrivania e ordinò al suo corpo di staccarsi dalla poltrona.

Il suo corpo ubbidì.

Successe appena si separò dalla scrivania.

Ebbe l’impressione che tutto il suo sangue, partendo dalla testa, cadesse in discesa libera fino ai piedi.

La stanza fece un violento giro su se stessa, sentì Alison gridare il suo nome, poi un gelido buio lo avvolse.

 

Per chissà quanto visse come in un limbo.

Le orecchie gli ronzavano, sentiva le voci come se provenissero da un altro pianeta… ma riconobbe bene quella concitata di sua madre e quella calma e profonda del professor Lawrence McIntyre, colui che quasi diciannove anni prima lo aveva aiutato a fare la sua spettacolare entrata al mondo.

Larry con tutta probabilità sapeva anche che fine avesse fatto suo fratello.

Avrebbe potuto chiederglielo se non avesse avuto la certezza di innescare un casino di proporzioni mastodontiche.

I suoi genitori non si meritavano una cosa del genere perché una cosa la sapeva per certa: se avevano deciso di nascondergli qualcosa come la morte del fratello, alla base c’era un motivo più che valido.

«Ma cos’ha?» stava chiedendo sua madre angosciata.

«Ad occhio e croce è una brutta influenza. Fino a quando è in stato d’incoscienza non posso azzardare altre ipotesi.»

«Ma è svenuto Larry! E’ finito disteso in terra!» sottolineò il concetto.

«Non mi meraviglio affatto, tuo figlio ha quasi quarantuno di febbre Manaar!» breve sospiro e la voce tornò bassa «Quel ragazzo ha una costituzione forte, certo, ma una temperatura del genere stroncherebbe chiunque! Mi chiedo da quanto tempo è in queste condizioni, quell’incosciente!»

«Allora che si fa?»

«Dobbiamo aspettare che riprenda conoscenza, solo allora potrò fargli una visita accurata.»

Che nel gergo di quell’uomo significava rigirarlo come un pedalino.

Ci fu una pausa «Usciamo adesso. Speriamo che Howard abbia trovato il ghiaccio.»

Con un notevole sforzo aprì gli occhi e la penombra della stanza non gli diede fastidio.

Che la febbre fosse alta era poco ma era sicuro. Si sentiva… ovattato e bollente.

Gli occhi cominciarono a bruciargli e li richiuse con un sospiro di rassegnazione.

 

Appena Manaar e il professore uscirono dalla stanza, Justin e Georgie si staccarono dal muro come se questo scottasse, «Allora?» chiesero ad una voce.

«E’ ancora in stato d’incoscienza» rispose il professore del quale si stava sforzando di ricordare il nome, «per ora posso solo ipotizzare una brutta influenza.»

«Ma la febbre…» cominciò Connor.

«Supera abbondantemente i quaranta Connor» riprese lui, «ma fino a quando non riprende conoscenza non posso azzardare ipotesi. Adesso la cosa più importante è far scendere la temperatura.»

«Buon Dio» disse Lennie, «siamo in tanti in questa casa e nessuno si è accorto che stava così male.»

«Certo che il ragazzo è un incosciente» continuò Madeline, «uscire di casa con quella febbre… non so come dirlo a Patrick quando tornerà.»

«Nonna, pensiamo a come dirlo a Michael e Melissa» disse Justin. «Fra meno di un’ora torneranno dall’asilo e si fionderanno al gazebo alla ricerca di Juna.»

Calò il silenzio più assoluto.

Ovviamente Justin aveva ragione, ma nessuno aveva voluto pensarci.

Apparve Howard, bianco come un lenzuolo, e si rivolse al professore, «Ho trovato il ghiaccio professor McIntyre… come sta il signorino?»

«Non si preoccupi Howard, ha una costituzione d’acciaio quel ragazzo» rispose il professore.

«Quando gli metterò le mani addosso non si salverà neanche fosse fatto di ferro Larry!» esplose Georgie «Ho creduto di… di morire quando l’ho visto svenuto a terra! E’ un miracolo che non si sia spaccato la testa contro la scrivania! Alison piangeva come una fontana, è dovuto venire a prenderla il fidanzato da quanto era sconvolta!»

Justin cinse le spalle della sorella e Georgie scoppiò in lacrime, sfogando finalmente lo shock che, era evidente, stava covando da quando era tornata a casa insieme a Connor e Juna privo di sensi.

Paul e Lennie rimasero pietrificati davanti alle lacrime della figlia, Justin cominciò a parlarle a bassa voce quasi cullandola.

Juna stava male… ma male davvero.

Quel pensiero le toglieva il respiro.

«Signora McGregory… posso entrare a sistemare il ghiaccio?» chiese Howard.

Aveva bisogno di vederlo, era evidente.

«Certo Howard, grazie» rispose Manaar.

«Georgie» cominciò Connor, «come mai eri da Juna stamani? Me lo sto chiedendo da quando sei piombata nel mio ufficio.»

Georgie tirò su con il naso e automaticamente Justin prese un fazzoletto dalla tasca dei suoi pantaloni e lo passò alla sorella che lo usò prima di rispondere.

«Ho parlato con Jennie stamani, prima che andasse a scuola. Quando le ho chiesto dove fosse Juna mi ha detto che era uscito senza fare colazione. E’ stata lei a mettermi la pulce nell’orecchio. Da quello che mi ha detto mi aspettavo di non trovare Juna al massimo della forma, ma da qui a vederlo a terra svenuto, ce ne corre!»

Si trovò al centro dell’attenzione generale.

«Di cosa ti sei accorta esattamente?» le chiese Manaar.

Quella donna sembrava sull’orlo di un baratro senza fine.

«Da qualche settimana dopo cena io e Juna stiamo un paio d’ore nel gazebo: mi sta aiutando a recuperare qualche materia. Da qualche giorno ho notato come dei… vuoti in lui. A volte smetteva di parlare, chiudeva gli occhi, perdeva colore… e se tuo figlio sbianca, ti garantisco che è evidente. E’ anche successo che alzandosi dalla sedia barcollasse… cose del genere. Gli ho chiesto se stava poco bene, ma lui mi ha sempre detto che era solo mal di testa.»

«Questi dannati mal di testa» ringhiò quasi Connor.

Howard uscì dalla stanza di Juna.

«E’ ancora privo di sensi?» chiese Madeline.

«Sì signora» rispose il maggiordomo. «Ha un respiro così strano…» aggiunse angosciato «a volte sembra faccia fatica ad incamerare aria, a momenti è così leggero che… che quasi sembra non respiri.»

Il professor McIntyre gli diede una pacca sulla spalla, un gesto che strappò all’uomo un sorriso tirato.

«Jennie, per favore, staresti un po’ con Juna?» chiese Manaar all’improvviso «Io devo assolutamente fare delle telefonate e non voglio che resti solo.»

Il professore si rivolse a lei, «Assicurati che il ghiaccio resti sulla sua fronte e se riprende i sensi o comincia ad agitarsi corri ad avvertirmi.»

Annuì al professore ed entrò nella stanza dopo aver salutato tutti con un cenno della testa.

Il suo cuore cominciò a battere più forte appena abbassata la maniglia.

Entrò con circospezione, si guardò intorno chiudendosi la porta alle spalle e appena gli occhi si furono abituati alla penombra inquadrò il letto e la sedia.

Il respiro di Juna aveva un ritmo incostante, Howard aveva ragione.

Movendosi con cautela arrivò alla sedia senza danni e prese posto senza perdere di vista il profilo del ragazzo.

Era ancora incosciente.

Chiuse gli occhi quando l’ondata di panico che l’aveva già assalita alla vista di Juna privo di sensi la travolse di nuovo.

Aveva cominciato a sentire qualcosa di attanagliante al petto quando aveva visto solo Kyle all’uscita da scuola.

«Avevo intuito che tu non stessi bene» mormorò, «ma non avevo capito fino a che punto. Spero che tu guarisca presto perché devo picchiarti, testone che non sei altro.»

 

Juna trattenne a stento una risata nell’udire quella che doveva essere una minaccia detta con voce così sommessa ed angosciata.

La piccola Jennifer era preoccupata per lui?

Non gli conveniva ridere comunque… la sua testa non avrebbe retto. All’interno del suo cranio si erano scatenati tutti i tamburi del mondo.

Sentì le mani morbide e fresche della ragazza avvolgere la sua e il contatto lo fece rabbrividire, quasi più del ghiaccio sulla sua fronte.

«Dio come sei caldo» continuò lei, «ma lo sai che la febbre così alta può essere pericolosa? Ho letto da qualche parte che una temperatura troppo elevata può addirittura danneggiare le cellule celebrali… ok, tu sei un genio e forse le tue sono a prova di bomba, ma perché sfidare così la buona sorte? Non ti porti il rispetto che dovresti. Mi hai fatto prendere un colpo, tua madre è sull’orlo di una crisi nervosa, Georgie piange come una fontana e a quanto sembra Alison le fa compagnia…»

Gli piaceva starla a sentire… e gli piaceva che fosse preoccupata per lui.

Che stesse impazzendo?

«Jennie?» mormorò.

Silenzio.

«Juna?» Non alzò la voce e di questo le fu grato, «Finalmente… come stai?»

«Male.»

«Ti sta bene testone, cosa aspettavi ad andare dal medico o dirlo a qualcuno?»

Fosse stato in cerca di comprensione sarebbe davvero cascato male.

«Non credevo fosse così grave… sei arrabbiata con me Jennie?»

«Io? Arrabbiata?» Sentì le mani allentare la presa intorno alla sua «Vado a chiamare il professore.»

Strinse la mano bloccando le sue, «Aspetta. Torneranno prima o poi… resta qui.»

«Ne hai di forza per essere malato.»

«Appunto: malato. Non in fin di vita.» Cominciò ad accarezzarle una mano con il pollice come soprappensiero «Sei la seconda che vuole menarmi oggi… è un record.»

La ragazza ci mise dieci secondi per racimolare la voce «Non mi meraviglio affatto, faresti perdere la pazienza ad un santo.» Si bloccò appena realizzò appieno la sua affermazione e la sentì inspirare con la bocca, «Tu… tu non eri privo di… tu hai sentito tutto quello che ti ho… McGregory, sei… sei un… un…»

«Abbi pietà Jennie, sono malato, ricordi?»

«Sei impossibile Juna!»

«Ho paura che stasera non potrai beneficiare della mia compagnia.»

Altri dieci secondi di silenzio, «Non preoccuparti di questo adesso, devi pensare a rimetterti in piedi.»

«Stammi a sentire. Non perdere il ritmo del ripasso. Ce la puoi fare a recuperare tutto, ok? Manca poco. Ce la puoi fare.»

«Ti ho detto di non preoccuparti, ho capito il tuo metodo… e puoi giurarci che ce la farò.»

La convinzione nella sua voce gli dette una sensazione a metà fra il sollievo e la tenerezza.

Stava decisamente poco bene…

«Vedrai che anche Lizar ti farà compagnia anche se non ci sono io. Le stai stranamente simpatica.»

«Se un essere vivente riesce a voler bene a te, è potenzialmente capace di andare d’accordo con tutto il mondo.»

Il senso dell’umorismo di quella ragazza faceva passi da gigante.

Sentì chiaramente la porta aprirsi e la sentì anche Jennifer perché si girò.

Si rendeva conto che si tenevano per mano?

E lui si era appena reso conto che le stava ancora accarezzando il dorso.

«Jennie?»

Sua madre.

«Entra Manaar, ha ripreso conoscenza.»

«Spiona» le bisbigliò.

«Dio ti ringrazio…» sentì quasi gemere sua madre.

«Siediti qui Manaar» aggiunse la ragazza alzandosi, «vado a chiamare il professore.»

La sentì uscire e si rese conto di vedere solo ombre confuse che si muovevano. «Mamma?»

«Sono qui… Dio che accidente ci hai fatto prendere. Come stai?»

Di comprensione da sua madre ne avrebbe avuta anche troppa.

«Sto bene, non preoccuparti.»

«Se è una battuta non è per niente divertente.»

Sospirò rassegnato, «Ok, allora preoccupati tanto, va bene?»

Sua madre gli prese la mano, «Hai la febbre molto alta.»

«Lo so… che ore sono?»

«Quasi le quattro ormai, sei stato privo di conoscenza per ore. Larry si è assicurato che non avessi problemi di respirazione o roba del genere poi ha detto di non svegliarti. Dio mio Juna, perché hai aspettato di arrivare a questo prima di ammettere che non stavi bene?»

«Pensavo fosse il solito mal di testa mamma.»

«Tuo padre è fuori dalla grazia di Dio, non nominare il mal di testa davanti a lui.»

«Va bene. Ho sete.»

«Immagino, ma cerca di resistere, voglio sentire cosa dice Larry prima di darti qualsiasi cosa.»

Un lieve bussare precedette l’entrata di Larry. «Ho sentito che sei tornato fra di noi.»

«Ciao Larry, è sempre un piacere. Direi che mi sei anche mancato.»

«Tuo figlio è squisito Manaar.»

«Lo sa, assomiglio a lei. Larry, ti sarei grato se non accendessi la luce.»

«Ci credo. Manaar, saresti così gentile da lasciarmi solo con tuo figlio?» Rimasti soli la sua voce cambiò completamente, «Per tutti i fulmini Juna, adesso a noi due. Ti rivolterò come un guanto. Sai da quando non ti fai visitare?»

«Mi sembra ieri.»

«Non scherzare. Il tuo respiro mi piace proprio poco. Anche Howard si è accorto che c’è qualcosa che non va, ed è stato qui dentro pochi minuti, renditi conto. Spero solo che almeno il tuo organismo abbia avuto il buon senso di cedere prima del punto di non ritorno.» Vide la sua ombra appoggiare quella che doveva essere la sua borsa sulla sedia, «Senza contare che hai fatto perdere dieci anni di vita alla tua fidanzata.»

«Alla mia cosa

«Quando sono arrivato pensavo che fosse lei a stare male. Anche tua cugina è in salone che piange. Quella ragazza però ha carattere, finalmente hai trovato pane per i tuoi denti eh? Devo dire che fate davvero una bella coppia… ben assortita, intendo. Credo che i bambini saranno stupendi, a prescindere da chi assomiglieranno…»

«Larry…»

«… mi offro già da ora disponibile per il parto… in fin dei conti ho fatto un buon lavoro con te, ti pare?»

«… cosa stai dicendo?»

«Se non ho capito male si chiama Jennifer.»

Che Dio lo aiutasse.

«Tanto per cominciare Jennifer non è la mia fidanzata, in secondo luogo ti diffido dal fare certi discorsi davanti a mia madre, ci siamo capiti? Tu sarai già ampiamente in pensione quando io sarò pronto ad avere figli.»

«Certo certo…»

«Non sto scherzando.»

«Neanch’io… tirati su a sedere e alza la maglietta. Respira profondamente quando te lo dico e stai zitto.»

Lo assecondò e si rese conto che qualcuno lo aveva spogliato prima di metterlo a letto.

Per la prima volta si chiese chi lo avesse portato fino al letto.

Improvvisamente sentiva una debolezza incredibile.

Alla fine il respiro profondo che fece Larry gli piacque meno di zero.

«Ok Larry, spara.»

«Bronco-polmonite.»

«Cosa?»

«Hai capito benissimo. Fra l’altro una delle forme peggiori che ho visto in vita mia. Dovrai stare a letto almeno per le prossime due settimane, forse anche un mese e sperare che gli antibiotici siano sufficienti.»

«A letto per due settimane?»

«Ti prescriverò sciroppo, pasticche, bustine… e stai attento a non sgarrare una volta o ti giuro che ti faccio ricoverare in ospedale, mi sono spiegato?»

«Tu mi vuoi morto. A letto per due settimane forse un mese?» ripeté.

«Ti concedo di stare a letto solo fino a quando avrai la febbre, poi potrai girare per casa, a patto che il riscaldamento sia acceso e funzioni bene. Prendi l’abitudine di indossare una sciarpetta o roba del genere intorno al collo, non pretendo che sia di lana, e stai sempre ben coperto, soprattutto il torace. Juna, mi stai ascoltando? Sgarra una volta e ti faccio ricoverare nel giro di un’ora, intesi? Non voglio sapere da quanto stai male, altrimenti ti strozzo adesso con le mie mani, ma una bronco-polmonite se non presa più che seriamente ci mette un niente a diventare cronica.»

«Tappato in casa per un mese» riassunse ancora ad alta voce la situazione.

«Preferisci l’ospedale?»

«Oh Larry, andiamo…»

Lo vide scuotere la testa, «Juna, giuro sulla testa di mio figlio che ti ricovero in ospedale e butto via la chiave se non mi dai retta. Voglio una promessa da te: seguirai alla lettera le mie prescrizioni. Alla lettera. Forse così te la caverai in un mese senza danni permanenti.»

Cristo, era così grave la situazione?

«Stai cercando di mettermi paura vero?»

«Gli incoscienti non hanno paura e tu sei un incosciente di prima categoria. Faccio leva sulla cosa che più ti infastidisce: limitare drasticamente la tua libertà.»

«Ok Larry, affare fatto: mi impegno a seguire alla lettera le tue prescrizioni per il prossimo mese.»

Lo vide scuotere la testa e sentì lo sbuffo, «Se non ti conoscessi da quando sei nato riusciresti a fregare anche me. Tu seguirai alla lettera le mie prescrizioni fino a quando non ti dirò che sei guarito, il che significa, come ti ho già detto, che sarà un mese se ti va bene.»

Fregato.

«Va bene… ma ho anch’io una condizione.»

«Hai una faccia tosta senza confini ragazzo.»

«Rendi la pillola più dolce possibile per i miei: non dirgli quello che hai detto a me.»

«Juna…»

«E’ un favore che ti chiedo Larry. In cambio sarò un paziente modello.»

L’anziano professore rimase un attimo in silenzio, poi sospirò, «Ok, affare fatto Juna.»

«Fai entrare i miei.»

«Devo scendere a chiamarli, sono in…»

«Sono tutti e due dietro la porta Larry, fidati.»

Lo sentì ridacchiare mentre andava ad aprire la porta e la voce di suo padre lo accolse con un allora?

«Entrate.»

Suo padre fu il primo ad avvicinarsi, «Juna?»

«Ciao papà.»

«Ciao papà? Mi hai fatto perdere vent’anni di vita e tutto quello che hai da dirmi è ciao papà

«Ok, sono pronto ad ammettere che sono stato un irresponsabile ma ti giuro che non avrei mai pensato di arrivare a questo.»

«Pensavi fosse uno dei tuoi soliti mal di testa» disse suo padre con un tono che era una vera poesia.

In quel momento fu chiaro che da quel giorno doveva inventarsi un altro diversivo per sua madre.

«Come sta?» chiese sua madre a Larry.

«A parte la febbre e un principio della peggior bronco-polmonite che abbia mai riscontrato in vita mia, tuo figlio sta da Dio» fu la risposta.

L’etica di quell’uomo gli aveva impedito di non dire almeno in parte la verità.

«Bronco-polmonite??» esplosero con un sincronismo perfetto la sua mamma e il suo papà.

«Juna deve restare chiuso in casa fino a mio nuovo ordine» continuò Larry. «Ho dietro delle pasticche che stroncano la febbre, è quella che mi preoccupa di più adesso, ma stenderanno anche lui perché sono molto forti e probabilmente farà tutta una tirata fino a domani mattina. Te ne lascio due Manaar, scioglile nell’acqua e dargliele dopo avergli fatto mangiare qualcosa perché, ti ripeto, sono pesantissime. Prescriverò anche uno sciroppo che dovrà prendere tre volte al giorno, delle pasticche, ogni sei ore, e delle bustine, ogni dodici ore, bisognerebbe andare a comprarle prima che chiudano le farmacie perché deve iniziare la cura completa domani mattina.»

«Nessun problema» disse suo padre. «Oggi quindi prende solo le due pasticche che hai portato.»

«Esatto. E mi raccomando: massimo riposo e deve stare al caldo, specie gola e torace. Vi consiglio spassionatamente di alzare il riscaldamento, almeno per la prima settimana… immagino che Juna avrà bisogno di andare al bagno.»

«Grazie del pensiero Larry.»

«Fino a quando la febbre non sparisce legatelo al letto se necessario, poi può stare anche alzato, ma in casa al caldo. Ora che ci penso anche delle vitamine non gli farebbero male, considerato il bombardamento di antibiotici. Preferisci le pasticche o le bustine, razza d’incosciente che non sei altro?»

E’ questo il suo modo di indorare la pillola, dannazione?

«Pasticche.»

«Ok. Manaar, scendi con me e preparo le ricette? Ci vediamo domani Juna, passerò a darti un’occhiata. E ricorda che io e te abbiamo fatto un patto.»

«Tesoro, avverti Paul che massimo fra un paio d’ore andiamo in farmacia a prendere il tutto» disse suo padre. «Impedisci ad Howard di andare al posto nostro.»

«Sta’ tranquillo.»

Rimasero soli e suo padre prese posto nella sedia.

«Se non fosse che sei il mio solo erede, ti ucciderei. Georgie ha ragione: non so per quale miracolo tu non ti sia spaccato la testa contro la scrivania o comunque sbattendola a terra.»

«Sono un ragazzo fortunato.»

«Io devo essere fuori di me quando dico che hai ripreso il mio senso dell’umorismo.»

«Sei solo realista papà. Senti, non preoccuparti, ok? Cerca di tenere buona la mamma perché non voglio pensare a cosa mi aspetta.»

«Io penso a te adesso, la mamma non ha la bronco-polmonite.»

«Un principio di bronco-polmonite» corresse.

«Se proprio vogliamo essere pignoli, figlio mio, è il principio della peggior bronco-polmonite che Larry abbia mai riscontrato… e considerato che quell’uomo fa il medico da prima che nascessi io, la precisazione non mi consola neanche un po’. Come dannazione ho fatto a non accorgermi del perché stavi male Dio solo lo sa!»

Anche in quelle condizioni il campanellino d’allarme prese a suonare con insistenza. «Cosa pensavi che fosse?»

Suo padre rimase in silenzio tre secondi in più del solito. «Io e tua madre ce lo stavamo chiedendo da quasi un mese ormai… a volte sembravi così… così… perso. Cupo. Non lo so. Sembrava che qualcosa ti preoccupasse a morte.»

Dio svegliami che sto sognando.

Rimase in silenzio.

Cosa dannazione stava succedendo? Non riusciva a nascondere più niente in quella casa?

La porta si aprì e la voce di suo nonno suonò bassa. «Connor?»

«Vieni papà, è sveglio.»

«Lo so, ho parlato con Larry, Ragazzo mio, ci hai fatto perdere non so quanti anni di vita.»

«Nonno, tranquillizza tutti la fuori, non…»

«Una bronco-polmonite è una cosa seria. Larry era nero.»

«Oh ti prego!» sbuffò muovendo la testa per girarsi verso suo nonno «Per quanto andrete avanti con questa…??»

Un dolore allucinante alla nuca gli impedì di andare avanti e si curvò su se stesso tenendosi la testa con entrambe le mani.

«Juna!» esplose suo padre.

In un attimo gli fu praticamente addosso.

«Oh Santo Dio!!» sentì gemere suo nonno.

«La mia testa…» cercò di spiegare.

Stava per riperdere i sensi?

Dio, la sua testa stava per esplodere.

Serrò gli occhi e si concentrò sulla voce di… di…

«Connor, che succede?»

… Jennifer.

«Non ne ho idea Jennie. Juna, parlami!»

«Una fitta alla testa. Sto bene, è passata.»

«Porca miseria Juna, azzardati a dire un’altra volta che stai bene e voli fuori dalla finestra!»

Rimase di sasso… forse scioccato era il termine che più si avvicinava.

«Oh, finalmente qualcuno che gli dice le cose come stanno!» le fece eco Larry.

Ecco perché non sentiva più la voce di suo nonno: era corso a chiamare di nuovo lui.

«No Jennie, non fare così…» sentì sua madre… e subito dopo realizzò i singhiozzi.

«Su su» continuò Larry, «Jennifer, questo ragazzo farebbe perdere la pazienza anche ad un sasso, ma non è il caso di piangere… da quanto state insieme? Che sia un essere impossibile è la prima cosa che salta all’occhio!»

Cominciò a pensare alle torture da infliggere a quell’uomo: questa Larry gliela avrebbe pagata… e molto cara.

Nel silenzio più totale, la voce di Jennifer suonò a metà fra il risentimento di prima e la preoccupazione, «Sono ospite di Patrick con la mia famiglia, ma questo non comporta fidanzamento con questo bel tipo.»

«Immagino che tu te ne sia assicurata prima di mettere piede in casa» fu il commento che uscì dalla sua bocca prima che potesse fermarlo.

Per Dio che stava succedendogli?

Era stato lui il primo a metterla sotto quella luce parlando con lei, Jennifer stava semplicemente ripetendo quello che le aveva detto per tranquillizzarla!

 

La voce di Juna suonò più dura dell’acciaio, ebbe la sensazione di esserne colpita.

«Sai che non è così» rispose di getto.

E quelle lacrime che non si fermavano, accidenti a loro.

L’entrata di Georgie e Justin fu la sua salvezza.

«Ad averlo saputo avrei preparato una scorta di fazzoletti fanciulle!» esclamò allegro quest’ultimo «Come va cugino?»

«Da Dio.»

«Vedo. Ti porto via un po’ di compagnia ok? Sembra che tu debba stare tranquillo adesso.»

Georgie fissava Juna come a volergli fare una radiografia.

«Sto be…» cominciò il ragazzo, poi le lanciò un’occhiata e con un sorrisetto che non avrebbe più scordato e si corresse, «Sto meglio Georgie.»

Le venne improvvisamente da ridere, «Juna, sei veramente intollerabile.»

Fu allora che un ciclone entrò nella stanza.

Aveva la forma e la voce di Melissa.

«Juna! Come stai? Che è successo? Da quanto sei a letto?»

Justin chiuse gli occhi e rovesciò la testa indietro.

«Melissa, ti prego…» disse Juna toccandosi la tempia.

«Signorina, abbassa la voce, tuo cugino ha mal di testa» disse Larry. «E adesso deve restare da solo e cercare di riposare.»

«Ma sta bene?»

«Ti spiegherò per filo e per segno cosa è successo» si offrì Larry, «ma adesso usciamo tutti di qui.»

Si voltò verso la porta e vide suo fratello letteralmente aggrappato allo stipite della porta, gli occhi sgranati e un’espressione di puro terrore che non avrebbe scordato per il resto della sua vita.

«Micky…» cominciò.

«Michael?» chiamò Juna «Melissa, avvicinatevi al letto.»

Melissa volò, suo fratello si tirò dietro i propri piedi come se fossero di piombo.

Juna, con un certo sforzo, si voltò verso di loro e tirò fuori dalle coperte una mano che i due bambini afferrarono come se da quello dipendesse le loro vite. «Ascoltatemi pulcini: ho la febbre e non sono al massimo della forma, ok? Ho bisogno di riposare un po’, ma tornerò come nuovo. La bella notizia è che starò a casa per qualche giorno.»

«Sei sicuro?» chiese con un filo di voce Michael «Dobbiamo avvertire Drake.»

«Ok Micky, vai con mia madre e telefona a Drake.»

«Giurami che starai bene» disse suo fratello.

Juna lo guardò un attimo, la debole luce che passava dalla porta illuminava i due bambini e le loro ombre erano l’unica cosa che proteggeva il ragazzo. «Tornerò come nuovo» ripeté. «Andate adesso.»

Melissa e suo fratello uscirono dalla stanza senza ulteriori incentivi.

Corse dietro a suo fratello.

Riuscì a fermarlo all’inizio delle scale. «Pulcino?» lo chiamò prendendolo per le bretelle «Guardami.»

Michael si voltò verso di lei osservando il pavimento, «Ti prego Micky, guardami.»

Alzò gli occhi gonfi di lacrime… anche Melissa piangeva.

Le si gettarono entrambi addosso mentre singhiozzi accorati li scuotevano.

Li abbracciò entrambi e accarezzando dolcemente le piccole schiene riuscì a farli rilassare. «Ascoltate… che ne dite di stare un po’ in camera con me? Vi potete addormentare sul lettone mentre io studio un po’… che ne dite?»

«Jennie?» Ryan apparve da chissà dove.

«Senti… Lissa verrebbe con me e Micky, se le va.»

«Resto con voi» disse la bimba.

Come per dare maggior enfasi all’affermazione le due manine si allacciarono saldamente.

Ryan annuì, «D’accordo. Juna?»

«Adesso deve solo dormire.»

«Dov’è Manaar?» chiese suo fratello tirando su con il naso «Non so il numero di Drake.»

«Sono qui Micky.» Manaar comparve accanto al cognato e prese in collo suo fratello, «Su, andiamo.»

 

Lo squillo del cellulare lo riscosse dalla lettura dell’articolo sugli sviluppi, se così si potevano definire, nelle indagini sull’assassinio di Estrada.

Vagavano nella nebbia più fitta… cosa abbastanza ovvia visto che Matthew sapeva fare il suo lavoro.

L’ipotesi più accreditata era che fosse stato ucciso da un concorrente.

La cosa lo avrebbe fatto ridere se non fosse stato cosciente che la famiglia Estrada sapesse perfettamente chi doveva ringraziare per l’improvvisa dipartita di Carlos.

Juna casa.

Fantastico. Non avevano stabilito di ignorare il telefono di casa?

«Ciao compare, dimmi tutto.»

«Drake, sono Michael.»

Scattò in piedi come se fosse stato colpito da una scossa e sua madre fece un salto dallo spavento.

«Michael??»

«Juna si è sentito male Drake, è svenuto, ha la febbre alta, per favore vieni qui» cominciò a piangere. «Ho tanta paura Drake.»

Oh santo Dio.

«Micky, arrivo subito. Stai calmo ok?» sperò che il bambino cogliesse anche il messaggio non espresso a parole.

La schermatura del suo cellulare copriva anche le chiamate da un telefono fisso? Dannazione, non se lo ricordava. Doveva chiamare Matthew.

E comunque era improbabile che Michael fosse solo accanto a quel telefono, se preso dal panico gli fosse sfuggito qualcosa…

«Ti aspetto» disse solo.

Riattaccò e improvvisamente le parole di Michael entrarono in circolo nel suo cervello: Juna era svenuto?

«Drake?»

«Mamma, devo correre a casa di Juna. Sembra… sembra che stia male.»

La decisione di sua madre fu immediata, «Dammi cinque minuti per cambiarmi, vengo anch’io.»

Appena fuori dal cancello di Villa McGregory vide ferma una macchina accostata al muro di recinzione e riconobbe subito il professor Lawrence McIntyre, lo storico medico dei McGregory, appoggiato al cofano.

Doveva a quell’uomo l’entrata al mondo di Juna.

Istintivamente parcheggiò subito dopo l’auto e scese, dicendo a sua madre di aspettarlo in macchina.

«Drake, stavo aspettando te» lo accolse.

Un senso di inquietitudine lo attanagliò.

«Come sta?» chiese subito.

«Male. Sta male Drake. Mi ha fatto promettere di indorare la pillola ai suoi, ecco perché appena ho capito che saresti arrivato ho deciso di aspettarti qui: almeno una persona vicina a lui deve sapere come stanno le cose.»

S’impose la calma. «La ascolto.»

Rimase in silenzio ad ascoltare l’uomo maledicendosi per non essersi accorto di nulla.

«… Quindi, in pratica lo affido a te Drake» concluse il professore. «Se la bronco-polmonite diventasse cronica sarebbero guai seri: se la porterebbe dietro per il resto della sua vita.»

«Stavolta lo uccido.»

E non stava scherzando.

Il professor McIntyre sorrise, «Perfetto, proprio la filosofia giusta da adottare con uno come Juna. E’ sufficiente che lo costringi a seguire le mie indicazioni per ora.»

«A letto fino a quando la febbre non è passata e tappato in casa fino a suo nuovo ordine. Lo sciroppo tre volte al giorno, le pasticche ogni sei ore, le bustine ogni dodici e le vitamine la mattina e la sera.»

«Adesso vado via molto più tranquillo.»

«Grazie professore.»

«Grazie a te Drake. Se hai bisogno di qualsiasi cosa…» tirò fuori un biglietto da visita e ci scrisse dietro qualcosa, «qui ci sono anche i miei numeri di casa e di cellulare. Non esitare ad alzare il telefono, dirò a mia moglie e alla mia segretaria chi sei e che mi passino comunque le tue telefonate. Basterà il tuo nome.»

Prese il biglietto e lo mise in tasca. «Stia tranquillo professore, e grazie ancora.»

Rientrò in macchina e sua madre contò fino a tre prima di cominciare a fargli domande, «Non era il professor McIntyre quello?»

«Il professore che ha in cura la famiglia McGregory da secoli, proprio lui.»

«E cosa voleva?»

«Mamma, sei incapace di nascondere qualcosa a Manaar, non posso dirti niente.»

Si sarebbe morso la lingua: aveva appena detto a sua madre che esisteva qualcosa da nascondere!

«Stai pur certo che se Juna è grave non sarà certo sfuggito a sua madre.»

Evitò di guardarla in faccia: a lei e a Manaar sfuggiva da anni che i loro pargoli fossero killers dell’F.B.I.… ed era abbastanza grave, no?

«Mamma, te lo chiedo per favore: scordati di averlo visto. La situazione sarà già difficile da gestire, non complicarmi ulteriormente le cose.»

Il pesante cancello in ferro cominciò ad aprirsi.

Jessica Tyler alzò gli occhi al cielo, «Tutto tuo padre.»

Nella fattispecie era tutto meno che un complimento, ma poteva anche andargli peggio.

In casa c’era un perfetto delirio.

Addirittura Howard inciampò per prendere i soprabiti suo e di sua madre.

Lo sorresse prendendolo per le spalle, «Howard, stai tranquillo, sono sicuro che Juna tornerà come nuovo» gli disse.

«Spero tu abbia ragione Drake. Sono così contento che tu sia qui.»

Rimase a bocca aperta.

La fine del mondo era vicina.

Apparve Manaar che li abbracciò tutti e due insieme, «Mi sembra di vivere in un incubo. Grazie per essere corsi subito qui.»

«Non dirlo neanche per scherzo tesoro» disse sua madre. «Come sta Juna?»

Manaar spiegò loro cosa era successo nelle ultime ore, «Connor e Paul sono andati in farmacia. Juna dovrà prendere un intero arsenale di medicine e so già che mi farà impazzire per questo. Melissa e Michael sono in camera con Jennie adesso… hanno avuto una reazione spaventosa. Michael in particolare mi ha fatto paura… e non me l’aspettavo. Melissa sì, ma lui… si è calmato solo quando ha saputo che arrivavi» concluse rivolgendosi a lui.

«Posso vedere Juna?»

Manaar sorrise, forse per la prima volta nelle ultime otto ore, «Se ti dicessi di no fa qualche differenza? Ho aspettato a dargli le pasticche apposta. Lo stroncheranno, Larry è stato chiaro: dormirà fino a domani mattina.»

«Vado da lui, poi da Michael. Dammi queste pasticche, gliele farò prendere io.»

Appena ebbe il bicchiere pronto, sua madre prese in consegna Manaar e lui non perse neanche tempo a salutare chi era in casa: andò diretto nella stanza del suo migliore amico.

Entrò senza bussare.

«Ti aspettavo.»

Chiuse la porta alle sue spalle, appoggiò il bicchiere sul comodino, poi prese posto nella sedia accanto al letto, dopo di che si sentì abbastanza controllato per parlare senza sbranarlo. «Sei un incosciente.»

«Non pensavo di arrivare a svenire Drake, ma non preoccuparti, non…»

«Non cercare di raccontarmi puttanate Juna: il professor McIntyre mi ha aspettato al cancello e so tutto quello che non sanno i tuoi.»

Solo Dio sapeva come faceva a rimanere così calmo e controllato, forse doveva ringraziare gli addestramenti ai quali erano stati sottoposti da Matthew e Richard.

Era arrivato il momento di fare una scelta ben precisa.

Juna rimase in silenzio, probabilmente stava maledicendo McIntyre.

«Ascoltami bene» riprese senza alzare la voce. «Direi che siamo più o meno pari adesso: voglio pensare che tu mi abbia reso il favore di non averti parlato subito del pericolo che corriamo. Da adesso ripartiamo da zero, intesi? Voglio sapere cosa pensi ancora prima che il pensiero venga concluso a livello mentale, mi sono spiegato? Da parte mia farò lo stesso, è una promessa. Meno di un mese fa ho detto ad alta voce che non ti avrei perdonato se solo non mi avessi detto che stavi male, sembra quasi che mi stessi a sentire.»

«Pensavo che fosse il solito mal di testa Drake, non ti nasconderei mai qualcosa che…»

«Anche verso questi mal di testa devi cambiare atteggiamento. Da quanto sono tornati alla carica? Da quanto non fai più quegli esercizi con George? Qui è anche colpa mia, perché è evidente che a volte non sei in grado di badare a te stesso e io non sono migliore di te. Ci sta sfuggendo tutto di mano Juna, te ne rendi conto?»

«Non dire cretinate: non è colpa tua.»

«Io e te daremo le dimissioni a Richard e Matthew.»

«Cosa?»

«Ci tiriamo fuori da questa storia Juna, adesso. Telefonerò oggi stesso a Matthew e gli dirò che Darkness e Falcon spariranno come sono apparsi. Sei come e più di un fratello per me, stai male, e il mio primo pensiero è come fare con Michael e questa storia che ci danno la caccia, invece di occuparmi di te. E’ ora di finirla. E’ stato bello finché è durato, ok? E’ stata una bella avventura e non rinnego niente, ma è ora di finirla. Siamo due ragazzi di diciannove e ventuno anni e cominceremo a vivere come tali.»

«Sharon non c’entra niente con questa decisione vero?»

Uno dei lati negativi di avere accanto uno come Juna, era che puntualmente capiva anche quello che lui non arrivava neanche a pensare.

Quel ragazzo lo conosceva troppo bene, ecco la triste verità.

«Stai cercando di dirmi che rimarresti agli ordini di Richard e Matthew anche senza di me?» cercò di riportare il discorso dove gli interessava.

Juna, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di collaborare. «Vuoi, per una volta in vita tua, rispondere ad una mia domanda senza una domanda?»

«Credo di essere innamorato di Sharon, e se tu ne avessi un po’ meno a cui star dietro, probabilmente ti saresti accorto che la tua voce cambia quando ti rivolgi a Jennifer. Ricordo perfettamente il patto che abbiamo fatto quando decidemmo di diventare agenti segreti… devo ricordartelo punto per punto?»

Regola numero uno: insieme o niente. Ognuno di loro teneva troppo all’altro per fidarsi di un’altra persona. Regola numero due: se uno solo di loro si fosse stancato di quella vita, avrebbero mollato entrambi. Regola numero tre: niente casini sentimentali. Dovevano mantenere intatta la loro indipendenza e il loro lato cattivo.

I punti salienti erano tutti qui.

«No, basta ricordarsi i primi tre.»

«Non saremo mai completamente fuori da questa storia fino a quando la situazione creatasi con il ritrovamento di Michael non sarà sistemata, non pensare che non me ne renda conto, ma questa sarà la nostra ultima missione Juna.»

Aspettò la risposta dell’amico, era pronto a dargli battaglia senza il minimo rimorso per le sue attuali condizioni di salute.

«D’accordo. Chiama Matthew e avvisalo di quello che abbiamo deciso.»

Si rilassò.

«Adesso parlerò con Michael. Tu prendi queste pasticche, sono già sciolte nell’acqua, dovrebbero buttarti giù la febbre. Tornando un attimo al professor McIntyre, dimmelo subito: collaborerai anche in questo o devo trasferirmi in questa stanza?»

«Ti ha detto che se sgarro mi interna in ospedale e butta via la chiave?»

«No, ma lo prendo come un tuo tacito assenso alla collaborazione.»

Juna si alzò su un avambraccio, «Dammi quella porcheria.»

Nel passargli il bicchiere gli toccò la mano e si trattenne a stento dal bestemmiare: era bollente.

«A quanto hai la febbre?»

«Quando sono arrivato a casa era abbondantemente sopra i quaranta.» Buttò giù tutto il bicchiere in un fiato, «Che schifo, ma cosa è?»

«Appena ti rimetti in piedi te le suono di santa ragione Juna.»

«Bisogna vedere se io starò fermo a prenderle.»

«Saranno almeno in dodici a darmi man forte.»

«Tredici con Alison, mi sa.»

«Quattordici con Sharon, appena saprà cosa hai fatto passare a Jennifer.»

«Togliti quell’espressione soddisfatta dalla faccia Drake.»

«Rimettiti sotto le coperte, e non cercare di rimanere sveglio adesso: queste pasticche sono autentiche bombe. Torno a trovarti domani.»

«Va bene…» rimase in silenzio il tempo di farlo alzare dalla sedia, poi… «Drake?»

«Cosa?»

«C’è una… una cosa di cui non ti ho mai parlato. Riguarda la mia nascita. Non farne parola con anima viva, i miei vivono tranquilli perché convinti che io non sappia niente. Prometto che appena mi rimetto in piedi affronteremo il discorso.»

Rimase un attimo senza parole, poi capì tutto «Me ne hai accennato adesso per costringermi ad impedirti di cambiare idea e rimandare ancora, vero?»

«Dovresti fare anche tu un test di intelligenza, Drake… i risultati potrebbero sorprenderti.»

Aprì bocca per dirgli esattamente cosa pensava di lui in quel momento, ma Juna riprese «Quando chiederai a Sharon di diventare la tua ragazza?»

«Prima ho un paio di cosette da sistemare.»

«Credo che sia la ragazza giusta per te sai? Peccato è mora.»

Non riuscì a trattenere un sorriso, «Caso vuole che Jennifer sia bionda.»

«Ah, se n’è accorto anche Justin.»

«Mettiti a dormire, accidenti a te.»

Juna non rispose neanche.

Il giorno che avrebbero smesso di affrontare anche la situazione più disperata in modo scanzonato, avrebbe veramente cominciato a preoccuparsi.

 

Il leggero bussare alla porta le diede la scusa che cercava per staccarsi dai libri. «Avanti» disse sottovoce.

Fece capolino Drake. «Ciao.»

Istintivamente guardò i due bambini sul letto, si erano addormentati.

Drake entrò nella stanza e le fece segno di non svegliarli.

Prese la sedia davanti al tavolino da trucco e la spostò accanto alla sua, «Come stai?» le chiese sedendosi.

Drake era davvero bello. Poco da dire o da fare, poteva capire Sharon.

«Come una sopravvissuta ad un uragano. Hai visto Juna?»

Drake annuì, «Si è addormento adesso.»

«Come sta?»

«Adesso sta splendidamente, in confronto a quando gli metterò le mani addosso.»

Il colpo per Drake doveva essere stato brutto: non sorrideva.

«Lo hai detto meno di un mese fa, ricordi?»

Drake la guardò sorpreso, «Te lo ricordi anche te eh? Lasciamo perdere guarda. Se non l’ammazzo io, arriva ai cent’anni volando.»

Sorrise, «Sharon la pensa allo stesso modo su di me.»

Anche il ragazzo sorrise, «Non è un complimento sai Jennie? Non sorriderei così soddisfatta. L’hai già avvisata di questo nuovo cataclisma?»

«No. So che vi sentite stasera, ci pensi tu?»

«Sarà un piacere» disse rassegnato. Guardò suo fratello e Melissa, «I due puffi?»

«Melissa… beh, ha avuto una reazione nella norma… per così dire. Michael mi ha completamente spiazzata.»

«Il fascino di Juna non perdona, è proprio vero.»

Stava cercando di scherzare, ma si vedeva che era preoccupato.

Scoprì che le faceva tenerezza.

Lo vide alzarsi e sedersi sul letto accanto ai due bambini.

Sfiorò il braccio di Michael che si svegliò subito.

«Drake!» esclamò subito sveglio e lucido gettandosi fra le sue braccia… seguito a ruota da Melissa.

«Oh Drake è successa una cosa terribile!» esclamò la bambina.

«So già tutto, ho visto Juna poco fa e finalmente si è addormentato.»

«Come sta?» chiese suo fratello.

«Adesso non molto bene, ha la febbre alta… ma tornerà come nuovo.»

«Resti qui con lui?»

Rimase spiazzata dalla domanda, Drake invece sembrava averla messa in preventivo come la cosa più ovvia.

Il legame che esisteva fra Juna e Drake andava oltre la logica umana, realizzò all’improvviso.

«Se farà ammattire Manaar per prendere le medicine, puoi star certo che verrò di persona a fargliele ingoiare.»

Melissa asserì con la testa.

L’istinto della chioccia che quella bambina aveva verso Juna sembrava escludere Drake: lui era libero di fare quello che voleva, anche batterlo contro un muro.

«C’è anche la tua mamma?» chiese Melissa «Mi piacerebbe salutarla.»

«Certo che c’è, è con Manaar adesso. Sono sicuro che le farà piacere vederti.»

«Possiamo venire anche io e Jennie?» chiese suo fratello.

«Ma Micky…»

«Ma certo! Nessun problema!»

Quindi scesero in gruppo.

Drake era la fotocopia al maschile di sua madre, una bellissima donna al pari di Manaar.

Fatte le presentazioni, Jessica si rivolse a Melissa «Cerca di non farmi impazzire Manaar adesso, intese signorina?»

Melissa sorrise appena, «Tanto ci pensa tuo figlio adesso.»

Drake alzò lo sguardo al cielo, «Capito mamma? Puoi stare tranquilla!»

«Rimanete a cena vero?» chiese Manaar «Brian è già partito?»

«Aveva l’aereo alle dieci stamani» rispose Jessica. «Non vedeva l’ora di partire dopo quello che mi ha combinato.»

Drake ridacchiò, «Dai mamma, è naturale per un figlio andare a vivere da solo.»

Manaar sgranò gli occhi, «Cos’è questa novità?» chiese.

«Ancora non glielo hai detto?»

Jessica alzò lo sguardo al cielo, pari pari suo figlio «Aspettavo un momento tranquillo.»

«Come sta Juna?» chiese Manaar a Drake.

«Dorme come un angioletto.»

Esempio meno calzante non poteva trovarlo.

Manaar prese a braccetto Jessica e la riportò in salone, «Abbiamo tutto il tempo del mondo, dimmi cosa ha combinato il tuo consorte.»

«E’ per l’attico vero?» chiese al ragazzo quando le due donne furono ragionevolmente lontane.

«Ne hai dubitato anche per un solo istante?»

 

Aveva l’impressione di aver svaligiato la farmacia, e la cosa non gli piaceva affatto.

«Come stai?» gli chiese improvvisamente suo fratello.

Erano almeno vent’anni che Paul non gli rivolgeva una domanda del genere.

«Credo che sotto shock sia la definizione che più si avvicina.»

«Juna ha una fibra forte, supererà anche questa, vedrai.»

«Avrebbe potuto spaccarsi la testa in ufficio, tua figlia non ha esagerato. Se avesse preso lo spigolo della scrivania invece che a casa avrei dovuto portarlo direttamente all’obitorio. Ho un monumento all’incoscienza a grandezza naturale come erede.»

Sentì il fratello ridacchiare, «Ho sempre apprezzato il tuo senso dell’umorismo Connor.»

Le sue labbra si piegarono contro il suo volere e di lì a poco ridevano tutti e due.

«Ora va meglio» continuò Paul. «Non è nello stile McGregory affrontare le situazioni, anche le più preoccupanti, con il broncio.»

«Grazie per avermelo ricordato.»

«Credo che a casa troveremo anche Drake.»

«E’ poco ma è sicuro. Probabilmente anche Jessie. Per come si sono delineate le cose mi aspettavo di dover mettere a letto anche Manaar. E’ stata una mazzata per lei.»

«Connor… hai notato Michael?»

Gli lanciò un’occhiata.

L’aveva notato e come. Melissa era quasi nel panico… Michael addirittura terrorizzato.

«Sì.»

«Sto ringraziando il Signore di avere dei figli già grandi, ti giuro. Nei panni di Ryan o Jeremy non saprei dove sbattere la testa. Ci deve essere una spiegazione.»

«Sto pensando di andare a parlare con questa dottoressa Horgan» ammise per la prima volta ad alta voce. «Magari farle incontrare Juna, anche casualmente. Manaar mi staccherebbe la testa se solo immaginasse quali pensieri mi affollano la mente, quindi se non vuoi diventare il presidente della compagnia tienitelo per te.»

Paul sbuffò, «Non ci tengo minimamente» lo tranquillizzò.

«A volte mi sembra di non conoscere affatto mio figlio, Paul. Prendi questi mal di testa… sto veramente iniziando a chiedermi se ho davvero avuto cura di lui fino ad oggi.»

«Sai Connor… pensavo… ho sentito Juna nominare il professor Cowley poco tempo fa, ma non riesco a ricordare quando è stata l’ultima volta che gli ho sentito dire vado da George a fare gli esercizi

Ci mise qualche secondo a fare mente locale. «Sai che hai ragione?»

«E se Juna avesse smesso di farli?»

Per poco inchiodò sul posto.

Con uno sforzo enorme si costrinse a non frenare né accelerare… ma le nocche gli divennero bianche intorno al volante.

Dio che pezzo di idiota.

«Devo… devo parlarne con Manaar. Dannazione Paul, potresti avere ragione.»

«Me lo ha fatto notare Just. Ho realizzato che mio figlio sta più attento a suo cugino di quanto abbia mai lontanamente immaginato.»

Certo stava più attento di suo zio.

 

 

 

______________________________________________

 

NOTE:

 

giunigiu95: ;) Sì sono una femminuccia! XD Hai evitato la figuraccia! Grazie per i complimenti, apprezzatissimi!

   
 
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