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Autore: TeenAngelita_92    09/02/2015    5 recensioni
"Fu l’ultima cosa che le disse, le ultime parole che la sua bocca tremante riuscì a pronunciare prima che il respiro diventasse tremendamente corto e che le sue labbra chiedessero disperatamente di lei.
E le accontentò, accontento le sue labbra e quel suo disperato bisogno di tornare a sentire che sapore aveva la sua bocca che da troppo tempo ormai non aveva più sfiorato, quasi temendo di averne dimenticato la sensazione."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Francisca Montenegro, Nuovo personaggio, Raimundo Ulloa
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Spazio Autrice:
Very very very well. Come promesso, eccomi tornata con uno dei miei "esperimenti" (o "scleri di fantasia") su questi due spappolatori di feels (specialmente i miei) che, sinceramente, io sto iniziando ad amare sempre di più. Stavolta purtroppo (e dico purtroppo perchè so che vi sto già annoiando, e vi chiedo immensamente scusa) ho optato per mettere lo spazio autrice all'inizio di questo mio... uhm, come dire, prologo, introduzione o come preferite chiamarlo, per spiegare alcuni particolari di quest'ultimo. E da qualche mese che ho iniziato a seguire Il Segreto sul canale spagnolo online (vedendo quindi le puntante in diretta).
Come sicuramente saprete, in Spagna sono già alla puntata 1004/1005, dunque mooolto più lontani di noi. Esattamente nella puntata 1000, andata in onda in Spagna il 2 Febbraio, c'è stata una meravigliosa scena tra questi due (che non voglio rivelarvi nel caso non l'aveste vista, non voglio assolutamente rovinarvi la sorpresa) da cui parte questo mio racconto (che più precisamente descrive alcuni momenti tra loro due delle puntate 1000/1002/1003). Vi dico questo poichè, come vi dicevo prima, trattandosi di Spoiler, nel caso non ne foste assolutamente a conoscenza o non l'aveste vista, non voglio rovinarvi la sorpresa.
In caso contrario, spero possa incuriosirvi la mia versione/continuazione di queste scene tra loro. Inoltre, sono presenti anche personaggi nuovi (ovviamente) come il giovane Bosco, o la simpatica cameriera Fe.  Eh niente, un ultima spiegazione va al mio tentativo e alla mia insistenza nel voler trascrivere l'esatto scambio di battute tra i due nella puntata spagnola, anche se mi sono resa conto che le frasi suonavano meravigliosamente meglio dette in spagnolo che in italiano (in caso di errori, perdonatemi, studio spagnolo da soli due anni e sto ancora imparando). Bene, dopo avervi già stancato ed obbligato a chiudere letteralmente il computer, vi ringrazio solo per la vostra attenzione ed infinita pazienza e spero che il piccolo inizio di questo mio nuovo racconto possa incuriosirvi e piacervi. 
Come sempre, attendo vostre opinioni o consigli, sono importantissimi per me. 
Buonissima lettura.
TeenAngelita_92



 
Urgencia de ti.
 
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“Cosa ti porta da me? Vieni a vendicarti? Vieni a rimproverarmi che tua nipote sia libera ora, e che io non sia un’assassina?
Cos’è che vuoi da me? Rispondi.”
“Tutto”
“Di cosa stai parlando?”
“La mia esistenza è stata una sofferenza da quando ho commesso l’errore più grande della mia vita: separarmi da te.”


Continuavano. Quelle sue sussurrate e delicate parole continuavano, insistenti e forti, a risuonare nella sua testa. Un eco, pareva un eco ora la sua voce dolce e calda, un eco continuo non abbastanza lontano a cui forse non avrebbe mai più potuto mettere fine.
Erano parole d’amore quelle con cui Raimundo le aveva fatto visita qualche mese prima, parole d’amore che da quel momento non era più riuscita a togliersi dalla testa. Tuttavia, per quanto avesse voluto, non erano state solo quelle sue parole, quella sua voce e quei suoi occhi a non volerla più lasciare in pace, a non voler più abbandonare i suoi pensieri, ma anche quelle sue braccia che con forza e disperato bisogno di lei l’avevano stretta al suo corpo, quelle mani che con il loro cosi delicato tocco le avevano sfiorato più volte il viso, quasi come a volerle imprimere per sempre nella sua pelle e poi… Strinse gli occhi in una smorfia definibile di dolore al solo ricordo: e poi c’erano le sue labbra, quelle sue labbra, ricordò.

“Non sono una buona persona, Raimundo.”
“Lo so.”
“Per quanto io possa amarti, ti farei del male.”
“Lo so.”


Lei ci aveva provato, avevo provato ad avvertirlo di ciò che per anni era stata, ma Raimundo non aveva bisogno di avvertimenti, lui non aveva bisogno di conoscere altro della donna che per tanti, troppi anni aveva desiderato senza tregua.
Ma forse non erano per lui quei suoi avvertimenti, non erano per lui ma per se stessa. Semplicemente vani tentativi di non cadere nella trappola che l’aveva resa cosi fredda e orgogliosa, cosi forte e cattiva contro il destino che sembrava essersi accanito a lei. Vani tentativi di non cadere ancora nella trappola dell’amore che più di una volta l’aveva resa schiava delle lacrime e della solitudine, schiava di troppe emozioni contrastanti che credeva di non dover sentire, che credeva non essere adatte ad una Montenegro. 
Non ci fu bisogno di richiamarli alla mente quei ricordi per poter affermare con certezza quali erano state le sue precise parole. Non ci fu bisogno di chiudere gli occhi, stringerli forte e andare alla ricerca dei più piccoli ma più importanti dettagli di quel loro incontro, perché quest’ultimo era sempre stato li, conservato dentro di lei come la cosa più preziosa che la vita avesse mai potuto darle. Era stato li per interi mesi, salato fuori di tanto in tanto nei suoi momenti di solitudine e di malinconia, accompagnati da lacrime amare.
Suo malgrado ne aveva bisogno, lei aveva bisogno di ricordare il sapore delle sue labbra, la soave forma della sua bocca.

“Allora… Perché?”
“Perché la mia pelle ed il mio sangue, la mia testa ed i miei sogni non fanno altro che desiderarti.”
“Questa è una pazzia.”
“Sia cosi…”


Fu l’ultima cosa che le disse, le ultime parole che la sua bocca tremante riuscì a pronunciare prima che il respiro diventasse tremendamente corto e che le sue labbra chiedessero disperatamente di lei.
E le accontentò, accontento le sue labbra e quel suo disperato bisogno di tornare a sentire che sapore aveva la sua bocca che da troppo tempo ormai non aveva più sfiorato, quasi temendo di averne dimenticato la sensazione.
Se ne impadronì come convinto e sicuro che fosse sua, che fosse sempre stata sua. Le sue mani vagarono desiderose di tornare ad accarezzare la sua bianca e delicata pelle che per sua fortuna, il vestito che indossava lasciava intravedere perfettamente. Sfiorò cauto il suo collo, timoroso di un suo rifiuto, ancora ignaro del fatto che ormai, tra le sue forti braccia e le sue soffici labbra, Francisca non avrebbe più avuto via d’uscita, né ne avrebbe più voluto una.
Un brivido percorse la sua schiena in modo terribilmente lento quando l’illusione di poter ancora sentire le sue labbra premere sulla sua pelle e le sue mani accarezzarla, si impadronì dei suoi pensieri.
Avrebbe dato tutto pur di rivivere quell’istante, avrebbe dato la sua stessa vita se solo prima di morire, lui l’avesse baciata un ultima volta in quel modo, con quello stesso desiderio e quella stessa passione.

“Che ti succede?”
“Questo è un errore, Francisca.”
“Lo è, però è successo. Hai deciso di abbandonarti alla pazzia, approfittiamo di essa.”
“Se fosse per me ti seguirei fino all’inferno per godere del tuo abbraccio, ma…
Maledetta memoria.”


Era bastato un solo attimo, un solo maledetto attimo per far si che i suoi leggeri gemiti si fermassero, per far si che le mani di lui le stringessero il viso per allontanarla, per far si che le sue labbra rosse e gonfie riprendessero a parlare come pochi attimi prima, mentre gli occhi suoi la guardavano come a scusarsi, come a non volerle fare troppo male.
“E’ un errore.” le aveva detto. “Maledetta memoria…” aveva continuato ed in quell’istante le parve di non poter più sentire la terra sotto i suoi piedi, ne il cuore batterle nel petto.
Tutto, per un istante, quell’istante, si era fermato.
Memoria? Cos’era la memoria ora, dopo tutti quegli anni? Quanta forza aveva per impedirgli ancora di essere felici?
Ricordò che altro non aveva saputo fare che sorridere alle sue parole, un triste e disperato sorriso le si disegnò sul volto mentre con mani tremanti gli accarezzò più volte la fronte e la folta barba, guardandolo come chissà quale angelo fosse.
Provò a riavvicinarlo a se come per convincerlo a non andarsene ancora, a non lasciarla ancora ma questo a nulla servì.

“Dimentica che sono stato qui. Dimenticati di me, Francisca.”

La velocità e l’intensità di quelle parole le si piantarono dritte nel petto, ancora, provocandole un dolore paragonabile a quello di cento pugnali.
Dimenticarsi di lui? Dimenticare?
Come? Come dimenticare lui? Come dimenticare le sue mani, le sue braccia sicure, il suo calore, i suoi occhi scuri, la sua voce calma e rassicurante?
Era come chiederle di rinunciare al paradiso dopo esserci stata per troppo tempo.
Paura? Si era chiesta più volte. Era forse stata paura la sua? Quella che l’aveva convinto ad allontanarsi, a porre ancora una volta tra di loro, quella immaginaria barriera cosi forte e indistruttibile che per anni li aveva divisi. Era stato questo?
E aveva provato a darsi la colpa, aveva provato a pensare che forse aveva sbagliato qualcosa, che non avrebbe dovuto lasciarsi andare. Aveva provato a cercare milioni di inutili e ripetitive spiegazioni per poter giustificare quel suo comportamento, ma nessuna sembrava credibile abbastanza da permetterle di rassegnarsi, di mettersi l’anima in pace e forse mai nessuna ce ne sarebbe stata in grado di farlo.

“Dimenticarmi di te?
Neanche se vivessi mille anni.”


Ricordò di aver pensato, poi più niente, buio.
Chiuse gli occhi e si strinse il più forte possibile in un disperato abbraccio, ma questo non servì a sollevarla dalla terribile pena che provò, non potevano le sue stesse braccia salvarla da tutto questo, non erano le sue stesse braccia che voleva intorno a se, ma quelle di Raimundo, quelle che ora le avevano ormai lasciato un vuoto che forse nessun’altro avrebbe più potuto colmare.
“Signora.”
La forte voce di Bosco la fece sobbalzare, interrompendo il veloce e continuo flusso di pensieri che ormai da ore l’accompagnava, insieme alla pioggia che fuori dalla finestra del suo ufficio continuava insistente a battere conto i suoi vetri.
Quel rumore e quelle gocce d’acqua sembravano essere state il suo unico sollievo.
“Come vi sentite oggi?”
“Meravigliosamente, figliolo.” finse, mostrando uno dei sorrisi più grandi che potesse mai riuscire a fare.
“Perdonatemi se insisto ma, ne siete sicura?”
“Certo che si Bosco, cos’è tutta questa improvvisa preoccupazione?”
“Non avete cenato con noi stasera, ed io e mia moglie Amalia ci siamo preoccupati. Inoltre Fe mi ha riferito che avete passato qui, chiusa nel vostro ufficio, quasi tutto il giorno e che ha percepito che voi non steste bene.” le spiegò, realmente preoccupato il giovane. “E poi sapete com’è fatta, ha iniziato a parlare talmente veloce che ho dovuto fermala per riuscire a capire qualcosa.”
“Fe…” rise tra se e se, con aria rassegata. “Non capisco perché abbia dovuto raccontarti di come ho trascorso io la giornata quando in realtà è alla tua sposa ed al tuo bambino che dovresti pensare ora.” Affermò, lievemente irritata “Ancora mi chiedo quando mi deciderò a mandarla via.”
Seguirono secondi di puro silenzio dopo quelle sue ultime parole, secondi dei quali il giovane Bosco si servì per indagare ancora un po’ sul vero stato d’animo della donna che aveva davanti a se.
“Ma non è Fe il vero tormento dei vostri pensieri, signora. Mi sbaglio?” le chiese, ma sapeva già fin troppo bene qual’era la vera risposta alla sua domanda.
“Figliolo, va dalla tua sposa ed il tuo bambino, devi…”
“Signora, mio figlio dorme placidamente ora.” la interruppe “Ed anche la mia sposa e… Mi piacerebbe approfittare dell’unico momento di pace che questa lunga giornata mi ha regalato, per aiutarvi a liberarvi di questi vostri cosi numerosi pensieri.” le confessò sorridendo. Un’espressione sincera e tenera giaceva sul viso del giovane ragazzo, che davvero sembrava essere preoccupato e voglioso di aiutarla a risolvere qualunque cosa la inducesse a chiudersi in quel suo “rifugio”, a guardare fisso i vetri della sua finestra mentre veloci gocce di pioggia picchiettavano con forza su di esse, ad abbassare lo sguardo come se uno dei suoi tanti ricordi, passando, avesse lasciato ceneri e resti di qualcosa ormai morto o troppo doloroso per lei. Le dava quasi l’idea di suo figlio Tristan, quando ancora poteva davvero definirlo “figlio”, quando ancora lui poteva davvero definirla “madre”, quando lo preoccupava tutto ciò che le accadeva e la stringeva a se senza bisogno di parole o richieste.
“Non sono il tipo di persona a cui piace molto parlare, Bosco, soprattutto di se stessa. Non sarei in grado di spiegare cosa davvero ha completamente rapito la mia mente ultimamente, non sarei in grado in quanto io stessa non riesco a capirlo.” gli spiegò, sperando che quelle sue poche ma sincere parole fossero abbastanza per poterlo distogliere dall’idea di voler sapere il tormento dei suoi pensieri, abbastanza per indurlo a rassegnarsi.
“Raimundo Ulloa.” il giovane pronunciò quel nome, il suo nome, senza alcun preavviso, cosi velocemente da lasciarla spiazzata, completamente immobile, inerme, nell’impossibilità di muovere qualunque muscolo del suo corpo.
Restò ferma a fissarlo, ancora indecisa se annuire semplicemente ed arrendersi o mentire ancora, e tentare di continuare nel suo intento di voler dissuaderlo da quella sua idea. L’unica certezza era l’alquanto anormale battito del suo cuore, deciso improvvisamente ad uscirle dal petto ed il brivido che in pochi secondi si era fatto spazio sulla sua pelle.
“Rai… Raimundo?” abbassò lo sguardo e pronunciò il suo nome con fare interrogativo, cercando di apparire perlomeno sorpresa.
“Ho saputo che avete avuto uno spiacevole incontro con lui qualche giorno fa, in piazza, davanti alla sua locanda.” spiegò lui.
“Sai abbastanza dettagli per averlo saputo da fonti esterne. Non credi?” notò lei con una punta di fastidio e curiosità nelle parole.
“E voi non siete abbastanza brava nel mentire. Non credete?” le rispose deciso.
“Non sono abbastanza brava perché non ti sto mentendo, ma ciò che ti sto dicendo è la pura verità. Non so cosa centri ora quel locandiere e quanta importanza possa avere per…”
“Non lo avete dimenticato quando avreste dovuto, non lo avete dimenticato dopo ogni volta che con rancore ed odio avete deciso di farvi del male a vicenda… E non lo avete dimenticato quando vi ha detto di non volerne più sapere di voi.” la interruppe ancora, fermandosi solo dopo essersi accorto di aver attirato la sua completa attenzione.
“Ed allora mi chiedo: come potreste ora?” le chiese, infine.
E l’unica cosa che avrebbe voluto fare era urlare, lasciar cadere lacrime trattenute per troppo tempo ed urlare a quell'aria cosi malinconia e soffocante che ora respirava, che era esattamente questo il tormento dei suoi pensieri: dimenticarlo.
“Come potrei ora…” ripetè a se stessa sussurrando. “Sembra cosi difficile.” rise guardando il giovane ragazzo, stranito di quella sua reazione. “Sembra cosi difficile ma in realtà non lo è.” rise ancora. “Se solo io…”
“Signora…” la fermò quando si rese conto dei suoi occhi ormai velati da uno strato troppo spesso di lacrime, per non lasciarle cadere.
“Se solo io sapessi come, Bosco.” Sorrise stavolta, stringendo duramente le labbra e lasciando che la prima delle forse innumerevoli lacrime, cadesse senza impedirlo. “Se solo io sapessi come…” ripetè ancora.
Ma la realtà era ben diversa: seppure avesse saputo come fare, qualunque modo questo implicasse… Non avrebbe mai dimenticato l’uomo che per anni aveva continuato ad amare con la stessa intensità del primo giorno, l’uomo che purtroppo ancora amava.

 
  
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