Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: mattmary15    10/02/2015    1 recensioni
Il sangue sulle mani colava a sporcare i polsini dell’uniforme. Il battito del suo cuore, accelerato e assordante, lo faceva respirare a fatica. Gli occhi sbarrati e fissati sul corpo esanime della donna. Uno squarcio profondo l’aveva aperta dalla clavicola destra al fianco sinistro.
“Mei”, sussurrò senza avere il coraggio di guardare il cadavere.
Prese un respiro più profondo e abbassò il capo. Mei aveva gli occhi blu ancora aperti. Il viso contratto in una smorfia di paura e dolore. Desiderava con tutto il suo cuore passarle una mano sul viso. Forse per chiuderle gli occhi, forse per darle quella carezza di cui l’aveva sempre privata.
Il contatto fisico tra un celebrante e un alfiere è proibito se non è finalizzato alla battaglia. Strinse in un pugno una ciocca dei suoi capelli ramati e fissò lo sguardo sulla profonda ferita che l’aveva quasi spezzata in due. Voleva imprimersi nella mente quel dolore. Voleva fare in modo di ricordare per sempre cosa significa far parte dell’Elité.
“Siamo solo carne da macello, Mei. Non esistiamo come individui. Siamo armi da combattimento. Possiamo morire o vivere per ricominciare a combattere”.
Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Piccole note d'intro:
Innazitutto grazie a tutti quelli che seguono la storia e l'hanno recensita, inserita tra le seguite o semplicemente letta.
Mi rendo conto che è una storia un po' difficile da seguire perchè presenta molteplici personaggi, è ambientata in un futuro non facile da immaginare e presenta, per ogni capitolo, un salto temporale che complica le cose.
Tengo molto a questa storia e spero che troviate la pazienza per continuare a seguirla.
Per dare una mano vi anticipo alcune cose del capitolo che state per leggere.
Arrivano i cattivi (ed era ora!). I nemici oltre a disporre dei Golem (già presentati nei precedenti capitoli) usano i Mecha. Si trattano di semplici robot (li immagino come i Robotech). Alla prossima.

Non è un'esercitazione

~~
Tokyo, Maggio 2515

Akito Konai era stato molte persone da quando era entrato nell’Elité. Era stato uno assassino capace di attaccare nel buio e recidere la giugulare di un uomo con una scheggia di vetro, una spia dalla voce melliflua in grado di fare innamorare uomini e donne per ottenere informazioni, un cecchino letale dal potere di regolare il respiro del proprio diaframma con quello della sua vittima. In ogni caso, mai era stato capace di essere paziente. La maggior parte dei suoi incarichi, prima di diventare l’alfiere nero, si erano risolti, quasi sempre, in un bagno di sangue di pochi minuti.
Per questo ora torturava il bordo del cilindro di platino che si passava da una mano all’altra. L’indicazione di AI era stata chiara: raggiungere il punto alfa della mappa che gli aveva trasmesso online e aspettare. Il gioco di ruolo che dovevano fare non era particolarmente complesso. Avrebbero liberato nella zona un paio di Golem e la caccia avrebbe avuto inizio.
Al suo fianco, Akane Namura ripassava le informazioni sul territorio. Il punto alfa altro non era che un distributore di carburante abbandonato nella periferia di Shinagawa. Akane era certa che, sotto i loro piedi,  le cisterne fossero ancora piene di benzina. Se non ci fosse stata una qualche sorta di pericolo, AI non li avrebbe mandati lì. Individuò un posto che riteneva valido per attivare il legame e cercò eventuali vie di fuga nel caso in cui AI tentasse di simulare un attacco diretto come quello in cui era morta Hinata.
La voce di Akito la fece sussultare.
“Non pensarci neppure per un istante.”
“A cosa?”
“Che qualcosa possa attaccarti direttamente mentre io impugno Amon. Tu pensa a concentrarti e andrà tutto come al solito. Finirà prima che tu ti renda conto di aver attivato il legame.”
“Non sono preoccupata, Akito, male interpreti il mio silenzio.”
“Allora perché hai la faccia di una che sta per essere sgozzata?”
“Pensavo allo scudo elementale.”
“Hanno detto di non usarlo” fece Akito continuando a giocherellare con Amon.
“Mi domando come lo sapessero”, disse Akane.
“Sapessero cosa?”
“Che il mio elemento è il fulmine. Non siamo mai stati sottoposti a questo tipo di esame. Lo studio della tecnologia elementale è stato eliminato dopo l’Esplosione.”
“Forse è solo un caso.”
“Non credo che AI faccia qualcosa per caso. Inoltre so per certo che l’elemento di Yui è l’aria. Non può essere una coincidenza che abbiano scelto il suo elemento per la sua weapon.”
Akito si rabbuiò ma non era il tipo da dare peso alle cose che non poteva controllare. Questo gli aveva salvato la vita un mucchio di volte e lo aveva portato vicino alla morte in altrettante.
“Sai, Akane, non dovresti nemmeno sapere cosa sono gli elementi. Li hanno banditi perché i nostri predecessori li hanno usati per sovvertire l’ordine e imporre una dittatura. Lascia perdere ciò che non riguarda la missione. Piuttosto, dimmi, dove deve posizionarsi la squadra rossa?”
“Perché me lo chiedi? La nostra missione non è cacciare i componenti della squadra rossa!”
“Questo AI non l’ha detto!” sorrise Konai.
In quel momento il beep del comunicatore da polso di Akito li interruppe. La voce che fuoriusciva dall’apparecchio era di Ryu.
“Qui è l’araldo bianco, Amon, rispondi.”
“Amon online, parla pure Rasha.”
“Qualcosa di veloce si muove nella vostra direzione. La sto inseguendo lungo la costa ma tra poco sarà fuori dalla portata di Jadeis per cui dovrò lasciarla andare. Fate attenzione è più grande di un mecha ma non emette le radiazioni dei Golem.”
“Bene. Lasciala a noi. Ora la vedo sul trasponder. Qualunque cosa sia, considerala distrutta. Offline.”
Akane raggiunse la postazione che aveva individuato poco prima e attivò il microchip nero su Kunzis.
“AI, attivo Kunzis.” La voce metallica del computer centrale non tardò a rispondere alla celebrante.
“Sequenza Kunzis attivata correttamente.”
“Legame” sussurrò la ragazza nell’uniforme nera mentre scintille di luce si disperdevano dal bracciale stretto al suo avambraccio. Akito percepì immediatamente il cambiamento in Amon. Dalle due estremità del cilindro si espanse la lancia da battaglia che era tanto più grande e resistente quanto più lo era il legame tra l’alfiere e il celebrante. Il ragazzo si lanciò incontro al suo obiettivo a gran velocità e lo intercettò a poche decine di metri da loro.
Ryu aveva detto che non era un mecha e non sembrava un golem. Si fermò di fronte ad una nuvola di polvere credendo di aver trovato il suo nemico, l’oggetto da annientare.
Quando però la polvere si dissolse e Akito riuscì a vedere il suo nemico, capì che aveva commesso un errore a dare per scontato che, per quel giorno, il suo avversario fosse AI.
Non fece un passo indietro, non mostrò alcun cedimento. Non era nella sua natura. Strinse solo un po’ più forte Amon e la voce di Akane gli arrivò dritta nella sua testa.
“Che succede, Akito?”
“Abbiamo visite”, disse con calma il ragazzo ma il ghigno nella sua voce non sfuggì alla sua celebrante.
“E’ nel database?”
“Non l’ho mai vista prima.”
“Lasciami guardare”, disse Akane chiedendo il permesso ad Akito di usare la sua vista attraverso il legame.
“Tu pensa a concentrarti. Qui me la sbrigo io.”
Akito fissò il suo avversario dritto negli occhi. Erano occhi color ametista piantati in un viso tagliente e pallido. Aveva lunghi capelli color argento che scivolavano fino alla base della schiena. Il corpo fasciato in una tuta viola era atletico e formoso. L’alfiere nero sapeva di non sbagliare. Era una esp. Una dei sette traditori che avevano fatto saltare in aria la base di Saitama. L’unica tra loro ad essere una donna. Non era un avversario da sottovalutare. Akito sorrise. Finalmente un vero avversario, niente più giochi di ruolo.
“Se ridi, allora non ti rendi conto di ciò che sta per succedere!” disse la donna sfilando una frusta dalla cintola della sua uniforme.
“Al contrario!” esclamò Akito “Rido proprio perché lo so!”
“Sei felice di morire, dunque?” Akito rise di nuovo, stavolta il suo ghigno peggiore.
“Non sono io quello che sta per morire”, fece Akito sollevando Amon. Una scarica elettrica si liberò dalla punta della lancia e si scaricò a terra, poco lontano dall’alfiere. La donna fece un paio di passi verso di lui, per nulla intimorita e fece una cosa che spiazzò il suo avversario. Intonò una canzone. Una specie di nenia di quelle che si usano per fare addormentare i bambini.
“Ti ricordi il mio nome? Ti ricordi il mio nome? L’ho appuntato sul cuore perché non te ne scordi. Ti ricordi il mio viso? Ti ricordi il mio nome? E’ conficcato nel cuore cosicché non lo perdi.”
Mentre cantava, Akito la vide sollevare una mano e dei fulmini si spigionarono da essa. Dal terreno si sollevò una massa informe di energia statica. Un Golem. Non uno di quelli artificiali creati da AI per i loro addestramenti ma uno di quelli veri, di livello cinque. Akito fece un balzo all’indietro ed evitò il primo assalto della creatura. I Golem erano la materializzazione dell’elemento controllato dall’esp e assumevano qualunque aspetto l’esp gli desse nella sua fantasia. Quello di questa donna aveva le sembianze di un gigante di metallo. Akito puntellò i piedi e fece un balzo usando come leva proprio la lancia. Colpì il golem in pieno petto e fece una capriola all’indietro per evitare un secondo affondo della creatura.
“Non potrai evitare il mio cucciolo all’infinito, stupido!”
“Non intendo farlo!” gridò Akito che non voleva ulteriormente ritardare lo scontro diretto “Ora vedrai cosa può fare un alfiere!”
La donna dagli occhi color ametista rise ma Akito non le prestò attenzione. Qualcosa in lui gli suggerì di fissare quanti più particolari di quella esp ma, in quel momento, Akito riuscì solo a pensare alla sua prossima mossa. E la studiò, nella sua mente, fino nei minimi dettagli.
Concentrò tutta la sua forza psico fisica nei pugni e diede energia ad Amon. La lancia sembrò allungarsi ancora e la sua punta prese a risplendere come un diamante. Akito si chinò su un ginocchio e liberò la forza della lancia. Scattò verso l’alto e, saltando prima sull’avambraccio destro del golem e poi sulla sua spalla sinistra, conficcò Amon nella fronte del nemico.
Il golem prese a scuotere la testa e il corpo di Akito con forza. Mano a mano che però i suoi spasmi diminuivano di frequenza, aumentavano di intensità.
“Lascia andare la presa, Akito!” La voce di Akane rimbombò nella testa dell’alfiere perentoria.
“Non ancora!”
“Ora! E’ instabile! Salterà in aria!”
Akito non l’ascoltò. Strinse ancora la lancia e lasciò che il suo potere devastante distruggesse il golem che esplose scaraventandolo contro alcuni edifici diroccati che segnavano il confine tra la costa e la cittadina abbandonata.
La fronte di Akito sanguinava copiosamente. La mano che stringeva Amon doveva essere rotta perché non teneva più saldamente la presa.
Tutto ciò che il ragazzo percepì, insieme alla soddisfazione per aver spazzato via un golem di livello cinque, fu la nenia della esp che si approssimava.
“Ti ricordi il mio nome? Ti ricordi il mio nome? L’ho appuntato sul cuore perché non te ne scordi. Ti ricordi il mio viso? Ti ricordi il mio nome? E’ conficcato nel cuore cosicché non lo perdi. Lasciami dunque prendere il tuo cuore” disse la donna allungando una mano verso Akito “così potrò aggiungerlo alla collezione di quelli che ho spezzato!”
La mano della donna, però, non riuscì a toccare il ragazzo. Una tremenda scarica elettrica la fulminò allontanandola. Lei si sollevò e chiuse gli occhi in cerca della persona che aveva salvato l’alfiere.
“Banshee! Ora basta. Non è lui il nostro obiettivo!” urlò una voce severa “Andiamo via!”
“Non ho finito con lui, Wendigo!”
“Hai finito, invece, Banshee. Va’ via.”
La donna si morse il labbro inferiore come fanno i bambini quando stanno per piangere per un capriccio che non possono soddisfare. Guardò un’ultima volta il ragazzo a terra e si allontanò oltrepassando il suo compagno.
“Non ucciderlo, Wendigo, voglio farlo io la prossima volta”, disse allontanandosi verso l'aereonave che aveva condotto lì il suo superiore. Questi non si mosse ma controllò, con la coda dell’occhio, che ci salisse.
Lui non avrebbe ascoltato quella richiesta. Anche se veniva da Banshee, la più piccola del loro gruppo, la più viziata, la più crudele tra loro. Quella che aveva più demoni seppelliti sotto le ombre della sua anima. Probabilmente per ogni cuore che aveva spezzato nella sua vita precedente all’Esplosione, quando ogni uomo che incrociava il suo sguardo, cadeva ai suoi piedi, ne aveva strappato un altro dal petto dopo che i miserabili capi dell’esercito giapponese l’avevano tradita, ne avevano tagliato le ali, l’avevano ridotta ad un vegetale impossibile da rimettere in piedi.
Le piaceva Banshee. Era l’unica del loro gruppo per cui non provasse una totale, disgustosa, indifferenza. Tuttavia non le avrebbe concesso nulla di più di un inflessibile distacco.
Aveva l’occasione di uccidere un alfiere e prendere una delle mistycal. Non l’avrebbe sprecata. Allungò il braccio bionico che da tempo aveva sostituito quello di carne, ossa e sangue e percepì la scarica elettrica. Sorrise. Davvero la sua celebrante credeva di poterlo proteggere con quello schermo di energia così debole?
Lo spezzò. Ora tra lui e il collo di Akito non c’era più nulla. O forse no. Il calore lo sentì arrivare d’improvviso, prepotente. Saltò per evitare il fendente. Avrebbe riconosciuto il taglio di quella lama anche se fosse stato confuso tra mille.
Astharot.
“Allontanati da lui!” gridò Kei sollevando di nuovo la spada. Alle sue spalle, pochi metri indietro, Maki stringeva i pugni per tenere vivo il legame.
“Credevo che avessi imparato dal tuo errore. Esponi così la tua celebrante?”
“Cosa ti fa credere che sia esposta?”
In quello stesso istante una freccia di luce si conficcò ai piedi di Wendigo. Ryu non era vicino ma la sua mira era perfetta anche da molto, molto lontano e con armi meno precise e potenti di Rashaverak. L’uomo dal braccio bionico rise.
“Meraviglioso rendez-vous. Purtroppo non posso fermarmi. Ad ogni modo, confido che ci rivedremo presto. Splendida celebrante, Kei. Ma non è lei che voglio. Se per avere quella che voglio dovrò uccidere anche questa, lo faro e lo sai.”
Un’ esplosione ad un chilometro fece voltare tutti. Nessuno ebbe un dubbio sul fatto che a saltare in aria, con un tempismo perfetto, fosse stata la pompa di benzina vicino da cui Akane manteneva il legame con Akito.

Osaka, giugno 2512

Il fumo è denso e nauseante. Cosa sta bruciando? Case, alberi, automobili? Le fiamme divorano completamente ogni scaffale su cui i libri che tanto adora hanno trovato posto per secoli. Non ne rimarrà neppure la cenere. Fa forza sulle mani e si alza a sedere. Il rumore dell’esplosione l’ha assordata e percepisce solo indistintamente qualcosa nell’aria. Sono urla? Di certo se c’è ancora gente nell’edificio, sono urla di chi fugge. Questo pensiero la fa istintivamente portare lo sguardo alle gambe. Sono sepolte sotto un consistente strato di calcinacci e un’intera anta del settore ‘poesia classica’ della libreria. Dovrebbe provare terrore perché prendere consapevolezza di essere bloccata in quel luogo significa anche accettare l’idea di essere condannata a morte.
Una seconda esplosione fa tremare il pavimento. Urla. Cosa è accaduto? Un attacco improvviso? E dov’è l’esercito? Possibile che nessuno provi a spegnere le fiamme?
Tentare di liberarsi è fuori discussione. Troppo minuta lei, troppo pesanti le macerie. Chissà perché le viene in mente all’improvviso la tragica fine della regina Cleopatra suicida per non subire l’onta della schiavitù o della morte per mano dei suoi nemici. Lei non ha in comune proprio niente con Cleopatra. Non è bellissima, non è coraggiosa e non sarebbe mai capace di togliersi la vita.
“Nanase!”
Inizialmente pensa di averla immaginata. La voce decisa e calda di Kazuki.
Se non fosse sommersa da quelle macerie, se non fosse in punto di morte, forse potrebbe ancora pensare di diventare una regina. Un’imperatrice anzi. Incoronata insieme a Kazuki nel giorno della sua successione. Kazuki, il primo figlio dell’imperatore, il suo erede, capace di vivere un’esistenza da uomo nonostante il suo rango divino. Questo almeno dicono i libri. Per lei invece Kazuki è un amico d’infanzia. Nulla importa se la sua famiglia l’ha promessa in sposa a quel semidio, se è stata allevata al solo scopo di far ottenere a suo padre quel legame tanto agognato con la famiglia reale.
“Nanase!”
La seconda volta capisce che la voce non è nella sua testa. Si sforza di guardare oltre il fumo e lo vede. E’ ad un paio di metri sopra di lei. Evidentemente il pavimento è crollato e lei è finita tra il terzo e il secondo piano dell’edificio, sospesa tra pezzi di marmo e legno e tappeti che un tempo hanno reso più confortevole passare le ore tra i libri. Prova a sollevare una mano e solo allora si accorge di essere ferita. Tutto il braccio destro è coperto di sangue che fuoriesce dalla spalla o, più probabilmente, dal collo.
“Nanase, non muoverti. Vengo io.”
Quelle parole sono rassicuranti. Sembrano quelle che, da bambini, Kazuki le urlava durante gli infiniti pomeriggi passati a giocare. Allora lei era la principessa in pericolo e lui il suo principe. Da quanti draghi, mostri, belve feroci, tremendi assassini, l’aveva salvata?
Vede Kazuki scivolare lentamente al suo fianco e cominciare a sollevare, pezzo a pezzo, ogni cosa che la tiene bloccata lì sotto.
Quando finalmente riesce a vedere di nuovo i lembi del suo vestito, piange. Il dolore agli arti feriti non è nulla rispetto alla vista delle ossa spezzate che fuoriescono da sotto la stoffa. Kazuki si frappone fra lei e quella visione e le sorride.
“Andrà tutto bene. Ti porto fuori di qui.”
Lei si chiede se ci crede davvero. Si può uscire dall’inferno? Se è Kazuki a dirlo, allora è vero.
Allunga, nonostante il dolore, nonostante la paura, le braccia verso di lui. Toccare la pelle del suo collo le dà come una sorta di speranza che s’infrange un istante più tardi nella terza esplosione.
E’ la più forte e sconquassa ciò che rimane dell’edificio. Quando riapre gli occhi, il terzo piano del palazzo non esiste più. E’ sempre stata una ragazzina ingenua, fiduciosa in tutto e tutti ma non è stupida. Non rimane più molto della vecchia biblioteca. Ciò che le fiamme hanno risparmiato ormai è sprofondato nella voragine di quelle che sono state le fondamenta. Anche ciò che rimane del primo e del secondo piano si mantiene in bilico su pochi pilastri malmessi.
L’odore di bruciato diviene insopportabile, probabilmente perché adesso sa che a bruciare sono persone.
“Nanase!”
Di nuovo il pensiero di morire si allontana. Com’era quel gioco? Lei era la principessa in pericolo poi c’era il suo principe pronto a tutto. Infine, tra loro, sempre l’Oni cattivo che voleva prenderla.
“Nanase, allunga una mano!”
Impossibile. Nessun gesto le verrebbe fuori in modo naturale ora. Solleva lo sguardo e lo vede. Indossa già la divisa delle guardie personali dell’imperatore nonostante sia davvero solo un ragazzo.
“Kei.”
Solo una parola. E’ sempre la voce calda e rassicurante di Kazuki a pronunciare quel nome. Lei si gira a cercarlo e impallidisce, se possibile, ancora di più. Kazuki è rimasto schiacciato da una trave di cemento armato, un braccio tranciato di netto dal gomito in giù.
“Kazuki! Resisti, scendo.”
Solo poche parole. Le uniche che possono uscire dalle labbra sottili di Kei. Le uniche che possono venire fuori dal suo cuore di migliore amico, di fratello, di guardia del corpo.
Non che lei pensi a questo ora. Trema per l’emorragia e la paura. Trema per il non riuscire a staccare gli occhi dal quel braccio amputato e sanguinante.
“No!” L’urlo di Kazuki è un ordine perentorio. Kei si blocca. “Porta in salvo Nanase.”
Come si può descrivere l’espressione di Kei? Da un lato il suo migliore amico che gli ordina di trarre in salvo la ragazza che ama, la sua promessa sposa, dall’altro lei che è quasi priva di sensi.
“Scendo e vi tiro fuori entrambi.”
La speranza è sempre l’ultima a morire, si dice. Kei appartiene di sicuro alla schiera di quelli che la pensano così.
Chi di speranza vive, disperato muore. E’ così, invece, che la pensa Kazuki. Che si trascina nonostante l’emorragia e i resti di quel luogo a schiacciargli la cassa toracica, a pesargli sul cuore. Si trascina fino a lei che non riesce a sostenere il suo sguardo.
“Se vieni quaggiù, ci resti”, gli sente dire come in lontananza, come se non è lei quella che Kazuki sta tentando di sollevare verso Kei “e finirai per non salvare nessuno.”
“Kazuki, il mio dovere è pensare prima a te.”
Quelle parole hanno il potere di calmarla. Ora non sente più i conati di vomito rimbalzarle in gola. Ora sa che Kazuki si salverà. Lo sa perché conosce Kei. L’inflessibile, perfetto Kei. Non è mai accaduto che uno di loro due si sia fatto male mentre giocavano in sua compagnia. Sembra che Kei non badi mai a nulla ma in realtà vede tutto. Lei morirà sapendo che Kazuki è salvo. Vede il braccio del suo migliore amico quasi sfiorare la spalla sana del suo promesso sposo.
“Tira su Nanase prima. E’ un ordine.”
Sleale Kazuki. Come suo solito. Non ha mai avuto la forza di volontà e l’intransigenza di Kei. Conta solo sul suo sangue divino per riuscire in ogni cosa. Sa però che il rispetto su cui sta facendo leva è un sentimento ben radicato in Kei. La sua mano si sposta verso di lei e l’afferra con una forza che è fatta di rabbia perché lui lo sa. E’ un soldato ormai. Sente il pavimento tremare, sa che non appena il peso, per quanto lieve, della ragazza verrà sollevato, cederà senza dargli alcuna possibilità di afferrare anche l’altro.
Esita e Kazuki se ne accorge. Lei se ne accorge. Sorride perché Kei è un puro. Non ha mai dato un prezzo alle cose come Kazuki. In fondo se fossero a posizioni invertite, lui l’avrebbe già tirata su senza darsi troppo pensiero per la fine di Kei.
Quando questo pensiero le si formula nella mente, il rimorso le ha già fatto tornare la nausea.
Lei è la peggiore tra loro. Dovrebbe gettarsi di sotto e lasciare che Kei salvi Kazuki. Ma anche per questo è tardi, il pavimento cede, lei si sente tirare su per il braccio ferito e grida.
“Andra tutto bene, Nanase,” la voce di Kazuki è fredda ora “lui ti proteggerà. Ha scelto te.”
Precipita. Muore. Sparisce. E di nuovo si sente gridare.
Nanase si ritrovò ad urlare tra le coperte completamente madida di sudore. L’estate era ormai alle porte e alle sei del mattino il cielo era già chiaro.
Bara la fissò interdetta. Era ancora presto per l’uscita mattutina. Lei l’accarezzò e il pastore tedesco tornò ad accucciarsi ai piedi del letto.
Perché doveva continuare a sognare l’esplosione di Saitama? Si era accorta che più era in tensione e più la frequenza con cui riviveva quel sogno aumentava.
Raggiunse la doccia e si diede una rinfrescata. Infilò l’uniforme e si guardò allo specchio. Sospirò. Stava per cominciare l’ennesima giornata d’inferno. Da quando aveva ricevuto quell’uniforme blu, tutti la guardavano in modo strano. Alcuni la deridevano, altri si limitavano a mormorare. Per alcuni era la dimostrazione che era raccomandata, per altri che era inferiore agli altri membri dell’Elité.
Si annodò i capelli in una coda e raggiunse lo studio della dottoressa Izumi.
Con lei seguiva un corso speciale che doveva aiutarla a migliorare le sue doti fisiche. Da quando la preside le aveva ordinato di frequentare prevalentemente i corsi in grado di affinare le sue doti psichiche, aveva ridotto al minimo la frequenza di quelli fisici e la dottoressa Izumi si occupava di prescriverle vitamine e integratori.
Suonò il citofono dello studio e si annunciò. Dopo poco la porta si spalancò mostrandole la dottoressa che indossava il suo sorriso smagliante.
“Buongiorno, Otada.”
“Buongiorno, dottoressa Izumi.”
“Dormito bene? Mi sembri stanca.”
“Mi sono alzata presto stamattina, però sto bene.”
“Ottimo. Per oggi ho in mente una cosa diversa dal solito. Ti va di fare una nuova amicizia?” Nanase sorrise. “Molto bene, vieni avanti Seijuro.”
Nanase era il genere di persona in grado di aprirsi agli altri con facilità. La sua schiettezza tuttavia e il fatto di non avere alcun genere di pregiudizio nell’approcciarsi alla gente, cosa che tra l’altro risultava non facilmente credibile, rendevano difficile per gli altri entrare senza sforzo in sintonia con lei.
Seijuro era un po’ più alto di lei e abbastanza esile per essere un ragazzo in forza all’Accademia. A Nanase ricordò un po’ Jin. Aveva occhi verdi e profondi e capelli biondo scuro. Si teneva le mani e Nanase notò un gesto che il ragazzo faceva del tutto involontariamente. Si passava, appena poteva, una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Piacere, io mi chiamo Otada Nanase.”
“Il mio nome è Yoshiki Seijuro.”
“Bene, ora che vi siete conosciuti, vi lascio un po’ da soli. Faccio un salto nel mio laboratorio. Voi, da bravi, fate amicizia”, disse la dottoressa sparendo dietro la porta. Un silenzio irreale calò nella stanza. Nanase sentì l’urgenza di porvi fine.
“Anche tu indossi l’uniforme blu?” Il ragazzo annuì.
“Finora ero l’unico. Mi dicevano che non c’erano altri come me.”
“Cioè?” chiese lei.
“Capaci di controllare le cose.” Nanase sgranò gli occhi.
“Che significa ‘controllare le cose’?”
“Controllarle. Vedi quel vaso laggiù? Io posso romperlo.” Nanase rise e Seijuro la guardò contrariato.
“Bhè non mi sembra una gran cosa. Anche io posso romperlo.” Seijuro storse le labbra in una smorfia e Nanase le trovò belle, sembravano due petali di rose.
“Io posso farlo in mille pezzi senza toccarlo”, disse schioccando le dita. Il vaso tremò e poi si fece in  mille frammenti. Nanase rimase a bocca aperta.
“Incredibile! Ma allora tu sei un esp!” esclamò la ragazza incapace di contenere lo stupore e dicendo quello che pensava come al solito senza considerare le conseguenze. Gli esp erano i traditori. Soldati che avevano voltato le spalle ai loro doveri. I ragazzi che possedevano le capacità necessarie per diventare esp venivano educati a sopprimerle. Lo studio degli elementi era stato bandito. Seijuro non sembrò offeso per essere stato chiamato così.
“Te l’ho mostrato solo perché so che anche tu hai capacità dello stesso tipo.”
“Ti sbagli!” disse lei agitando le mani “Non sono assolutamente in grado di fare nulla di simile.”
“Non mi sbaglio. Te l’ho visto fare. Tu controlli le persone come io faccio con le cose.”
Nanase divenne di pietra. Che diavolo stava dicendo quel tizio? Improvvisamente non le sembrava più così simpatico. Lei non era affatto in grado di controllare le persone. Se avesse potuto farlo, non avrebbe permesso a suo padre di odiare il resto della sua famiglia, non avrebbe permesso a Kazuki di sacrificarsi al suo posto, non avrebbe permesso alla sua preside di farle indossare quella divisa.
“Ti sbagli, ti dico. Tu non mi conosci. Qualunque idea tu ti sia fatto di me, ti assicuro che non ho questo potere. E ti dico di più. Se mai lo avessi, non potrei mai usarlo. Sarebbe orribile!” Seijuro sorrise, questa volta in modo sincero.
“Allora il grande demone celeste ha dato questo dono alla persona giusta!”
Nanase sospirò. Non riusciva a capire se si trovasse di fronte ad una persona dall’animo gentile o crudele. Quel ragazzo dallo sguardo triste sembrava possedere entrambe le anime.
“Non so se voglio più parlare di questa cosa con te, Yoshiki.”
“Allora parleremo di qualcos’altro. Ti va?”
“Credo di sì.”
“Bene. Ti va di cominciare col dirmi perché hai scelto il blu?” disse indicando la divisa.
“Non ti piace?” chiese lei.
“E’ il mio colore preferito”, rispose Seijuro. Nanase allontanò dalla mente la conversazione che avevano appena avuto e si sforzò di dare a quel ragazzo un’altra possibilità.


AI: doveva essere un'esercitazione.
Autrice: non è colpa mia!
AI: e di chi allora?
Kei: Wendigo. E mi farebbe piacere ammazzarlo la prossima volta, va bene?
Autrice: Ma siamo ancora al quinto capitolo!
Voce inquietante: Siete noiosi! Voglio Akito così scorre un po' di sangue, no?
Autrice: Akito è ferito.
AI: doveva essere un'esercitazione.
Banshee: io mi annoio, datemi Akito!
Autrice: Kei!!
Kei: Se non si tratta di ammazzare Wendigo, io non mi muovo.
Autrice: Fate un po' come vi pare. AI spegni tutto.
AI: per una volta siamo d'accordo. OFFLINE.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: mattmary15