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Autore: _Fux_    10/02/2015    0 recensioni
[...] Il più delle volte mi sentivo come un animale in gabbia, sempre in procinto di esplodere dalla rabbia: mi immaginavo fare avanti e indietro circondata dalle sbarre invisibili della mia prigione.
Era come avere le ali tarpate.
Mi davano per pazza, eppure era così chiaro ai miei occhi, limpido addirittura, che quello non fosse il mio posto.
E' forse per questo che quel giorno, sentendo quel profumo fresco e piccante di erba tagliata, sentendomi quasi in procinto di spiccare il volo, avevo fatto la mia promessa: sarei partita, e lo avrei fatto per me stessa, per cercare il luogo dove avrei potuto essere felice, ma no, non avrei dimenticato la mia prima casa [...]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Promises


 
Don't forget where you belong,
home.




Inizialmente avevo faticato a riconoscere quel profumo tipico.
Era qualcosa che si nascondeva nei meandri della mia memoria, ma sempre in procinto di saltare fuori quando una zaffata arrivava a sfiorarmi le narici odoranti.
Era un profumo semplice, comune, leggermente piccante, anzi, frizzante, che solleticava naso e gola; ci avevo messo qualche secondo per capire che si trattava semplicemente di erba tagliata.
Erba tagliata, e pioggia in procinto di cadere da scuri nuvoloni grigi; forse però il vento le avrebbe portate via quelle nuvole, avrebbe aperto il cielo facendo comparire il primo timido accenno di primavera...
Ancora non mi era dato saperlo.
Sapevo solo che aprendo la finestra mi ero sentita investita da una freschezza coinvolgente, che mi faceva sembrare di essermi librata in aria come una libellula.
Sapevo solo che forse, per la prima volta, mi sentivo finalmente nel posto giusto.
Il mio cuore tuttavia continuava comunque a sognare altro: sognava il verde dei prati ed i cieli un po' grigi d'Irlanda, le piccole stradine tipiche dei più piccoli paesini inglesi.
Tutto ciò che desideravo era lasciarmi ogni cosa alle spalle, iniziare un nuovo percorso, un nuovo viaggio.
Il mio primo viaggio, ad essere sinceri.
Eppure questo era il mio più grande desiderio da anni, ormai.
E cosa c'è di più triste di qualcuno che vorrebbe viaggiare, vivere il mondo, mangiarselo con gli occhi, ed è invece costretto a restare nell'angolino di Terra che il destino gli ha riservato?
Il più delle volte mi sentivo come un animale in gabbia, sempre in procinto di esplodere dalla rabbia: mi immaginavo fare avanti e indietro circondata dalle sbarre invisibili della mia prigione.
Era come avere le ali tarpate.
Avevo iniziato già qualche anno prima a sentirmi diventare stretta la città in cui vivevo -e dove eroo nata- .
Mi pareva di soffocare, di non riuscire ad inghiottire abbastanza ossigeno da potere respirare, così cercavo qualcuno con cui condividere i miei pensieri ed i miei sogni, qualcuno che non mi criticasse, che non cercasse di fermarmi o di instillarmi le sue idee, ma ovunque mi girassi incontravo sempre muri impenetrabili; nemmeno le mie amiche mi capivano, mi davano per pazza.
Pazza.
Eppure era così chiaro ai miei occhi, limpido addirittura, che quello non fosse il mio posto.
Anzi, che non fosse il mio unico posto.
Ero certa che la vita dovesse essere più di quello, più di lasciarsi sopraffare dagli eventi, più di subire una città.
Alla fine qualcuno che la pensasse come me l'avevo trovato, ed insieme parlavamo dei viaggi che avremmo voluto compiere e anche di tutto ciò che andava contro i nostri piani, abbattendoli senza difficoltà.
Un caldo giorno estivo avevamo promesso di farlo insieme: prendere un aereo e iniziare tutto da capo, in un nuovo luogo.
Non era fuggire, non ai nostri occhi.
Non era scappare dalle difficoltà, era piuttosto cercare di conquistare la propria felicità, fare una scommessa con il destino.
E' forse per questo che quel giorno, sentendo quel profumo fresco e piccante di erba tagliata, sentendomi quasi in procinto di spiccare il volo, avevo fatto la mia promessa: sarei partita, e lo avrei fatto per me stessa, per cercare il luogo dove avrei potuto essere felice, il luogo dove avrei trovato il famoso pezzetto che componeva un puzzle chiamato “Chiara”, ma non avrei dimenticato la mia prima casa, e nemmeno l'odore dell'erba tagliata di recente che aveva persistito durante tutta la mia infanzia.
Sarei partita, e avrei cercato di guadagnarmi la vita che sognavo da sempre, consapevole che mi sarebbe bastato tirare il filo che mi legava alla mia patria per annusare quell'odore particolare, sentire il placido infrangersi delle onde sul bagnasciuga nelle interminabili giornate estive e ricordarmi delle mie origini.





 

                                                                                                                                E alla fine la mia promessa è diventata un segno permanente,
                                                                                                             una rondine nera che non spetta altro se non spiccare il volo dal mio polso.
   
 
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