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Autore: cup of tea    11/02/2015    3 recensioni
La notte di Capodanno, quattro sconosciuti - Rachel Berry, Kurt Hummel, Quinn Fabray e Sam Evans - si ritrovano sul tetto di un palazzo, tutti con lo stesso proposito: buttarsi giù. Ognuno ha i suoi buoni motivi per farla finita, ma la sera si conclude con un nulla di fatto. Anzi, i quattro firmano di un patto che li obbliga a non togliersi la vita almeno fino a San Valentino. Nascerà tra loro un legame, più simile a una costrizione, almeno all'inizio, ma poi sempre più simile a una vera amicizia che li aiuterà ad affrontare le avversità.
(Warning: Samchel)
Liberamente tratto dal film "Non buttiamoci giù" ("A Long Way Down") di Pascal Chaumeil, a sua volta basato sul libro omonimo di Nick Hornby.
[Questa storia partecipa al Glee Big Bang Italia, organizzato da Flan e ALanna]
Dal testo:
"Che ci fa una promettente giovane attrice di Broadway, appena entrata nel pieno della sua fiorente carriera, sul tetto di un palazzo, la notte di Capodanno?
Be’, permettetemi di metterlo subito in chiaro, perché i giornalisti finiscono sempre per alterare la realtà: arriva un momento, nella propria vita, in cui non ce la si fa più."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Quinn Fabray, Rachel Berry, Sam Evans | Coppie: Blaine/Kurt, Puck/Quinn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Eccoci.
Il grande momento è arrivato.
E ora che ci siamo, vorrei dirvi talmente tante cose su questa storia, che ci vorrebbero un milione di righe. E chi vorrebbe leggere delle note del genere?
Allora mi concentro solo sulle cose veramente, veramente importanti.

Dunque.
Ho scritto questa storia l’estate scorsa per partecipare al GLEE BIG BANG ITALIA, che, come ormai tutti di certo saprete, è un progetto organizzato da Flan e ALanna e che coinvolge quasi una ventina di fanwriters. Molte e molti di loro hanno già pubblicato, altre e altri arriveranno presto. Sosteniamoli tutti!
“Hold on for one more day”, la fic che vi accingete a leggere, è divisa in quattro parti, ognuna delle quali verrà pubblicata il martedì.
 
Autore: cup of tea
Titolo: Hold on for one more day
Personaggi: Kurt Hummel, Rachel Berry, Sam Evans, Quinn Fabray, Blaine Anderson (e in un capitolo, Santana Lopez)
-Pairing: Kurt/Blaine, Quinn/Puck, Rachel/Sam (e qui la metà di voi probabilmente mi abbandonerà, ma non posso farci niente, a me piacciono… spero possiate dar loro una possibilità)
Genere: introspettivo, tragicomico
Sommario: Liberamente tratto dal film "Non buttiamoci giù" ("A Long Way Down") di Pascal Chaumeil, a sua volta basato sul libro omonimo di Nick Hornby.
La notte di Capodanno, quattro sconosciuti - Rachel Berry, Kurt Hummel, Quinn Fabray e Sam Evans - si ritrovano sul tetto di un palazzo tutti con lo stesso proposito: buttarsi giù. Ognuno ha i suoi buoni motivi per farla finita, ma la sera si conclude con un nulla di fatto. Anzi, i quattro firmano di un patto che li obbliga a non togliersi la vita almeno fino a San Valentino. Nascerà tra loro un legame, più simile a una costrizione, almeno all'inizio, ma poi sempre più simile a una vera amicizia che li aiuterà ad affrontare le avversità. La storia si conclude con l'arrivo di San Valentino, in cui i quattro dovranno superare insieme un'ultima, grande prova. La fanfiction è una mini long divisa in quattro parti + epilogo. Ciascuna parte è strutturata a (mini)capitoli di varia lunghezza, ognuno narrato dal punto di vista di uno dei quattro protagonisti, come avviene sia nel libro, sia nel film. I personaggi hanno età diverse da quelle della serie tv: Rachel, Kurt e Sam hanno tra i venti e i ventitré anni, mentre Quinn è ancora adolescente e va ancora al liceo. La personalità di Kurt si avvicina molto a quella che aveva nelle prime due stagioni, e lo stesso vale per Sam, che non è così tonto come lo dipingono nelle ultime stagioni. 
Warnings: crack (?) pairing (Rachel/Sam); età dei personaggi diverse da quelle del telefilm; ricordo inoltre che lo spunto non è mio, ma di proprietà del grande Nick Hornby


Okay, se ci siete ancora, concludo augurandovi una buona lettura e un buon Big Bang!
Fatemi sapere cosa pensate della mia storia!


Un abbraccio,
cup of tea
 





 
HOLD ON FOR ONE MORE DAY


PARTE PRIMA - Those hard-faced queens of misadventure
 
RACHEL
 
Che ci fa una promettente giovane attrice di Broadway, appena entrata nel pieno della sua fiorente carriera, sul tetto di un palazzo, la notte di Capodanno?
Be’, permettetemi di metterlo subito in chiaro, perché i giornalisti finiscono sempre per alterare la realtà: arriva un momento, nella propria vita, in cui non ce la si fa più.
 
***
 
KURT
 
Mi chiamo Kurt Hummel, ho vent’anni e sono gay.
Sì, gay.
G-A-Y.
Gaygaygay.
Non che sia mai stato un problema. Non per me, non per mio padre. Ma, evidentemente, per tutti gli altri lo è. Per i clienti dell’officina, per esempio, che non hanno neanche il fegato di ammettere che adesso vanno da Shepner a farsi cambiare le gomme e a controllare l’olio, perché Hummel ha un figlio finocchio; oppure per i bulli del mio liceo, che a furia di sbattermi contro gli armadietti dei corridoi, mi hanno costretto a ritirarmi e a studiare a casa. Patetico, vero? Quando mi diplomai da privatista ero l’unico senza un amico con cui festeggiare. Anche qui, a New York, la notte di Capodanno, girovago da solo per le strade di Manhattan, ignorando gruppetti di ragazzini e adulti festaioli che corrono insieme per raggiungere Times Square in tempo per il conto alla rovescia. Preferisco concentrarmi sul buio del cielo, disturbato dalle luci dei lampioni e dei cartelloni pubblicitari che lampeggiano freneticamente. Niente da dire: New York mi ha rubato il cuore… i profili dei grattacieli, i colori delle insegne, Central Park, Broadway…
Broadway, uno dei tanti sogni che non realizzerò mai.
Chissà come risuonerebbe l’eco buttandomi giù urlando dal tetto di quel palazzo… Saranno tutti quei drink che ho bevuto, ma d’un tratto l’idea mi sembra parecchio appetibile, da far girare la testa! Forse, se urlassi “gay”, risulterebbe “Gayyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyy”, e se gridassi “finocchio”, ne uscirebbe un “Fiiiinoooocchiiiioooo”. Potrei anche usare “perdente”, ma “gay” è decisamente più di impatto, e io adoro le uscite di scena d’effetto.
Raggiungo l’edificio che ho puntato ed entro attraverso la porta di vetro girevole – è un hotel a cinque stelle. Cerco l’ascensore. Non allarmiamoci… voglio solo vedere com’è la città vista dall’alto. E guardare giù, farmi venire le vertigini, sentire il cuore che pulsa nelle orecchie e respirare l’aria di chi è vicino a risolvere per sempre tutti i suoi problemi.
Trovata. Fortunatamente è già lì pronta che mi aspetta, quindi entro e schiaccio il pulsante “top”, e poi attendo che le porte automatiche si chiudano. La security lascia davvero a desiderare la notte di Capodanno… tutti a festeggiare e nessuno che si cura di un completo estraneo che entra nell’edificio. Meglio per me.
La musichetta di sottofondo è noiosa, ma arrivo presto in cima. Un “ding” mi dà il benvenuto all’ultimo piano. Qui cerco la scala che porta al tetto e proprio quando spingo la porta antipanico e pregusto l’aria fredda della libertà, mi accorgo di non essere solo.
E nemmeno il solo ad avere avuto istinti suicidi all’alba del nuovo anno, oserei dire.
 
***
RACHEL
 
Eccomi, ci sono. Un passo e i riflettori punteranno verso di me un’ultima volta. Immagino già i titoli dei giornali, domani. “Stella del teatro si butta giù dal Mistral Palace”, “Astro nascente di Broadway, stella cadente a Capodanno”, “Rachel Berry, ci mancherai.”
Credo di essere l’unica persona sulla terra che riesce ad avere manie di grandezza anche quando sta per suicidarsi; il mio analista aveva ragione a mettermi in guardia rispetto alle mie ambizioni.
«Pensa di metterci molto?!»
Santo cielo, chi è che interrompe il mio flusso di coscienza con così poco riguardo alla cortesia?! Ci è mancato poco che cadessi di sotto!
«Ma è matto? Dallo spavento ho rischiato di perdere l’equilibrio!» Mi giro con cautela dando le spalle al vuoto e mi accorgo che la voce, cristallina e acuta, appartiene a un ragazzo sulla ventina.
«Signora, qui si sta formando la fila.» Signora a chi?! Questa volta a parlare è quella che, sotto dei terribili piercing, i capelli rosa e il trucco pesante colato, dovrebbe essere una ragazza carina. Un’adolescente indisponente in piena crisi di identità.
Io non lo sono mai stata. Ho sempre saputo chi volevo essere. Peccato non abbia funzionato.
«Pronto?!» Mi richiama seccata, soffiando fuori una nuvola di fiato caldo.
«Qualcuno vuole una pizza? Io non la finisco.» Un’altra voce? Ma quanti siamo?
Non lo vedo subito, poi un biondo atletico fa capolino da dietro il comignolo. Lascia un cartone di Pizza Hut per terra e constato che assomiglia a un surfista alla ricerca dell’onda buona, quando sale sul cornicione. «Che cosa fai?! Scendi subito di lì! E’ pericoloso!» Lo rimprovero. Mi chiedo perché un ragazzo come lui dovrebbe volersi togliere la vita. Per quello dalla voce acuta e la pseudo-punk potrei anche farmi un’idea, ma per lui non ci riesco proprio.
«Un momento, io ti conosco!» mi si avvicina Vocetta Acuta. «Tu sei Rachel Berry! Eri su tutti i giornali, qualche tempo fa! “Diva di Broadway aggredisce paparazzo”.»
«Ma dai… non dirmi che è per questo vuoi farla finita. Solo per la cattiva reputazione?» Interviene la ragazzina.
«Io non… io non credo siano affari vostri!»
Mi irrito, perché i due ridacchiano, complici.
«E voi, allora? Chi siete? Perché siete qui?» Cerco di spostare l’attenzione su qualcos’altro che non sia io, forse per la prima volta nella mia vita.  
«Sam Evans, piacere.» Si presenta il surfista, interrompendoci. Non ci guarda, ma si siede con le gambe a penzoloni, dandoci ancora le spalle.  
«Kurt Elizabeth Hummel.»
«Ma non mi dire.» Commenta la pseudo-punk. Noi aspettiamo che ci dica chi è, e lei ci guarda come se stessimo facendo la cosa più stupida che quattro aspiranti suicidi possano fare. In effetti non ha tutti i torti, ma aspettiamo che si presenti ugualmente. A questo punto, tanto vale.
«Dai, dobbiamo farlo per forza?!» Sbotta.
«Presentati e basta, cocca.» dice Vocetta Acuta, che ormai posso chiamare con il suo nome, Kurt.
«Quinn.»
«Quinn…?» azzardo.
«Quinn e basta.»
«Perché vuoi buttarti giù?» chiede il surfista, Sam, aggregandosi al nostro stravagante gruppetto. «Problemi con la legge?» tira a indovinare. Pessima scelta.
«Ma certo! Una come me può avere avuto solo problemi con la legge, non è vero?! Possesso di alcol e droghe, perché no?! E tu? Non hai vinto la finale di Mister Universo?! Povero piccolo…»
«Va bene, va bene, calmiamoci.»
«Calmatevi voi, stronzi!»
Quinn ci spintona e corre verso il cornicione, ma la fermiamo appena in tempo, proprio quando sta per saltare. Tira calci e pugni; si dimena nonostante siamo tre contro una, e piange, piange tanto.
E’ così giovane…
Quando si calma, allentiamo la presa. Sam le dice cose gentili e Kurt le offre un fazzoletto. Lei, in silenzio, ritorna da dove è venuta, attraverso la porta che nasconde le scale del palazzo.
Non sappiamo dove andrà, né cosa faremo noi.
L’unica cosa che sappiamo è che è scoccata la mezzanotte e non ci siamo buttati.
Buon anno.
 
***
QUINN
 
Non sono neanche capace di morire, cavolo.
Direi che è un’altra delusione da aggiungere alla lista dei miei genitori.
Incinta a diciassette anni, e per di più proveniente da una famiglia cattolica e in piena campagna elettorale di papà. Che scandalo!
Noah non lo sa.
È partito per l’esercito e l’ho lasciato andare.
Mamma e papà l’hanno scoperto, invece. Non so nemmeno come, il pancione non si vede ancora. Avranno un radar per le ragazze che peccano. Non mi hanno cacciato, ma solo perché un’azione del genere getterebbe un’ombra sulla scalata al potere dei Fabray, e mi basta lo sguardo carico di disprezzo che mi riservano ogni giorno per capire che l’ho fatta grossa. Inoltre, il fatto che mamma abbia ricominciato a bere è tutto fuorché incoraggiante.
New York è proprio bella di notte, però adesso ha cominciato a piovere. In giro si sente profumo di asfalto bagnato e della polvere da sparo dei fuochi d’artificio. Non mi interessa che fine abbiano fatto gli altri – se si siano buttati giù o la ragione per cui volessero farlo. Penso che entrerò in un locale e mi farò ubriacare dalla musica: Capodanno non è ancora finito, e io non ho ancora finito le alternative.
 
***
SAM
 
«Dobbiamo andare a cercarla.» Dichiaro.
«Come? Perché?!» Chiede Rachel Berry.
«Perché l’ho fatta arrabbiare, ed era parecchio scossa.» Rispondo.
«Volevamo suicidarci, siamo tutti scossi.» Commenta l’altro ragazzo, Kurt.
«Ma per lei è stato diverso… noi ci abbiamo pensato, sul cornicione; lei ha corso.»
«Perché non ci vai da solo?» continua Kurt.
«Perché è successo qualcosa, stanotte. Potevamo essere tutti su quel marciapiede, in questo momento, con la faccia sul pavimento e il corpo scomposto in posizioni innaturali. E invece ci siamo trovati qui ed è già il primo di gennaio e siamo ancora vivi. Qualcosa deve pur significare.»
Rachel ci pensa un momento e poi prende una decisione. «Con quale macchina andiamo?»
Esulto, rimane solo Kurt da convincere.
Non è difficile, lo vedo alzare gli occhi al cielo dopo poco e rispondere: «La mia è parcheggiata a qualche isolato da qui.»
«Okay, adesso ci manca solo di capire come la troviamo.» Proseguo.
«È a piedi e ha cominciato a diluviare, non può essere andata lontano.» Suggerisce Kurt.
«Propongo di muoverci insieme per qualche isolato, poi io setaccio i locali e voi ragazzi le strade.» Incredibile, le ragazze hanno sempre un piano!
Kurt però è perplesso. «Come farai a superare le file agli ingressi? Perdiamo troppo tempo!»
«Stai sicuro, Kurt, che nessuno fa aspettare Rachel Berry in coda.»
 
***
QUINN
 
 
«Ehi, sei carina…»
E’ patetico come approccio. Sono appoggiata al bancone del bar e quest’uomo viscido e di mezza età mi sta anche troppo vicino. Va bene volersi suicidare, ma non in questo modo.
«Puzzi di alcol.» Volto lo sguardo dalla parte opposta.
«Pensavo ti piacesse…» ci riprova toccandomi un braccio. A questo punto devo guardarlo per forza.
«Io invece non sapevo ti piacessero le minorenni.»
«Tu non sei minorenne.»
«E tu non sei ubriaco. Giochiamo al gioco dei contrari?» Ritiro il braccio.
«Possiamo giocare a tutto quello che vuoi.» Mi soffia sul collo. Okay, adesso si sta prendendo anche troppa confidenza.
«Lasciami stare.» Lo spingo.
«Quinn! Eccoti, grazie al cielo! Vieni, andiamocene via.» Rachel Berry? Sono sorpresa di vederla, ma anche grata, e mi lascio prendere per mano.
«Dove andate zuccherini?»
Quel deficiente ci blocca la strada.
«Due al prezzo di una, deve essere la mia sera fortunata!»
«Continua a sognare!» urla Rachel pestandogli il piede con i suoi orribili tacchi bassi. Mi trascina via, ma io mi fermo approfittando della distrazione dell’uomo che si contorce dal dolore e gli tiro un pugno sul naso.
Rachel mi guarda.
«Se l’è meritato.»
Ride e corriamo fuori dal locale.
All’esterno, Rachel tira fuori il cellulare e avvia una chiamata.
«Sam! Sì, sì, l’ho trovata! Siamo davanti al Cosmo Vanguard. Vi aspettiamo qui.»
Qualche minuto dopo, un grosso SUV accosta e riconosco Kurt qualcosa Hummel al volante. Rachel apre una portiera e mi fa salire, poi mi segue.
Il silenzio che si crea fin da subito è imbarazzante. Non abbiamo veramente niente in comune, a parte l’istinto suicida.
«Un po’ presto per una rimpatriata, eh?» Faccio notare. Non mi risponde nessuno. Kurt rimette in moto l’auto e non so dove stiamo andando. «Va bene, facciamo un gioco.» Propongo. «Ognuno di noi descrive la ragione per cui vuole togliersi la vita con una sola parola.»
«Non eri tu a non voler scendere in questi particolari?» Osserva Sam, ma non lo ascolto e continuo a provocare. Mi avranno anche salvato la vita in quel locale, ma mi hanno anche impedito di fare ciò che mi ero prefissata. «Per esempio, tu Kurt potresti rispondere: “finocchio”, mentre tu Berry puoi dire: “notorietà”. Sam, tu senza dubbio dirai: “maniglie dell’amore”, che vale come parola unica.»
«Intolleranza.» Risponde Kurt. Non me l’aspettavo. «Non mi volevo suicidare perché sono gay, Quinn.» Ho la decenza di rimanere in silenzio.
«Lutto.» Confida sottovoce la Berry. Sam la guarda dallo specchietto retrovisore. «Impotenza.» Risponde. Dai, a questo punto non riesco a trattenermi. Esplodo in una risata. «Ma è ovvio, con tutti gli steroidi che prendi era inevitabile!» Mi accorgo di ridere solo io.
«Non nel senso che intendi tu.» Puntualizza. Di nuovo, la Berry e il biondo si guardano attraverso lo specchietto.
«E tu?» Mi chiede lei.
Io… non so cosa rispondere. «Cancro.»
Lo so, lo so… ma ero nel panico.
Rachel si porta una mano alla bocca e con l’altra stringe la mia. Annuisco, addolorata. «E’ lo stomaco…» Ma come mi escono?
Accostiamo, e quando guardo fuori dal finestrino mi accorgo di essere nel vialetto di casa mia.
«Un momento! Che ci facciamo qui?!»
Kurt mi passa un volantino della campagna elettorale di papà. «Lo abbiamo trovato per strada mentre ti cercavamo. Sei un po’ diversa in quella foto, ma ti si riconosce ancora.» Sul foglio plastificato, la mia famiglia è ritratta da un fotografo importante e io indosso uno degli abitini bon-ton che mi piacciono tanto. Ho i capelli biondi e il viso curato. La Quinn della foto non esiste più, ma potrebbe esserci ancora, da qualche parte.
«Quinn Fabray, giusto?»
«Già…» Mi sento un po’ tradita.
«Sentite, facciamo un patto.» Se ne esce poi Kurt. «Come ha detto Sam, c’è una ragione se siamo ancora vivi, e propongo di scoprire insieme qual è. Facciamo così: nessuno di noi tenterà più il suicidio fino, diciamo… fino a San Valentino. Dopodiché, se niente è cambiato, ognuno di noi potrà fare quello che vorrà. Ma fino al quattordici di febbraio ci impegniamo a proseguire con la vita di tutti i giorni. Ci state?» Allunga una mano verso di noi, in stile “tutti per uno…”, e mi aspetto che nessuno lo assecondi, ma poi Sam allunga la sua e Rachel fa lo stesso.
«Perché no?» Alzo le spalle e allungo anche la mia. In fondo, San Valentino non è lontano.
 
***
RACHEL
 
La notte è stata così movimentata che alla fine non rientro a casa prima delle cinque del mattino. Sapendo che i giornalisti non dormono mai e non vanno in ferie nemmeno la notte di Capodanno – chi ci andrebbe nella notte che fa più notizia? – decido di entrare dalla porta sul retro, finora la mia unica e solita via di fuga o salvezza.
Questa volta, però, non sono fortunata. Un flash mi acceca all’improvviso e da dietro un cespuglio salta fuori un paparazzo che mi inonda di domande. «Che ha fatto Rachel Berry questo Capodanno?», «Hai intenzione di tirare un pugno anche a me?», «Eri in dolce compagnia, Rachel?». Mi copro il viso da ogni flash che accompagna le impertinenze di quest’uomo. Non l’ha fermato neppure la pioggia.
«Mi lasci in pace, questa è proprietà privata.» Gli faccio notare, tirando fuori le chiavi di casa.
«Ancora uno scatto, ti prego, questa venderà un sacco: “Rachel Berry passa una serata di bagordi ma non sembra essersi divertita. La verità su un Capodanno da diva.”»
Apro la porta e lo avverto: «Se non se ne va, chiamo la polizia.» Entro e mi chiudo la porta alle spalle con un sospiro rabbioso e rassegnato. Non sono più sicura nemmeno a casa mia.
Getto le chiavi sul mobile della tv e mi butto sul divano, nel vuoto del mio appartamento. Non mi sono mai sentita tanto sola. Mi guardo in giro nella penombra del mattino e vedo ancora i resti del mio cenone solitario sul tavolino di fronte a me. I cartocci del cinese cominciano a puzzare, o forse sono i resti della frutta che stanno marcendo nel piatto, a produrre questo odore terribile. La mia attenzione si concentra sul coltello appuntito che ho usato per sbucciarla. Ho accettato il patto con gli altri solo per sentirmi parte di qualcosa, ed è chiaro che l’istinto di togliermi la vita non l’ho ancora perso.
Mi volto dall’altra parte e spero di addormentarmi.
 
Quando riapro gli occhi è circa mezzogiorno, e tutto sommato mi sembra di stare meglio. Decido di voler fare una passeggiata, la pioggia ha smesso di cadere e un sole debole splende su New York.
Mi faccio una doccia veloce e mi vesto per uscire. Fuori dalla porta, però, ancora giornalisti. Alzo gli occhi al cielo e mi richiudo dentro, senza degnarli di una parola. Prendo il cellulare, decisa a chiamare davvero la polizia, ma un numero attira la mia attenzione, salvato sotto il nome di Sam. L’avevo chiamato per Quinn, ieri sera, e ora sento come l’impulso di chiamarlo per me.
Lo faccio. Per qualche ragione il cuore mi martella nelle orecchie mentre aspetto che risponda.
«Pronto? …Rachel?» Sembra confuso.
«S-Sam! S-sì, sono Rachel!» Stupidamente non mi viene in mente altro da dire.
«Avevi bisogno di qualcosa? Sono un po’ occupato al momento, ma poi possiamo parlare, se vuoi.»
Ma certo che è occupato. Che stupida che sono.
«Non preoccuparti… volevo solo…»
«Passo a prenderti tra un’ora. Non muoverti di lì.»
«Non vado da nessuna parte, qui è pieno di giornalisti.»
«Tieni duro, tra poco vengo a salvarti.»
Riaggancia e io rimango imbambolata per un momento.
Tieni duro, tra poco vengo a salvarti. Per la seconda volta in poche ore. Salvata da uno sconosciuto.
 
Sam arriva, come promesso, un’ora più tardi. Vedo la sua auto accostare sul vialetto e mi faccio coraggio per uscire dalla porta. Corro facendomi strada tra il gruppo dei giornalisti più accaniti e faccio solo in tempo a sentire una che chiede: “Chi è quel giovanotto? Dove sta andando Rachel Berry?”, prima di fiondarmi nella macchina di Sam. Parte senza che glielo chieda e seminiamo i paparazzi che ci stanno rincorrendo.
«E’ sempre così?»
«Scusami… oggi sono particolarmente insopportabili.» Ometto il fatto che mi abbiano chiesto di lui, ma già temo le foto che usciranno. Ho sempre cercato di tenere la mia vita privata per me, ed è stato anche piuttosto facile, ma è vero anche che sono finita nel mirino solo di recente.
«Cosa hai fatto per farli arrabbiare tanto?» Scherza.
«Sono una diva, e in quanto diva ho un caratteraccio.» Minimizzo. Non gli dico che quando ho aggredito quel paparazzo, tempo fa, è stato perché avevo appena ricevuto una telefonata in cui mi comunicavano che il mio ragazzo, Finn, era morto. Non gli dico che quel paparazzo voleva sapere della mia vita sentimentale, di cui nessuno è tuttora al corrente. Non gli dico che il dolore è ancora vivo e che il doverlo vivere da sola, per preservare la privacy della sua famiglia, mi sta uccidendo. Abbasso lo sguardo sulle mie unghie, che tutto d’un colpo mi sembrano bisognose di una manicure.
«Be’ direi che è chiaro che tu non possa rimanere a casa tua, finché non se saranno andati.»
«Potrei stare in albergo, ora che mi ci fai pensare.»
«No, ti troverebbero facilmente – qualche telefonata e sarebbero tutti di nuovo alla tua porta.»
«Allora cosa mi suggerisci?»
«Ti porto a casa con me.»
Lo dice come se fossi il cucciolo che ha appena trovato per strada, e la cosa mi fa sentire… voluta.
«Solo, non spaventarti. È un po’ affollata.»
 
***
KURT
 
Perché ho deciso di stilare un patto di sopravvivenza? Perché mia madre avrebbe voluto così. Era forte e fiera, e mi ha insegnato a non arrendermi mai. Ho avuto un momento di debolezza, ma non si ripeterà. Credo – spero - siano passati gli effetti dell’alcol che mi hanno fatto sembrare appetibile l’idea. Togliersi la vita può sembrare una soluzione, ma non è la soluzione. La soluzione è trovarsi uno scopo e ignorare chi non ti tollera. Nemmeno io tollero loro, ma non per questo la faranno finita. Il modo migliore per vendicarsi è sorridere e occupare ancora a lungo il proprio posticino nel mondo.
Non sarà affatto facile, ma ci proverò. Almeno fino a San Valentino.
Prima fase, quindi: trovarsi uno scopo. Comincerò a mandare curricula in giro per trovarmi un lavoretto e nel frattempo farò provini per le scuole di teatro. Seconda fase: ignorare chi mi dirà che non posso farcela, chi mi etichetterà come fallito o chi oserà discriminarmi per il mio orientamento sessuale. Ma credo che la seconda fase sia conseguente alla prima.
Ho voglia di chiamare mio padre, ora. Devo augurargli un buon inizio anno.
 
***
QUINN
 
È la mattina del primo giorno del nuovo anno e, come facilmente prevedibile, in casa non c’è nessuno.
Nessuno che si preoccupi di verificare che la propria figlia adolescente sia tornata sana e salva dopo essere uscita da sola la notte di Capodanno. Nessuno a farmi la ramanzina per essere uscita senza dire dove volessi andare. Nessuno nessuno.
Sono andati comunque a quella trasmissione televisiva, invece di assicurarsi che stessi bene.
È un po’ deprimente.
Vado in bagno e mi guardo allo specchio: non mi sono ancora cambiata e i capelli sono arruffati. Ho il mascara colato e il piercing finto al naso tutto storto. Lo levo con attenzione e faccio lo stesso con quelli al labbro e al sopracciglio. La pelle è un po’ arrossata, ma integra: non avrei mai potuto bucarmi la faccia per davvero, volevo solo vedere che effetto avrebbe fatto. Mi lavo il viso e mi passo le mani bagnate tra i capelli per sistemarli, ma la tinta rosa mi lascia delle macchie sulle dita. La pioggia di ieri deve aver fatto la stessa cosa sul mio collo, perché, osservandomi bene, mi accorgo di essere sporca di tinta dappertutto, sul coppino e sulle spalle. Decido di fare la doccia, quando in tasca ritrovo il volantino della campagna elettorale che mi ha dato Kurt. Quella in foto è la vera Quinn, constato. Bella e fiera. La reginetta del ballo. Non la bambina impaurita che vuole fare la dura che mi sta di fronte.
Mi butto sotto l’acqua e cerco di ripristinare la vecchia e vera immagine di me.
Mi accarezzo il ventre – non posso farne a meno, anche se qualsiasi segno visibile della mia gravidanza è ancora nascosto – e mi chiedo se sarò in grado, al contrario dei miei genitori, di voler bene al mio bambino qualsiasi cosa faccia. Mi chiedo se sarò capace di educarlo e di insegnargli ad amarsi e ad essere responsabile. O se la soluzione dell’adozione sia una opzione da tenere in considerazione. Mi accorgo che ci saranno delle spese da sostenere e che sicuramente non riceverò nessun aiuto. E che dovrò partorire. E che sono sola. Mi viene da piangere.
Vorrei solo che Noah fosse qui.
 
***
RACHEL
 
Sam parcheggia l’automobile nel garage – presumo – di casa sua.
Vista da fuori sembra modesta, ma anche accogliente.
Sono sorpresa che mi abbia invitata a stare da lui. E’ solo per salvarmi dai paparazzi, lo so, ma questa sua attenzione mi fa sentire un leggero tepore nel petto. Un tepore che non dovrei provare, oltretutto: è troppo presto, Finn mi manca terribilmente e sono emotivamente instabile. Ho tentato il suicidio, che diamine! Non è saggio dare fondo a questa cosa. Anzi, è… decisamente sbagliato. Ma lui ora mi ha preso per mano e sta per farmi entrare e... oh, Rachel Berry, che ti sta succedendo?
«Prego, accomodati pure. Non fare caso al disordine.» Mi fa strada.
Chiamarlo “disordine” è riduttivo. La casa è del tutto sottosopra. Ci sono scatoloni dappertutto, come se Sam si fosse appena trasferito, ma noto rotoli di scotch appoggiati qua e là e mi viene da pensare che quegli scatoloni non verranno svuotati. Piuttosto, sigillati.
Sta per traslocare.
«Stacey? Stevie? Ci siete?» lo sento chiamare.
Come un uragano, piombano all’ingresso due bambini biondissimi, di circa una decina d’anni, che, se non fossi quasi certa che Sam abbia più o meno la mia età, penserei siano figli suoi.
«Ciao fratellone!» lo saluta con entusiasmo la bambina, e gli salta al collo. «Urca, Stacey, sono stato via per un’ora al massimo…»
«Piagnucola da quando sei uscito, è proprio una femminuccia!» la prende in giro il fratellino.
«Stevie, non fare il maleducato.» lo rimbecca Sam.
«Scusa.»
Mi basta questa breve scena per capire che tipo di fratello maggiore sia Sam, e sorrido tra me e me.
Lo vedo prendere in braccio la più piccola e poi dice: «Lei è Rachel, rimarrà con noi, almeno per oggi.» I due bambini mi osservano curiosi.
«Coraggio, salutatela!»
«Ciao, Rachel» dicono in coro, con la voce tipica cantilenante dei bimbi.
«Ciao!» Rispondo con un gran sorriso.
«Dai, andate a giocare adesso. Noi arriviamo subito.»
Li guardo correre in un’altra stanza e mi ritrovo a pensare a come si possano voler abbandonare due creature del genere a sé stesse, decidendo di buttarsi giù da un palazzo. Ovviamente non sta a me giudicare, e sicuramente non sono affari miei, ma potrei sentire il bisogno di chiedere a Sam una spiegazione.
Mi fa accomodare in cucina.
«Sei sicuro che non disturbo?» Comincio, accennando agli scatoloni.
«Stai tranquilla, non c’è nessun problema.» mi risponde, e poi mi offre un bicchiere di latte. «Scusa, non c’è molto altro in frigo.» Sorrido e accetto il bicchiere, ma in qualche modo sento che l’atmosfera in questa casa sia meno allegra di quello che sembra.
«Vi trasferite?» Azzardo, tra un sorso e l’altro.
«Ci sfrattano, in realtà.» mi risponde quasi con leggerezza. «O meglio, finora sono arrivate solo minacce. “Se non mi pagate vi sbatto fuori”» imita la voce del loro locatore, presumo. «Ma noi stiamo cercando una sistemazione alternativa prima che Foster decida di buttarci fuori davvero.»
«Oh, Sam, mi dispiace.» Intanto mi chiedo come possano permettersi un’altra casa se non riescono a pagare neanche l’affitto di questa.
«Non preoccuparti, staremo benissimo in un motel.»
«Dove sono i tuoi genitori?» Chiedo, sperando di non apparire invadente. Non è curiosità morbosa, la mia; mi interessa davvero, anche se lo conosco appena.
«In giro a cercare lavoro. Mio padre è stato licenziato da poco e mia madre è sempre stata una casalinga.» Mi spiega. «Ma con questa crisi non riescono a trovare niente. Io nel mio piccolo ho fatto qualcosa, ma i miei insistono perché tenga i soldi che ho guadagnato per me. Dicono che è loro dovere non farci mancare nulla, non mio. E così non so come aiutarli. O meglio, lo sapevo fino a ieri sera, ma ora sono bloccato fino a San Valentino.»
«Volevi buttarti giù per i tuoi genitori? Non capisco…»
«Be’ nel momento in cui fossi morto, avrebbero trovato il mio testamento in cui ho dichiarato di lasciare tutto a loro, e così li avrei aiutati. Era l’unico sistema che ho trovato per essere d’aiuto, per non sentirmi…»
«Impotente.» Finisco la frase al posto suo, ricordandomi di quello che ha detto in macchina ieri sera, durante il “giochino” di Quinn.
«Già.»
«Be’, ma tu sei già di grande aiuto ai tuoi! Ti occupi dei tuoi fratelli mentre non sono in casa, e-»
«Non è abbastanza, Rachel. Come può bastare, se siamo in questa situazione?»
«Be’, sai cosa ti dico? Io… io posso aiutarvi.» Obiettivamente, con tutti i diritti che ci sono sull’utilizzo della mia immagine e della mia voce, i soldi proprio non mi mancano.
«Come?» Mi guarda diffidente.
«Ho da parte qualcosa, potrei darvi una certa somma.»
«Non voglio la tua elemosina, grazie.» Ora sembra seccato.
«Non sarebbe elemosina… può essere un prestito… fino… fino a San Valentino.» Lo incoraggio.
«Non ti ho aiutato per avere qualcosa in cambio.»
«Lo so, e questo ti fa onore. Ma mi sembra stupido non accettare una mano.» E’ poco più di un perfetto sconosciuto, ma mi sta già a cuore.
Rimane in silenzio per un lungo momento e lo lascio riflettere. Infine parla. «Grazie, ma… preferisco di no.»
L’attimo successivo vengo folgorata. «Allora prendi il telefono. Mi è appena venuta un’idea migliore. Chiama Kurt e Quinn.»
 
 
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA – parte 2

Naturalmente, ho dimenticato di dirvi delle cosucce… partiamo da titolo: è ovviamente tratto dalla canzone “Hold on” di Wilson Phillips cantata anche in glee nella quinta stagione. Per quanto riguarda i titoli delle quattro parti, sono presi dai versi della canzone “People Help The People” di Cherry Ghost, che io personalmente adoro nella versione di Birdy.
Allora, impressioni generali sulla storia? Dubbi, perplessità? Fatemi sapere tutto quello che vi passa per la testa J
Ah, ringrazio i miei due beta di fiducia, Marino e Martina <3, che con pazienza digeriscono tutto quello che propino loro <3
Vi ricordo che le prossime tre parti verranno pubblicate il martedì; intanto, tenete d’occhi questi fanwriter!
1-Babykit87 - 28-29 gennaio
2- EmmeV 30-31 gennaio
3- SamWhity 1-2 febbraio 
4- Papillon_ 3-4 febbraio
5- Lusio 5-6 febbraio
6- Ari92  7-8 febbraio
7- Chu 9-10 febbraio
8- cup of tea 11-12 febbraio
9- Ginny Potter 13-14 febbraio
10- Michy 15-16 febbraio
11- Locked 17-18 febbraio
12- elisav82 19-20 febbraio
13- _xwatson 21-22 febbraio
14- Wild Imagination 23-24 febbraio 
15- smythwood 25-26 febbraio

16- LaFatinaScalza 27-28
   
 
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