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Autore: ness6_27    11/02/2015    0 recensioni
Dedicata a _mia. ♥
Stefano è un programmatore dedito alla crittologia. Per lui qualsiasi cosa deve avere una logica, altrimenti deve essere ignorata. Proprio per questa sua particolarità lui non è mai stato innamorato, né crede che lo sarà mai. Poi una sera, proprio al termine della creazione del suo progetto più importante, conosce una ragazza che farà crollare le sue certezze.
Storia partecipante al contest Questione di secondi, indetto da MichiGR sul forum di EFP.
Genere: | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Possiamo dare il via, credo."
Perché quel credo?
"Sei sicuro?"
"Sì, ho fatto ricontrollare per l'ultima volta. Abbiamo fatto controllare le dipendenze e corrispondono. Il database è stato correttamente trasferito nei server dell'ISP. Ho fatto proprio ora un'ultima procedura di test per vedere se si presentava qualche bug. È tutto ok. Serve solo il tuo via per rendere pubblico il servizio."
Un via, per far decidere al destino se il lavoro portato avanti da quel gruppo di ragazzi sarebbe stata un'opportunità o una perdita di tempo. Ora tutti guardavano l'ideatore e direttore del progetto, che guardava in maniera maledettamente insicura quel monitor, bloccato nella sua postura eretta, il sudore che scendeva dai capelli rossicci lungo le tempie, nonostante la temperatura in quella stanza fosse controllata.
La stanza era un grandissimo open space di forma rotonda, il cui ingresso portava a una zona rialzata che continuava per tutto il contorno interno. Di fronte all'ingresso, e dall'altro lato, delle piccole rampe di scale. Scendendo verso il centro del locale, ecco che il bianco delle pareti e del pavimento iniziava a essere interrotto dal grigio delle scrivanie e dal nero dei computer posati di sopra. O infilati malamente di sotto. Il nero delle tastiere con i relativi mouse, il verde o il rosso dei led di tutti quegli apparecchi elettronici. Un sacco di penne, troppi fogli, sparsi sui tavoli e anche per terra. Un condizionatore e una decina di ventole, per mantere ottimale la temperatura delle macchine. E poi loro: un gruppo di una quindicina di persone che aveva lavorato faticosamente per dei mesi a questo progetto, su un servizio web di trasferimento di file criptati. Il tutto dall'idea di Stefano Rivesto, laureato in ingegneria informatica con dottorato in crittografia, ora osservato da tutti per decretare un via.
Per giorni quelle quindici persone hanno sperimentato la concentrazione necessaria per scrivere righe e righe di un linguaggio ai più sconosciuto, usato solo nella comunicazione tra le macchine e gli uomini, così come la freneticità di finire un lavoro di debug prima che l'ora si facesse talmente tarda da far cascare tutti nel sonno. Per periodi di anche due giorni questi non hanno nemmeno visto la luce del sole, solo il bianco freddo dei neon posti a raggio dal centro della stanza. Il tutto per mettere in piedi un servizio di non poco conto.
Il posto era freddo, ma si sudava, e ciò era normale. Un via poteva cambiare la loro vita, o buttarla all'aria per il gusto di doverli far ricominciare da capo.
Ma se riteneva normale quel sudore, Stefano era anche sicuro che tutto fosse a posto, e perciò diede il via.

**

La sera dopo, caduta guardacaso di sabato, tutti i ragazzi decisero di passare la serata presso un pub, per svagarsi e per ristorare un po' l'animo e il corpo dopo tutto quel lavoro. Non avevano dei piani, semplicemente volevano divertirsi. Durante tutto il giorno erano stati molto silenziosi, mentre monitoravano il traffico verso il loro sito web, parlavano solo per ipotizzare rendimenti futuri, far notare che una voce era stata scritta in modo scorretto, chiedersi se in un trasferimento un pacchetto andava perso. Erano i guardiani di una piccola creatura che poteva ritorcersi contro di loro. Stefano in quelle ore provò comprensione verso Frankenstein, quando creò il mostro. Tante notti insonni, tanti sforzi, tante attese, tanta vita concentrata per la morte. La morte sconfitta, a costo della vita del malcapitato, morto e vivo allo stesso tempo, come se infilato nella scatola di Schrödinger.
Ma per fortuna sua e del team che dirigeva, tutto era andato bene: il servizio si dimostrò efficente e in grado di soddisfare le aspettative. E questo per Stefano era una cosa quasi certa.
Non c'era nulla da temere fin dall'inizio. Nonostante la mia supervisione, posso dire che i ragazzi avrebbero fatto un lavoro stupendo anche da soli. Alla fin fine, non abbiamo sperimentato nulla di nuovo, il servizio è un'idea nuova in sé, ma si basa su nozioni ormai spulciate come si deve e conosciute.
Stefano aveva sempre adorato l'informatica e i linguaggi di programmazione per questo motivo. Eseguono comandi esattamente come il programmatore decide. E se ciò non succede, è comunque colpa del programmatore, che è in grado di rivedere quello che ha scritto e di risolvere. Nulla di complicato per chi conosce la materia.
Mentre pensava a questo alcuni del team avevano riconosciuto alcune loro amiche passeggiare nella strada dall'altro lato della finestra vicina a loro, e le invitarono a entrare. Erano tutte delle ragazze ben distinte, perlopiù ex compagne di università dei giovani, quindi ragazze dotate di una certa conoscenza. Vestivano quasi tutte con dei jeans e delle magliette, non erano decisamente dedite ai completi da sera. Tra loro, una in particolare emerse agli occhi di Stefano. Una ragazza alta e slanciata, dai capelli mori tenuti non molto lunghi, e gli occhi azzurri proprio come il cielo in una giornata di sole. Tra tutte portava l'abbigliamento forse un po' più stravagante, con dei colori forse un po' troppo sgargianti, ma che non dispiacevano. Però l'interesse che Stefano provava questa ragazza, il modo con il quale la fissava e col quale ci chiaccherava, non sembravano puntare a qualcosa di serio. Molti dei ragazzi, fidanzati, vedevano questa unica pecca in lui. La completa assenza di interesse in quello che può essere l'amore.
Fin da piccolo ho sentito dire dei modi di dire del tipo "al cuore non si comanda", "l'amore è cieco", e non sono mai riuscito a darmi pace. Come può esistere una cosa così incontrollabile come l'amore? Chi vorrebbe averne a che fare? L'uomo non di certo. All'uomo non piacciono le cose intangibili, che non si vedono, ma che si sentono ad ispirazione. Siamo una razza che si è evoluta proprio perché ha saputo comandare seppur in maniera primitiva gli elementi, e l'uomo vuole solo questo. Cose che si riescono a comandare con facilità, e senza dubbi. Tutti i film, tutte le opere d'arte, qualunque cosa è fatta per scatenare a comando nell'uomo una reazione, un sentimento, deciso dall'autore. Se l'opera non riesce in questo, l'autore ha fallito, e ammette immediatamente la sua sconfitta.
Che l'amore sia la più grande sconfitta dell'umanità? Quante persone si sono fatte trasportare in un abisso sconosciuto senza nemmeno rendersi conto di quello che stavano facendo, e senza rendersi conto nemmeno di cosa stava succedendo? Troppe. Questo perché troppi dementi ci vedono nell'amore qualcosa di magico e intoccabile, che sta al di sopra della nostra intelligenza.
Quante stronzate dette in così poche righe? L'amore è un difetto, un errore di programmazione, sul quale nessun uomo ha saputo porre giusto rimedio. Piuttosto di sentire tutti quei cialtroni che omaggiano l'amore e ci scrivono poesie di sopra, io sono sempre rimasto dell'idea che gli unici ad avere ragione sono i The Smashing Pumpkins: “Love is suicide”.
È qualcosa che trascende la nostra comprensione, è il suicidio dell'umano intelletto.
L'unica cosa che interessava a lui da quella ragazza era una cosa che, anche se da molti collegata inscindibilmente all'amore, lui vedeva come fine ultimo in una relazione: il sesso.
E anche lei sembrava comunque della stessa idea. Non sull'amore, ma sul fine della serata.
Stesero a chiaccherare abbastanza tranquillamente, del più e del meno, di tutto e di niente, fino a quando i discorsi non finirono sull'occupazione dei due.
"Io in questo momento sto lavorando con i ragazzi a un progetto web sul trasferimento da una postazione a un'altra di messaggi criptati in maniera semplice e veloce. Per fare una cosa del genere mi sono sempre dovuto servire di programmi pensati non proprio per questa mansione. O, oppure, mi posso servire solo del programma di criptaggio e decriptaggio, dovendo poi consegnare io il messaggi al destinatario. Così fondo le due cose."
"Ho capito. Davvero, davvero interessante."
Sorride, sembra sincera. Dal modo col quale è appoggiata sul tavolo, così dolcemente, mi fa pensare che si trova suo agio. Tiene appoggiato il braccio sul tavolo, il polso nascosto dai suo capelli, così come la mano sulla quale adagia la sua testa. Con quel sorriso inclinato sembra essere proprio a posto, con me e con la discussione. Sembra aver capito cosa ho detto. Del resto è pur sempre un'universitaria.
"Tu invece cosa fai?"
"Io in questo momento sto allestendo una mostra."
"...sei un'artista?"
Lei iniziò a far barcollare la testa.
"Mhhh non proprio. Diciamo più una...chessò, una creativa? Del resto, gestisco io la galleria, e le opere sono state fatte sotto supervisione mia e di qualche altra mia compagna di università, ma non sono proprio io l'autrice."
...e quindi che è riuscita a capire del mio discorso? Studierà presso le belle arti, o qualche cosa così. Magari non c'è bisogno di una laurea per parlare di cifratura sul web, l'https è ormai all'ordine del giorno.
"Io sono abbastanza sicura che non sia qualcosa che t'interessi molto."
Stefano restò un attimo interdetto. Poi si ricompose, per non farsi cogliere impreparato a quel colpo.
Ma si nota così tanto?
"Hai ragione. L'arte non mi ha mai appassionato. Non rientra nei miei interessi. L'arte, così come tutte le materie creative sono basate sull'intituività, su degli ideali. Roba troppo trascendentale. Per me, appassionato di cose logiche e precise."
Lei per tutta risposta inclinò la testa in avanti, quasi a voler nascondere il suo volto. Non aveva i capelli così lunghi, però la penombra di quel locale rendeva difficile la visione nitida di qualsiasi cosa. Il locale era un classico pub a stile irlandese. Entrando predomina il legno. Il lunghissimo bancone era infatti tutto in legno scuro, molto alto e sul quale si erge tutta un'impalcatura per tenere oggetti vari e bicchieri appesi. La luce, nel resto del locale, proveniva da delle applique dal gusto antico, pensate apposta per rendere la luce molto soffusa. Molte parti del locale erano in penombra.
E ora? Se l'è presa? Non è che ho combinato una cazzata? Cavolo...
Mentre Stefano era perso nei suoi pensieri, la ragazza riemerse dalla penombra inclinando la testa all'indietro. Si mise a ridere di gusto. Tutta la comitiva si girò verso di lei, basita. Fissarono prima lei, poi si girarono verso Stefano, un po' perplesso per il comportamento della ragazza. Tutto l'imbarazzo s'interruppe bruscamente quando lei, in un unico movimento, raddrizzò la testa e si alzò all'impiedi, afferrando per un braccio Stefano e tirandolo via. Lui d'altro canto, un po' per lo spavento, un po' perché di quella situazione aveva capito ben poco, si lasciò tirare via senza discutere.
"Scusatemi, ma me lo porto a fargli vedere una cosa alla galleria!" urlò lei mentre attraversò il lungo bancone adiacente all'ingresso.
"Andrea, paga tu per noi due!"
I due furono illuminati dal lampione posto sotto l'ingresso, all'esterno del locale, per svanire nel buio di quella notte. Ridotto di due mebri, il gruppo di amici al tavolo si guardò perplesso.
"Bastarda, non so nemmeno se ce li ho tutti questi soldi."
"Ma che è andata a fare Margherita con quello lì?"
"Secondo te?"
"Maliziosa..."
"Nah, se vanno davvero in galleria non sarà nulla di che. Non è il luogo adatto a cose simili. E poi Margherita tiene troppo alla disposizione che ha dato alle opere. Sono tutte pronte per dopodomani, che c'è l'apertura della mostra."
Il dubbio comune di tutti quei ragazzi lasciò il tavolo, per andarsi a soffondere, insieme alla luce del locale, in maniera sempre più fine e sottile, per svanire.
  
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