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Autore: terrycontyby90    12/02/2015    3 recensioni
Kid stava cercando di fare del suo meglio per diventare più di quello che ci si sarebbe aspettato per la sua intera vita. Mentre tentava di applicarsi all'università, ricevette una inaspettata offerta da un uomo che è molto più di quello che appare.
Dal secondo capitolo: "...Che genere di offerta?" "Comporta che pago in toto la tua istruzione, le spese di soggiorno, e qualsiasi cosa di cui avrai bisogno in cambio della tua compagnia. Che dovrebbe includere, ma non esclusivamente, il sesso."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Killer, Penguin, Trafalgar Law, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Questa FanFiction è originalmente scritta in inglese.
Spero di aver fatto e di continuare a fare un buon lavoro con la traduzione.
Se l'autrice dovesse modificare i parametri della storia, lo farò anche io.
Vorrei ringraziare musa07 che mi farà da beta.
Terry Conty "90"

Waiting Game


Capitolo 1

Law si reclinò lentamente sulla sedia con un sospiro, allentando la sua cravatta. Chiuse gli occhi per qualche momento prima di darsi una leggera scossa mentale per riordinare e guardare le tante istanze sparse sulla scrivania di fronte a lui.

Ne scelse la domanda di un altro speranzoso studente, sfogliandola pigramente e lasciandola cadere sul mucchio di quelle già lette, non ci aveva trovato nulla di interessante, soltanto un altro studente con voti semplicemente perfetti. Raggiunse le rimanenti pratiche e ne prese una manciata, sfogliandole nella speranza che qualcosa attirasse la sua attenzione, e buttandole nuovamente sulla scrivania quando questo non accadde.

C’erano ancora molte pratiche da ordinare e lui non aveva alcun dubbio che quella notte sarebbe stata un’altra di quelle lunghe, così decise che poteva anche mettersi comodo.

Prese la pila di istanze ancora da leggere e si diresse verso il tavolino da caffè vicino al confortevole divano in pelle che aveva preso per momenti come quello.

Li fece cadere lentamente sul tavolo, sospirando quando alcuni fogli caddero sul pavimento. Prima di sedersi o di raccoglierle, però, guardò il bar e i bicchieri da whisky su di esso e decise che avrebbe potuto davvero farsi un drink.

Lunghe dita guantate afferrarono il collo della bottiglia e ne tolsero il tappo prima di scegliere un bicchiere. Una volta che si fu servito e che rimise tutto al proprio posto, si prese un momento per fare un sorso e godersi il forte sapore prima di deglutire lentamente. Espirò dolcemente e tornò al suo tedioso ma necessario lavoro che lo aspettava.

Camminò a lunghi passi verso il posto dove aveva lasciato i documenti, lasciando il suo bicchiere sul basso tavolino con un piccolo scatto prima  di inginocchiarsi e risistemare i fogli caduti.

Una volta che li ebbe raddrizzati e riorganizzati in qualcosa di gestibile, fece per mettersi in piedi, fermandosi però quando qualcosa colse la sua attenzione.

Posò le cartelle da una parte, spostandole un po’,  sollevò quasi metà della piccola pila di documenti che aveva lasciato sul tavolo per raggiungere quella che aveva scoperto essere una foto,  che sembrava essere appena scivolata dalla rispettiva cartella. Per questo poteva solamente vedere i capelli del richiedente, il loro colore, da solo, bastava a cogliere la curiosità di Law.

La copertina della cartella aveva lo sticker rosso che la sua segretaria aveva applicato sule istanze dei richiedenti classificati come ‘sguardo basso’. Coloro che a causa delle loro qualità, o di qualche fattore ‘indesiderabile’, non avevano potuto avere una reale possibilità di ottenere una borsa di studio nelle loro scuole.

I suoi occhi si mossero a leggere il nome scritto nella tabella, e sorrise appena, divertito da quello che lesse. La curiosità adesso era raddoppiata, questa volta chiedendosi che tipo di genitori potesse dare un nome del genere al proprio bambino; aprì l’istanza.

Non era sicuro di cosa si aspettasse di trovare, magari uno speranzoso ragazzo che aveva attraversato una fase di ribellione e non aveva avuto il buon senso di nascondere le prove dei loro errori*, per evitare di essere immediatamente scartato dalle più grandi scuole d’élite, ma di certo non si aspettava ciò che incontrarono i suoi occhi.



Quando pioveva forte, molti, se ne avevano la possibilità preferivano starsene dentro. Magari raggomitolati in una coperta a guardare la TV con i propri cari. Quelli che credevano  di essere carini avrebbero speso un simpatico pensiero per coloro che erano intrappolati fuori in quelle miserevoli condizioni.

L’idilliaco pensiero, gli fece venir voglia di tirare un pugno a qualcuno.

'Vorrei vedere uno di questi camminare in questa strada proprio adesso'  Kid scosse la testa per liberarsi delle ciocce che gli cadevano negli occhi, apparentemente solo per farlo arrabbiare.

Fottuta pioggia.

Fottute linee degli autobus e i ricchi stronzi che le hanno decise.

Fottuti ricchi stronzi che pensano di poter decidere chi può andare dove.

Kid sospirò. 'Fottuti dirigenti universitari.'

Anche se per quanto gli piacerebbe maledire chiunque per i suoi problemi, non avrebbe potuto dare agli altri la colpa per i suoi errori. Un vero uomo non incolpa gli altri  per i propri fottuti sbagli. Era una sua dannata colpa se non aveva potuto entrare in quella scuola, nonostante gli insegnanti di merda e l’altrettanto schifoso ambiente. La sua mancanza di sforzo per dimostrare qualcosa di simile ad un cervello nel dipartimento dell’accademia era ciò che stava causando i suoi dannati problemi.

Magari se avesse tenuto duro. Pagato per delle attenzioni in più...

Ma fanculo a quella merda. Era lì adesso. E proprio in quel momento era l’unico pensiero in grado di salvare il risultato del suo esame ed ogni speranza di un futuro che non gli costasse la rottura della schiena o la strada, rompendo teste per il territorio e i soldi, rompendosi il suo stesso culo alla fine.

L’ultimo esame era stato quello stesso giorno e sperava che l’emicrania e le nottate in cui Killer lo aveva aiutato sarebbero valse a qualcosa. Se così non fosse stato, alla fine lui ci aveva provato e non avrebbe avuto nessuno da incolpare se non sé stesso.

Questo non significava che non potesse lamentarsene.

E se significava tenere il suo temperamento sotto controllo, non era sufficiente per ottenere verbali dalla polizia per proprietà nuovamente danneggiate, ma Killer non aveva tempo libero dal suo lavoro per andare a prenderlo e contrattare coi droni militari travestiti da poliziotti. Per questo continuava a mandare mentalmente a ‘fanculo’, meditando di degradare e smembrare ogni singola persona e oggetto che gli venisse in mente.

Con questo pensiero nella mente continuava a maledire tutto e tutti, ciò che continuava ad infastidire i suoi nervi già tesi.

Dopo quelli che sembravano anni, ma in realtà era solo qualche ora, vide la sua strada e sentì la pioggia cominciare a smettere.

'Figurarsi se non smetteva quando sono finalmente arrivato a casa.' Kid borbotto a sé stesso. Sarebbe stato troppo fottutamente conveniente fermarsi prima, obbligandolo a camminare per due miglia sotto la torrenziale pioggia e facendolo sentire come un gatto annegato.

Si era decisamente pentito di aver rifiutato l’offerta di Killer di riaccompagnarlo a casa.

Ma sapeva che Killer aveva probabilmente messo da parte il suo lavoro per aiutarlo così tanto la scorsa settimana e non voleva farlo finire nella merda col suo capo. Specialmente dopo che Killer gli aveva concesso le migliori tre ore del suo giorno, e dopo che lo aveva aspettato per due ore che finesse il suo esame per parlare di applicazioni, prestiti agli studenti e piani di pagamento per quando le lettere di accettazione avrebbero iniziato ad arrivare.

Solo che loro non ne avevano.

Kid aveva evitato di dire a Killer che sperava che alla fine qualcuna sarebbe arrivata presto. Le uniche lettere che aveva avuto erano tutte formali ed educatamente scritte, ma in sintesi gli dicevano 'va a farti fottere'.

Sospirò, portandosi indietro i capelli che gli cadevano sul viso per l’ennesima volta nelle ultime ore, completamente assorto. Non sapeva perché era addirittura seccato, facendoseli scivolare indietro, a destra del viso.

La freschezza della pioggia lo aveva aiutato a contenere la sua rabbia, evitandogli di farla esplodere sull’oggetto più vicino, frustrato.

Alla fine aveva messo a fuoco l’ambiente circostante, irritandosi per la sua negligenza, aveva abbassato la guardia e non era la cosa più dannatamente intelligente che potesse fare in quella zona, si fermò a prendere la posta.

Si inginocchiò, accigliandosi per il freddo che filtrava nei suoi jeans attraverso il calcestruzzo. Tirò fuori la catena a cui erano attaccate le chiavi, incastrandone una nella serratura arrugginita, lottando e scuotendo la porta blu sbiadita per farla aprire per vedere cosa era stato consegnato quel giorno.

Aprire il dannato sportello di metallo era una spina nel culo, ma era meglio di prima, quando il coperchio era talmente arrugginito che il piede di porco faceva più danno che altro. La salvaguardia del postino per il prezzo della chiave ha risolto molti problemi.

Raccolse la manciata di lettere in un piccolo pacchetto, premurandosi di tenerle lontane dal suo corpo bagnato, sbatté la porta, chiudendola. La calciò per essere sicuro di averla chiusa bene, attorcigliò la catena intorno alle chiavi prima di rimettersele in tasca.  

Guardando il pacchetto per capire chi fosse il mittente, iniziò a mettere in ordine le lettere camminando sul cemento bagnato del marciapiede intorno all’apparentemente disabitato edificio, a pochi passi dalla casella postale.  

Diede una spallata alla porta e fece una smorfia per il forte stridio che produsse. Prese mentalmente nota di tornare più tardi per oleare di nuovo le cerniere.

Guardò intorno a sé il fatiscente appartamento mal pulito, notando, dal silenzio, che non c’era nessuno. La calma lo faceva sentire leggermente inquieto. Di solito era abituato ad avere qualcuno intorno quando rientrava. Solitamente in una situazione come quella, c’era sempre qualcuno come Wire a dargli il benvenuto con una tazza di caffè fumante. O nel caso di Heat, qualcuno che silenziosamente si agitava per il suo stato annacquato. Sebbene probabilmente sarebbe stato afferrato da un paio di fratelli troppo entusiasti. Metà delle volte finivano con lui che prendeva pugni diretti al suo culo, dai quali poi partiva il disco rotto di orripilanti scuse, discutendo su quale dei fratelli fosse il colpevole, e assecondando l’adorazione rivolta nei suoi confronti.

Pensandoci bene, la tranquillità poteva essere bella ogni tanto.

Sbuffando, Kid si diresse verso la scala, saltando il secondo scalino quasi istintivamente, avviandosi alle camere. C’era un ascensore ma il rosso non ne vedeva l’utilità quando doveva salire solo una rampa di scale.

Sfogliò nuovamente le lettere per essere sicuro che fossero nell’ordine giusto prima di raggiungere il pianerottolo. Kid alzò lo sguardo verso la sala vuota delineate dalle porte, piccolo tavolini sistemati vicino l’entrata delle camera occupate, le porte che erano state dipinte in colori diversi, e decorate nel caso dei gemelli.

Percorse il corridoio, lasciando le lettere sulle corrispondenti scrivanie. Il pacchetto era per i gemelli, e Kid poteva solo sperare che, questa volta, non contenesse fuochi d’artificio.

Dopo aver consegnato la posta, si fermò a guardare l’unica lettera rimasta, indirizzata a lui. Il rosso si accigliò osservando la carta certamente costosa che riportava l’indirizzo del mittente. Un’altra lettera dell’università e, senza dubbio, un altro rifiuto.

Con uno sbuffo di irritazione, si decise a leggere il contenuto indubbiamente negativo della lettera dopo la doccia.

Camminò verso la sua porta, senza preoccuparsi di usare la chiave, spingendo la porta per aprirla, non preoccupandosi quando si bloccò appena. Prese nota che il colore rosso si fosse leggermente sbiadito, promettendosi di farci un altro strato di vernice.

'Solo un’altra cosa da aggiungere alla dannata lista.' Pensò stancamente.

Chiuse la porta dietro di sé col piede e camminò verso la sua camera da letto. Fermandosi solo per gettare l’inutile pezzo di carta sul tavolo del cucinino, stabilendo di farsi una doccia nella speranza che il bagno caldo lo rilassasse un po’.

Tutti gli studi e gli esami che aveva fatto lo avevano lasciato teso e stanco.

'Ma alla fine, per il momento avrò una pausa.'

Con un sospiro, si tolse la giacca e la lasciò cadere a terra, l’avrebbe raccolta e messa a posto il giorno seguente. I suoi stivali vennero dopo, sfilandoseli dalla punta e lanciandoli in direzioni opposte con profonda e grande soddisfazione, ascoltando il suono che emisero da ovunque lui li avesse lanciati.

Si fermò per togliersi la sua t-shirt a tinta unita, sfilandosela dalla testa e slacciando la sua cintura prima di spingersi i jeans in basso, fino alle caviglie, gettando la maglietta e calciando i pantaloni lontano da sé. Non aveva avuto il tempo di prendere un paio di boxer la mattina, quindi era finalmente privo di vestiti.

Camminò verso il bagno e accese le luci.

Aprì il box doccia e lasciò scorrere l’acqua calda a piena forza prima di aggiustare il grado di calore con un po’ di acqua fredda per renderla sopportabile. Verificò  la temperatura ed entrò, chiudendo la porta dietro di sé.

Sospirò, appoggiando la fronte contro le piastrelle, lasciando che l’acqua calda lo lavasse. Per qualche secondo la sentì lavorare per liberarlo del gelo che gli aveva lasciato addosso la pioggia.

Improvvisamente ringhiò irritato, desiderando di tirare un pugno a qualcosa, ma non avendo la voglia di aggiungere “sistemare il muro della doccia” alla lista infinita di merda da fare.

Nonostante il conforto fisico offerto dall’acqua calda, che lui stava ringraziando per avergli allentato un bel po’ i muscoli, le sedie all’esame erano uno schifo, molto più adatte per un interrogatorio. Dannazione, era stato così a disagio, incapace di sedersi in una posizione per più di qualche secondo senza il rischio che le sue gambe e il suo culo si addormentassero.

I suoi pensieri alla deriva tornarono alla lettera che lo aspettava sul tavolo, ringhiò.

'Grandi ed enormi stronzi. Sono sorpreso, non mi hanno dato nemmeno un giorno prima di inviarmi la lettera di rifiuto.'

Non c’era nient’altro che potesse fare. L’indirizzo di partenza era chiaramente quello della scuola da cui arrivava, e Kid sapeva che le sue possibilità di entrare in un’università di prestigio per ricchi e brillanti studenti come quella erano meno di zero. Killer aveva detto di inviare comunque la domanda da qualsiasi parte, Kid doveva aprirsi tutte le opzioni, anche quelle che sembravano impossibili.

Ma Kid capiva le cose abbastanza bene, a dispetto di quanto pensava Killer. Sapeva che il suo ambiente e i suoi non brillanti risultati erano più che sufficienti per radiarlo praticamente da qualsiasi scuola decente.

Questo senza considerare quello stupido incidente.

Quel pensiero fece stringere i pugni a Kid, così forte che poteva sentire le sue unghie conficcarsi nei palmi.

Ma veloce come era venuta, tutta la sua rabbia sembrò drenare dal suo corpo, e  lui tornò ad appoggiarsi al muro della doccia. Il viso inclinato verso l’alto e gli occhi chiusi, sospirò e si fece scorrere le dita fra i capelli, facendo uno ‘tsz’ quando incontrò un nodo.

Ricordandosi il motivo per cui era lì, afferrò un po’ di shampoo ed iniziò a strofinarsi con forza il cuoio capelluto.

'Perché ci ho provato? Le probabilità sono contro di me. Non importa in che modo mi rivolgo. Ogni volta penso che sto facendo progressi, ma improvvisamente un altro posto di blocco mi spinge indietro. Sono stanco… Magari è il momento di lasciar perdere. Dovrei avviare un’officina o qualcosa del genere.'

Smettendo di pensarci, lavò via lo shampoo dai suoi capelli, i suoi occhi si fermarono sul suo braccio. In particolare, su una cicatrice.

Era passato circa un anno da quando l’aveva, ma pesava ancora nella sua mente.

"Quindi, lo faccio perché voglio farlo. Perché dovrebbe importarmi altrimenti?"

Sogghignò, l’espressione calma ma troppo provocatoria per essere chiamato sorriso.

Per il momento, avrebbe continuato a provare, almeno fino alla scadenza imposta; e sapeva che non c’erano altre opzioni. Se solo non si fosse mostrato completamente...

Sentendosi leggermente meglio con quei pensieri, e dopo una veloce lavata al suo corpo, chiuse l’acqua. Decide di non asciugarsi i capelli per il momento, voleva solo mettersi comodo e mangiare qualcosa.

Spingendo la porta, uscì dal box afferrando un’asciugamani usandola prima per pulire un po’ di condensa dallo specchio, e poi per asciugarsi. Vide il suo riflesso e si accigliò. Non gli importava di attraversare la lenta routine dell’applicazione dei suoi soliti cosmetici, ma si sentiva sempre nudo senza loro.

Killer lo aveva messo in guardia riguardo all’indossare uno dei suoi soliti outfits o make up, e aveva detto che le sue unghie, per quanto eccentriche, potevano passare come un accettabile accessorio fashion se non vi si richiamava l’attenzione. Qualsiasi altra cosa rischiava di attrarre le attenzioni sbagliate. Già i suoi capelli bastavano a sollevare qualche critica.

Killer non gli aveva chiesto di cambiare, solo di abbassare i toni abbastanza da non dare ai funzionari della scuola un pretesto. Ma non era ancora sicuro di sé o si sarebbe offeso un po’ per quest’ultima nota.

Un altro vantaggio della fine degli esami era che poteva nuovamente sentirsi un po’ più sé stesso. **

Un altro pensiero fu interrotto dal borbottio del suo stomaco.


'Sarà meglio che i ragazzi non abbiano assalito il mio frigorifero mentre ero via, i loro complimenti sulla mia cucina non li salveranno questa volta.'

Si mise l’asciugamani intorno al collo e si diresse verso la cucina, fermandosi solo per prendere dal comò un paio di morbidi pantaloni della tuta grigi e metterseli addosso.

Fatto questo, aprì il frigorifero con sospetto, poi sorrise quando vide che non solo i suoi avanzi erano dove li aveva lasciati, ma i ragazzi avevano apparentemente preso anche una piccolo torta con 'Congratulazioni Capitano!' scritto sopra con lettere di un audace rosso smerigliato.

"Bastardi." Disse con un sorriso,  la parola ingannevolmente dura piena di affetto e calore.

Sapeva che probabilmente ad un certo punto lo avrebbero trascinato fuori per festeggiare da qualche parte e questa era la sua doverosa attenzione. Avrebbe mangiato qualcosa più tardi, dopo aver preso qualche vero cibo per il suo stomaco.

Frugando oltre il dolce della pasticceria per prendere gli avanzi  conservati dalla sera prima, Kid roteò gli occhi quando notò che mancava qualche boccone.

Strappò l’involucro di plastica avvolto intorno alla ciotola, e si accigliò quando gli si attaccò alla mano. Gli ci vollero dieci secondi buoni per liberarsene, prima di riuscire finalmente a buttarlo nel cestino. Sballottò il cibo nel microonde e schiacciò il tasto per riscaldare, tutto quello che aveva da fare poteva aspettare.

Si appoggiò al bancone ad aspettare, muovendosi solo per prendere una forchetta da uno dei cassetti.

Tornò a suo posto per sistemare la forchetta sul tavolo, e il suo sguardò catturò la lettera, accigliandosi.

Quella dannata cosa sembrava prenderlo in giro.

Pensò cupamente di bruciarla e prendersi alla fine qualche soddisfazione, ma sapeva che avrebbe dovuto almeno leggerla, fosse solo per  la curiosità di conoscere come i fottuti avessero deciso di scrivere il loro politicamente corretto modo per dire 'marcisci all’inferno'. Probabilmente con un mucchio di 'grazie' per aver tenuto in conto una così 'umile istituzione dell’apprendimento', seguito dalle loro 'sincere' scuse, ma lui non era in grado di frequentare la loro scuola a causa di una 'mancanza di requisiti distinti' e speravano di vedere nuovamente la sua domanda una volte che avesse 'raffinato i suoi studi'.

'Come se avessi vinto alla lotteria, diventando un milionario, e dopo scoprissi di essere il fottuto erede disperso del supremo regno di ChissàIlCazzoDove, casa delle fottute fate dai capelli rossi e dalla regale pelle pallida.'

Il suo tentativo di umorismo amaro fu interrotto dal microonde che si spegneva e lo avvisava di andarsi a prendere il suo dannato cibo.

Prendendolo, si sedette su una delle sue sedie. Kid strofinò il pollice su uno a caso dei solchi sul tavolo, ingoiando un boccone di pollo all’aglio.

Quando metà del suo piatto divenne vuota, il suo sguardo tornò a fissarsi sull’innocente lettera. Se fosse stato assennato, sarebbe stato più che probabile temere per la sua esistenza in quanto giovane dai capelli rossi. Inutile parlare di come stesse tenendo la sua forchetta, nemmeno fosse un pugnale.

Con un sospiro, Kid prese un altro boccone prima di lasciar cadere la sua forchetta nel piatto con clangore, e raggiungere la lettera.

Non si prese nessuna cura nello strapparle il sopra e prenderne il contenuto. Non poteva onestamente capire perché le persone spendessero così tanti soldi in bei fogli di carta che sarebbero stati gettati via una volta portato a termine il loro scopo.

Kid scosse la testa per liberarla dai pensieri inutili, cosa volessero farci i ricchi coi loro soldi non era un suo problema, e restando a lungo in quel modo non avrebbe concluso un cazzo.

Mentalmente preparato come credeva di essere, Kid sfoderò la lettera, liscia all’esterno, ed iniziò a scorrere le parole.

Si fermò, e lo fece di nuovo, questa volta lentamente.

Si soffocò con la sua stessa saliva.

Una volta placato il suo attacco di tosse, Kid scatto in piedi dalla sedia, stringendo la lettera in una morsa mortale e correndo alla ricerca del suo cellulare.

"Cazzo, cazzo, CAZZO! Dov’è?!"

Inciampando in uno dei suoi maledetti stivali, quasi perdendo l’occhio sulla maniglia, e mancando di poco alcuni resti metallici che da tempo non aveva volute mettere a posto, Kid arrivò alla sua giacca e tirò fuori il suo telefono.

Il cuore in gola e il fiato corto, compose un numero che aveva memorizzato anni prima.

"Killer?! Sì, sono io. No, sto bene, ascolta, sta zitto per un secondo. No! Solo STA ZITTO! Non ci crederai fottutamente mai!"

Fissò nuovamente la lettera, sentendosi la testa un po’ leggera.


Le porte automatiche della sede principale si aprì di fronte a lui, e Kid camminò con calma, o almeno così sperava, nel grande atrio del palazzo.

Attese di fronte alla scrivania per qualche istante finché lei lo riconobbe. Quando lei nemmeno rialzò gli occhi, lui parlò.

"Mi scusi, Signora? Sto cercando 'Trafalgar Law' "

Lei sollevò lo sguardo con un sorriso stampato in volto, solo per congelarlo quando lo guardò.

"Cosa?" Il tono era piatto e il sorriso sembrava forzato.

Voleva agguantarla e chiederle se fosse sorda o, semplicemente, fottutamente stupida. Ma prima di farlo, si ricordò cosa gli aveva detto Killer.

'Sii educato, non fare scenate, non bestemmiare e non essere grezzo, e, ti prego, tieni sotto controllo i tuoi istinti.'

"Sono qui per vedere Trafalgar Law. Ho un appuntamento."

Lei serrò le labbra come se avesse assaggiato uno schifo, e disse:

"Ho bisogno di verificare."

Era stata una buona mossa portarsi dietro la lettera nel caso succedesse una cosa del genere. Non ne era felice, ma non poteva dire che non se lo aspettava.

Gliela consegnò per fargliela ispezionare, sentendo un tic all’occhio quando lei sollevò la lettera verso la luce.

"Eustass Kid?" Davvero non gli piaceva il disgusto con cui lei aveva pronunciato il suo nome

"Sì, sono io." 'Calma, calma.'

"Posso vedere un tuo documento?"
'Presuntuosa fottuta troia.'

Kid estrasse il portafoglio dalla tasca, la catena tintinnò quando lui lo aprì, tirando fuori la sua carta d’identità. Fermandosi a malapena dal lanciargliela.

Il modo in cui lei la prese, solo con la punta delle dita, come per evitare di toccarlo era completamente ridicolo. Sentì l’improvviso bisogno di allungare la mano e correre verso la sua tastiera e la sua penna per metterci le mani sopra. La puttana probabilmente avrebbe avuto un attacco.

La sua attenzione tornò a lei quando la sua carta gli fu rimessa davanti.

"Il dottor Trafalgar è fuori al momento, ma ritornerà presto. Puoi aspettare laggiù."

Un’unghia curata gli indicò alcune sedie raffinate vicine alla scrivania.

Arraffò la sua carta d’identità e la rimise nel suo portafogli prima di andarsene.

"Grazie." Aggiunse mentalmente 'Troia.'

Camminò verso le sedie prendendo quella con la miglior visuale sulla stanza.

Adesso, senza niente da fare, prese ad osservare i dettagli dell’ambiente. Anche se, in realtà, non ci fosse molto da guardare, era un qualsiasi posto d’affari d’alta classe. Un mazzo di fiori finti, luci troppo brillanti, odore di plastica, e le sedie erano più per l’apparenza che per la comodità, come poteva personalmente verificare.

Già annoiato dal guardarsi intorno, Kid spostò le sue attenzioni ai suoi piedi. Erano i suoi stivali migliori, senza buchi, quasi nessuna ammaccatura, e brillavano per il lucido che gli aveva dato. La ragione per cui non le indossava più era semplicemente perché il dorso gli scavava le calcagna.

Accarezzò il tessuto bianco della camicia che gli aveva prestato Killer. Non aveva gradito le motivazioni di Killer di doverla portare, ma aveva accettato quando gliel’aveva messa fra le braccia nel momento in cui Kid aveva aperto la porta per farlo entrare. Dopo che ne aveva una che più o meno rispecchiava i suoi gusti, ma poteva accettare di metterla vista l’occasione, così si era cambiato.

I jeans neri erano stata una scelta più facile.

Si mosse nervosamente sulla sedia - guardando il suo orologio e combattendo la voglia di passarsi le mani fra i capelli per pettinarli - e pensò di chiamare Killer.

E se avesse frainteso? Se tutto quello era solo un malinteso e avessero messo il nome sbagliato sulla lettera? Sarebbe stato imbarazzante, per non dire umiliante. Avrebbe potuto dare un pugno o uno sputo, senza alcun problema, in faccia a qualche delinquente omicida e non fregarsene, ma non riusciva a stare in situazioni imbarazzanti.

'Magari dovrei andarmene prima che lui arrivi...'

Fu improvvisamente strappato ai suoi pensieri, tutto concentrato a fissarsi i piedi, quando entrò nella sua zona un altro paio di scarpe vicino alle sue.

Alzò lo sguardo e si congelò.

"Buongiorno, Eustass-ya. È un piacere incontrati finalmente."


Continua....

* l’autrice non specifica di quali prove si tratti, ma lascia intendere che non siano cose positive per il cv di un candidato.
** anche qui non è specificato, ma si comprende con la lettura del resto del capitolo. Si riferisce, infatti, al modo in cui Killer gli aveva chiesto di comportarsi, rendendolo più “calmo” rispetto a quello che realmente è.
  
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