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Autore: blackhina    12/02/2015    4 recensioni
E se Alice non avesse mai lasciato il Paese delle Meraviglie?
E se Aurora non si fosse mai svegliata, perché Filippo è gay?
E se i sette nani fossero in realtà degli uomini affascinanti e dannatamente sexy ed irresistibili?
E se la storia su Pocahontas fosse tutta una menzogna, e lei fosse in realtà un lui?
E se Ariel non se ne fosse mai andata dal mare, ma fosse stato Erik a fare di tutto per raggiungerla?
Beh... è il momento di scoprirlo!
Genere: Avventura, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ebbene dopo un’eternità sono riuscita ad avere un’illuminazione per scrivere il secondo capitolo di questa stramba storia.
Dato che non so cosa scrivere vi dico semplicemente alleluia e buona lettura!
 
 
Capitolo 2.
 
- Come sarebbe a dire ‘non ti piace Aurora’?!- la vocetta stridula della fata Flora stappò le orecchie di Filippo.
- Che non mi piace.- punto, chiuso e arrivederci.
- Filippo tu devi baciare quella benedetta ragazza e risvegliarla.- Serena. Quella paffuta, impertinente, scavezzacollo di fatina vestita di blu. Filippo la tollerava poco.
- Ehi, abbassa il tono, moscerino.- detto ciò, il principe dai capelli color miele girò i tacchi e si diresse verso il cortile, dove crescevano alti rampicanti di piccoli fiori bianchi e profumati.
Il rumore dei suoi passi riecheggiò nel grande ingresso di pietra lucida e scura, fino a che i piedi non affondarono nella soffice erbetta coperta da un sottile velo bianco e candido.
Filippo sospirò.
Non era mica colpa sua se non gli piaceva Aurora… magari gli sarebbe piaciuta – anche se era molto difficile a suo parere – ma di sicuro non gli ispirava quello che una donna doveva ispirare in caso di amore.
A naso all’insù e con le palpebre calate inspirò profondamente, finché non si sentì i polmoni traforati da innumerevoli spilli gelati.
Poi una piccola sensazione di freddo nacque sulla punta del suo naso. Aprì gli occhi lentamente e guardò cos’era quel punto di ghiaccio sulla sua pelle: un piccolo fiocco di neve.
Peccato che c’era qualcosa di stranamente inquietante.
Quel fiocco, così delicato e preciso, come se fosse stato scolpito da mani esperte, era nero.
Nero come la pece, come la notte senza luna ne stelle.
Si spaventò, tanto da schiaffarsi una mano sul naso per farlo volare via.
- Cosa… cosa diamine era?- aveva il respiro affannato.
La reazione era eccessiva, forse, ma aveva un motivo valido per essere così agitato: l’ultimo fiocco di neve nero che quel regno aveva visto, era stato alla morte di Malefica.
E la presenza di un altro fiocco di quel colore voleva dire che ce n’era un altro, di ‘malefico’.
E che quel tizio era vivo, sano e chissà, magari perfido quanto la strega originale.
Un ‘dannazione’ gli scivolò fuori dalla bocca. Un accenno di sussurro , nulla di più.
Il primo istinto fu quello di urlare. Dopotutto non erano passati che pochi anni dalla vittoria sulla strega e quella non era la situazione migliore per l’ascesa di un nuovo mago.
Anche perché nessuno, compreso re Stefano e suo padre, sapeva dell’esistenza di più di uno di essi.
Basandosi solo su ipotesi, poteva essere un fratello, e se fosse stato così sarebbe il minore dei due, altrimenti sarebbe uscito fuori prima della sorella.
In ogni caso era l’ora di darsi una mossa: con poche falcate svelte, Filippo raggiunse il cavallo bianco dalla criniera e la coda sfumate di nero.
Il suo fedele destriero fu entusiasta di vederlo, anche se parve capire quasi subito la sua afflizione.
Filippo adorava cavalcare, la stretta automatica delle cosce attorno al busto del cavallo per tenersi su, i brividi che la sella di cuoio liscia gli scaricava per tutto il corpo, quando slittava di poco avanti e indietro.
Era la sua passione. Principe o no, passava gran parte della sua giornata nei boschi , poco lontani dalle grandi mura attorno alla sua città.
Ed era proprio quello che stava facendo, e pure quasi con spensieratezza, quando le sue orecchie che nel frattempo si erano unite al ritmo dello scalpitio degli zoccoli, il cielo si oscurò e una raffica di vento tagliente lo lisciò più volte su entrambi i lati del corpo.
L’ombra dei due compagni creata dalla luce calda del sole su entrambi sparì, come il tepore solare a cui Filippo si stava piacevolmente riscaldando.
Il giovane ebbe un sussulto, quando alzato lo sguardo, notò proprio sopra di lui un imponente drago nero e azzurro.
Ricordò lo scontro con Malefica, quando essa si fece drago, con una pelle squamosa e nera, che con la sua lucidità rifletteva la luce delle fiamme a cui aveva dato vita.
Solo lo spazio che correva dal petto al basso ventre era esonerato dalla colorazione scura: era infatti di un violaceo del tutto diverso dallo sgargiante viola delle stoffe che vestivano le dame.
E le ali… oh, le ali. Grandi quanto sottili e forti membrane della stessa tonalità della pancia, attraversate da innumerevoli venature scure. Compievano dei movimenti lenti, le interi ali, creando correnti d’aria così forti che era impossibile non barcollare una volta investiti da essi.
Così era la creatura che volava sopra il principe, immersa nel cielo, sfidante le nuvole che si dissolvevano al tocco con quel corpo possente.
C’era una differenza, il colore azzurrastro al posto del viola, ma era quasi impercettibile guardata in quella maestosa visuale generica.
Non lo stava guardando.
Quella gigante bestia aveva il muso, come lo sguardo – presunse Filippo – rivolti davanti a se, verso l’orizzonte infinitamente esteso.
Pensato che forse avrebbe potuto invertire la rotta, in modo da andarsi a nascondere tra la selva dei boschi, il ragazzo ebbe un barlume di speranza.
Quel barlume morì pochi attimi dopo, quando il drago mosse con uno scatto la grande testa, che poteva essere tranquillamente messa a confronto con una torretta del suo palazzo, tanto che gli enormi occhi gialli dorati non ebbero alcuna difficoltà a trovare il giovane.
Cosa più terrificante di quello sguardo maligno non c’era, le pupille nere che sembravano sottilissime porte verso l’inferno di tenebre, tagliavano a metà le iridi gialle radiose venate di filamenti millimetrici d’oro, che bruciavano d’un ardore tale da avvampare i boschi circostanti.
- Dio… abbi pietà…- parole morenti scivolarono lente dalla sua bocca ormai secca.
E non aveva ancora notato la bocca: un trionfo di guglie affilate come lame di spade sacre, bianche di una luce lunare, che giravano intorno ad una lunga lingua biforcuta e verde smorta, che si muoveva guizzando mentre piccoli schizzi di bava volavano e atterravano sul prato.
E quella bocca, quel dannatissimo limbo tra la vita e la morte, era piegata in un ghigno. Filippo pregò in ogni modo che conosceva per uscire vivo da lì, e la sorte sembrò farsi beffa di lui, quando quell’immensa creatura allungò una delle grosse e sfilate zampe, con falangi spigolose, armate da lunghi artigli perlati ed affilati come i denti.
Il giovane smontò da cavallo e con una gran pacca sulla sovra coscia, lo fece partire al galoppo.
Mai avrebbe lasciato che il suo fedele destriero venisse catturato e magari anche mangiato.
A quel pensiero fu scosso da un brivido.
Non voleva morire mangiato, non in quella bocca, ne in nessun’altra.
Si portò istintivamente la mano al fianco, dove di solito teneva la sua amata spada bianca, e appena il palmo toccò la stoffa dei suoi pantaloni si ricordò che l’aveva lasciata a casa, appoggiata al letto, in modo da ricordarsi di lucidarla al suo ritorno.
Non aveva neanche qualcosa con cui proteggersi, anche se una spada per lui era uno stuzzicadenti per il drago, ma avere uno stuzzicadenti era meglio che nulla.
Mentre i suoi pensieri facevano il loro corso, lo zampone della creatura si avvicinava pericolosamente, cosa che Filippo non aveva del tutto ignorato: cominciò a muovere le gambe, un passo dopo l’altro, e ben presto si trovò a correre verso la selva.
Vedeva la possibilità, una via per tornare a casa. Ce la posso fare, pensò, se mi muovo.
Poi accadde una gran puttanata: un soffio gelato ghiacciò l’entrata, creando una spessa lastra di ghiaccio trasparente come acqua.
Sono fottuto.
Quel dannato essere mostruoso non voleva fargli avere vita facile, e nemmeno perdere tempo in giochetti vari: lo afferrò, avvolgendolo nel suo pugno e chiudendolo in una gabbia di pelle squamosa.
Filippo urlò.
Con quanto fiato e forza aveva in corpo urlò e si agitò, cercando di allargarsi e di aprirsi una via di fuga.
Non scapperai, è la tua fine e prega che sia veloce.
I pensieri che vennero dopo erano di egual positività.
Sentiva il rumore della natura che scorreva fuori da quello spesso muro di carne viva e mai aveva ammirato in vita sua la straordinarietà della libertà.
L’aria lì dentro era opprimente, come una morsa e Filippo decise di lasciarsi andare a quello che doveva essere uno svenimento.
Non si risvegliò all’aria aperta o in una grotta dove chissà perché si aspettava di ritrovarsi: era in una stanza fatta esclusivamente di pietra grigia, con un’inquietante sfumatura verdastra.
La vista annebbiata gli permetteva di vedere poco all’inizio, ma con il passare dei secondi riusciva a mettere a fuoco sempre più elementi; si chiese se fosse stato meglio lasciare quel mondo, anziché finire in una specie di cella.
Questa era la definizione che secondo il giovane si poteva meglio dare a quel posto: un cubo di pietra con una porta composta con sbarre di ferro arrugginito e una piccola finestrella anch’essa rigorosamente sbarrata nell’angolo in alto a destra, che dava su un cielo stellato.
Oh, c’era anche una fiaccola, su cui zampillava non proprio allegramente una fiamma verde. Verde. Quando mai s’era visto un fuoco di un colore simile.
Ad ogni modo non importava di che razza di colore fosse una fiaccola, il vero problema era come fare ad uscire di lì.
Rimarrò qua dentro a marcire.
Sempre pensieri molto positivi.
Era stato rinchiuso in una cella anche quando dovette uccidere Malefica, ma allora c’erano le fatine ad aiutarlo.
Stavolta era solo. Completamente isolato.
Era seduto su una specie di branda appesa al soffitto grazie a quattro catenacci che dondolava scricchiolando lagnosamente, e quell’agonia di suono lo stava cullando da più o meno dieci minuti, quando Filippo parve sentire il rumore di passi nel corridoio fuori dalla cella: rimbombavano nei muri di pietra muschiosa e umida ed erano leggeri e svelti.
Un’improvvisa ansia assalì quella che poteva essere chiamata la sua pace interiore, e ne ebbe il sopravvento.
Chi era? Cosa aveva in mente?
Ma la domanda che forse lo tormentava di più era se chiunque si stesse avvicinando era lo stesso che l’aveva portato lì. E se così fosse stato, il drago nero e azzurrastro era davvero potente quanto lo era stata Malefica, e sarebbe stato un guaio, un abnorme ed esagerato guaio. Si alzò dalla branda e appoggiò la schiena al muro.
Respirò profondamente e chiuse gli occhi . appena abbassate le palpebre però successe un qualcosa che a Filippo non piacque affatto: il rumore dei passi cessò.
Ed il ragazzo si rifiutava vivamente di riaprire gli occhi e andare alle inferriate della porta per dare un’occhiata.
C’era davvero un silenzio tombale, rotto solamente dai piccoli ciottoli che si staccavano dal muro esterno e che rotolando per le pareti, si tuffavano nell’acqua.
Doveva esserci un fossato pieno di essa, intorno alla struttura. E sicuramente la sua cella non era ad un piano basso, dato che i sassolini che cadevano dalla sua finestra ci mettevano tanto a tuffarsici.
Non sapeva da quanto aveva gli occhi chiusi, forse secondi o forse persino minuti.
Ad ogni modo l’istinto di aprire gli occhi fu talmente forte, che con uno scatto li spalancò.
Il suo cuore si fermò.
Una figura esile vestita di nero e senza volto era in piedi, ad un metro da lui.
La bocca di Filippo su socchiuse di poco, giusto per far uscire un quasi inesistente filo di sospiro.
Le sue gambe erano percosse a tratti da violenti brividi.
La vista si adattò alla luce verde che illuminava l’intera stanza e riuscì a mettere a fuoco quella figura davanti a se.
Non era senza volto: aveva le labbra così pallide che si confondevano nella pelle e gli occhi erano cadaverici.
Due pupille chiare come i capelli arruffati di un azzurro sbiadito, circondate da iridi appena di un tono sopra il bianco.
Forse era davvero morto.
Il principe si scoprì la bocca asciutta e i muscoli del viso e del corpo completamente tesi.
La gabbia toracica era gonfia, con i polmoni pieni d’aria. Si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
Quel…ragazzo era immobile, tanto che Filippo fu tentato di andare e punzecchiarlo.
Poi si mosse, il morto, e fece un passo, e un altro poco dopo.
Ciondolava le braccia, non come altalene, ma in ogni caso le lasciava rilassate.
Stranamente il giovane non si accorse quasi dell’avvicinarsi del ragazzo bianco in nero.
Sussultò non appena si rese conto che gli era così vicino.
Era in apnea, Filippo, involontariamente tratteneva il respiro come se fosse l’unica chance per fuggire che non voleva lasciar correre via.
E poi una voce uscì da quei sottilissimi spicchi di luce. Un suono candido, puro.
- Benvenuta, mia dolce, fredda vendetta.-
Quella preziosa via di fuga a cui Filippo teneva tanto, scappò, senza se e senza ma.
Lo lasciò lì, a boccheggiare pendendo da quella bocca marmorea.
 
 
 
Ed ecco il secondo capitolo di questa storia!
Oddio sono così felice, mi sento realizzatissima… perché questa è la mia prima storia slash, quindi è un gran bel traguardo per la sottospecie di scrittrice che sono – manco mi posso definire così :’).
Okay, per ora non ho da dire nulla di che, anche perché è appena cominciata l’avventura di Filippo.
L’unica cosa che posso dire è che il giovincello ha incontrato per la prima volta uno strano ragazzo ‘cadaverico’ e che si presenterà solo nel prossimo capitolo. Quindi spero che vi sia piaciuta, sta roba, e soprattutto spero che continuerete a leggerla :)
Con questo vi lascio e alla prossima volta.
 
Tex
 
  
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