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Autore: Pachiderma Anarchico    13/02/2015    1 recensioni
La Frankfurter Allee, una delle più antiche strade di Berlino, si estende in tutta la sua egemonica lunghezza attraverso una vivace e scoppiettante Germania sul confine fra gli anni 30 - 40.
Una Germania ambigua, divisa a metà, fra cittadini immersi nella ritrovata speranza e leader politici che si preparano a chi sa cosa.
E' questa la nazione forte che ha riconquistato la sua antica potenza, è questa la realtà indissolubile di una nazione sotto ad un solo segno, la Svastica nera, e il rappresentante della "rinascita" di un solo nome: Adolf Hitler.
Ed è su questa strada, nel nero che si colora di luce, in una realtà screziata di irreale, quando odio e amore sono inscindibili, che bene e male sono stati cambiati per sempre.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Storico
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There was a time
I used to look into my father's eyes.
In a happy home
was a king, I had a golden throne.
Those days are gone,
Now the memories are on the wall.
I hear the songs
Of the places where I was born.
Upon a hill across a blue lake,
That's where I had my first heartbreak,
I still remember how it all changed.

My father said,
"Don't you worry, don't you worry child.
See heaven's got a plan for you.
Don't you worry, don't you worry now."


 


Trova ciò che ami e lascia che ti uccida.






 

[ II ] FRIGIDA - FREDDO






Bottrop, Germania 1937

 

Il sole morente screziava deboli opali nella stanza attraverso le sottili tende di velo color del bronzo; il cielo si incoronava del tramonto rosa e i lampioni, in file ordinate ai margini della strada, avevano iniziato già da qualche mezz'ora a facilitare il cammino dei trafficanti nella notte che sorgeva. 

L'ultimo canto di qualche fringuello accompagnava il gioioso motivetto di un JueBox lontano. 

Il vestito ambrato era una sinuosa cascata d'oro oltre la vita stretta, la gonna morbidamente orlata di nero intonava morbide onde intorno alle lunghe gambe coperte e la vita, fasciata da una sottile striscia di velluto scuro, risaltava le delicate forme della giovane donna che si specchiava nel proprio riflesso.

-Madre.. quando arriva Bendikt?-

-Sta arrivando tesoro.- le rispose una voce di donna proveniente dall'ampia cucina.

La ragazza continuò a rimirarsi nella propria visione, incredula di stare indossando un vestito così bello, ricamato d'oro. Non che la sua famiglia fosse esente dal poter permettersi bei vestiti e degne occasioni in cui indossarli, ma mai, prima di un qualunque Gala o di una qualunque delle celebri feste a sfondo politico a cui aveva partecipato, si era detta così nervosa. Non capitava mica tutti i giorni di doversi sposare. 

Il lieve cigolio della porta annunciò l'ingresso di qualcuno nella stanza.

-Cugina..-

-Bendikt!-

Il ragazzo sorrise nell'abbraccio che ben presto ricevette dalle sottili ma forti braccia della cugina. 

-Com'era l'America?- chiese.

-Meravigliosa. E' grande, è colorata e..lì non esistono leggi razziali.-

Il ragazzo potè quasi avvertire il fremito dell'aria silenziosa. 

-Non esistono neanche per noi.. 

-L'America è libera.-

-Sai che non devi parlarne Mariam, noi siamo tedesc..-

-Sì sì sì, vieni con me.-

Lo sguardo del ragazzo si appropriò della sua immagine in giacca e cravatta accanto a quella elegantemente vestita di sua cugina. Slanciato, dalle lunghe gambe, la pelle di crema che si accostava con naturale maestria all'oro della sua liscia chioma tirata discretamente all'indietro e gli occhi, di uno sfavillante, abbagliante verde giada. 

-Cosa ne pensi?-

-Sei bellissima cugina.- le labbra piene si sfiorarono nel pronunciare quelle parole e lo stesso silenzio si tramutò in qualcosa di più bello, almeno per un po'.

-Quando Caledon lo vedrà né sarà molto soddisfatto.-

-Sai che non devi farlo.- replicò Bendikt con assoluta convinzione. -Troveremo un altro modo, non devi sposare un tedesco solo per avere la cittadinanza.-

-Devo, cugino mio. La nostra famiglia ha finto per troppo tempo..adesso che sono un'adulta voglio fare qualcosa.-

-Non funziona più come un tempo, non ti daranno la cittadinanza tedesca solo perché sposi uno di loro..-

-Ma nessuno sospetterà mai di noi.-

Benedikt scosse la testa, sottraendosi al contatto che la ragazza cercò di avere con lui, sottraendosi a qualsiasi forma di sottomissione nel negare sé stesso e la propria discendenza. 

-Siamo sopravvissuti sino ad ora Mariam, sopravviveremo anche dopo. Ufficialmente siamo tedeschi, nessuno ha mai creduto il contrario.-

Mariam si lasciò andare ad un sospiro. Suo cugino era sempre stato un rivoluzionario, un ribelle, fiero delle sue origini anche quando il mondo voleva fargli credere il contrario. Aveva sempre, segretamente ammirato la sua forza, ma forse molto di più il suo coraggio, estremo, insensato, ma terribilmente puro. Non potè fare a meno di lasciarvi una carezza su quegli zigomi alti, su quel viso giovane, sulla vitalità della giovinezza camuffata dal peso dei tempi.

-Devo garantirvi un futuro..a te, a Sarah..a tutti noi. Alla nostra famiglia.-

-Non così..Mariam non così.-

Il verde in ramificazioni di smeraldo intorno alle pupille era così brillante, così determinato che per un attimo, un solo istante, Mariam credette davvero di poterci vedere un'altra possibilità dentro, una scelta. Ma non c'era scelta nella Germania. 

Non in quel modo. Non in quegli anni.

-Tu non sarai mai un vero tedesco Benedikt.. Lascia che lo diventi io per te.-

 

***

 

 

Berlino, Germania 1938

 

L'aula era immersa in una pacifica quiete interrotta di tanto in tanto solo dal fruscio di qualche foglio. Matematica. Test di matematica con propaganda "politica". 

Cambiò ogni cosa da quel 1933 che ora sembrava così lontano, solo una reminiscenza del tempo che non si ferma, trascinando via con sé sogni, speranze e libertà. 

Matematica. Numeri, formule, logica dell'anno che precede il diploma e ragazzi come quello seduto in terza fila, lato della finestra, precisi tratti nordici aleggianti nei morbidi, ebraici lineamenti del viso. Lo stesso ragazzo che era poco più di un bambino nell'anno in cui un uomo, ambiguo ma dalle parole di rubino, impresse nelle redini della Germania la sua mano. Speranza nei discorsi, forza nella promessa di un nuovo slancio sociale, di una nuova vetta economica. Vetta che fu vista e palpata realmente; commercio rinato, strade luminose di sfarzo e costosi cappelli sulle chiome scintillanti delle signore fresche di parruccheria. 

Ma a quale prezzo? 

L'assistere, in silenzio e in impassibile devozione, all'ambiguità del silenzio di notte, sottostare alle rigide, ferree leggi che da quel '33 misero piede in questo stato, nello stato delle industrie, nello stato dell'emblematica perfezione, radicalizzandosi nella vita dei suoi cittadini sempre più imperfetti.

Benedikt era un tedesco, doveva comportarsi come tale, indifferente a ciò che non accadeva a lui, indifferente a ciò che accadeva a coloro i quali le "Leggi d Norimberga"* condannavano. Non era affar suo se la condizione agiata della sua casata gli permetteva di nascondere certi dettagli, non importava se altri non erano stati altrettanto fortunati da poterselo permettere. E mentre le persone scomparivano e le urla cessavano misteriosamente, i suoi occhi chiari erano lì, con la loro bella maschera, intendi a risolvere l'ultimo quesito di un inutile test di matematica

Sapeva che non era così, che non si sarebbe mai abituato ai vicoli che divenivano più bui mano a mano che i palazzi diventavano più lucenti. 

-Buongiorno.-

Alzò gli occhi, di scatto, d'istinto Benedikt. La fredda inflessibilità delle voci della GESTAPO le avrebbe riconosciute ovunque, anche e soprattutto nei suoi incubi.

-Ci addolora dover interrompere un incontro di cultura, ma siamo costretti a dover fare alcuni accertamenti con i ragazzi. Lei comprende, vero signora?- 

La professoressa si alzò sulle corte braccia muscolose, un 1.67 di puro nazismo. 

-Dovranno uscire uno alla volta e raggiungerci nello studio del preside.-

L'uomo che parlava con una piega quasi inesistente delle labbra proprio dinnanzi a loro mentre un'altra guardia se ne stava in piedi sulla soglia, una gamba dentro e una fuori, quasi che volesse sbrigare la questione nel minor tempo possibile, visibilmente propenso a spendere il suo tempo in modi più proficui che parlare con dei liceali. Entrambi scrutarono la classe dall'alto con accurata circospezione, meccanici, simili come dei robot programmati alla stessa freddezza. E fu quando gli occhi del secondo uomo si posarono sul banco in terza fila, lato della finestra, che Benedikt si sentì improvvisamente scoperto. Quell'uomo stava guardando nella sua direzione. Quell'uomo stava guardando lui. 

Scoperto come se avesse tatuato in fronte cosa palpitava nel petto.

Abbassò il viso, tormentando con le dita il lato del foglio che non aveva più valore, poi lo rialzò, incapace di prendere una decisione, proprio quando l'indice della guardia faceva capolino nell'indicare lui. 

Merda. 

Il primo uomo, in una divisa grigio fumo stirata con maestria, seguì il segno dell'altro, ora non più fuori l'aula ma giusto un po' più dentro, per essere sicuro di non sbagliare la mira. Come un grilletto poggiato in fronte. 

Benedikt si sentiva così scoperto dinnanzi a quel grilletto che quando il poliziotto della GUESTAPO gli intimò molto gentilmente di alzarsi e seguirli potè giurare anche tempo dopo di aver avuto il "No" palpabile sulla punta della lingua. 

Ma non poteva farlo, non lo si poteva fare mai, e forse fu per questo, o più probabilmente per follia, che si sollevò con impulsiva destrezza dal porto tranquillo della sedia e richiamò l'attenzione dei presenti su di sè.

-Io vado professoressa.-

-Ah bene Müller. Cortesemente lascia sulla cattedra il compito e avviati con questi gentili signori.-

E lo fece davvero, a testa bassa e in religiosa calma il foglio del suo compito finì sulla cattedra e i suoi passi risuonarono nel lungo corridoio. Non ebbe scelta e non gli sembrò il caso di cercarne una quando il suo turno sarebbe comunque arrivato. 

Meglio tagliarsi subito. Meglio sanguinare prima. 

I soldati gli davano le spalle, avanzando davanti a lui, veloci e rigidi come marionette di un legno troppo duro. Ma era la schiena più slanciata e asciutta che attirò la sua attenzione, e la testa di un biondo quasi platino in cui sfociava.

Lo studio della signora Alzey accolse la calma irreale con le sue rosse poltrone e la larga scrivania in ciliegio. Le ampie finestre gettavano luce sul curato parquet scuro e alcuni fogli vennero riposti in un muto cassetto.

-Buongiorno Benedikt.-

-Buongiorno preside.-

-Lo chiama per nome?- domandò immediatamente un uomo accomodato su una delle due poltrone, una gamba accavallata e una penna in mano.

-Io chiamo tutti i miei studenti per nome.-

L'uomo rimase impassibile e Benedikt dentro sorrise, nonostante l'aria si fosse congelata e la luce che non era abbastanza forte da spazzare via il freddo che cominciava a solleticargli gli avambracci coperti, la preside non aveva cambiato atteggiamento neanche dinnanzi alla polizia segreta dello stato.

-Nome.-

Freddo. 

Col freddo sotto pelle si voltò, spaesato, verso alcune sedie in legno addossate con precisione millimetrica alla parete dove altri tre uomini gli osservavano il profilo con placida fermezza. "Credo si rivolga a me."

-Benedikt.- rispose con altrettanto inverno.

-Cognome.-

-Müller.-

Qualcun altro di loro, forse l'uomo con la penna in mano sprofondato nella porpora del cuscino, controllò che stesse dicendo la verità. 

"Se conoscono ogni più piccola informazione sul mio conto a memoria, perché mai si scomodano a chiederle direttamente a me?"

-Età.-

-Diciassette.-

-Residenza?-

-Berlino, Frankfurter Allee numero 8.-

-E' una bella postazione.-

Il ragazzo annuì senza neanche guardare in faccia chi ebbe commentato. Il freddo, nel frattanto, si era fatto gelo, improvvisamente il gelo gli si era accalcato alla schiena e ogni vertebra premeva per uscire di lì. 

-Vivi a Berlino dalla nascita?-

-Prima risiedevo a Bottrop.-

-Quando.-

-Un anno fa.-

-Causa trasferimento?-

-Lavoro dei miei.-

-Ti piace?-

-Cosa.-

-Berlino.-

Ci mise qualche secondo a rispondere, e la risposta lo sorprese. 

-Sì.-

La verità era che gli piaceva davvero Berlino, la sua grandezza e la convergenza del mondo fra le sue strade, con i suoi alberi alti e i maestosi palazzi, con lo spettacolo che diventava di notte, quando nel corso cristallino del fiume si specchiava l'oro delle case ai suoi fianchi, vigili come schiere di alfieri leali. Erano le persone che Berlino aveva in seno che non gli piacevano più.

L'uomo in divisa che lo stava interrogando puntò i vispi occhietti nei suoi, come se non volesse perdersi neanche la più piccola reazione alla domanda che stava per seguire.

-Sei tedesco?-

E il gelo si fece fango. 

Così, di netto, senza una spiegazione, senza un presentimento. Sapevano già la risposta, quegli uomini, conoscevano, o almeno credevano di conoscere il ragazzo che stavano interrogando, eppure glielo fecero lo stesso, il quesito che poteva valere la tua incolumità. 

Benedikt sapeva cosa dire, consapevole della gravità di quelle due parole, del peso che avevano negli animi e nelle ossa, e non si scompose neanche in una piega nello sdrammatizzare una domanda da un milione di franchi. Di quei tempi, la risposta a questa domanda poteva essere fatale.

-Mi ha guardato? Sono più tedesco di lei.-

Benedikt si aspettò che l'uomo si alzasse in tutta la sua divisa avvicinandosi minacciosamente o fulminandogli addosso con qualche occhiata sdegnata, e invece la reazione inaspettata che scaturì dalla cremisi poltrona in un angolo smorzò brutalmente la risposta di quella guardia. Perché Benedikt dovette guardare colui che si era insinuato nella scena con tanta naturalezza, una sonora risata, sprezzante e ragazzina allo stesso tempo, come una strada che porta in due direzioni differenti, come il bianco e il nero in un quadro in cui avrebbe dovuto regnare solo il grigio, in una sorta di indolenza occulta. 

-Ha ragione Alfred, i suoi capelli biondi tu te li sogni.-

Il calore nello stomaco accompagnò le parole di quell'uomo che prima il giovane non aveva notato, seduto compostamente, una gamba sull'altra, una mano lasciata pigramente penzolare da un bracciolo. Non seppe se essere grato dell'intromissione e dell'allusione al biondo dei suoi capelli, e quasi fu sollevato nell'udire la risata che l'aveva salvato, ma quando riconobbe il blu notte degli abiti che indossava e le due SS scarlatte sulla camicia che ammiccarono venefiche, non ebbe più dubbi: voleva andarsene via da lì. Scostarsi dal silenzio che sapeva di parole non dette. Fuggire dal sole di mezzogiorno. E poi ad un tratto, il vuoto di un precipizio ghiacciato si colorò del rosso più denso che avesse mai visto. 

Fu un attimo. 

Un attimo in cui l'inferno si tinse della sfumatura tipica del Paradiso. Un attimo in cui due incredibili occhi marini si frantumarono nel suo campo visivo, sulla linea del lampo che precede il boato del tuono. Quell'attimo infinito di silenzio in cui una piuma sul cristallo rimbomba in una carcassa di attesa infinita. Come se il tempo stesso stesse aspettando qualcosa. Due occhi azzurri tanto chiari, tanto celesti, tanto innocenti da appartenere ad un uomo delle SS, ad un uomo facente parte delle guardie personali di Adolf Hitler. 

Due occhi tanto innocenti che di innocente non avevano assolutamente niente, gli scivolavano lenti addosso. 

Era l'uomo che si era intromesso ad avere due occhi così, tulipano blu e verde marino in una miscela di opalescente policromia. 

A Benedikt bastò un'occhiata alla preside per affrettarsi a riparare il "danno".

-Stavo scherzando..ovviamente..Ma, tra persone di razza pura quali siamo noi si può scherzare, no?-

L'agente sembrò attonito dalla sua audacia, ammutolito dinnanzi ad un qualunque diciassettenne di buona famiglia che non solo l'aveva risposto a tono, ma continuava anche a tenere le redini del discorso.

-Certo.-

Annuì, quasi con riverenza e Benedikt si fece schifo, in un riflesso incondizionato, perchè riusciva a fingere così bene, quando sembrava che non dovesse neanche sforzarsi di ammirarli, di apprezzarli..di essere uno di loro..

-..Cosa ne pensi del Fürer, Benedikt?-

..in nome di una Germania troppo viva.

-E' un..brillante oratore con abili capacità persuasive.- 

"Nessuno deve scoprirlo Benedikt, ricordalo, nessuno."

-Puoi andare.-

Si voltò velocemente lui, nella stanza piccola per tutti quei segreti e aveva già impresso le dita sulla maniglia d'ottone quando una voce, la sua, serpeggiò vibrante sino a lui.

-Aspetta.-

Si fermò. 

Chiuse gli occhi.

Si volse, di nuovo.

Non lo guardava.

Non guardava più nessuno.

Ma non ne ebbe bisogno, perché fu lui ad alzarsi, l'uomo dagli occhi di mare ghiacciato, a sciogliere le gambe e a sollevare il busto che aveva l'aria di essere più tonico di quanto la divisa -che sembrava sinistramente fatta apposta per essere indossata da lui- lasciava intendere. E nel mentre si lasciò andare a una pigra domanda, raggelando le membra dell'altro sul posto.

-Cos'hai lì?-

Il sangue è ghiaccio nelle vene, una patina di sudore si irradiò nei rigidi muscoli del collo. 

-Co-cosa?-

Abbassò lo sguardo Benedikt, prima di trovarsi il suo davanti, cercando con gli occhi cosa poteva avergli suscitato una simile reazione. 

"Non ho armi..non ho biglietti..non ho.. e poi non ho più niente. Sensi, tattica, recitazione, maschere, batticuore, niente." 

Ebbe solo terrore e calore, un combinazione che non avrebbe saputo descrivere neanche con i vocaboli più arditi, una sensazione che lo uccise dentro quando la mano del tedesco arrivò alla tasca sinistra del suo pantalone e, con due dita pazienti, ne estrasse il contenuto. Una di quelle lunghe falangi si soffermò sul tessuto troppo sottile Benedikt alzò di scatto due pupille allarmate quando fu chiaro che la sensazione di quel calore era provocato dai polpastrelli del tedesco. E lo guardò, lo guardò negli occhi, fu costretto a farlo e, non avrebbe mai voluto farlo, quello che vide gli provocò quasi dolore fisico. 

Il colore della selva, del lago, della fresca sorgente di montagna in cui da piccolo aveva conquistato i suoi ricordi più felici si trovava in un solo sguardo, ed era immobile, ed era folgorante ed era freddo, freddo come la neve, freddo come la guerra. 

-Mi era sembrato di capire che non si potesse fumare in questa scuola.-

L'uomo delle SS si voltò donandogli una perfetta visuale delle sue spalle, oscillando come un trofeo il pacchetto di sigarette estratto dalle tasche di Benedikt. Ridacchiò qualcuno, la preside scosse bonariamente il capo, Bendikt si sforzò di assumere un'aria spensierata, di piegare le labbra di marmo in un mezzo sorriso quantomeno credibile. Non doveva essere nervoso, sempre sulla linea di fuga, con il corpo rigido e le vene contratte. 

"Non ho niente da nascondere, non ho niente da nascondere.. Sarebbe più facile se ci credessi davvero? Ma dopotutto, come potrei mai credere alla più grande menzogna della mia vita?"

-Benedikt..Benedikt..- mormorava intanto la voce della preside, dolce, pacata, rassegnata alla nicotina che le infiltrava ormai da quattro anni nella scuola.

-E' un ribelle?-

-No Benedikt è..- 

-Sei un ribelle Müller?-

Si volse, l'uomo delle SS che si era scomodato dalla sua poltrona a doppia imbottitura per venire a sequestrare un pacchetto di sigarette a uno studente sulla soglia della maggiore età, si volse verso quello studente, con un falò di ghiaccio nello sgarro. E Benedikt rispose allo sguardo di quell'uomo, alto, magro, l'uno convincente nell'espressione da bravo ragazzo, l'altro acciaio di granito impassibile.

Benedikt sentì il sospiro leggero che accompagnò le sue parole quasi strascicate in gola, un aroma di dolce fittizio. 

-Fatichi a sottostare alle regole?-

-No.- rispose. -Certo che no.- 

Aspettava sulla soglia, in evidente attesa, la porta ancora drammaticamente chiusa, che gli facesse un cenno, un segno, qualsiasi cosa gli permettesse di schiodarsi da lì, da quella stanza e schizzare via, ma l'uomo si limitò a tenere la durezza del suo sguardo su di lui, sulla sua aria da ragazzo impaziente di volatilizzarsi in qualche vizio di gioventù, di scomparire in qualche vicolo senza uscita. 

-Vai.-

Lo disse qualcun altro e il ragazzo non aspettò oltre. Uscì con veloce disinvoltura e una volta fuori respirò l'aria del corridoio come fosse l'aria di quella montagna dove suo padre lo portava quando la libertà non era ancora un'ambizione.

Era libero. Era nato libero. Fingere di essere uno di loro non avrebbe cambiato chi era realmente. 

Magari lo avesse fatto. Sua cugina aveva ragione, non sarebbe mai stato un vero tedesco.

Si avviò verso l'uscita dell'edificio a passo svelto intenzionato a mettere quanta più distanza tra sé stesso e l'austerità della divisa nazista; e stava per farcela, davvero, era vicino, vicinissimo al traguardo che avrebbe decretato il non sorgere di complicazioni ma, beh, sembrava proprio che le complicazioni fossero i principali adepti del suo culto religioso. 

-Müller.-

No, ti prego. 

-Non ritorni sui banchi da bravo scolaro?-

Benedikt sospirò, impercettibilmente, e gli donò il viso, incapace di rispondere con un secco "Ho da fare", "Sono in ritardo", "Ho il gatto che deve mangiare". Sapeva chi avrebbe trovato nel corridoio vagamente deserto prima che le due SS color del sangue rilucessero con sinistra forza oltre l'oscurità della stoffa su cui erano accuratamente appuntate. 

-Oggi esco prima.-

-E non le rivuoi queste?- 

Il tedesco sballonzolava tra due mani le sigarette e Benedikt ne seguì il movimento lieve prima di decidersi ad affondare nella sfumatura di chiaro turchese fra pupille che non gli lasciavano il respiro, serrandogli la gola in una morsa contratta con la loro esplicita visione del mondo.

-Credevo che le volesse lei..-

-Non mi servono le sigarette di un ragazzino, ragazzino.- puntualizzò l'altro nel timbro ferreo tipico degli ufficiali. -Volevo solo capire se tu fossi un fumatore incallito.-

-E questo perché..-

-Perchè, un fumatore molto.. dipendente, farebbe qualsiasi cosa per un po' di nicotina. Se tu lo fossi stato, avresti protestato quando ti ho sottratto il pacchetto, anche con mezza parola, ma l'avresti fatto. E una persona del genere in cambio di tabacco buono, magari gratuito, sarebbe disposto anche ad acconsentire a patti..deplorevoli.-

La voce che si assottiglia sino a diventare un sussurro sibilante, le parole legate l'una all'altra da corde invisibili, le labbra carnose da essere quasi esibizioniste nel colorare le sillabe a metà fra il grezzo e i vellutati petali di una rosa, lasciavano trasparire quanto di più amaro aleggiava nel grigio di Berlino in quella ipotetica "Rinascita della Germania". E a Benedikt non restò che assecondare il serpeggiante sadismo tipico dei Nazisti convinti e quel sinistro modo di deviare il discorso fra le sue zanne d'avorio.

-Di quali patti deplorevoli stiamo parlando?- 

-Mm.. Nascondere ebrei..per esempio?-

-Già..il problema dell'anno.- sbuffò, sarcastico. -Bè, ma voi in tal caso lo scoprireste, vero?-

-Sì.- un'ombra aleggiò per un istante sugli affilati lineamenti delle guance. -Lo scopriremmo.-

Benedikt mise un piede dietro l'altro e incrociò le caviglie che avrebbero dovuto farlo tornare a casa senza l'intervento di una qualche guardia personale di Hitler di bell'aspetto ad insinuare discorsi complottisti scaturiti da un innocuo pacchetto di sigarette. 

-Bene è stato..un piacere ma ecco io.. andrei.-

Il tabacco gli venne lanciato fra le dita prima che scorgesse una delle sigarette incastrata tra i denti del biondo, adagiata su un labbro inferiore che sporgeva con voluttuosa superbia. 

Benedikt non era sicuro che quelle fossero le sigarette giuste per due labbra così, si ci immaginò facilmente un filtro lungo, sottile, bianco..una di quelle sigarette col manico duro.. insomma, le sigarette delle prostitute e dei gran signori. 

Era affascinante sì, terribilmente affascinante l'uomo, con quell'accento del sud marcato da una buona dose di curiosità e disinteresse e i lineamenti del volto acuminati da un distacco che voleva pungere. 

Eppure, quando un -Come hai detto di chiamarti?- nacque smorzato dalle labbra con il mozzicone spento sulla lingua, divenne quasi un controsenso, un paradosso, un ossimoro imperfetto che nei meandri di una voce creata, usata e plasmata per impartire ordini, esalare minacce e prendersi tutto ciò che voleva con la violenza di un imperativo, si ci trovasse un qualcosa di troppo alto e per questo inudibile. Una nota di giovinezza, diversa e per questo stonata.

-Mi chiamo Benedikt.-

Il tedesco gli si avvicinò, troppo calmo.. 

-Attento ragazzino.. il vento del cambiamento ha sempre un prezzo.-

Benedikt era sul punto di lasciarsi alle spalle l'incorporeo fascino del Nazista, dimenticarsi di una realtà che si faceva sempre più viva ogni giorno, con i suoi divieti e le proprie proibizioni, chiudersi nella sua stanza e disegnare, disegnare fino a quando i crampi alle mani non gli avessero implorato di smetterla, ma, dannazione, sembrava impossibile abbandonare la vista di quello sguardo acuto e scialbo, facilmente mutabile dall'acceso interesse al più totalitario menefreghismo.

-Allora farò del mio meglio per contribuire al pagamento.-

Il minuscolo tizzone della sigaretta si agghindò di rosso. 

Fece un cenno. 

-Vai, Benedikt.. esci fuori di qui.-

Benedikt rimase fermo, inspiegabilmente immobile e ancora immobile quando il tedesco gli si avvicinò minaccioso.

-Ho detto: fuori.-

Una lingua di tagliente, una lama erosiva e Benedikt si sorprese ad avanzare velocemente sulla strada per casa, un piede davanti all'altro, desiderando di non fare più ritorno.









// Eccomi, di nuovo qui, sempre qui, ritardatariamente qui. 
    La storia sembra (non è vero) che stia prendendo forma, e spero che i salti temporali
    non creino grandi problemi. 
    
    Ringrazio coloro i quali hanno recensito il prologo e il primo capitolo e le numerose 
    visite di cui mi avete fatto dono. Significa molto per me.
    Non voglio stancarvi\seccarvi\appassirvi, ma solo chiedervi se capita solo alla
    sottoscritta di trovare un tedesco figo in ogni film che parla della Shoah.
    E, puntualmente, ogni tedesco figo in ogni film che parla della Shoah è un nazista
    convinto e un uomo spietato.
    Non è colpa mia. 
    Fatto l'exploit totalmente inutile, grazie ancora. 
    (I titoli dei capitoli sono in latino.)

     Ringrazio
BlackBird per il banner sensazionale di questi due bei biondi.

    
Don't you worry child è la canzone da cui ho tratto il pezzo di testo a inizio pagina. 

     Oggi vi do il mio accont TWITTER! (come se ve ne possa interessare un cefalotubo,
     ma fate finta che la cosa vi entusiasmi):
Mio Twitter 
     
    
Le recensioni sono sempre cosa gradita, giusto per capire se è davvero uno scempio come
     credo fermamente o se è peggio. Non vi obbligo a lasciarmene solo perchè non posso.  

     Sappiatelo, amabili lettori. (Io e la 2 guerra mondiale love you.)

    Non ho ricontrollato il testo. Vi autorizzo a lanciarmi cover per iphone 4s in testa. 

    
Pachiderma Anarchico

  
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