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Autore: Emilia Zep    14/02/2015    4 recensioni
Dalle aspre terre di Tessaglia all'Atene splendente del V secolo, le avventure e il destino di una giovane strega di anni e anni fa.
La storia vince il premio "miglior trama" al contest "A spasso nel tempo" indetto da Maylrohin sul forum di EFP
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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- Menandro! – gridai con le lacrime agli occhi e corsi ad abbracciarlo stretto, come mai avevo fatto in vita mia – Sei vivo! Sei vivo! –
Anche lui mi strinse forte e sentii le sue lacrime bagnarmi i capelli – Non sai da quanto tempo ti cerco Ermione, non immagini! –
Quando lasciammo la presa e ci guardammo di nuovo in viso tornò a fissarmi, come per essere certo che si trattasse davvero di me – Sei… bellissima… - mormorò e riprese ad abbracciarmi – Non posso credere di averti trovata. – Ripeté commosso – Questa volta lo ha voluto il destino. Chi avrebbe mai immaginato che in tutta Atene, sarei sbucato proprio tra le tue braccia! –
- Ma come sei arrivato qui? – Gli chiesi guardando in direzione della coppa rotta – Cosa hai fatto? Sei davvero riuscito a comparire dal nulla come sognavi un tempo! –
Menandro sorrise – Sì, ti ricordi quell’incantesimo a cui stavo lavorando? – chiese – Be’, prima o poi lo riprenderò ma per il momento l’ho accantonato, era troppo complesso.  In compenso però ho scoperto un sistema più semplice per fare la stessa cosa. – disse animato – come una sorta di passaggio tra due oggetti lontani, una via magica collegata da due elementi che fungono da porta d’entrata e … - si fermò a guardare i resti della coppa di Pantoo con aria critica – Be’, quella avrebbe dovuto essere la porta d’uscita. Bisognerebbe incantare sia l’oggetto di partenza che quello di arrivo, in effetti, ma non riesco a capire come, visto che al momento di eseguire l’incantesimo si presume che non si sia ancora arrivati lì dove si vorrebbe arrivare! Altrimenti non avrebbe senso...–
Sorrisi. Non era cambiato affatto.  – Come sapevi che ero qui? –
- Qualche giorno fa, a Chio, ho ascoltato un aedo cantare del primo incontro fra Medea e Giasone. Ho ritrovato le tue parole nelle sue, certi particolari di quando componevamo insieme sui monti, ti ricordi? Alcune immagini venute fuori proprio da quei nostri tentativi. –
Annuii. Certo che ricordavo.
- Così gli ho subito chiesto da chi avesse sentito quella storia e lui mi ha risposto che l’aveva imparata ad Atene da una citarista tessala. Non ho avuto dubbi che si trattasse di te. –
Lo guardai con un po’ di apprensione - Ti ha per caso detto altro? –
- Be’… sì - ammise – Si è rammaricato che non avessi potuto ascoltare il canto direttamente da te. “Io faccio quello che posso” mi ha detto “Ma ti giuro che lei era in grado di prenderti e portarti via, come per magia. Non ho mai sentito nessuno cantare in quel modo.” L’ho pregato di indicarmi dove avrei potuto trovarti e lui mi ha detto che appartenevi ad una certa Tasia, di cercarti da lei. Così ho tentato il modo più veloce per venire ad Atene. Certo – rise –Non avrei mai immaginato di ritrovarmi direttamente in casa di questa Tasia . Ma ora sono qui, ti aiuterò a scappare, se vuoi. Sarai di nuovo libera. –
Vide che esitavo.
- Sempre se è quello che vuoi, ovviamente.-
- Sono già libera. – gli dissi – e non vivo più da Tasia. Questa è casa di Pantoo.-
Menandro si guardò attorno e per la prima volta si ricordò della presenza di altre persone. Milone, Pantoo e Filò erano rimasti muti senza avere il coraggio di intervenire. Nel frattempo Urania si era svegliata per il rumore e se ne stava aggrappata al mantello di suo padre guardandoci con aria curiosa.
Menandro passò in rassegna la ragazza, il ragazzo, l’uomo e la bambina, cercando una logica con cui ricostruire i rapporti famigliari.
- Perdonatemi – mormorò – Io non mi sono nemmeno… - poi mi guardò – Certo, è giusto, ti sarai sposata. Questa è casa di tuo marito, immagino. Loro sono la tua famiglia? –
Scoppiai a ridere – No no, non mi sono sposata – Corsi a baciarlo – E loro non sono la mia famiglia, sono amici. Ti racconterò tutto, ci sono talmente tante cose che devo dirti. –
Milone sorrise guardandoci – Che belli –mormorò trasognato.
 Filò gli lanciò un’occhiataccia –Già – sussurrò –Belli, loro.-
Presentai Menandro agli altri. Ci furono grida di giubilo alla notizia che si trattasse di un mago di Tempe ancora in vita. Gli fecero mille domande su come fosse riuscito a realizzare l’incantesimo che lo aveva portato lì e ne restarono affascinati. Urania disse che da grande avrebbe voluto fare anche lei l’inventrice di incantesimi e si fece promettere da Menandro che l’avrebbe presa come assistente. Io, da parte mia, sentivo il cuore in festa per la gioia di averlo ritrovato.
Poi, finalmente, Menandro ci raccontò cosa gli fosse successo la notte in cui il maleficio ci aveva colpiti. Quando era andato a cercare Eumene aveva sentito trambusto in casa, poi aveva visto il suo maestro che veniva portato via a forza da uomini armati. I loro sguardi si erano incrociati. L’ultima cosa che ricordava era Eumene che alzava la bacchetta contro di lui. Quando aveva ripreso i sensi e si era reso conto dell’orrore che era accaduto alla valle, aveva capito che Eumene lo aveva schiantato perché gli uomini di Adrasto non lo trovassero, e così gli aveva salvato la vita. – Diceva sempre che avrebbe dovuto schiantarmi per farmi eseguire senza discutere. – sorrise con amarezza – chi avrebbe mai immaginato che si sarebbe trovato a doverlo fare davvero. –
Mai nella vita si era sentito tanto solo al mondo. Poi, nella foresta, aveva incontrato Cleonice, un’anziana del villaggio che si era salvata. E lei gli aveva detto che tante delle donne erano ancora vive. Aveva raccontato nei dettagli cosa era successo quella notte insieme a tutte le vicende del passato che riguardavano Adrasto e che a me erano state riportate da Aretusa. Così Menandro si era reso conto di essere l’unico mago ancora in vita e probabilmente, il solo fra tutti, ad aver mantenuto i poteri magici. Aveva cercato nella sua memoria ogni nozione possibile sull’incantesimo di cui gli aveva parlato Cleonice ma tra gli insegnamenti che ci erano stati dati non aveva trovato proprio nulla. Allora si era ricordato che Adrasto aveva affinato le sue tecniche in Oriente e così aveva ipotizzato che in quelle zone, forse, avrebbe potuto trovare delle risposte.  
Fu un saggio egiziano a insegnargli l’incantesimo per annullare la maledizione. Menandro aveva   imparato a rifarlo ma poi anche lui aveva scoperto che, per eseguirlo, sarebbe stato necessario ritrovare una stella perduta nel cielo e soprattutto avrebbe avuto bisogno di una strega della valle ancora in possesso dei suoi poteri.  Si era sentito scoraggiato. Per quanto ne sapeva, nessuna delle donne di Tempe era sfuggita al maleficio. Per un po’ aveva cercato informazioni su qualche maga che avesse lasciato la Tessaglia tempo prima e che quindi non fosse stata colpita dalla maledizione. Aveva persino consultato un oracolo. Gli era stato consigliato di mettersi sulle tracce dell’ottava di sette sorelle. Ci si era lambiccato per giorni ma in nessun modo era venuto a capo dell’arcano. Così come aveva passato nottate ad osservare il cielo senza riuscire a raccapezzarcisi. Alla fine aveva desistito e aveva deciso di impiegare il suo tempo a seguire quello che gli suggeriva il cuore. Si era messo sulle mie tracce. Più di ogni altra cosa desiderava ritrovare me. Mi immaginava schiava da qualche parte, prigioniera e priva dei miei poteri, e voleva fare qualsiasi cosa gli fosse possibile per liberarmi. Così aveva cercato in ogni dove. Gli avevano detto che le ragazze di Tempe erano state vendute in Lidia, poi aveva sentito dire che ci avevano mandato in Colchide e infine nelle isole della Ionia. Aveva quasi perso le speranze quando, per caso, a Chio, aveva incontrato Melisso che gli aveva indicato dove cercarmi.
Restammo in silenzio.
- L’ottava di sette sorelle – mormorò Filò tra sé – Ma certo! Questa è la conferma! – Esclamò – l’oracolo non si riferiva alla maga che avresti dovuto cercare ma alla stella! Le Pleiadi vengono chiamate le sette sorelle –spiegò – Se ce n’è una in più è l’ottava di sette sorelle! –
Menandro la guardò confuso. – Si tratta del nostro potere – Chiarii e, insieme agli altri, gli raccontai  delle nostre ricerche e di quanto avevamo scoperto.  
Lui ci ascoltava colpito – E’ stupefacente – disse ammirato – Siete stati grandi! –
Gli rivelai che avevo ancora la magia. Scoppiò a piangere.  –Potente Ecate, grazie! –
- Ora non vi resta che andare lì e provare – disse Filò con un luccichio di commozione negli occhi.
Ci guardammo speranzosi. Dopo tante ricerche, finalmente potevamo farlo, la nostra valle sarebbe tornata a vivere.
Ci lasciarono soli. Ci guardammo, senza quasi avere il coraggio di avvicinarci. Poi cominciammo a cercarci, a tentoni, a ritrovare quello che di noi ci era familiare, a scoprire quello che invece ignoravamo del tutto o che forse era cambiato, mentre eravamo lontani, le molte avventure che erano passate sui nostri corpi e nelle nostre vite.
 Qualche giorno più tardi ci preparammo a partire. Pantoo mi prese in disparte – Ho da farti una preghiera – mi disse. Esitò prima di parlare come se ciò che stava per dirmi gli costasse troppa fatica – Se puoi,- mi chiese - porta Urania con te.  –
Lo guardai e vidi i suoi occhi inumidirsi – Sei sicuro? –
- Qui sarebbe costretta per sempre a nascondere chi è. Fra non molto dovrei darla in sposa a qualcuno, condannandola ad una vita di reclusione fino alla fine dei suoi giorni. Mentre io vorrei che crescesse libera e che fosse felice. –
Annuii seriamente – Ti prometto che lo sarà. –
Mi accorsi che Filò ci guardava fremendo – Ti prego, Ermione –Sbottò tutto d’un colpo – Ci ho pensato molto. Permetti anche a me di venire con voi. Io qui sono una reietta, nessuno mi sposerà mai, non ho alcun futuro. Un tempo giurai a Pantoo di proteggere Urania a costo della mia vita, non posso lasciarla proprio adesso. Potrei aiutarti a occuparti di lei e poi – aggiunse – C’è da dire che voi maghi sapete fare un mucchio di cose ma per tante altre siete dei gran pasticcioni. Avete bisogno di qualcuno che vi calcoli le posizioni delle stelle o la velocità giusta per creare passaggi magici tra oggetti lontani! Ora che vi troverete a spezzare il maleficio, sarebbe un bel disastro se sbagliaste direzione e andaste a colpire la stella sbagliata! –
Andai ad abbracciarla – Non sai quanto sarei felice se venissi con noi -
- So che sono solo una ragazza comune ma vedrete che saprò esservi utile -
Io e Menandro ci guardammo – Se riusciremo a rifondare il nostro villaggio – dissi decisa  - penso che dovremo tutti riconsiderare di molto il significato che diamo alla parola ‘comune’-
Nel frattempo era arrivato Milone, voleva salutarci anche lui prima della partenza. Era entrato in casa e si era trovato ad assistere a quella scena.
- Ma come? - Guardò Filò esterrefatto - Vai via anche tu ? –
- Ho deciso così. – rispose lei sicura
Milone esitò disorientato –  Non mi sembra…   magari dovresti ripensarci. – biascicò.
- E perché mai? –
Milone la guardò senza rispondere.
- C’è forse qualcosa che desideri dirmi? – incalzò Filò con le lacrime agli occhi.
Lui continuava a tacere.
- Milone?-
 – Vengo con te! – disse poi, tutto d’un fiato.
-Non se ne parla proprio! –
-Sì invece. –
- E perché dovresti? –
– E’ troppo pericoloso! – Balbettò
- Sono insieme a due maghi – Gli fece notare Filò – Pensi di sapermi proteggere meglio? –
- Appunto! – esclamò lui – E’ pericoloso per loro. – chiarì, poi si rivolse verso di noi – Dovete sapere che Filò ha una mente geniale, magari fa scoperte incredibili ma poi siccome vuole tutto e subito non riesce a trovare il modo di applicarle nel modo giusto e combina un sacco di guai. –
- Ma non è vero! – protestò lei.
- Io lo dico per voi. Ha bisogno di qualcuno di un po’ più mediocre ma con più metodo che le dia una mano. –
- Ti sbagli –
- Tutti possono avere necessità d’aiuto, ogni tanto. Persino tu, Filò. Vuoi davvero mettere il tuo amor proprio al di sopra della salvezza del popolo di Tempe? –
Lei fremette di rabbia – Io ti odio! – disse con stizza – Ve bene. Prendi le tue cose e sbrigati. –
Pantoo e Urania si salutarono con molte lacrime e la promessa di scriversi tutti i giorni. Lui le assicurò che, ne era certo, si sarebbe trovata a scoprire cose nuove e bellissime e che già non vedeva l’ora di sentirsele raccontare. Lei era triste di andarsene ma allo stesso tempo sembrava  eccitata per quella nuova vita che l’attendeva.
- Te la faremo rivedere al più presto – Rassicurai Pantoo con dolcezza – E’ una promessa. -
- Be’, se Menandro migliora i suoi progetti sui trasporti, magari anche una volta a settimana! – Aggiunse Filò ridendo e corse ad abbracciare  il suo maestro a lungo. – Grazie – gli disse poi guardandolo negli occhi – Non dimenticherò mai quello che hai fatto per me. –
Lui le sorrise – Mi raccomando. - scherzò - Scopri un teorema, come minimo. Qualcosa di utile, che cambi la vita a tutti! –
 
Per l’intero viaggio non facemmo che raccontare ad Urania ogni particolare sulla nostra valle, ci tornarono alla mente aneddoti e personaggi buffi, dettagli di cui avevamo nostalgia, l’odore dell’erba dopo la pioggia, i fiori viola e gialli che crescevano sui monti o il colore del cielo in certi momenti della giornata.
Quando arrivammo a Tempe non riuscimmo a ritrovare nulla di ciò che ricordavamo. La desolazione che ci apparve ci addolorò nel cuore. Al villaggio erano rimaste poche anziane che vivevano ritirate.
Quando bussammo alle loro porte ci accolsero con diffidenza e quasi stentarono a riconoscerci. Ma dopo che raccontammo loro la nostra storia si sciolsero in lacrime e pregarono Ecate che il nostro incantesimo funzionasse. Aspettammo il giorno e il momento propizi per eseguirlo. La notte prescelta io e Menandro unimmo le nostre bacchette magiche mentre Filò e Milone si dilungavano in accese discussioni sulla corretta angolazione secondo cui avremmo dovuto inclinarle per prendere la mira giusta.
- Ci vogliono almeno trenta gradi di più
- Ma non vedi che così puntano troppo in alto!
- Non tieni presente che il lancio tende sempre un po’ a scendere.
-Sì, ma non così tanto!
Finalmente si riuscì a giungere ad un accordo. Richiamammo il nostro potere con tutte le forze di cui disponevamo  e lo proiettammo verso il cielo, più lontano che potemmo. Dalle nostre bacchette fuoriuscì una freccia argentea che saettò rapidissima verso l’alto e andò dritta a colpire la stella che brillava al posto di Merope. L’astro parve esplodere in mille filamenti dorati che si dispersero in cielo e ricaddero verso la terra svanendo alla nostra vista.  Al posto della stella esplosa se ne intravedeva una più piccola che splendeva d’un bagliore  timido.
Ci guardammo tutti e quattro come chiedendoci se ciò che avevamo fatto avesse avuto davvero degli effetti. Ne avemmo la prova il giorno dopo, quando alcune delle maghe del villaggio uscirono di casa gridando che avevano ritrovato la loro magia. Ci abbracciammo e festeggiammo per tutta la giornata fantasticando il futuro meraviglioso che ci si sarebbe presentato.
Eppure per un po’ al villaggio sembrò cambiare ben poco. Le poche donne che abitavano lì stavano riprendendo a poco a poco l’abitudine ad usare i propri poteri ma la vita che avevamo conosciuto un tempo sembrava cosa ormai ben lontana. Dovettero passare molti mesi prima che, lentamente, le nostre sorelle cominciassero a ritornare. La prima che vidi arrivare fu Attoride.  La trovai cresciuta, il volto più stanco e scavato, ma lo stesso identico sorriso gioioso. Portava con sé due bambini e uno sposo che aveva trovato fra i Koinous. Nel tempo ne giunsero molte altre. Si erano accorte di aver riacquisito i propri poteri e, grazie a quelli, erano riuscite a liberarsi. Alcune avevano figli, altre conducevano con loro dei compagni, gente comune o maghi di terre diverse dalle nostre. Ognuna aveva una lunga storia da raccontare. Tante altre invece non le rivedemmo mai più. Ancora oggi non so che fine abbia fatto Leucippe né ho mai incontrato nessuno che sia stato in grado di  darmi sue notizie.
Andammo a cercare Aglaia nella foresta. Circondata dal nostro affetto e da molte cure pian piano riacquistò la ragione e col tempo anche la memoria. Negli ultimi anni della sua vita finì di passarmi quel che restava della tradizione dei nostri canti. Io imparai tutto a memoria ma decisi che mai più avrei corso il rischio che i nostri versi andassero perduti ancora una volta.
Quando il primo gruppo di bambini tornò dai sette giorni nella foresta e Urania mi venne incontro correndo, per mostrarmi con orgoglio la bacchetta magica che aveva costruito, l’abbracciai forte e scoppiai a piangere. Solo allora ne fui davvero certa. Ce l’avevamo fatta.
 
 
 ***
 
 
- Questi erano gli alloggi delle ragazze che vivevano nel tìaso –
Hermione osservò la guida. Il suo accento straniero la faceva sorridere. Doveva essere un giovane archeologo appassionato. Sfoggiava un inglese estremamente forbito che pronunciava in maniera terribile, con effetti piuttosto buffi. In più si affannava ad agitare le braccia e le mani in modo incontrollato.
- Era una comunità per giovani streghe nata intorno al culto della dea Ecate -  Diceva mostrando i resti di una costruzione antica – Si poteva accedere alla comunità solo dopo aver costruito la propria bacchetta magica. Era una sorta di prova di iniziazione… -
- Ma ci pensi! -  Le sussurrò all’orecchio Ron, entusiasta – Queste streghe si costruivano da sole una bacchetta magica! A dodici anni! Altro che Ollivander. –
La guida annuì – Bè… non avevano le tecniche sofisticate di cui disponiamo noi adesso ma  per essere il V secolo avanti Cristo si trattava di conoscenze  piuttosto avanzate  – Sorrise.- Questa era una comunità molto particolare.- Proseguì - La prima in cui troviamo tracce dell’uso della scrittura. Come saprete, tra i maghi la civiltà orale perdurò molto più a lungo rispetto a quanto accadde fra i Babbani. Le prime testimonianze di incantesimi scritti, in Grecia, risalgono al periodo alessandrino. Ma qui ne troviamo invece di antecedenti e di  molto importanti. Gli studiosi ancora oggi si interrogano sui motivi che abbiano portato questo villaggio a differenziarsi dagli altri. Sono stati ritrovati frammenti di un poema epico sulla figura di Medea, oltre che studi su un primo rudimentale incantesimo di smaterializzazione. Questo è anche uno dei luoghi in cui sono stati rinvenuti i più antichi resti di oggetti usati come Passaporte. Tracce contemporanee dello stesso incantesimo sono state ritrovate in un vaso di Chio e in una coppa di ceramica attica. Da questa parte, invece, c’è l’altare dei sacrifici. Prego, di qua -
- Che bello Hermione, vieni a vedere!- Esclamò Ron seguendo la guida.
- Arrivo subito – disse lei, facendo defluire il gruppo di visitatori. La commuoveva quell’entusiasmo di Ron, quella luce che aveva certe volte negli occhi, come fosse un bambino. Ogni tanto l’avrebbe ucciso per alcuni suoi lati infantili ma, ora che comparivano sempre meno, tante volte si era ritrovata a rimpiangerli. Troppo spesso le capitava di vederlo chiudersi in se stesso, con una cupezza che non gli aveva mai conosciuto. E nel guardare i suoi occhi assenti le pareva, ogni tanto, di  rivedere se stessa. Quello che era successo li aveva cambiati nel profondo, tutti. Solite chiacchiere, risate, battute, ma dentro avevano dei vuoti che nemmeno loro, molte volte, riuscivano a comprendere. Hermione aveva cominciato a sentire un attaccamento fortissimo alle proprie origini, anche quelle Babbane. Forse perché c’era stato un momento in cui aveva temuto di scomparire per sempre dalla memoria di coloro che erano stati i testimoni di quella sua prima vita e ora che se ne era riappropriata le pareva come di doverla tenere stretta e non lasciarla fuggire più. Sentiva il desiderio di far conoscere a Ron tutto quello che non sapeva sul mondo da cui lei proveniva. Aveva preso a leggergli gli autori più importanti della cultura Babbana, a fargli vedere i quadri degli artisti che amava di più. Gli parlava con entusiasmo delle scoperte che avevano segnato la storia di coloro che non erano nati maghi. Ron all’inizio la ascoltava quasi solamente per farle piacere, ma poi pian piano aveva preso ad appassionarsi anche lui a tutto quel mondo a cui lei lo aveva introdotto, tanto che diceva ora di capire suo padre quando lo vedeva accendersi nel parlare di telefoni o automobili usate. Quell’estate Hermione gli aveva proposto di fare un viaggio in Grecia. Ron era rimasto colpito da quella civiltà che era stata così importante per i Babbani, che aveva inventato la scienza e la filosofia, cose di cui tra i maghi si parlava così poco. Oltre ai luoghi più importanti della storia Babbana c’erano anche moltissimi siti magici da visitare, specialmente in Tassaglia, la regione in cui si trovavano ora, e che era famosa in tutto il mondo per la tradizione delle sue streghe.
Il gruppo di turisti era andato avanti e Hermione era rimasta sola in mezzo ai resti  del tìaso di Tempe. Il sole picchiava forte e un po’ la stordiva. Si  sentì lievemente mancare così si chinò per appoggiarsi a terra. Poco sopra al capitello di una colonna lesse “Ermione” inciso con i caratteri dell’alfabeto greco.  Anche se i suoi genitori avevano scelto di chiamarla così per via di una commedia di Shakespeare, Hermione sapeva che il suo nome era di origine greca e già da bambina aveva voluto imparare a scriverlo con quelle lettere strane. A volte pensava che, forse, se non avesse dedicato la sua vita alla magia, avrebbe studiato il greco. Oppure la letteratura. O, magari chissà, si sarebbe interessata di astrofisica. Quando considerava tutto ciò che ci sarebbe stato da sapere si struggeva per l’impossibilità  di conoscere tanto. Ron la prendeva in giro – Vuoi lasciare qualcosa da fare anche agli altri? Non puoi mica occuparti di tutto soltanto tu! - . Hermione sorrise. Aveva ragione, ogni scelta, per sua natura, implicava delle rinunce. Lei amava profondamente ciò che aveva studiato. Il lavoro a cui si dedicava la appassionava, eppure, alle volte, si chiedeva se fosse stata davvero lei a scegliere la magia o se non ci si fosse piuttosto ritrovata per caso, all’età di undici anni.
Si sentì toccare la spalla. – Mi scusi - Si voltò e vide una ragazza che le porgeva una bacchetta. La guardò meglio, era la sua.
- Deve esserle caduta – le disse la ragazza con gentilezza.
Hermione non poteva crederci, non aveva mai perso la sua bacchetta magica. Quelle erano cose che potevano capitare a Ron oppure a Harry, non certo a lei.
- Grazie – balbettò.
La ragazza soppesò la bacchetta tra le mani e la guardò con aria da intenditrice. – Legno di vite e corde di cuore di drago, vero? –
Hermione spalancò gli occhi – Come fa a saperlo?-
L’altra si strinse nelle spalle – Ho avuto a che fare con un legno simile – Sorrise e gliela porse. Hermione la sistemò con cura nella borsetta, la richiuse. Fece poi per girarsi a ringraziare la ragazza. Si voltò ma dietro di lei non vide più nessuno. Hermione si guardò intorno. Forse il caldo le aveva dato un po’ troppo alla testa o le aveva annebbiato la vista. Eppure si erano appena parlate, non poteva mica averlo sognato.  Udì dei passi che si allontanavano tra i cespugli, guardò con attenzione. Nulla. Tutto ciò che vide fu una lontra che correva via nel bosco, veloce. Sorrise. La lontra era un animale che le era molto caro e, fin da quando era bambina, le dava una sensazione di calma e protezione. Non doveva essere un caso che fosse proprio quella la forma con cui, da sempre, si manifestava il suo Patronus 
 

 
  
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