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Autore: Evee    14/02/2015    1 recensioni
Talvolta, può accadere qualcosa d'imprevisto che sconvolge i tuoi piani. Normalmente si tratta di un caso isolato, ma se così straordinario da determinare un cambiamento si ripeterà ancora, fino a trasformare l'eccezione in regola. E, allora, può essere che si inizi a guardarlo con occhi diversi, e che col tempo si arrivi persino ad amarlo.
§ storia partecipante allo “Slice of life contest!” indetto da MistyEye sul forum di EFP § dal testo di ciascun capitolo: Lo conosceva, anche se non riusciva a ricordarsi chi fosse... ~ Aveva bisogno di capire chi fosse davvero quella ragazza, per poter decidere quale ruolo voleva rivestisse nella sua vita. ~ Lui era un panorama di cui non si stancava mai. ~ Quegli occhi, erano talmente meravigliosi che le sarebbe bastato un solo sguardo, per conquistarlo. ~ Assurdo: si era innamorata di un riflesso. ~ Lei, desiderava averla ogni giorno con sé. ~ La sua vera voce suonava calda ed affettuosa, proprio come si era tanto immaginata. ~ La lasciò a malincuore, ma gli sarebbe così piaciuto poter trattenere ancora quella mano nella sua, scaldarla per sempre. ~ “Ci siamo già conosciuti, ricordi?” § blueshipping §
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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da quel giorno in poi ~

 

“Il guardare una cosa è ben diverso dal vederla.
Non si vede una cosa finché non se ne vede la bellezza.”
Oscar Wilde

 

 

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~ from her view

 

I kind of liked it your way
how you shyly placed your eyes on me
Did you ever know
that I have mine on you?

 

Incominciò tutto un giorno qualunque, apparentemente per caso.

Non ricordava di preciso quando. Aveva iniziato a frequentare l'università già da un paio di mesi ormai, e l'anno accademico era entrato abbastanza nel vivo da farle perdere l'ordinaria cognizione del tempo, inducendola a computarlo non più in base al calendario comune, ma a quello delle sue lezioni e degli esami imminenti.

Però accadde, benché sulle prime non ci avesse prestato troppa attenzione: quel giorno, quand'era salita sul treno suburbano, non era riuscita a sedersi al solito posto.

Ultimo scompartimento, quello che al binario si ferma più lontano e risulta dunque meno affollato. Terza fila, abbastanza vicina all'uscita da poterla raggiungere rapidamente ma comunque lontana dalla corrente e dal rumore generato dal viavai che ne attraversa di continuo le porte. Lato sinistro, rivolto verso il panorama migliore. Accanto al finestrino, per non esser disturbata dal transito degli altri passeggeri lungo il corridoio.

L'insieme di tutte queste caratteristiche l'aveva conquistata da subito, così ne aveva reso la scelta una consuetudine e, ben presto, divenne proprio quest'ultima la ragione principale per cui lo considerava il suo preferito. Si era trasferita a Domino solo da poco, e non era ancora riuscita a superare del tutto l'iniziale smarrimento che aveva provato nel ritrovarsi catapultata dalla placida vita del suo paesello di provincia in quella caotica di una grande metropoli. Tutto scorreva velocemente, tutti erano frenetici, costringendola ad esser sempre di corsa per tenere un regime che procedeva spedito, indifferente della sua inesperienza. Doveva controllare l'ora di continuo, programmare minuziosamente la sua tabella di marcia giornaliera, assicurarsi di saper sempre in anticipo dove doveva andare e come fare per raggiungerlo, rivedere i suoi piani quando un imprevisto glieli scombinava.

Per cui, per minimizzare la tensione cui i suoi nervi erano continuamente sottoposti, aveva deciso di prendere tutti i giorni il treno per il ritorno alla stessa ora, quello delle 19 e 03, fermandosi a studiare un po' in biblioteca se le lezioni terminavano prima, e perfino di sedersi ogni volta sullo stesso sedile. Era infinitamente rassicurante sapere che almeno in quell'occasione non avrebbe dovuto pensare a niente, ma poteva tenere la mente libera da ogni ansia e preoccupazione. Anzi, aveva reso quell'abitudine così costante da trasformarla in un vero e proprio automatismo, tanto che spesso si scopriva adagiata al suo solito posto inconsapevole delle azioni compiute per raggiungerlo. Le sue gambe vi si dirigevano da sole, e ormai le bastava sedersi, sfilarsi la borsa, recuperare il suo lettore mp3, indossarne le cuffie e premere play non solo per mettere in pausa lo stress, ma anche per recuperare completamente le energie dissipate nel corso della giornata durante i 20 minuti di tragitto che impiegava per raggiungere l'appartamento che aveva affittato in periferia.

Tuttavia, per quanto a quell'ora tarda la fermata da cui saliva non fosse mai troppo affollata, talvolta capitava l'inconveniente che qualcuno meno abitudinario e più rapido di lei le fregasse il posto, o che lo trovasse già occupato da un'altra persona. Davvero, davvero fastidioso, però si trattava pur sempre di un disagio occasionale, a fronte del quale cercava di esser tollerante anziché innervosirsi inutilmente.

Per questo, quel giorno non vi fece caso più di tanto. Anzi, dato che aveva dietro altri passeggeri che premevano alle sue spalle, i suoi occhi non si soffermarono neppure sulla figura che stava già impegnando il sedile cui mirava, e vagarono subito alla ricerca di un altro da occupare. Fu questione di un attimo, perché quello corrispondente sul lato opposto era ancora libero. Le parve un buon compromesso, e vi si diresse senza esitazioni prima che qualcun altro avesse la sua stessa idea e le venisse soffiato pure quello.

Una volta seduta, superò lo straniamento iniziale ripetendo con meccanicità gesti divenuti ormai rituali, compiuti i quali quasi si dimenticò dell'intoppo in cui si era imbattuta. Tuttavia, l'abitudine di voltare il capo verso sinistra ebbe la meglio, e si ritrovò ad osservare l'interno dello scompartimento anziché il panorama all'esterno.

Fu allora che la notò per davvero, la persona seduta al suo solito posto.

In realtà non era la prima volta che qualcuno calamitava il suo interesse durante il tragitto. Anzi, quello di studiare di nascosto gli altri passeggeri era uno dei suoi intrattenimenti preferiti per ingannare il tempo, soprattutto quando il paesaggio oltre il finestrino non meritava particolare interesse o comunque era reso scarsamente visibile dalle condizioni meteo.

Per la maggior parte si trattava di studenti, ed allora la sua analisi risultava piuttosto accurata. Quelli in uniforme erano ancora liceali, radunati in piccole comitive da cui proveniva un chiacchiericcio continuo ed ogni tanto scappava qualche risata o strillo incontrollato, ma la tratta e l'orario facevan sì che per la stragrande maggioranza si trattasse di universitari come lei.

Le matricole si facevano riconoscere subito, perché si spostavano in gruppetti chiassosi e sovraeccitati per ogni minima novità, che lei ignorava alzando il volume della musica, oppure perché, se da soli, si muovevano impacciati, urtando le altre persone e guardandosi attorno con spaesamento, guadagnandosi in tal caso tutta la sua compassione.

Gli studenti più navigati, invece, erano ben più silenziosi. I pigri si appisolavano a bocca semiaperta con la testa appoggiata al finestrino, i diligenti approfittavano del tragitto per sottolineare un libro di testo o sistemare gli appunti. Quelli li invidiava parecchio, perché lei non sarebbe mai riuscita ad addormentarsi in una posizione così scomoda, o comunque a risvegliarsi con altrettanto tempismo alla propria fermata, né a concentrarsi con tutti gli elementi di disturbo che l'attorniavano.

I laureandi, quelli erano inconfondibili. Si trascinavano dietro svariati tomi da consultare per la propria tesi, cui talvolta si aggiungeva il portatile se già avanti nella stesura. Erano anche quelli dall'aria più nervosa e affaticata, con profonde occhiaie a manifestare quanto lavorassero anche la notte pur di rispettare le scadenze e terminare gli ultimi esami in tempo per la propria sessione di laurea. Comunque, con l'avvicinarsi delle prove di metà semestre, quell'aria insonne aveva iniziato ad esser condivisa anche da parecchi altri studenti. Quelli, li biasimava un po'. Troppa agitazione non era salutare, e la convincevano che aveva fatto bene a studiare sin dall'inizio dell'anno in vista delle prove. Meglio faticare un po' tutti i giorni ma poter continuare a riposare a dovere, piuttosto che rischiare di ridursi all'ultimo con infruttuose maratone sui libri utili solo a farsi venire un esaurimento nervoso.

Era poi davvero facile riconoscere tra di loro i pendolari, sin da quando mettevano piede sul treno, perché erano quelli che vi si trovavano più a proprio agio. Salivano già con le auricolari nelle orecchie o un panino in mano, scendevano all'ultimo secondo ma con prontezza al loro arrivo. Si spostavano portandosi appresso uno zaino voluminoso in cui stipare tutto il necessario per trascorrere la giornata fuori casa, cui gli studenti fuori sede aggiungevano una valigia di lunedì mattina e venerdì pomeriggio, quando facevano ritorno dalla famiglia per il week-end. Erano quelli cui sapevi di poterti rivolgere per qualunque informazione, con la certezza che sarebbero stati pronti non solo a dirti il punto della tratta raggiunto ma anche a snocciolarti a memoria tutti i nomi e gli orari delle fermate di qualunque linea, e a consigliarti dove più conviene cambiare in caso di ritardi o cancellazioni persino meglio di un dipendente dei servizi di trasporto pubblico. Pur non avendo affatto ancora acquisito una simile destrezza, erano i passeggeri che sentiva a sé più affini perché, dopotutto, apparteneva anche lei alla medesima categoria, e quelli a cui andava la sua simpatia perché bastava la loro sola presenza a confortarla, a non farla sentir troppo come un pesce fuor d'acqua.

Inoltre, si divertiva a provare ad indovinare quale facoltà frequentassero, per poi controllare la sua ipotesi sbirciando il titolo dei volumi che avevano appresso o le pagine dei quaderni che tenevano aperti sulle ginocchia. Non le riusciva spesso, tuttavia possedeva un buon intuito e con la pratica aveva affinato una notevole abilità nel raccogliere indizi, badando anche ai dettagli meno evidenti ma spesso più rappresentativi.

La seconda categoria in cui si imbatteva con maggiore frequenza era quella degli uomini d'affari, gessati nei loro completi scuri e continuamente in fermento come formiche operose. Una mano serrata a reggere ventiquattrore con estrema scioltezza, neanche si trattasse di una loro naturale appendice, l'altra cellulari che suonavano così di continuo da munirsi di apposito microfono per poter conversare agevolmente anche sul treno. Di norma non si sedevano, pronti a scattare da una fermata all'altra per rincorrere i loro appuntamenti, a meno che non avessero già concluso la propria giornata lavorativa o venissero da fuori città, poiché in tal caso vi sostavano a lungo, lavorando alacremente o rilassandosi sfogliando le pagine di un libro o di un tablet. Ma anche se in tanti, erano tutti ugualmente grigi e noiosi.

Quanto alle signore, capitava di vedere qualche donna in carriera abbigliata elegantemente con tailleur e tacchi a spillo, ma per lo più si trattava di mogli gravate da borse della spesa di dimensione proporzionale alle bocche da sfamare per cena e single uscite a fare shopping in centro o un aperitivo con le amiche. Ma in nessuno di questi tre casi si soffermava più di tanto su di loro, perché finiva sempre per diventare irrequieta, nell'immedesimarsi in potenziali vesti future in cui non riusciva a vedersi affatto... Tutto quello che desiderava lei, per il momento, era vivere serena giorno per giorno.

Le persone anziane, erano le meno numerose ma tra le più piacevoli da osservare: erano uguali ovunque, in città come in campagna, e la facevano sentire a casa. Gli uomini col cappello in testa e il giornale sottobraccio, le donne uscite per andare al mercato o al tempio per recitare una preghiera. Talvolta avevano al seguito nipotini iperattivi ed esagitati o in preda alle lacrime per una caramella negata, ma sempre in grado di sfoderare un sorriso così dolce e degli occhioni tanto teneri da risultare irresistibili agli abbracci.

I più rari, ma anche i più interessanti di tutti, erano i turisti armati di cartine e macchine fotografiche. Specialmente quelli occidentali, dai lineamenti e dagli abiti così differenti dai suoi. Conoscendo solo un po' d'inglese spesso non riusciva nemmeno a capire in che lingua parlassero, ma se si sedevano vicino a lei spegneva sempre il lettore mp3 per ascoltare le loro conversazioni, cogliendo così l'occasione per assaporare spicchi di mondo che altrimenti non avrebbe mai potuto raggiungere ed assaggiare in prima persona.

A volte c'erano delle eccezioni, certo, ma riusciva comunque a ricondurre le persone in questione dentro ad uno schema predefinito.

Lui, invece, il ragazzo su cui aveva posato gli occhi, non apparteneva a nessuna di queste tipologie.

Giovane, abbastanza da poter essere un suo coetaneo, eppure all'apparenza molto più grande di lei. Questo perché era il perfetto esempio di persona cui la natura ha fatto dono di una bellezza così superiore alla norma da non potersi neppure comparare a quelle della sua età, ma solo elevarla ad un grado superiore di maturità. Rispondeva a tutti i più classici canoni estetici: aveva il fisico alto e statuario di un modello, il viso avvenente e suggestivo di un attore. Ma ciò che lo distingueva ulteriormente dalla massa era la sua aria incredibilmente adulta, persino più di tutti gli altri uomini presenti. E non tanto per il modo professionale con cui stava lavorando al computer, ma per quell'espressione così seria, la postura talmente composta, la naturalezza con cui indossava un completo che nessun altro avrebbe indossato quotidianamente, ma semmai riservato alle occasioni più formali.

Non era uno studente, ma non era nemmeno un qualsiasi uomo d'affari. Lui, apparteneva ad un altro livello, tanto inarrivabile dalla gente comune da risultare fuori posto, in mezzo a loro.

Solo questo sarebbe bastato a non farlo passare inosservato e a calamitare su di sé più di uno sguardo incuriosito, come appunto avvenne. Anche gli altri passeggeri l'avevano notato, e si erano messi a squadrarlo più o meno spudoratamente. Con un interesse persino eccessivo, tanto da non potersi ricondurre soltanto al suo aspetto, semmai giustificarsi soprattutto alla luce della sua identità. D'altronde, ciò che di lui l'aveva colpita maggiormente era stato proprio il forte senso di familiarità che aveva avvertito quando l'aveva visto. Era un volto noto, il suo. Lo conosceva, anche se non riusciva a ricordarsi chi fosse...

L'aveva distratta al punto che si era persino dimenticata di far partire la musica, e se ne rese conto solo quando sentì in modo perfettamente nitido le voci delle ragazze sedute alle sue spalle, nonostante stessero solo bisbigliando. Non ne aveva affatto seguito il discorso, però ne afferrò all'istante l'oggetto nell'udire quella dietro di lei pronunciare un nome troppo inconfondibile per poter essere frainteso. E fu così che, grazie a quella menzione, ricollegò subito i puntini del ritratto che la sua memoria da sola non era riuscita ad unire.

Era Seto Kaiba.

Adesso capiva perché tutti l'avevano riconosciuto subito ed erano talmente in fermento per la sua presenza... Anche se risiedeva lì solo da poco, era impossibile vivere a Domino e non aver mai avuto l'occasione di vedere, quantomeno in foto, il suo abitante più ricco e celebre. Anche se, più in generale, era impossibile vivere in qualunque città del Giappone, per non dire angolo del globo, e non averlo mai sentito nominare. Non sapeva molto di lui al di là di quanto assimilato di sfuggita da quotidiani e telegiornali, ma la sua reputazione lo precedeva di parecchio.

Il presidente della multinazionale il cui immenso ed avvenieristico grattacielo svettava su tutta la città, che si poteva scorgere da qualunque finestra.

Il fondatore del parco divertimenti dove la sua coinquilina aveva tanto insistito per portarla un paio di settimane prima, e che le era piaciuto così tanto che sperava di poterci ritornare al più presto.

Il campione di Magic and Wizards, il genio che ne aveva ideato la tecnologia ad ologrammi.

Quest'ultima era probabilmente la ragione principale della sua fama. A malincuore, lei aveva evitato di interessarsi troppo a quel gioco, perché le carte collezionabili erano sempre state un passatempo troppo costoso per tasche della sua famiglia, ma aveva sentito innumerevoli volte i suoi amici più appassionati decantarne le doti come duellante. Di certo, se fossero stati al suo posto non avrebbero esitato a scattargli una foto, e forse si sarebbero addirittura spinti a chiedergli un autografo...

Tuttavia, lei non era affatto così sfegatata di Magic and Wizards da osare tanto, e ancor meno le andava di aggiungersi alle già troppe persone che lo stavano bersagliando di attenzioni sfacciate quanto chiaramente indesiderate. Anche lui aveva il diritto di poter prendere un mezzo pubblico senza essere importunato durante il tragitto, supponeva. Pertanto, nonostante la sua non fosse una presenza facile da ignorare e la tentazione di guardarlo fosse forte, si sforzò di disinteressarsi a lui e di rivolgere piuttosto gli occhi sul panorama alla sua destra.

Per causa sua, si sentì irrequieta durante tutto il tragitto.

I suoi binari si erano intersecati con quelli di un treno imprevisto, la cui presenza era davvero troppo ingombrante per potervi procedere parallela senza subire turbolenze in ripercussione. Comunque, anche se l'aveva scossa, si era trattato solo di un evento eccezionale: quando sarebbe scesa dal mezzo i loro percorsi sarebbero tornati ad essere quelli predefiniti, e i suoi viaggi tranquilli e placidi come uno stagno. Anche se il sasso che vi era stato gettato ne aveva increspato la superficie al punto che le onde provocate dall'impatto si riverberarono su di lei a lungo, per tutte le ore successive. Persino quando a fine giornata si era infilata sotto le coperte, dove si addormentò ancora cullata da quella corrente, mentre i suoi sogni furono gravati dal peso della presenza estranea che, nel frattempo, era scesa giù, fino alle acque più profonde del suo inconscio.

E poi, il giorno seguente, accadde di nuovo.

Quando salì sul suburbano delle 19 e 03, scoprì che il suo posto era già stato preso. Infrequente, che un simile imprevisto si verificasse per due volte consecutive. Raro, che fosse addebitabile alla medesima persona. Assolutamente impossibile, che potesse trattarsi ancora di lui.

Eppure era lì, inconfondibile. Seduto nella stessa identica posizione, indossando persino i medesimi abiti, come se non si fosse neppure mai alzato da quel posto da quando ve l'aveva lasciato, talmente assorbito dal suo lavoro da aver continuato a dedicarvisi ininterrottamente.

Ma, nonostante sembrasse così concentrato da essersi isolato del tutto dall'ambiente circostante, non appena gli fu vicino sollevò il suo viso su di lei.

Lo stupore doveva averla involontariamente spinta a fissarlo troppo a lungo e in modo troppo sfrontato, al punto da aver calamitato la sua attenzione su di sé. Forse per un semplice riflesso automatico. Forse perché gli aveva dato l'impressione che si fosse avvicinata con l'intenzione di chiedergli qualcosa, tipo se poteva sedersi accanto a lui. Forse tanta confidenzialità l'aveva indotto a pensare che potesse trattarsi di una conoscente, del cui arrivo non si era accorto. Forse si era solo infastidito per la sua impudenza... e a ragione.

Qualunque fosse il motivo, preferì mantenere il beneficio del dubbio ed evitare ulteriori imbarazzi distogliendo subito lo sguardo da lui sbattendo le palpebre, come se stesse semplicemente cercando nei dintorni un posto dove sedersi. Con finta ma, almeno così si auspicava, ben simulata noncuranza si girò nella direzione opposta e, appurato che era disponibile, scelse lo stesso del giorno precedente, andandolo ad occupare con sollecitudine e premurandosi di mantenere il viso ben rivolto verso il finestrino. Non voleva proprio dar luogo ad altri possibili fraintendimenti, ma soprattutto voleva nascondere quelle guance che avevano all'improvviso preso fuoco, e continuavano a bruciarle davvero troppo perché un occhio esterno non potesse notare l'incendio che le stava divampando dentro, appiccato ed ancora fomentato dal ritmo furioso che le batteva in gola, le rimbombava nel petto e le ovattava l'udito. Strinse gli occhi, inspirando ed espirando profondamente, soffiando decisa per sedare al più presto quelle fiamme e quel tumulto.

Dopotutto, non era accaduto nulla per cui dovesse agitarsi tanto. Una persona così famosa era di certo abituata a sentirsi puntati costantemente addosso gli sguardi altrui quando si mostrava in pubblico. Anzi, probabilmente se l'aspettava e non vi faceva nemmeno più caso.

Eppure, di lei si era accorto... e l'aveva persino fissata.

L'aveva guardato giusto per una manciata di secondi per poi evitarlo, ma l'aveva intravisto il suo sguardo su di sé, ed aveva continuato a percepirlo anche quando gli aveva dato le spalle, tormentandola con quella fastidiosa sensazione alla base della nuca tipica di quando ci si sente osservati. Una che le era davvero molto familiare, perché a causa del suo aspetto neppure lei era una persona che riusciva a passare inosservata... Faceva di tutto pur di non attirare troppo l'attenzione con i suoi capelli ma, per quanto potesse raccoglierli o nasconderli con un copricapo, il loro inusuale candore si faceva comunque notare.

Forse se li avesse portati più corti avrebbe attirato meno l'attenzione, ma ogni volta che provava ad accorciarseli un po' quelli in breve ricrescevano ancora più lunghi e folti di prima. E di certo non aveva il coraggio di osare un taglio netto, drastico e traumatico. Già una volta, da piccola, si era lasciata convincere dalla pettinatrice a provare un caschetto, e se ne era pentita ancor prima che potesse ultimarle l'acconciatura: alla vista delle lunghe ciocche recise ai suoi piedi le erano venute le lacrime agli occhi, come se le stessero strappando via parte dell'anima, e quando alla fine si era guardata allo specchio non si era neppure riconosciuta. E continuò ad evitare il suo riflesso anche in seguito, fin quando i capelli non ritornarono alla loro lunghezza originaria e lei non ritornò a sentirsi se stessa.

Da adolescente invece, sull'esempio delle amiche e sull'onda di un moto di ribellione, aveva provato a tingerseli, ma con risultati davvero deludenti, perché anche la sfumatura più lieve andava ad aumentare così tanto il contrasto con la sua pelle chiara da farla risultare pressoché cadaverica. Inoltre, ad opera ultimata lo percepiva sempre come un gesto sbagliato, e non solo perché compiuto all'insaputa dei suoi genitori che, una volta scoperto il misfatto, di certo l'avrebbero rimproverata severamente...

Era proprio contro natura.

Contro la sua, di natura: era nata così, con quel colore di capelli. E per quanto strana, quella era una caratteristica che aveva però il merito di renderla unica. Di farla sentire speciale. Così, con il passare del tempo e con il raggiungimento di un maggior grado di maturità aveva finito per accettarsi, ed andare persino un po' fiera della sua diversità. Non era disposta a cambiare per adeguarsi agli archetipi estetici altrui, se poi non riusciva più a sentirsi bene con se stessa. Continuava a trovarsi un po' a disagio quando le domandavano scettici se la tonalità dei suoi capelli fosse per davvero naturale, oppure quando la definivano erroneamente un'albina, ma per sopravvivere alla quotidianità aveva finito per imparare ad ignorare quantomeno i curiosi che si mettevano a fissarla con troppa insistenza.

Pertanto, decise di aprire la sua borsa per recuperare il lettore mp3, infilare le auricolari e far partire la musica in modo da dimenticare quanto prima ciò che era appena successo.

Tuttavia, le fu impossibile.

I suoi occhi non riuscivano a guardare il panorama oltre il finestrino, perché erano rimasti intrappolati sulla superficie del vetro. L'unica cosa che riuscivano a vedere, era l'immagine riflessa di quel ragazzo. Quella era tutto ciò che desideravano vedere, addirittura: si erano così concentrati per riuscire a scorgerla fin nei minimi dettagli da perder completamente di vista il resto, che era diventato così irrilevante da aver quasi cessato d'esistere.

Ed il tempo trascorse senza che lei potesse averne la benché minima percezione.

La sua fermata apparve inattesa al di là del finestrino, come se qualcuno ne avesse spostato l'insegna per giocarle uno scherzo di cattivo gusto, e farle credere che dovesse scendere dal mezzo prima del tempo. Ed invece era già arrivata per davvero, realizzò con un sussulto.

Raccolse rapidamente le proprie cose e si accodò alla piccola fila di passeggeri che si era già avviata verso l'uscita. Quando la raggiunse, però, la fretta che l'aveva sollecitata rimase indietro, e nell'attraversarne le porte venne sostituita da un opprimente, insolito rammarico.

La sua era una speranza vana, ciononostante se lo augurò comunque, che potesse avere altre opportunità di rivederlo ancora.

 


 

N/A - H^o^la!

Questa fic è un po' un esperimento. Chi di voi mi sta già seguendo nella “Dark Blue Saga” avrà notato subito che ne è l'esatto opposto: stavolta ho voluto scrivere di una modern!Kisara il più possibile fedele a quella di Takahashi, in un registro introspettivo come mia abitudine ma con un tono intimistico anziché narrativo. E niente angst, dramma, cliffhanger o situazioni al limite del possibile, ve lo prometto. Solo romanticismo (per questo, l'ho inaugurata il giorno di San Valentino), e vicende che saranno quanto di più ordinario e quotidiano si possa immaginare (per questo, il titolo minuscolo sia per la storia che per i capitoli). Poi, negli intenti iniziali doveva trattarsi di una semplice shottina, ma chiaramente la mia ispirazione non conosce il concetto di sintesi... Per cui per i prossimi sabati aspettatevi altri aggiornamenti. Ah, le lyrics che avete trovato all'inizio e troverete nei capitoli successivi sono e saranno tutte tratte da “Eyes On Me”, cantata da Faye Wong (aka la colonna sonora di Final Fantasy VIII).

Bene, spero che l'incipit sia riuscito ad incuriosirvi un po'. Chiaro poi che tutti i pareri sono ben accetti e che vi ringrazio di tutto cuore per la lettura!

XOXO

- Evee

   
 
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