Libri > Harry Potter
Segui la storia  |      
Autore: Tury    14/02/2015    1 recensioni
La guerra imperversava tra le mura di quell’antico castello, mietendo morti e distruzione ovunque la sua mano invisibile si posasse. Le lingue di fuoco lambivano le altre mura, danzatrici fameliche in attesa della loro prossima preda. Le ceneri di quella battaglia riempivano l’aria, addentrandosi nei polmoni di coloro che erano scesi sul campo, bruciando le loro gole come il più vivo dei fuochi.
Ed infine il fumo, quel fumo nero come la pece e insidioso come il più temibile dei serpenti. Quel fumo persistente, indomabile e incontrollabile. Tetra fuliggine che aleggiava nell’aria, rendendo impossibile la distinzione tra nemici e alleati, ponendosi come un ostacolo dinanzi alla vista.
Ed Hermione fu grata a quel fumo che le aleggiava intorno, rendendola invisibile agli sguardi dei suoi compagni, impedendo la visione di quelle lacrime che le rigavano il volto, mentre i suoi occhi si specchiavano in quelli che la fronteggiavano.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La guerra imperversava tra le mura di quell’antico castello, mietendo morti e distruzione ovunque la sua mano invisibile si posasse. Le lingue di fuoco lambivano le altre mura, danzatrici fameliche in attesa della loro prossima preda. Le ceneri di quella battaglia riempivano l’aria, addentrandosi nei polmoni di coloro che erano scesi sul campo, bruciando le loro gole come il più vivo dei fuochi.
Ed infine il fumo, quel fumo nero come la pece e insidioso come il più temibile dei serpenti. Quel fumo persistente, indomabile e incontrollabile. Tetra fuliggine che aleggiava nell’aria, rendendo impossibile la distinzione tra nemici e alleati, ponendosi come un ostacolo dinanzi alla vista.
Ed Hermione fu grata a quel fumo che le aleggiava intorno, rendendola invisibile agli sguardi dei suoi compagni, impedendo la visione di quelle lacrime che le rigavano il volto, mentre i suoi occhi si specchiavano in quelli che la fronteggiavano.
Per quanto ci avesse provato, Hermione non fu in grado di controllare il tremore che le scuoteva le membra, facendo tremare la mano che impugnava la bacchetta.
La donna di fronte a lei allargò maggiormente il suo sorriso, gustandosi la visione di quella ragazzina, vestita con quegli abiti palesemente babbani. Hermione indossava un paio di jeans, strappati in più punti, e una maglietta di un tenue colore glicine, ormai interamente coperto dalla polvere e dal fango. E dal suo sangue, quel sangue scarlatto, rosso come il più pregiato dei vini, che le colava dal volto, andando ad unirsi a quello che già occupava il terreno ai suoi piedi. La donna si leccò le labbra, seguendo il percorso dell’ennesima goccia che si infrangeva al suolo, per poi spostare nuovamente il suo sguardo in quello della ragazza. Ed Hermione cercò con tutta se stessa di trovare in quelle oscure iridi la luce che, un tempo, vide brillare in quegli occhi. Lo spettro della ragazza che l’aveva accompagnata in quegli anni di solitudine. Ma non trovò nulla, oltre quell’innaturale pazzia.
«Paura, sporca mezzosangue?» chiese la strega che rispondeva al nome di Bellatrix Lestrange, distogliendola dai suoi pensieri.
Ed Hermione desiderò avere la forza di mentirle, di mentire dinanzi a quegli occhi, a quei ricci indomabili. A quel volto così estraneo eppure così familiare. Avrebbe voluto rispondere che era terrorizzata, che sentiva il sangue ghiacciarsi nelle vene, supplicarla di lasciarla vivere. Comportarsi come una farfalla intrappolata nella ragnatela del suo predatore. Eppure, per quanto lo desiderasse, non fu in grado di ingannarla, come non fu in grado di frenare quella flebile negazione che si levò dalle sue labbra. Perché le sue lacrime non erano frutto della sua paura, esattamente come non lo era il suo tremore. Perché la verità era che Hermione stava soffrendo, soffrendo come mai le era capitato prima. Nemmeno il dolore che aveva provato durante le torture, che la donna di fronte a lei le aveva causato, era lontanamente paragonabile a quello che stava provando in quel momento. Un dolore sordo quanto dilaniante, che strisciava all’interno del suo corpo martoriato, divorando ogni millimetro del suo corpo, ogni barlume della sua anima, facendole desiderare la morte come mai aveva fatto prima.
Il sorriso di Bellatrix sparì dal suo volto, mentre nei suoi occhi si agitavano ombre oscure, figlie della sua ira e della sua pazzia. Non la temeva. Quella sporca mezzosangue non la temeva, non temeva il suo volto, non temeva il suo nome, non temeva il suo potere. Bellatrix avrebbe potuto ridere dinanzi a quella negazione, credere che quello non fosse altro che un inutile tentativo di mostrarsi forti in una situazione così critica. Ma la donna aveva avvertito la verità che si celava dietro quella parola, dietro quell’unica sillaba.
«E così non hai paura di me?» sibilò a denti stretti.
Hermione non rispose. Rimase immobile nella sua posizione, la bacchetta sempre tesa dinanzi a lei. Sapeva che, se avesse provato a parlare, se avesse provato a dare una risposta, il nodo che avvertiva in gola si sarebbe trasformato in un pianto inarrestabile e lei non voleva cedere a quell’umiliazione più di quanto non avesse già fatto.
«Ti ho fatto una domanda, sporca mezzosangue!» urlò Bellatrix, mentre un lampo di luce rossa nasceva dalla punta della sua bacchetta, diretto verso la sua avversaria.
Hermione riuscì a spostarsi dalla traiettoria appena in tempo, ma il suo sollievo non durò a lungo. Un urlo disumano si levò dalle sue labbra, mentre le sue gambe cedevano sotto quell’immane dolore, portando il suo corpo ad unirsi nuovamente alla polvere presente in quel luogo.
Gli occhi di Bellatrix brillavano, mentre osservava la ragazza contorcersi al suolo, preda dei più immani dolori, causati dal suo incantesimo. Versi soddisfatti nascevano dalle sue labbra, versi infantili, come di un bambino dinanzi al suo giocattolo preferito. Ed era questo, l’aspetto più terrificante di quella follia fatta carne, di quella follia fatta persona. L’innocente diletto che si manifestava dinanzi a quel disumano dolore.
Quando Bellatrix fermò quella infernale tortura, un sorriso soddisfatto si allargò sulle sue labbra, godendo nell’osservare la ragazza ai suoi piedi.
Hermione tremava, il respiro pesante, come se l’ossigeno non fosse mai abbastanza per soddisfare il suo bisogno. Un rivolo di saliva aveva abbandonato le sue labbra, dischiuse nel tentativo di incamerare quanta più aria era possibile, mentre i suoi occhi erano lucidi, così lucidi che era possibile vederli brillare nonostante la polvere. I lunghi capelli castani erano sparsi disordinatamente sul duro pavimento di pietra di quella grande sala, mentre alcune solitarie ciocche riposavano sul suo volto. Ma ciò che più colpì la ragazza fu sentire ancora il battito del suo cuore, quel battito innaturale, così veloce e irregolare da renderla sorda a qualsiasi rumore circostante. C’era, nonostante la tortura, nonostante il dolore. Quel cuore batteva ancora nel suo petto, testimone della sua esistenza, della sua mancata morte. Una lacrima solcò piano il volto di Hermione, nel prendere atto che era sopravvissuta, nonostante tutto. Perché se lei era ancora lì, voleva dire che la sua vera tortura non era ancora giunta al termine.
«Allora, piaciuto il giochino, ragazzina?» chiese Bellatrix, inginocchiandosi vicino alla ragazza e toccando il suo volto segnato con la punta della bacchetta.
Hermione chiuse gli occhi, mentre altre lacrime minacciavano di cadere. Eccola, la sua tortura. Quella voce, quegli occhi, quel volto. Il suo volto.
«Non…mi…toccare…» esalò a fatica.
«Toccarti? Per chi mi hai presa, ragazzina? Non mi abbasserei mai a toccare la sporca pelle di una mezzosangue».
Hermione sentì distintamente qualcosa spezzarsi dentro di lei, il rumore sordo della sua anima che andava in frantumi. Schegge di cristallo che penetravano nella sua carne, invisibili quanto dolorose. Ed in quel momento comprese che la ragazza che aveva conosciuto non viveva più nella donna che aveva di fronte, che le dolci carezza e gli sguardi amici appartenevano ad un passato che non le apparteneva più. E fu questa consapevolezza a darle la forza di rialzarsi, di impugnare nuovamente la bacchetta, di tornare a fronteggiare quella donna che si era impossessata di tutto, che aveva distrutto tutto. Ma lei non le avrebbe permesso di impossessarsi anche del suo ricordo, di distruggere anche quella effimera quanto preziosa memoria.
Bellatrix sorrise nel vedere la ragazza di nuovo in piedi, mentre una luce omicida attraversava i suoi occhi. Quella sporca mezzosangue l’avrebbe allietata ancora per un po’ con la sua testardaggine.
Hermione guardò negli occhi la donna, nel suo sguardo brillavano un coraggio e una convinzione rinnovati. Ma, nonostante tutto, quei sentimenti non scaturivano dal suo passato, dal male che Bellatrix le aveva inferto, perché il bene che aveva ricevuto da quella donna era di gran lunga maggiore. Hermione cercò la determinazione nel male dei suoi compagni, nella morte di Dobby, nella morte di Sirius, nell’attentato alla casa dei Weasley e, quando l’ebbe trovata, alzò di nuovo la bacchetta, in direzione della sua rivale.
Bellatrix riservò alla ragazza un sorriso spietato, mentre mimava la sua posizione.
Un solo colpo, un solo incantesimo, proprio come le regole dei duelli tra maghi, che le due avevano avuto modo di apprendere proprio tra quelle mura, imponevano.
I loro sguardi non si persero mai, studiandosi come due animali in procinto di attaccarsi.
Ed infine, la parola infernale riecheggiò nell’aria, come l’urlo di un demone liberato.

Avada Kedavra.

La bacchetta tremò tra le mani di Hermione, prima di cadere al suolo, mentre la sua proprietaria continuava a tenere lo sguardo fisso dinanzi a lei.
Bellatrix era ancora in piedi, immobile come una statua, nonostante fosse stata investita in pieno dalla luce verde. Ma quella innaturale staticità durò solo qualche attimo, prima che il corpo della donna rovinasse al suolo, unendosi per sempre alla fredda pietra di quel luogo.
Hermione cadde in ginocchio, mentre sul suo volto scivolavano via lacrime silenziose. Piano, si trascinò verso il corpo della donna, ignorando il dolore, ignorando la polvere, ignorando la guerra che imperversava aldilà di loro due, di quella dimensione eterea che sembrava circondarle.
Era finita. L’aveva uccisa. Lei, Hermione Granger, aveva ucciso Bellatrix Lestrange.
Un lamento si alzò dalle sue labbra, senza che lei se ne rendesse conto. Un lamento così profondo, così intimo, che sembrò sorgere proprio dalla sua anima, da quell’anima straziata, dilaniata, distrutta. Hermione poggiò il capo sul seno della donna, dando finalmente voce al suo dolore. Un dolore disumano, un dolore che mai nessuno avrebbe dovuto provare. Eppure, lei era lì e con lei anche quel dolore.
Una mano si andò a poggiare tra gli indomabili ricci castani, facendo sollevare di scatto lo sguardo di Hermione, che si ritrovò a guardare nuovamente gli occhi scuri della donna.
«Sei… cresciuta…»
«Bell?» chiese insicura Hermione, sorpresa quanto confusa di vedere la sua nemica ancora viva. Eppure, c’era qualcosa di strano, qualcosa di diverso in lei.
Sul volto della donna comparve un sorriso sghembo, un sorriso che Hermione aveva imparato a conoscere negli anni. Ed in quel momento, una verità, che si era rifiutata di vedere fino a quel momento, si manifestò dinanzi ai suoi occhi. In quel momento, Hermione comprese che quella donna avrebbe potuto torturarla, farla sanguinare, dilaniare la sua pallida carne, colpirla con gli incantesimi più spietati ma non avrebbe mai potuto ucciderla. Non avrebbe mai potuto compiere quel crimine di cui lei, Hermione Granger, si era inevitabilmente macchiata.
«Te…l’avevo detto ...che la tua…prima maledizione…senza perdono…l’avresti scagliata…contro di me» continuò Bellatrix, mentre sul suo volto si dipingeva un’espressione di dolore ad ogni parola che pronunciava.
«Che cosa ho fatto?» si ritrovò a chiedere Hermione, mentre il suo pianto non accennava a placarsi. E, in fondo, non avrebbe mai potuto, non in quel momento. Perché, di fronte a lei, non c’era più la spietata seguace di Voldemort. Di fronte a lei, in quel momento, c’era l’unica vera amica che Hermione avesse mai avuto.
«La cosa…giusta. Te l’ho…sempre detto…un Auror e… una Mangiamorte…non potranno mai… essere amiche.»
«Io non sono un Auror, Bell. E tu ti salverai e staremo di nuovo insieme».
«Nessuno può… salvarmi. Ma non importa. Sono felice…perché sono morta…per mano tua…e non potevo…desiderare onore… più grande».
Hermione tentò di ribattere, ma Bellatrix le poggiò dolcemente un dito sulle labbra, regalandole un sorriso sincero. Accarezzò quella pelle liscia, segnata dalle ferite che lei stessa le aveva inferto, mentre i suoi occhi si perdevano in quelli di Hermione, cercando di memorizzare ogni singola sfumatura di quel dolce castano. Sapeva che era l’ultima volta che li avrebbe visti e sperò che il dolore che vi leggeva dentro, in quel momento, non tornasse mai più a far visita a quelle iridi così chiare.
«Sarai… un’ottima strega… e…diventerai…una grandissima Auror. Grazie di tutto… piccola Herm» disse infine Bellatrix, per poi chiudere gli occhi, lasciandosi andare alle braccia della morte.
Hermione sentì la mano della donna scivolare via dal suo volto, incapace di fermarla, di arrestare la sua caduta. I suoi occhi guardavano ancora il volto della donna, senza vederlo realmente. Il silenzio calò nella grande sala, un silenzio statico. Un silenzio di morte. Un silenzio rotto solo dall’urlo disumano di quel corpo senza più anima. Un urlo che riecheggiò tra le vecchie mura di quell’antico castello.
 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Tury