Anime & Manga > Creepypasta
Ricorda la storia  |      
Autore: Amekita    14/02/2015    26 recensioni
[Creepypasta]
{Speciale San Valentino}
[Laughing Jack]
Cioccolatini, rose e morbidi orsacchiotti.
Chi non desidera tutto questo per la festa degli innamorati?
Una ragazza si dovrà ricredere, perché il suo San Valentino sarà molto particolare...
Genere: Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Laughing Jack
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Eerie blackness'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

\\Salve a tutti!
Scusate la mia lunga assenza, ma sto passando un periodo difficile e pieno di impegni.
Ho deciso di pubblicare uno speciale per la festa di San Valentino, aspettata da tutti gli innamorati, rendendola ovviamente... un po' più horror.
Non ho proprio potuto fare a meno di inserire il personaggio di Laughing Jack, perché personalmente lo adoro e mi sono venuti in mente tantissimi spunti u.u
Per quanto riguarda la storia su Splendor, ho deciso che sarà la prossima ad uscire, e mi manca solo da scriverne la conclusione ^^
Mi spiace per quelli che la stavano aspettando, ma per ora preferisco aspettare a trovare un degno finale, non vorrei rovinare ciò che ho già scritto per mancanza d'ispirazione XD
Un'ultima cosa: nella storia sono assenti le scene erotiche, poiché ho preferito esaltare l'aspetto horror-splatter. Inoltre ci sono descrizioni splatter accurate, sconsiglio la lettura a chi è facilmente impressionabile.
Buona lettura!
-Amekita-


Disclaimer: il personaggio di Laughing Jack non è di mia creazione, appartiene a chi detiene i diritti dell'opera.




BLOOD AND CHOCOLATE

La mattina era fresca, e nell'aria aleggiavano romanticismo e amore.
Nel piccolo sobborgo era ogni anno così.
Il giorno di San Valentino era atteso con trepidazione: c'era chi sfruttava l'occasione per dichiararsi alla persona dei propri sogni, chi regalava rose alla fidanzata e molti altri che semplicemente lasciavano bigliettini anonimi a chi nemmeno sospettava della loro esistenza.
La stretta stradina tra i piccoli palazzi era ricolma di bancarelle dei fiorai, che coglievano l'opportunità di vendere mazzi di tulipani e gerbere rossi, oltre alla comune composizione di rose dal colore sanguigno, tipico della giornata.
Belle, una giovane madre di trent'anni, camminava a passo svelto tra le persone intente a comperare scatole di cioccolatini e addobbi vari, cercando di non urtare erroneamente nessuno al proprio passaggio.
I capelli castani erano mossi, lunghi e fluenti, e sembravano riflettere la luce solare offuscata dalle nuvole grigie. Gli occhi scuri si muovevano sfuggenti, in cerca di qualcosa che attirasse la loro attenzione.
Mentre faceva la colazione, quel giorno, suo marito Thomas le aveva proposto di celebrare il loro secondo anniversario, che si sarebbe tenuto proprio il medesimo giorno.
Approfittando del fatto che la piccola figlia di otto anni sarebbe andata a dormire da un'amica, i due avevano programmato un incontro galante la sera stessa, dopo essersi deliziati con una cenetta romantica a lume di candela.
“Preparo tutto io, tesoro. Tu devi solo uscire e comprare ciò che più ti piace.” le aveva detto l'uomo, con un sorriso complice sulle labbra.
Da quel momento la mente di Belle era stata costantemente diretta verso ciò che sarebbe accaduto quella notte, e ogni volta che ci pensava un sorrisetto dal rossetto scarlatto non poteva fare a meno di dipingersi sul suo viso delicato.
Da quando era nata la bambina avevano avuto sempre meno occasioni di stare insieme, e naturalmente pochissimo tempo libero da dedicare alla coppia, dunque quella era un'occasione che non potevano proprio lasciarsi sfuggire.
Belle già fantasticava su cosa le avrebbe preparato il marito per cena.
Era sempre stato un ottimo cuoco, e non si risparmiava quando doveva fare colpo su di lei.
Evitò distrattamente un ragazzo che stringeva in mano un rigoglioso mazzo di rose rosse, e probabilmente già immaginava la faccia che avrebbe fatto la sua ragazza ricevendolo.
Dalle ridotte finestre degli appartamenti si potevano intravedere distintamente i volti di coloro che solitari passavano quella giornata tanto romantica, con la tristezza dipinta in viso.
La donna sorrise nel constatare che fortunatamente quello non fosse il suo caso, e ritornò a pensare a Thomas e alla sua bimba.
La piccola era sempre stata pimpante, con quelle codette bionde ereditate dal padre andava in giro per la casa trotterellando.
Infilando la sottile e longilinea mano sinistra nella tasca del cappotto inglese rosso, si accorse di aver dimenticato il cellulare, dunque decise di fare un salto a casa per recuperarlo.

Venti minuti dopo, era finalmente sulla soglia di casa.
Il loro era il terzo piano, e da fuori l'edificio si prospettava grigio e in degrado.
Dopo la salita in ascensore, la cui vecchiaia aveva fatto cigolare gli ingranaggi e le luci si erano spente ad intermittenza irregolare, fu infine davanti alla porta in legno.
Frugando ancora nella tasca, estrasse poi un anello in metallo con qualche chiave, certe grandi e rovinate ed altre meno.
Ne scelse infine una di medie dimensioni, a doppia mappa.
Infilata nella serratura, la girò poi verso destra, facendo scattare il meccanismo che aprì la porta scura. Fortunatamente Thomas si era ricordato di oliarla, poiché solitamente strideva terribilmente.
Non appena ebbe messo piede sul tappeto all'ingresso, la bimba le andò incontro correndo, abbracciandole le gambe.
“Ehi, guarda chi c'è! Ti è mancata la tua mamma?” le chiese con il tipico tono che si usa per parlare ai bambini, inginocchiandosi alla sua altezza per abbracciarla.
La piccola Mary era abbastanza infantile per la sua età, ma questa caratteristica la rendeva ulteriormente dolce e simpatica.
Gli occhi castani della bimba incontrarono quelli della madre, che le pizzicò amorevolmente le guance rosee e paffute.
Il pavimento in mattonelle grigio scuro era opaco, pensò Belle, e constatò che fosse proprio ora di dare una pulita.
Dopo essersi alzata, andò in direzione dello sgabuzzino delle scope, in fondo al corridoio d'ingresso, ma il suo percorso venne interrotto da Thomas.
L'uomo aveva in volto uno sguardo di rimprovero.
“Cosa pensi di fare? Ti ho detto che ci penso io, o mi sbaglio?” la beccò, fingendosi seccato.
Belle non sapeva resistere alle occhiate serie del marito, e si sciolse di fronte a quegli occhi chiari.
“E va bene... hai vinto tu.” si arrese. “Ma solo per questa volta!” esclamò ridacchiando, per dirigersi verso il tavolo della cucina a prendere il cellulare che aveva dimenticato.
Non appena gli stivali in pelle di Belle stavano per raggiungere la porta di casa, la donna si sentì trattenere dal basso. Si voltò, vedendo la piccola Mary che le aveva afferrato un lembo di stoffa del cappotto.
“Mamma, ti devo far vedere una cosa! Aspetta un attimo...” proclamò, correndo poi verso la sua cameretta, tornando poco dopo dalla madre con una curiosa e singolare scatola in legno in mano.
Era piccola e perfettamente cubica, sembrava dipinta, ma il tempo ne aveva parzialmente staccato la vernice. Ora s'intravedeva il legno rovinato, ma sulla faccia frontale ancora si poteva distinguere il volto disegnato di un clown sorridente. Al lato c'era una manovella in metallo, e sopra vi era incisa una scritta.
<< Laughing Jack nella scatola >>.
Belle prese tra le mani l'oggetto, rigirandolo più volte.
“Dove l'hai presa?” le chiese, interrogandosi sulla provenienza dello strano giocattolo.
La bambina si illuminò di contentezza.
“L'ho trovata ieri notte sotto al letto! Poi quando ho girato la manovella... è spuntato fuori un pagliaccio buffissimo!” esclamò Mary, con gli occhioni luminosi.
Belle la guardò dubbiosa, ma pensò che fosse semplicemente un regalo fattole dal padre di nascosto, in modo da farle una sorpresa.
Ad ogni modo, in quel momento non aveva tempo di chiedergli la conferma.
“Allora quando torno a casa mi presenterai questo tuo amico, d'accordo?” chiese sorridente, dando un buffetto alla testa della bambina.
Era normale avere un amico immaginario, a quell'età. Inoltre non era neanche il primo che Mary s'inventava. L'anno precedente, aveva spesso raccontato che lei e “Mister Gummy” prendessero il thè tutti i pomeriggi, mentre il padre era a lavoro.
La donna ridacchiò sommessamente, per poi salutare la figlia e uscire ancora una volta di casa.

Il padre di Mary era intento ad iniziare i preparativi per la serata romantica con la moglie, ed era attento a non far scoprire alla bambina alcuni oggetti scabrosi che la piccola non avrebbe compreso.
La madre dell'amica da cui Mary doveva andare a dormire sarebbe passata dopo circa mezz'ora, dunque doveva ancora pazientare un po' e avrebbe finalmente potuto dare libero sfogo alla propria creatività nell'arredare la cucina e la camera da letto, con tanto di petali e palloncini a forma di cuore.
Intento a togliere il pollo dal frigorifero, si bloccò un attimo per ascoltare meglio i rumori che aveva sentito provenire dalla camera della figlia.
Gli era parso di percepire una voce strana, seguita da delle risate appartenenti alla bambina.
La stanza da letto di Mary era in fondo al corridoio, subito a destra rispetto la cucina.
L'uomo si avviò a passo deciso verso la cameretta, ma stette attento a non far rumore, o l'avrebbe disturbata.
La porta bianca era leggermente socchiusa, e dentro s'intravedeva la luce calda della lampadina da notte. Alla bimba era sempre piaciuto accenderla, nonostante fuori ci fosse la luce naturale.
La finestra era infatti chiusa con la tapparella abbassata, dunque non entravano spiragli luminosi.
Sul grande tappeto in stoffa che copriva quasi tutto il pavimento della camera quadrata, attraverso la fessura, Thomas scorse sua figlia intenta a mimare gesti con le braccia, mentre con una manina sorreggeva un piccolo elicotterino di plastica munito di elica in miniatura.
Ogni tanto la bimba alzava il capo a guardare di fronte a lei, come se stesse parlando con qualcuno.
“Vroooan!” mimava Mary, facendo svolazzare il giocattolo con le mani.
Thomas sorrise da dietro la porta. Evidentemente era stata solo un'impressione.
Fece per andarsene, ma non appena si girò dall'altra parte per tornare in cucina, una risata lo bloccò.
Non era cristallina come quelle della bambina, era roca e in qualche modo paurosa.
L'uomo sentì un brivido freddo percorrergli la schiena, salendo fermandosi all'altezza del collo.
Con uno scatto repentino, si voltò e spalancò la porta, già pronto a sferrare un pugno a qualcuno.
La bimba smise di giocare spaventata, e sobbalzò per la sorpresa.
Lo sguardo di Thomas perlustrò la stanza in un secondo, ma gli sembrò tutto normale.
Vide i numerosi giochi di Mary sparsi per il tappeto e il pavimento, tra cui un orso di peluche, numerosissimi pennarelli e matite dai vari colori, qualche palla di gomma e una piccola scatola cubica dal coperchio aperto. Niente di anomalo, insomma.
“Papà...” la sottile voce della figlia lo riscosse. “...cosa stai facendo?”.
L'uomo la guardò ancora sconvolto, ma poi la mano lasciò la presa dal legno della porta e la postura ritornò eretta. “Uhm, niente. Continua a giocare, tra poco arrivano per portarti dalla tua amica.” farfugliò, allontanandosi.
La sua mente era ancora confusa.
Mille pensieri gli frullavano in testa.
Come gli era venuto in mente di comportarsi così? Si era lasciato ingannare da una stupida illusione. Eppure... quella risata gli era sembrata così reale...

Belle camminava tra le bancarelle del sobborgo.
Erano ormai due ore buone che non faceva altro che scorgere con lo sguardo innamorati in cerca del proprio partner e coppiette felici che si sbaciucchiavano sui muretti vicino al parco.
Raramente, si poteva assistere anche a delle proposte di matrimonio in diretta, e intorno ai futuri sposi era solita radunarsi una folla di curiosi che inneggiavano per il “si” della ragazza.
La donna si limitava a sorridere a quelle scene, ricordandosi di quando la richiesta era stata fatta a lei. E pensare che quella sera lei e Thomas avrebbero rinnovato la propria passione le faceva volteggiare le farfalle nello stomaco. Si sentì una ragazzina alle prime armi, e non contenne un risolino acuto.
Reggeva almeno tre buste per mano, che in onore della festa avevano tonalità di rosa confetto, fucsia e rosso scarlatto. La plastica di cui erano fatte produceva scricchiolii piacevoli, che preannunciavano le sorprese custodite dagli involucri.
Aveva piovuto tutta la mattina, dunque più volte Belle rischiò di mettere gli stivali in una pozzanghera, che rifletteva il cielo ormai scuro.
Era giunta la sera, e s'immaginò cosa stesse facendo Mary, ormai a casa dell'amica.
Poi il suo pensiero volò a Thomas, che sicuramente la stava attendendo in cucina con l'arrosto pronto e le rose come centrotavola.
Non vedeva l'ora di tornare a casa.

Circa mezz'ora dopo, Belle stava per riprendere l'ascensore che l'avrebbe condotta al terzo piano.
Non appena vi entrò, questo fece un inquietante rumore metallico.
Le porte scorrevoli si chiusero, lasciando la donna illuminata dalla sola lucina dell'ascensore.
Presto questa iniziò a scarseggiare, spegnendosi ad intermittenza, lasciandola a tratti praticamente al buio. Il rumore degli ingranaggi del macchinario era forte, sembravano stare per spezzarsi da un momento all'altro.
Un'ondata di ansia le invase il petto, poiché non era ancora riuscita a superare del tutto la propria claustrofobia innata. La sola idea di rimanere chiusa lì dentro la faceva impazzire.
La luce si spense ad un tratto del tutto, facendola rimanere completamente al buio.
“Stupido ascensore!” sbottò, dando un debole pugno ad una delle pareti in metallo.
L'unico risultato che ottenne fu quello di farlo bloccare, e il silenzio invase la piccola cabina, lasciandola sola con il suono del proprio respiro affannato.
“No, no, no! Non puoi farmi questo! Non adesso!” piagnucolò Belle, appoggiando le buste a terra per liberarsi le mani.
Nel buio pesto era difficile muoversi, ma l'ambiente era piccolo e non avrebbe potuto sbattere da nessuna parte. La donna frugò alla rinfusa nella tasca del proprio cappotto, cercando disperatamente il cellulare.
Lì dentro cominciava a fare freddo, e le brutte premonizioni cominciarono ad invaderle la testa, lasciandola in preda alla sua stessa paura.
“O santo cielo... aiuto!” urlò all'aria, non ricevendo risposta.
Finalmente il polpastrello dell'indice sfiorò una superficie dura, e con il palmo tirò fuori maldestramente il telefonino dalla tasca, rischiando più volte di farlo cadere.
La luce abbagliante dello schermo rischiarò le tenebre, anche se di poco.
Compose in fretta e furia il numero di Thomas, ma le sue dita sembravano fare tutt'altro, facendole premere i pulsanti sbagliati. Dopo quattro tentativi buoni, riuscì a chiamare, tirando un sospiro di sollievo quando sentì i primi squilli.
Alcuni secondi dopo, passati col fiato sospeso nella paura che il marito non rispondesse, Belle avvertì finalmente la chiamata essere aperta.
“Thomas, sono chiusa in ascensore, aiu-” aveva iniziato a parlare spedita, ma uno strano suono proveniente dal telefono l'aveva bloccata.
Sembrava una sorta d'interferenza.
“Thomas, ci sei?” chiese, non ricevendo risposta. “Thomas...?” riprovò ancora, ma nulla.
I suoi occhi si spalancarono quando sentì un roco respiro dall'altra parte del cellulare, che venne susseguito da una risata irregolare e scomposta.
Il respiro di Belle si velocizzò, mentre il suo corpo veniva scosso da brividi.
Non sapeva se fosse più per la claustrofobia o per il suo interlocutore.
“C-chi parla?” balbettò, accigliandosi. La risata continuò, e poi sentì il segnale acustico segnare la fine della chiamata.
Per un lungo secondo interminabile la giovane rimase nel più completo silenzio.
Dopo quelli che sembrarono secoli, un forte rumore la ridestò, e la luce dell'ascensore si riaccese, illuminandola del tutto.
Il meccanismo era ripartito, ed ora l'ascesa della cabina era ripresa, lasciandola sudata e ansimante di fronte alla porta di casa propria.
N
on prenderò mai più quello stupido ascensore!
Si ritrovò a pensare, mentre con una mano al petto cercava di regolarizzare il proprio respiro.
Come un fulmine, infilò la chiave nella serratura, facendola scattare.
La palazzina era nella quiete più palpabile, e lei non vedeva l'ora di riabbracciare Thomas per raccontargli tutto e farsi consolare.
Si sforzò di imprimersi un sorriso in volto. Dopotutto, non sarebbe bastato un piccolo incidente a cambiarle l'umore; doveva essere pronta per l'incontro galante con il marito, alla fin fine.
La porta di legno si aprì, emettendo un cigolio stridulo.
Credevo che Thomas ci avesse messo l'olio... mah...
Lasciò perdere i propri pensieri: ora doveva solo pensare ad entrare.
Appoggiò le buste a terra, e richiuse la porta dietro di sé.
Dentro casa c'era buio, nemmeno una luce accesa.
Un sorrisetto complice le arricciò le labbra inrossettate, la mente già a prevedere la scena che le si sarebbe prospettata davanti.
Sicuramente faceva parte della sorpresa del marito, e non vedeva l'ora di scoprirla.
Avanzò nel buio, con una certa sicurezza dovuta alla conoscenza della casa.
Percorse il corridoio, di tanto in tanto affacciandosi nelle stanze per cercare di scorgere Thomas con lo sguardo.
Arrivò di fronte alla camera di Mary, e volendosi accertare che la bimba fosse uscita aprì la porta, accendendo la luce.
Non appena la luce fredda illuminò la stanza, gli occhi di Belle si spalancarono, e il cellulare che ancora reggeva cadde a terra, con lo schermo rotto.
La stanza della piccola era pavesata di addobbi fatti con intestini, che inchiodati al muro pendevano creando un motivo armonioso. Il sangue che colava da questi imbrattava a rivoli le pareti bianche, fino a raggiungere il pavimento e il tappeto, zuppo di liquido ematico.
Un suono di gomma sfregata catturò l'attenzione di Belle, che vide dei palloncini rossi a forma di cuore volteggiare per la cameretta, e quando la luce li toccava sembravano essere ripieni di uno strano liquido scuro.
C'era sangue ovunque, e nella pozza scarlatta che si era formata a terra galleggiavano delle piccole caramelle incartate di nero, che come pesci morti risiedevano a pelo d'acqua nel mare amaranto.
Belle urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, mettendosi le mani tra i capelli e cominciando a tirarli. Le gambe cedettero e s'inginocchiò con la bocca ancora spalancata e gli occhi persi, come in uno stato di trance. Aveva gridato talmente tanto che si era stupita che quel suono fosse uscito dalle proprie labbra. Dopo secondi interminabili, a carponi strisciò tremante verso la cucina, nella speranza di trovare un telefono integro per chiamare i soccorsi.
La sua mente era altrove, ma l'istinto costringeva i suoi muscoli a muoversi, nonostante il corpo fosse scosso da violente scosse.
Raggiunse l'ingresso della cucina, e rimettendosi in piedi a fatica aiutandosi con lo stipite della porta, si piegò in due per vomitare sulle mattonelle grige del pavimento.
La visione truculenta del sangue schizzato nelle pareti e sui mobili la fece inorridire.
Il suo sguardo sconvolto andò ai propri piedi, che erano coperti -oltre che dalla bile- di liquido amaranto. Mosse qualche passo in avanti, vedendo il tavolo della cucina imbandito.
Ai piedi c'erano cioccolatini sparsi in terra, alcuni sciolti e altri ancora integri, che sembravano nuotare nel liquido ematico sotto di loro. Altri brandelli d'intestino ricoprivano il pavimento, creando un conglomerato di cioccolato e sangue.
Sulla superficie del tavolo c'era una scatola a forma di cuore, probabilmente adoperata per contenere i cioccolatini che ora erano sparsi in giro, infatti si poteva scorgere il coperchio infiocchettato di lilla leggermente scostato dalla base. L'oscurità nella stanza le impediva di vedere oltre, poiché l'unica fonte di luce era una piccola candelina rosa al centro della tavola, contornata da petali si rose rosse e viola, e mischiati a questi ne spiccavano alcuni neri.
Il romanticismo e la violenza presenti nella stanza parevano creare una marcatissima dicotomia, un mix di amore e sangue.
Avvicinatasi tremante alla scatola a forma di cuore, Belle non ebbe il coraggio di scostare il coperchio lucido.
Era infatti ferma ad osservare con ribrezzo i due cocktail posti vicino ai rispettivi piatti, ripieni di un viscoso liquido rosso. Dal bordo di vetro colavano gocce scarlatte che andavano a sporcare la tovaglia rosa confetto lucida, probabilmente di raso.
I bicchieri sanguigni dominavano la scena sul ripiano, ma ciò che la colpì ancora di più fu un bigliettino custodito in una bustina di carta lilla, proprio sopra la scatola dei cioccolati.
Sopra vi era una scritta in inchiostro rosso, e una macchia carminio sporcava un lato del biglietto.
Per Belle.
Le lettere erano caratterizzate dall'irregolarità della scrittura, la cui scompostezza la faceva assomigliare a quella di un bambino.
La donna non osò aprirlo, ma la mano si era come serrata intorno ad esso.
Procedé in avanti, verso la parete di fondo. Il buio ancora regnava sovrano, ma avvicinandosi scorse una massa che diventò pian piano più delineata.
Le labbra rosse di Belle si spalancarono ancora, ma uscì solo un urlo strozzato.
Sembrava aver smesso di respirare e di ragionare lucidamente.
Davanti a lei, appoggiati alla parete, c'erano i due cadaveri di Thomas e della piccola Mary.
Ad entrambi erano stati cavati gli occhi, e i loro toraci completamente aperti, da cui fuoriuscivano gli organi interni ad eccezione dell'intestino, adoperato per ornare le pareti.
Nelle cavità dei loro petti erano state poste manciate di caramelle nere, da cui faceva capolino qualche lecca-lecca del medesimo colore, del tutto imbrattato di sangue.
Una scia di rose nere e petali rossi conduceva poi al tavolo rotondo, su cui Belle aveva trovato in precedenza il biglietto e la scatola.
In preda allo shock, la donna tolse il biglietto di carta dalla bustina, rivelando il foglietto bianco dai bordini scarlatti, con tanto di cuori disegnati e brillantini: un tipico biglietto di San Valentino.
Sulla faccia frontale era scritta una breve parola con la stessa calligrafia usata nella busta.
Aprila.
L'ultimo barlume di lucidità nella testa di Belle s'interrogò sul significato di quel verbo.
Capì infine che si riferisse alla scatola.
A passi incerti, incespicando più volte, la donna in stato di trance prese il coperchio e lo scostò.
Ciò che rivelò la fece crollare a terra con le lacrime agli occhi.
Due cuori, uno più grande e l'altro ridotto, erano adagiati su un letto di gommapiuma, quasi come se si trattasse di un anello di fidanzamento e non di organi. Il sangue colmava la scatola, che venne lasciata di scatto da Belle, ormai coricata sul pavimento incapace di provare qualsiasi emozione.
Il dolore era troppo grande per vivere, ma nemmeno troppo per poter morire.
Così si limitava a tenere gli occhi spalancati sullo scempio che era stato compiuto alla sua famiglia senza battere le palpebre. Gli occhi erano vacui e assenti, nemmeno quando un altro piccolo foglio era caduto dall'interno della scatola si erano spostati.
Buon San Valentino, recitava.
Una musica strana e inquietante invase l'aria.
Le orecchie di Belle la riconobbero: era “Pop! Goes the weasel”, tipica canzoncina che la donna era solita cantare alla sua bambina prima di dormire.
Eppure, questa volta era così distorta...
una risata irregolare e sadica proruppe il silenzio tombale della stanza.
Belle sapeva che qualcuno l'avesse attergata. Ne era sicura.
Percepiva la sua presenza dietro la schiena, ma non aveva forze per girarsi a guardare o per difendersi dal mosto che aveva compiuto quel massacro.
Gli occhi castani della donna scorsero un oggetto singolare, vicino alla soglia della porta. Un particolare che non aveva notato entrando, ma che ora significava tutto.
Era una scatola cubica. La stessa che la piccola Mary le aveva mostrato prima di uscire.
Non è possibile... non può essere davvero lui. Non può essere stato lui!
Gli unici pensieri che rimbombavano come un eco nella testa di Belle erano diretti a quel mostro di cui le aveva ingenuamente parlato la figlia.
Laughing Jack.
Il suddetto rideva e si burlava di lei alle sue spalle, per poi comparire nel suo campo visivo.
Aveva l'aspetto di un pagliaccio, proprio come l'aveva descritto Mary, ma a differenza della bimba Belle non lo trovò affatto buffo. Quell'individuo le metteva una paura folle.
Era alto e slanciato, magrissimo, le braccia grottescamente lunghe sfioravano quasi il pavimento. La pelle bianca, cadaverica. I capelli corvini erano mossi e scompigliati, il naso a cono era a strisce bianche e nere, esattamente come le calze e la maglia. Un paio di pantaloni neri arrivavano fino alle ginocchia, dello stesso colore delle bretelle e della cintura. Sulle spalle presentava un ampio piumaggio monocromatico, mentre il busto e la base delle mani artigliate erano avvolti da fasciature candide.
Gli occhi dell'essere la tenevano inchiodata al pavimento con quel penetrante sguardo bianco, freddo e folle allo stesso tempo.
Sul suo viso era dipinto un ghigno nero, le cui labbra erano socchiuse a lasciare intravedere i denti seghettati e appuntiti.
Le risa del clown invasero ancora la stanza; sembrava bearsi di quella visione.
Belle lo vide avvicinarsi ancora con il suo sorriso storto e inquietante, e nonostante il suo corpo tremasse violentemente, ogni volontà di reagire era stata annullata dallo shock.
“Spero che il mio lavoretto ti sia piaciuto... mi sono impegnato tanto per cercare di essere coerente con questo stupido giorno che voi chiamate festa!” disse con voce roca ed estremamente irregolare; non sembrava nemmeno essere umana, arrivava quasi come modificata da apparecchi elettronici.
Lo vide poi avvicinarsi al suo viso, chinandosi verso di lei.
Percepì il respiro freddo del mostro sulla propria pelle, e quasi si perse in quelle iridi gelate.
“Ci vediamo in giro, dolcezza.” sussurrò, sbeffeggiandola.
Scomparve poi in una nuvola di fumo nero, e con lui anche la sua scatola.
Perché?! Perché non mi ha uccisa? Poteva farlo! Poteva...
i pensieri andavano frenetici, ma si bloccarono di colpo quando realizzò il motivo.
L'aveva lasciata vivere per deriderla. Perché solo così si sarebbe potuto prendere gioco di lei ancora e ancora, usandola a suo piacimento.
No... voglio morire...
le lacrime di disperazione e vuoto le colarono dagli occhi, mischiandosi al sangue sottostante.
Era venuto per prendere Mary, ma era stato intralciato dal padre. E li aveva uccisi entrambi.
E pensare che la donna aveva desiderato così tanto l'arrivo di quel giorno...
non si sarebbe mai aspettata che il suo San Valentino sarebbe stato più rosso del previsto.


[Angolo dell'autrice]
Eccomi qui!
Non avete idea da quante ore sto scrivendo T.T
E' dalle tre che non smetto di scrivere ininterrottamente XD
Comunque, passiamo alle osservazioni!
Avrete senza dubbio notato che il colore predominante nella storia è il rosso, dapprima legato all'amore, poi al sangue.
Ho inoltre voluto riprendere un classico dell'horror, ovvero la scena in ascensore.
Ecco da dove vengono i nomi:
-Belle prende il suo da Belle Gunnes, una serial killer.
-Il marito da Thomas Dillon, un altro killer, detto anche “cacciatore dell'Ohio”.
-Mentre la piccola -e povera- Mary, prende il nome dal personaggio della mia amica e compagna di role _AnneMary_ ^^
Spero che la storia vi sia piaciuta e che abbiate voglia di lasciarmi una recensione, come regalo di San Valentino :3
Appena mi verrà l'ispirazione per la fine della one-shot su Splendor, non esiterò a pubblicarla! ^^
PS: ho in mente di iniziare anche un'altra storia a più capitoli su Laughing Jack (lo amo, se non si fosse capito XD), in cui ogni capitolo avrà il nome di un dolcetto u.u
Grazie per la lettura!
Alla prossima,
-Amekita-

 

  
Leggi le 26 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Creepypasta / Vai alla pagina dell'autore: Amekita