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Autore: shewolf_    15/02/2015    6 recensioni
"-Sedetevi pure.- disse il professore di musica,con un sorriso accennato.
Ecco,per Kimberly,quell'uomo era la prova che la perfezione esisteva.
Non avevano mai avuto musica prima d'ora,era stata una riforma scolastica di settembre dell'inizio dell'anno. [...] Nessuno sporse lamentele,soprattutto dopo aver visto l'insegnante.
Le professoresse lo descrivevano come “un uomo piacente”,giusto per non sforare e mantenere quel decoro che viene loro richiesto in ambito lavorativo.
Tant'è che inizialmente nessuno ci credeva. Cosa potevano sapere delle donne abbastanza attempate,di cosa era ritenuto bello al giorno d'oggi?
E invece.. eccolo lì. Il professore di musica più affascinante che potesse esistere.
Si chiamava Jared Leto,e grazie a lui,musica era la materia più attesa della settimana."
Questa è la prima FF che pubblico su questo sito, spero vi attiri e vi piaccia come è piaciuto a me scriverla :)
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 78.

 Quando mise piede in macchina, si trovò in uno stato quasi catatonico, di totale assenza.
Guidò per diverso tempo, fece più volte la stessa strada, percorrendo paesini lontani che però conosceva, concentrata sulla guida più che sul pensare.
In un certo senso, guidare la distraeva da tutta la tristezza che aveva dentro, un modo come un altro per non rivivere il momento appena trascorso, tanto brutto da poter rientrare nel primi posti della top ten dei momenti da dimenticare.
Non poteva crederci. Non poteva semplicemente crederci, forse perché non se lo sarebbe mai e poi mai aspettato.
Teneva lo sguardo fisso, il piede cambiava agevolmente pedale, misurando adeguatamente l’intensità con cui premente. Metteva la freccia, si fermava ai semafori, prendeva le curve con un’agevolezza che solitamente tendeva a trascurare per la fretta.
La migliore guida da quando aveva preso la patente.
Più volte arrivò al bivio che le permetteva di imboccare l’autostrada, e se non fosse stato il pensiero costante di non avere abbastanza soldi con sé, sarebbe fuggita senza neppure guardarsi indietro.
Probabilmente sarebbe poi tornata nel giro di qualche giorno, ma l’idea di evadere da quel posto, di allontanarsi per un po’ e cambiare aria, le sembrava l’unica alternativa che l’avrebbe fatta sopravvivere a tutto quel buio che si sarebbe ben presto impossessato di lei.
Perché sebbene ancora non l’avesse assalita, sentiva che il dolore era in agguato, pronto che lei si distraesse per saltarle alla gola e dilaniarla fino a che non le si fossero prosciugate le lacrime.
Sapeva che non sarebbe riuscita ed evitare di pensare e ripensare infinite volte a quello che era accaduto, che quella scatola l’avrebbe tormentata per diverso tempo e non aveva alcuna voglia di ridursi nuovamente una scorza senza vita.
Un cadavere capace solo di piangere e limitarsi ad esistere.
Doveva essere lucida, avrebbe avuto gli esami nel giro di breve e non riusciva ad immaginarsi come li avrebbe affrontati, come si sarebbe presentata davanti ai professori dimostrandosi sicura di sé e di quello che sapeva, se in quel momento si sentiva come del pattume da buttare.
A risvegliarla dai pensieri fu la spia della benzina che la fece accorgere di aver bruciato ben due tacche da quando era partita da casa di Jared.
Era in riserva e senza soldi al momento, quindi trovò necessario tornare a casa.
Quando vi giunse, rimase ancora un periodo di tempo indeterminato in macchina a fissare il vuoto.
Non era pronta ad entrare in casa e ad affrontare di nuovo tutto il dolore, ancora una volta, tutto da capo. L’anno prima ne era uscita devastata, aveva dovuto
cambiare gran parte di sé per riuscire ad uscirne, per essere nuovamente in grado di sopportare la sua vita.
Cosa avrebbe fatto questa volta? Come avrebbe superato e soprattutto in quanto tempo?
Dopo non seppe precisamente quanto,  si accorse che il cielo era diventato ormai nero e i denti avevano cominciato ad emettere un suono decisamente fastidioso, dato dal freddo.
I suoi si sarebbero preoccupati se non fosse rincasata per cena senza che li avesse avvisati, quindi con un profondo respiro, prese la decisione di rientrare.
Tanto sarebbe dovuto succedere prima o poi, no? 

Quella notte non chiuse occhio un istante e per tutto il tempo e tutto il giorno seguente pianse a dirotto, singhiozzando così forte da temere di farsi venire le convulsioni.
Continuava a pensare a quella scatola, che si era accurata di nascondere sotto al letto per averla fuori dalla vista, al modo sereno con cui Jared gliel’aveva data, come se si fosse trattata solo di una scatola.
C’era tutto lì dentro, Kimberly l’aveva constatato profondamente afflitta. C’era il loro passato insieme, i momenti del corteggiamento, quei momenti che le avevano strappato mille sospiri e mille sorrisi, i momenti in cui si erano dichiarati, le difficoltà, i gesti d’amore che si erano dimostrati.
Restituendogliela, lui stava in un certo senso rinnegando tutto. Le stava restituendo tutto, tutti i ricordi, come se fossero qualcosa che non valesse nemmeno la pena di conservare, e neanche lo volesse fare. Come se nulla fosse successo. Come a dire “è stato bello, ma puoi pure ripenderti tutto”.
Ormai aveva capito che le cose non si sarebbero mai sistemate, ma che addirittura lui si comportasse così crudelmente, non l’avrebbe mai sospettato.
Pianse con tutto il cuore, tentando di soffocare tutta la tristezza sui cuscini. Non era semplicemente triste, non era come le altre volte in cui avevano litigato e Jared era arrabbiato.
Si sentiva come in lutto. Si sentiva come se le avessero strappato e distrutto qualcosa, una parte importante di sé, un pezzo del puzzle che aveva gelosamente abbracciato per tutto quel tempo, in cui aveva riposto vagonate di speranza e sogni.
Nella sua visione, il professore ormai era diventato una parte fondamentale del suo futuro, quasi l’elemento cardine e dal momento che questo si era spontaneamente tirato indietro, cosa le rimaneva ora?
Stava assistendo al funerale della vita come se la era immaginata accanto a Jared, e quel feretro era una visione che non riusciva a tollerare.
L’aveva perso e ora doveva lasciarlo andare, ma era come se si sentisse completamente incapace.
Ci aveva creduto ciecamente, avrebbe dato qualsiasi cosa perché si avverasse e l’idea che fosse proprio lei la causa di quello sfacelo la faceva gemere ancora di più dal dolore.
Aveva pianto senza sosta, senza riprendere fiato, entrando spesso in un’apnea momentanea; fino a consumare pacchetti interi di fazzoletti, scorticarsi la pelle a forza di asciugarsi le lacrime e far perdere il sonno addirittura ai suoi genitori.
I due avevano capito che per un periodo la figlia era stata in una relazione, non erano proprio deficienti e il fatto che andasse così spesso a dormire da Gwen dopo un po’ era parso anche a loro eccessivo.
Ok che le due fossero legate, ma la storia non stava in piedi.
Da qualche tempo invece, la loro Kim era tornata ad essere uno spettro. Poco sonno, poco appetito, poche parole e in generale si faceva vedere di rado.
Lei sapeva che avrebbero capito, si sarebbero preoccupati e avrebbero fatto tantissime domande e quella relazione era stata un vero e proprio segreto fino a quel momento, non sarebbero riusciti a cavarle una parola neanche impegnandosi come matti.
Per quanto si sforzassero di starne fuori, Lilian e James non riuscivano a vederla ridursi in quello stato. Va bene che l’adolescenza portava i ragazzi a reagire in modo spropositato, ma questo era davvero troppo.
Avrebbero voluto aiutarla, ma sapevano che non ci fosse niente da fare.
La madre non chiuse occhio tutta notte, ascoltando i suoi singhiozzi sommessi, sperando che ognuno fosse l’ultimo. Chi poteva averla ferita tanto? Cosa poteva essere successo?
Erano così tante le domande che avrebbe voluto porle, ma conosceva Kimberly e sapeva quanto fosse gelosa della sua privacy.
Eppure Lilian avrebbe voluto far qualcosa.
Il giorno seguente però la ragazza non si sprecò neppure a nascondere il motivo per cui non sarebbe andata a scuola, a parte il volto devastato e stanco, non aveva ancora la forza di smetterla di versare lacrime su lacrime.
La madre non le porse domande, nonostante la voglia, e si limitò a farle una carezza prima di andare al lavoro. Si sforzò di non mostrarle quanto il vederla in quello stato la distruggesse, nascondendole gli occhi lucidi, ma inutilmente dato che Kim era talmente afflitta dal suo tormento da non accorgersene
minimamente.
Alla ragazza venne in mente solo per un secondo che probabilmente non avrebbe dovuto comportarsi così, che avrebbe dovuto sollevarsi dal letto e far vedere loro che avevano cresciuto una persona forte e indipendente, che non si lasciava abbattere dalle delusioni d’amore.
Cancellò sul nascere quel pensiero, non le fregava sinceramente un cazzo in quel momento di quello che potessero o non potessero pensare i suoi genitori.
Faceva già fatica a stare dietro a se stessa, non poteva che affrontare una questione alla volta. Se mai fosse sopravvissuta.
Per sua fortuna la stanchezza prese il sopravvento e a metà mattina si appisolò per diverse ore, permettendo ai suoi dotti lacrimali di ricaricarsi e al suo viso di distendersi. Quante rughe le sarebbero venute solo ed esclusivamente per quella notte?
Si svegliò dopo diverso tempo, quando qualcuno bussò alla porta della sua camera. Lilian entrò senza aspettare il permesso, trovando la figlia esattamente nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata la mattina. Senza dire una parola, le lasciò sul comodino dei biscotti e una vaschetta di gelato a due gusti, mentre sul letto poggiò un paio di film strappa lacrime.
Kimberly la guardò dispiaciuta. –Grazie, mamma.- mormorò con la voce impastata.
La donna le rivolse uno sguardo incoraggiante, per poi andarsene di nuovo.

 Il resto del pomeriggio la tiritera sembrò non voler finire. Aveva visto i film e si era riempita di quelle schifezze, andando a cibare la sua anima e per quello che poteva il suo umore, anche se non durò per troppo tempo.
Gwen l’aveva chiamata, immaginando che la sua assenza fosse dovuta a Leto, e la spronò a raccontarle cosa fosse successo.
-Mi ha cancellata, Gwen. Come nel film “Se mi lasci ti cancello”, hai presente? Ecco io sono Joseph e lui è Clementine. Mi ha cancellata esattamente con la stessa facilità con cui lei cambia colore di capelli.- si lagnò, soffiandosi il naso tra una frase e l’altra.
L’amica non sapeva proprio cosa dire, non poteva dire che il professore si fosse comportato bene, ma d’altra parte era una cosa abbastanza normale quando una relazione finiva.
-Io vorrei solo capire come sia stato così facile per lui!- continuò tra le lacrime.
-Non credo lo sia stato, Kim.. è solo che è un uomo, probabilmente nasconde bene le sue emozioni.-
-No, vuole semplicemente lasciarsi questa storia alle spalle il prima possibile. Sono solamente una virgola nella sua vita, entro un mese non si ricorderà neppure il mio nome.-
-Non dire fesserie.- si affrettò Gwen, sebbene sapesse che fosse del tutto inutile darle qualsiasi barlume di speranza che lei fosse ancora importante per il professore. Ormai lui aveva decisamente messo le cose in chiaro.
-Non mi ama più, Gwen. Non so nemmeno se mi abbia mai amata, ma so per certo che non mi ama già più.- Kimberly dal canto suo, era inconsolabile. –Perché per lui è stato così rapido? Io lo amo ancora così tanto, lui mi ha cambiata. Solo l’idea di togliermelo dalla testa mi fa preferire il suicidio, e lui invece? Mi ha
scardinata dalla sua vita.-
-Io non sarei così affrettata. Sarà pure arrabbiato, ma se fino a 3 settimane fa andavate d’amore e d’accordo non è umanamente possibile che il sentimento si sia già spento.-
-Forse non si è spento, ma lui sta facendo il possibile per far sì che succeda rapidamente. Non vede proprio l’ora, come quando non vedi l’ora di toglierti una terribile irritazione cutanea.- si soffiò nuovamente il naso.
-Kimberly, io non so sinceramente cosa dirti. Mi dispiace tantissimo, ma devi cercare di stare su e non abbatterti così.- del resto quando una relazione finiva, era questo che si faceva. Si faceva un bel sospirone e poi si ricominciava a camminare con le proprie gambe, ricordandosi com’era prima che quella persona fosse nella nostra vita.
La ragazza annuì silenziosamente. –Devi darmi qualche giorno.- l’amica aveva ragione, e si rendeva conto di essere fin troppo pesante, perciò si era sforzata di cambiare “’qualche mese” in quel “qualche giorno”.
Dopo un breve scambio di battute, Gwen le ricordò che si sarebbe dovuta mettere a studiare, dato che il giorno seguente le aspettava la verifica imminente. Per quanto Kim le avesse dato ragione e le avesse promesso di esserci, non uscì mai dal letto per finire il capitolo che aveva lasciato a metà.

 * * *

 Il professore entrò in aula. –Separate i banchi.- ordinò a gran voce di modo che tutti gli alunni potessero udirlo senza scusanti.
Infatti eseguirono con una sonora sbuffata. Era l’ultimo giorno di insegnamento di Leto, era davvero stupido pensare che potesse esserne dimenticato.
Quando la distribuzione dei banchi lo soddisfò, cominciò a far passare le schede tra i ragazzi.
-Avete mezz’ora.- disse, aspettando che tutti avessero il foglio per poi dare il via.
Gwen quando ricevette il suo, si apprestò a leggerne le domande. Strabuzzò gli occhi.
Lei non era mai stata una grande studentessa, studiare in generale non la faceva impazzire ed erano stati davvero rari i compiti in cui aveva eccelso.
E la gran parte si potevano accumulare tra le elementari e le medie.
Eppure, il compito che si trovava sotto il naso era di una semplicità sconvolgente. Notò anche come il professore fingesse di essere tutto concentrato nel leggere qualcosa, dando in questo modo agli sfaticati che non avevano avuto voglia di studiare, la possibilità di copiare.
La ragazza sorrise debolmente. Probabilmente era l’ultimo regalo che desiderava far loro.
Erano una trentina di quesiti a scelta multipla, posti in una maniera estremamente elementare. Sembrava strutturato in modo che anche chi non avesse neppure aperto libro, fosse in grado di azzeccare la risposta corretta.
Lei aveva studiato e per questo motivo, nel giro di un quarto d’ora, si ritrovò a posare la penna e a rimirare la verifica tra le mani, con un gran sorriso. Forse la migliore della sua carriera, osò pensare.
Soddisfatta, voltò lo sguardo su Kimberly, chiedendosi come se la stesse cavando l’amica.
Si accorse solo in quel momento che la ragazza a meno di un metro da lei, non aveva neppure toccato la verifica, forse non l’aveva manco letta, intenta a fissare fuori dalla finestra mentre si rigirava una biro tra le dita.
Non aveva lo sguardo triste: di tutta la depressione del giorno precedente non c’era la minima traccia. Sembrava semplicemente assorta, persa in un altro mondo fuori da quelle quattro mura.
A Gwen venne un colpo: non avrebbe permesso che si facesse bocciare in quella materia solamente perché aveva avuto dei problemi col professore.
La loro relazione non aveva mai influito sul rendimento di lei, era davvero una mossa stupida farlo succedere ora, quando si trattava del voto decisivo.
Si apprestò ad attirare la sua attenzione. –Kim!- sibilò. –Che cavolo stai facendo?-
La ragazza la guardò completamente rassegnata, facendo spallucce. –Non ho studiato.- giustificò tranquilla.
-E’ a prova di imbecilli questo compito!- prova ne era che stavano serenamente conversando a due passi dal prof.
Kimberly le rivolse uno sguardo completamente disinteressato. –Sono stanca.- e tornò a fissare fuori dalla finestra. Il clima si stava scaldando rapidamente, e se fino a qualche settimana prima la primavera sembrava non volerne sapere di venir fuori, ora l’estate sembrava avere fin troppa fretta di presentarsi.
Kimberly non vedeva l’ora. Sarebbe stata l’estate più lunga della sua vita e senza neppure il pensiero di avere dei compiti.
L’idea la rallegrava. Avrebbe passato tutte le altre materie, se anche una le fosse andata male, non sarebbe poi stata la fine del mondo.
A Jared non importava più un accidente di lei? Perfetto, per lei ora non esisteva più neppure un professor Leto.
Portandosi le mani nei capelli, Gwen puntò gli occhi sul professore, il quale sollevò lo sguardo su di lei dopo poco. Evidentemente si sentiva osservato.
Lei gli indicò con un cenno la sua compagna, e a vedere Kim bruciare così l’opportunità di ricevere un ottimo voto, in lui si aprì un varco di apprensione.
Fece cenno a Gwen di avvicinarsi, la quale eseguì. –Che cosa sta facendo?- le chiese.
La ragazza gli rivolse uno sguardo irritato. –La prossima volta magari provi ad essere più cauto.- chiosò, facendo riferimento a qualcosa che lui capì
immediatamente.
-Non ho fatto niente di male.- lo sguardo si indurì.
-Ne sono sicura, ma il messaggio che le è arrivato non è esattamente carino.- sapeva che non avrebbe dovuto, ma fu più forte di lei prodigarsi per difendere la sua amica. Sarebbe stata dalla sua parte nel bene e nel male, per quanto magari a volte si dimostrasse dura nei consigli.
-Le ho solo restituito le sue cose.- ribatté sottovoce.
-Professore, non deve giustificarsi con me. Solo che io penso che quando non si ama più una persona, va bene farglielo capire, ma illuderla così per spezzarle il cuore, mi sembra un’azione un po’ bassa.. perfino per un uomo.-
Leto sbatté più volte le palpebre. –E’ questo che ha capito?- doveva aspettarselo.
Le femmine erano più complesse e in un basico gesto ci vedevano una tragedia romantica, mentre per le menti semplici dei maschi, restituire una scatola significava solo ed esclusivamente restituire una scatola. Niente di più, niente di meno.
Sbuffò, appoggiandosi allo schienale, facendo poi segno a Gwen di tornare al suo posto.
Osservò il volto immobile di Kimberly per il resto del tempo concesso per la verifica, alla fine del quale chiese che gli fossero restituiti i fogli. 

-E ora cosa facciamo?- chiese un alunno sorridente per il compito che era sicuramente andato bene, ma rendendosi conto che mancava ancora una mezz’ora piena.
Il professore ricambiò il sorriso, estraendo da dietro la sedia la sua fida chitarra.
Tutti ne furono subito felici. Era tanto che mr Leto non suonava per loro.
Dal canto suo Jared, la sera prima aveva davvero fatto schifo al locale di Tomo e l’idea di ripetere l’opera non lo aggradava poi molto, ma voleva condividere un’ultima volta con i suoi alunni questa passione. Erano loro il suo pubblico più appassionato, e del resto, voleva cogliere l’occasione per suonare qualcosa a Kimberly.
Le avrebbe lasciato qualcosa di diverso, rispetto a quel codardo “non ti amo più” che si era portata a casa l’altro giorno.
I ragazzi richiesero a turno una canzone che potessero cantare tutti insieme, e sebbene non fossero le sue, l’uomo si divertì molto vedendo come stavano a tempo e si appassionavano a sentirlo.
Leggeva sui loro volti la gioia di quell’ultima condivisione, porgendogli tra una strimpellata e l’altra, alcune domande sul suo conto.
Cosa avrebbe fatto ora, se gli sarebbero mancati, se si potessero rivedere un giorno, se fosse tornato a trovarli… non era ancora uscito da quell’edificio e già sentiva un’incredibile nostalgia dei suoi alunni.
Kimberly nel frattempo era rimasta immobile ad osservare qualcosa fuori dal vetro. Non muoveva neppure un muscolo, neanche le palpebre, al punto da
apparire quasi finta.
Perciò, stanco di vederla così, desideroso di vedersi rivolgere almeno uno sguardo, fu il professore a scegliere l’ultima canzone. 

Ti ho deluso o abbandonato?
dovrei sentirmi in colpa o lasciare che
i giudici mi guardino male?
Perchè ho visto la fine prima che iniziassimo
sì, ho visto che tu eri cieca
ed io sapevo di aver vinto.
Quindi ho preso quel che era mio per diritto divino
Ho preso la tua anima durante la notte
potrebbe essere finita ma non finirà qui,
sono qui per te, se solo te ne importasse.

 
Le note invasero la stanza, mentre i ragazzi uno ad uno cominciarono a riconoscere di che canzone si trattasse.
Gwen, da come il professore guardava insistentemente in direzione dell’amica, capì che fosse appositamente dedicata a lei e si sentì sollevata nel notare che finalmente Kimberly non era più un ologramma, ma fosse finalmente resuscitata e improvvisamente si fosse fatta attenta.

 Hai toccato il mio cuore, hai toccato la mia anima
hai cambiato la mia vita e tutti i miei obiettivi
e l'amore è cieco e l'ho saputo quando
il mio cuore era accecato da te.
Ho baciato le tue labbra e tenuto la fronte
ho condiviso con te i tuoi sogni e il tuo letto
Ti conosco bene, conosco il tuo odore
Sono stato dipendente da te.

 Il sentimento con cui intonava quelle parole, fece presto comprendere a tutti di cosa si trattasse e improvvisamente i compagni cominciarono a sentirsi di troppo ma al contempo onorati di poter assistere ad una scena del genere.
Non era una bella canzone, spensierata e felice, ma era una canzone capace di toccare il cuore.
E quelle parole stavano toccando quello di Kim al punto che per lei fu improvvisamente impossibile nascondere cosa provasse e il suo viso d’un tratto, da quasi plastificato, mutò in una maschera di dolore.
Non sapeva bene dire da cosa potesse essere spinto Jared in quella follia, ma l’accettò e decise di seguire fino in fondo come sarebbe andata. 

Addio amore mio, addio amica mia
sei stata quella giusta, quella giusta per me

 Sentirgli pronunciare quelle parole, fece più male di quanto potesse mai aspettarsi.
Si sapeva, Jared non era un gran chiacchierone per certe cose, per questo motivo non si sarebbe mai immaginata di sentirle proprio dire dalla sua bocca.
Ma era lì, e per quanto tentasse di non starlo a sentire, le orecchie non potevano che tendersi alla sua voce e gli occhi non potevano che bramare di essere guardati dai suoi. 

Sono un sognatore ma quando mi sveglio,
non puoi spezzare il mio spirito
sono i miei sogni che prendi.
E ora che stai andando avanti, ricordati di me
ricordati di noi e di quello che eravamo.
 

Probabilmente aveva avuto ragione Gwen a dirle che se la era presa troppo. Quella scatola non significava necessariamente che non volesse più niente che la ricordasse nella sua vita, ma che desiderava solamente un po’ di spazio per poter andare avanti.
Per quanto fosse un messaggio un po’ più gestibile rispetto a quello con cui si era flagellata notte e giorno la ragazza, per lei costituì lo stesso una gigantesca pillola da ingoiare.
Lei non voleva lasciarlo andare, per quanto si sforzasse.

 Ti ho vista piangere, ti ho visto sorridere
ti ho guardata dormire per un po’
Sarei stato il padre dei tuoi figli,
avrei passato il resto della vita con te.
Conosco le tue paure e tu conosci le mie
abbiamo avuto i nostri dubbi
ma adesso stiamo bene,
e ti amo, giuro che è vero.
Non posso vivere senza di te.

 Perfino per Jared cantare quelle parole fu estremamente difficile. Se fosse stato in un’altra situazione si sarebbe messo a piangere come un bambino.
Lui l’amava sul serio, l’amava solo come un uomo che non era mai stato ferito poteva amare e sarebbe stato un sentimento davvero difficile da seppellire.
Le varie circostanze però gli avevano dimostrato che non sarebbero potuti stare insieme, che per quanto si fossero sforzati di avvicinarsi, le varie divergenze alla fine li avevano allontanati.
Lo stesso lui era grato per tutto ciò che gli aveva concesso, per quello che gli aveva permesso di vivere e ci teneva che lei lo sapesse.
Sempre che il messaggio ora arrivasse giusto. 

Addio amore mio, addio amica mia
sei stata l'unica, l'unica per me

 Ed io continuo a stringere la tua mano nella mia
nella mia quando mi addormento.
E sopporterò la mia anima nel tempo
mentre mi inginocchierò ai tuoi piedi
 

E quindi era un addio. Si sarebbe mai aspettata una conclusione del genere?
Avrebbe mai sospettato che la sua travagliata storia d’amore proibita terminasse così, con una serenata strappalacrime in piena lezione in orario scolastico?
Del resto, tutto era nato con una canzone e come conclusione sembrava davvero la più azzeccata.
Quando terminò la canzone, i compagni ci misero un po’ a riprendersi, per poi guardarsi intorno e accorgersi che quella nenia non aveva solo toccato i diretti interessati, ma fossero tutti reduci da una strofinata di occhi atta a bloccare le possibili lacrime.
Gwen stessa aveva occhi e naso che pizzicavano e ritardò il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto voltarsi verso Kimberly.
Quando accadde, la trovò nuovamente immobile a fissare il professore, questa volta. Per quanto si fosse impegnata a mantenere il viso inespressivo, delle lacrime silenziose avevano lasciato traccia sulle gote appena, appena bagnate.
Teneva gli occhi saldi su Jared, il quale ricambiava con tutto l’affetto che fosse in grado di lasciar trasparire.
E le stava arrivando tutto. Kim non riusciva più a sentirsi arrabbiata nei suoi confronti o delusa. Affranta e sgomenta sì, ma l’uomo era riuscito finalmente a dimostarle per l’ultima volta che aveva a disposizione la sua vera natura e tutto l’amore che aveva serbato per lei.
Non si sarebbe mai aspettata niente di simile e stentava a credere che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca.
Eppure era successo. La stava davvero lasciando con una canzone, le stava dicendo che l’amava ma che questo amore non era abbastanza per tenerli insieme.

Forse un giorno se ne sarebbe fatta una ragione.


Note finali: eh. Rileggendolo non mi soddisfa moltissimo e soprattutto la prima parte, immagino quanto sia tedioso e odioso per voi leggere di sta ragazza che si trafigge nel dolore.
Ognuno reagisce a modo suo, io ho voluto renderla più disperata possibile, perché credo che sia così che si reagisce quando una persona che ami, non ti corrisponde più. Almeno, sarò una piattola, ma io quando sto male sto davvero malissimo, quindi diciamo che è proprio il trauma che proverei io che volevo far uscire in questo testo.
Spero di non essere troppo esagerata o di non avervi annoiate troppo, ma posso dire che dovrebbe essere l'ultima volta che trovate una Kimberly così distrutta. O dei sentimenti così negativi. Non spoilero niente, semplicemente mi sono un pò rotta anche io di questa situazione xD
Non c'è una canzone di contorno, dato che il capitolo in sé è concentrato su una canzone, che è, se non l'avete ancora colta, Goodbye my lover di James Blunt, che ho direttamente tradotto (le inglesofile mi odieranno) perché volevo far arrivare direttamente il significato, e se non riesce a farlo la nostra lingua madre, non ci riesce nient'altro.
Perdonatemi questa scorciatoia x)
E' quindi un addio?
L'idea più recete che ho avuto era di farlo terminare così, con la triste morale che le cose anche belle, se non sono giuste per noi, dobbiamo essere in grado di capire quando devono essere lasciate andare. E' una lezione dura, ma deve essere imparata e lo sappiamo bene.
Un finale degno per una relazione tra teste e persone così diverse, no?
D'altra parte però questa FF è nata quando avevo 17 anni e l'idea originale non era di finirla così, quindi con il vostro permesso, io avrei ancora un paio di idee nella manica.

Spero di avere il vostro appoggio e vi auguro buona lettura.
Fatemi sapere come sempre, e scusatemi eventuali errori che mi sono sfuggiti, al momento sono un ciclope e si fa quel che si può ahaha.
xoxoxo

  
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