Capitolo
78.
Guidò per diverso
tempo, fece più volte la stessa strada, percorrendo paesini
lontani che però
conosceva, concentrata sulla guida più che sul pensare.
In un certo senso,
guidare la distraeva da tutta la tristezza che aveva dentro, un modo
come un
altro per non rivivere il momento appena trascorso, tanto brutto da
poter
rientrare nel primi posti della top ten dei momenti da dimenticare.
Non poteva crederci.
Non poteva semplicemente crederci, forse perché non se lo
sarebbe mai e poi mai
aspettato.
Teneva lo sguardo
fisso, il piede cambiava agevolmente pedale, misurando adeguatamente
l’intensità con cui premente. Metteva la freccia,
si fermava ai semafori,
prendeva le curve con un’agevolezza che solitamente tendeva a
trascurare per la
fretta.
La migliore guida da
quando aveva preso la patente.
Più volte arrivò al
bivio che le permetteva di imboccare l’autostrada, e se non
fosse stato il
pensiero costante di non avere abbastanza soldi con sé,
sarebbe fuggita senza
neppure guardarsi indietro.
Probabilmente sarebbe
poi tornata nel giro di qualche giorno, ma l’idea di evadere
da quel posto, di
allontanarsi per un po’ e cambiare aria, le sembrava
l’unica alternativa che
l’avrebbe fatta sopravvivere a tutto quel buio che si sarebbe
ben presto
impossessato di lei.
Perché sebbene ancora
non l’avesse assalita, sentiva che il dolore era in agguato,
pronto che lei si
distraesse per saltarle alla gola e dilaniarla fino a che non le si
fossero
prosciugate le lacrime.
Sapeva che non sarebbe
riuscita ed evitare di pensare e ripensare infinite volte a quello che
era
accaduto, che quella scatola l’avrebbe tormentata per diverso
tempo e non aveva
alcuna voglia di ridursi nuovamente una scorza senza vita.
Un cadavere capace solo
di piangere e limitarsi ad esistere.
Doveva essere lucida,
avrebbe avuto gli esami nel giro di breve e non riusciva ad immaginarsi
come li
avrebbe affrontati, come si sarebbe presentata davanti ai professori
dimostrandosi sicura di sé e di quello che sapeva, se in
quel momento si
sentiva come del pattume da buttare.
A risvegliarla dai
pensieri fu la spia della benzina che la fece accorgere di aver
bruciato ben
due tacche da quando era partita da casa di Jared.
Era in riserva e senza
soldi al momento, quindi trovò necessario tornare a casa.
Quando vi giunse,
rimase ancora un periodo di tempo indeterminato in macchina a fissare
il vuoto.
Non era pronta ad
entrare in casa e ad affrontare di nuovo tutto il dolore, ancora una
volta,
tutto da capo. L’anno prima ne era uscita devastata, aveva
dovuto
cambiare gran
parte di sé per riuscire ad uscirne, per essere nuovamente
in grado di
sopportare la sua vita.
Cosa avrebbe fatto
questa volta? Come avrebbe superato e soprattutto in quanto tempo?
Dopo non seppe
precisamente quanto, si
accorse che il
cielo era diventato ormai nero e i denti avevano cominciato ad emettere
un
suono decisamente fastidioso, dato dal freddo.
I suoi si sarebbero
preoccupati se non fosse rincasata per cena senza che li avesse
avvisati,
quindi con un profondo respiro, prese la decisione di rientrare.
Tanto sarebbe dovuto
succedere prima o poi, no?
Quella notte non chiuse
occhio un istante e per tutto il tempo e tutto il giorno seguente
pianse a
dirotto, singhiozzando così forte da temere di farsi venire
le convulsioni.
Continuava a pensare a
quella scatola, che si era accurata di nascondere sotto al letto per
averla
fuori dalla vista, al modo sereno con cui Jared gliel’aveva
data, come se si
fosse trattata solo di una scatola.
C’era tutto lì dentro,
Kimberly l’aveva constatato profondamente afflitta.
C’era il loro passato insieme,
i momenti del corteggiamento, quei momenti che le avevano strappato
mille sospiri
e mille sorrisi, i momenti in cui si erano dichiarati, le
difficoltà, i gesti
d’amore che si erano dimostrati.
Restituendogliela, lui
stava in un certo senso rinnegando tutto. Le stava restituendo tutto,
tutti i
ricordi, come se fossero qualcosa che non valesse nemmeno la pena di
conservare, e neanche lo volesse fare. Come se nulla fosse successo.
Come a
dire “è stato bello, ma puoi pure ripenderti
tutto”.
Ormai aveva capito che
le cose non si sarebbero mai sistemate, ma che addirittura lui si
comportasse
così crudelmente, non l’avrebbe mai sospettato.
Pianse con tutto il
cuore, tentando di soffocare tutta la tristezza sui cuscini. Non era
semplicemente triste, non era come le altre volte in cui avevano
litigato e
Jared era arrabbiato.
Si sentiva come in
lutto. Si sentiva come se le avessero strappato e distrutto qualcosa,
una parte
importante di sé, un pezzo del puzzle che aveva gelosamente
abbracciato per
tutto quel tempo, in cui aveva riposto vagonate di speranza e sogni.
Nella sua visione, il
professore ormai era diventato una parte fondamentale del suo futuro,
quasi
l’elemento cardine e dal momento che questo si era
spontaneamente tirato
indietro, cosa le rimaneva ora?
Stava assistendo al
funerale della vita come se la era immaginata accanto a Jared, e quel
feretro
era una visione che non riusciva a tollerare.
L’aveva perso e ora
doveva lasciarlo andare, ma era come se si sentisse completamente
incapace.
Ci aveva creduto
ciecamente, avrebbe dato qualsiasi cosa perché si avverasse
e l’idea che fosse
proprio lei la causa di quello sfacelo la faceva gemere ancora di
più dal
dolore.
Aveva pianto senza
sosta, senza riprendere fiato, entrando spesso in un’apnea
momentanea; fino a
consumare pacchetti interi di fazzoletti, scorticarsi la pelle a forza
di
asciugarsi le lacrime e far perdere il sonno addirittura ai suoi
genitori.
I due avevano capito
che per un periodo la figlia era stata in una relazione, non erano
proprio
deficienti e il fatto che andasse così spesso a dormire da
Gwen dopo un po’ era
parso anche a loro eccessivo.
Ok che le due fossero
legate, ma la storia non stava in piedi.
Da qualche tempo
invece, la loro Kim era tornata ad essere uno spettro. Poco sonno, poco
appetito,
poche parole e in generale si faceva vedere di rado.
Lei sapeva che
avrebbero capito, si sarebbero preoccupati e avrebbero fatto tantissime
domande
e quella relazione era stata un vero e proprio segreto fino a quel
momento, non
sarebbero riusciti a cavarle una parola neanche impegnandosi come matti.
Per quanto si
sforzassero di starne fuori, Lilian e James non riuscivano a vederla
ridursi in
quello stato. Va bene che l’adolescenza portava i ragazzi a
reagire in modo
spropositato, ma questo era davvero troppo.
Avrebbero voluto aiutarla,
ma sapevano che non ci fosse niente da fare.
La madre non chiuse
occhio tutta notte, ascoltando i suoi singhiozzi sommessi, sperando che
ognuno
fosse l’ultimo. Chi poteva averla ferita tanto? Cosa poteva
essere successo?
Erano così tante le
domande che avrebbe voluto porle, ma conosceva Kimberly e sapeva quanto
fosse
gelosa della sua privacy.
Eppure Lilian avrebbe
voluto far qualcosa.
Il giorno seguente però
la ragazza non si sprecò neppure a nascondere il motivo per
cui non sarebbe
andata a scuola, a parte il volto devastato e stanco, non aveva ancora
la forza
di smetterla di versare lacrime su lacrime.
La madre non le porse
domande, nonostante la voglia, e si limitò a farle una
carezza prima di andare
al lavoro. Si sforzò di non mostrarle quanto il vederla in
quello stato la
distruggesse, nascondendole gli occhi lucidi, ma inutilmente dato che
Kim era
talmente afflitta dal suo tormento da non accorgersene
minimamente.
Alla ragazza venne in
mente solo per un secondo che probabilmente non avrebbe dovuto
comportarsi
così, che avrebbe dovuto sollevarsi dal letto e far vedere
loro che avevano
cresciuto una persona forte e indipendente, che non si lasciava
abbattere dalle
delusioni d’amore.
Cancellò sul nascere
quel pensiero, non le fregava sinceramente un cazzo in quel momento di
quello
che potessero o non potessero pensare i suoi genitori.
Faceva già fatica a
stare dietro a se stessa, non poteva che affrontare una questione alla
volta.
Se mai fosse sopravvissuta.
Per sua fortuna la
stanchezza prese il sopravvento e a metà mattina si
appisolò per diverse ore,
permettendo ai suoi dotti lacrimali di ricaricarsi e al suo viso di
distendersi. Quante rughe le sarebbero venute solo ed esclusivamente
per quella
notte?
Si svegliò dopo diverso
tempo, quando qualcuno bussò alla porta della sua camera.
Lilian entrò senza
aspettare il permesso, trovando la figlia esattamente nella stessa
posizione in
cui l’aveva lasciata la mattina. Senza dire una parola, le
lasciò sul comodino
dei biscotti e una vaschetta di gelato a due gusti, mentre sul letto
poggiò un
paio di film strappa lacrime.
Kimberly la guardò
dispiaciuta. –Grazie, mamma.- mormorò con la voce
impastata.
La donna le rivolse uno
sguardo incoraggiante, per poi andarsene di nuovo.
Gwen l’aveva chiamata,
immaginando che la sua assenza fosse dovuta a Leto, e la
spronò a raccontarle
cosa fosse successo.
-Mi ha cancellata,
Gwen. Come nel film “Se mi lasci ti cancello”, hai
presente? Ecco io sono
Joseph e lui è Clementine. Mi ha cancellata esattamente con
la stessa facilità
con cui lei cambia colore di capelli.- si lagnò, soffiandosi
il naso tra una
frase e l’altra.
L’amica non sapeva
proprio cosa dire, non poteva dire che il professore si fosse
comportato bene,
ma d’altra parte era una cosa abbastanza normale quando una
relazione finiva.
-Io vorrei solo capire
come sia stato così facile per lui!- continuò tra
le lacrime.
-Non credo lo sia
stato, Kim.. è solo che è un uomo, probabilmente
nasconde bene le sue
emozioni.-
-No, vuole
semplicemente lasciarsi questa storia alle spalle il prima possibile.
Sono
solamente una virgola nella sua vita, entro un mese non si
ricorderà neppure il
mio nome.-
-Non dire fesserie.- si
affrettò Gwen, sebbene sapesse che fosse del tutto inutile
darle qualsiasi
barlume di speranza che lei fosse ancora importante per il professore.
Ormai
lui aveva decisamente messo le cose in chiaro.
-Non mi ama più, Gwen.
Non so nemmeno se mi abbia mai amata, ma so per certo che non mi ama
già più.-
Kimberly dal canto suo, era inconsolabile. –Perché
per lui è stato così rapido?
Io lo amo ancora così tanto, lui mi ha cambiata. Solo
l’idea di togliermelo
dalla testa mi fa preferire il suicidio, e lui invece? Mi ha
scardinata dalla
sua vita.-
-Io non sarei così
affrettata. Sarà pure arrabbiato, ma se fino a 3 settimane
fa andavate d’amore
e d’accordo non è umanamente possibile che il
sentimento si sia già spento.-
-Forse non si è spento,
ma lui sta facendo il possibile per far sì che succeda
rapidamente. Non vede
proprio l’ora, come quando non vedi l’ora di
toglierti una terribile
irritazione cutanea.- si soffiò nuovamente il naso.
-Kimberly, io non so
sinceramente cosa dirti. Mi dispiace tantissimo, ma devi cercare di
stare su e
non abbatterti così.- del resto quando una relazione finiva,
era questo che si
faceva. Si faceva un bel sospirone e poi si ricominciava a camminare
con le
proprie gambe, ricordandosi com’era prima che quella persona
fosse nella nostra
vita.
La ragazza annuì
silenziosamente. –Devi darmi qualche giorno.-
l’amica aveva ragione, e si
rendeva conto di essere fin troppo pesante, perciò si era
sforzata di cambiare
“’qualche mese” in quel
“qualche giorno”.
Dopo un breve scambio
di battute, Gwen le ricordò che si sarebbe dovuta mettere a
studiare, dato che
il giorno seguente le aspettava la verifica imminente. Per quanto Kim
le avesse
dato ragione e le avesse promesso di esserci, non uscì mai
dal letto per finire
il capitolo che aveva lasciato a metà.
Infatti eseguirono con
una sonora sbuffata. Era l’ultimo giorno di insegnamento di
Leto, era davvero
stupido pensare che potesse esserne dimenticato.
Quando la distribuzione
dei banchi lo soddisfò, cominciò a far passare le
schede tra i ragazzi.
-Avete mezz’ora.-
disse, aspettando che tutti avessero il foglio per poi dare il via.
Gwen quando ricevette
il suo, si apprestò a leggerne le domande.
Strabuzzò gli occhi.
Lei non era mai stata
una grande studentessa, studiare in generale non la faceva impazzire ed
erano
stati davvero rari i compiti in cui aveva eccelso.
E la gran parte si
potevano accumulare tra le elementari e le medie.
Eppure, il compito che
si trovava sotto il naso era di una semplicità sconvolgente.
Notò anche come il
professore fingesse di essere tutto concentrato nel leggere qualcosa,
dando in
questo modo agli sfaticati che non avevano avuto voglia di studiare, la
possibilità di copiare.
La ragazza sorrise
debolmente. Probabilmente era l’ultimo regalo che desiderava
far loro.
Erano una trentina di
quesiti a scelta multipla, posti in una maniera estremamente
elementare.
Sembrava strutturato in modo che anche chi non avesse neppure aperto
libro,
fosse in grado di azzeccare la risposta corretta.
Lei aveva studiato e
per questo motivo, nel giro di un quarto d’ora, si
ritrovò a posare la penna e
a rimirare la verifica tra le mani, con un gran sorriso. Forse la
migliore
della sua carriera, osò pensare.
Soddisfatta, voltò lo
sguardo su Kimberly, chiedendosi come se la stesse cavando
l’amica.
Si accorse solo in quel
momento che la ragazza a meno di un metro da lei, non aveva neppure
toccato la
verifica, forse non l’aveva manco letta, intenta a fissare
fuori dalla finestra
mentre si rigirava una biro tra le dita.
Non aveva lo sguardo
triste: di tutta la depressione del giorno precedente non
c’era la minima traccia.
Sembrava semplicemente assorta, persa in un altro mondo fuori da quelle
quattro
mura.
A Gwen venne un colpo:
non avrebbe permesso che si facesse bocciare in quella materia
solamente perché
aveva avuto dei problemi col professore.
La loro relazione non
aveva mai influito sul rendimento di lei, era davvero una mossa stupida
farlo
succedere ora, quando si trattava del voto decisivo.
Si apprestò ad attirare
la sua attenzione. –Kim!- sibilò. –Che
cavolo stai facendo?-
La ragazza la guardò
completamente rassegnata, facendo spallucce. –Non ho
studiato.- giustificò
tranquilla.
-E’ a prova di
imbecilli questo compito!- prova ne era che stavano serenamente
conversando a
due passi dal prof.
Kimberly le rivolse uno
sguardo completamente disinteressato. –Sono stanca.- e
tornò a fissare fuori
dalla finestra. Il clima si stava scaldando rapidamente, e se fino a
qualche
settimana prima la primavera sembrava non volerne sapere di venir
fuori, ora
l’estate sembrava avere fin troppa fretta di presentarsi.
Kimberly non vedeva
l’ora. Sarebbe stata l’estate più lunga
della sua vita e senza neppure il
pensiero di avere dei compiti.
L’idea la rallegrava.
Avrebbe passato tutte le altre materie, se anche una le fosse andata
male, non
sarebbe poi stata la fine del mondo.
A Jared non importava
più un accidente di lei? Perfetto, per lei ora non esisteva
più neppure un
professor Leto.
Portandosi le mani nei
capelli, Gwen puntò gli occhi sul professore, il quale
sollevò lo sguardo su di
lei dopo poco. Evidentemente si sentiva osservato.
Lei gli indicò con un
cenno la sua compagna, e a vedere Kim bruciare così
l’opportunità di ricevere
un ottimo voto, in lui si aprì un varco di apprensione.
Fece cenno a Gwen di
avvicinarsi, la quale eseguì. –Che cosa sta
facendo?- le chiese.
La ragazza gli rivolse
uno sguardo irritato. –La prossima volta magari provi ad
essere più cauto.-
chiosò, facendo riferimento a qualcosa che lui
capì
immediatamente.
-Non ho fatto niente di
male.- lo sguardo si indurì.
-Ne sono sicura, ma il
messaggio che le è arrivato non è esattamente
carino.- sapeva che non avrebbe
dovuto, ma fu più forte di lei prodigarsi per difendere la
sua amica. Sarebbe
stata dalla sua parte nel bene e nel male, per quanto magari a volte si
dimostrasse dura nei consigli.
-Le ho solo restituito
le sue cose.- ribatté sottovoce.
-Professore, non deve
giustificarsi con me. Solo che io penso che quando non si ama
più una persona,
va bene farglielo capire, ma illuderla così per spezzarle il
cuore, mi sembra
un’azione un po’ bassa.. perfino per un uomo.-
Leto sbatté più volte
le palpebre. –E’ questo che ha capito?- doveva
aspettarselo.
Le femmine erano più
complesse e in un basico gesto ci vedevano una tragedia romantica,
mentre per
le menti semplici dei maschi, restituire una scatola significava solo
ed
esclusivamente restituire una scatola. Niente di più, niente
di meno.
Sbuffò, appoggiandosi
allo schienale, facendo poi segno a Gwen di tornare al suo posto.
Osservò il volto
immobile di Kimberly per il resto del tempo concesso per la verifica,
alla fine
del quale chiese che gli fossero restituiti i fogli.
-E ora cosa facciamo?-
chiese un alunno sorridente per il compito che era sicuramente andato
bene, ma
rendendosi conto che mancava ancora una mezz’ora piena.
Il professore ricambiò
il sorriso, estraendo da dietro la sedia la sua fida chitarra.
Tutti ne furono subito
felici. Era tanto che mr Leto non suonava per loro.
Dal canto suo Jared, la
sera prima aveva davvero fatto schifo al locale di Tomo e
l’idea di ripetere
l’opera non lo aggradava poi molto, ma voleva condividere
un’ultima volta con i
suoi alunni questa passione. Erano loro il suo pubblico più
appassionato, e del
resto, voleva cogliere l’occasione per suonare qualcosa a
Kimberly.
Le avrebbe lasciato
qualcosa di diverso, rispetto a quel codardo “non ti amo
più” che si era
portata a casa l’altro giorno.
I ragazzi richiesero a
turno una canzone che potessero cantare tutti insieme, e sebbene non
fossero le
sue, l’uomo si divertì molto vedendo come stavano
a tempo e si appassionavano a
sentirlo.
Leggeva sui loro volti
la gioia di quell’ultima condivisione, porgendogli tra una
strimpellata e
l’altra, alcune domande sul suo conto.
Cosa avrebbe fatto ora,
se gli sarebbero mancati, se si potessero rivedere un giorno, se fosse
tornato
a trovarli… non era ancora uscito da
quell’edificio e già sentiva
un’incredibile nostalgia dei suoi alunni.
Kimberly nel frattempo
era rimasta immobile ad osservare qualcosa fuori dal vetro. Non muoveva
neppure
un muscolo, neanche le palpebre, al punto da
apparire quasi finta.
Perciò, stanco di
vederla così, desideroso di vedersi rivolgere almeno uno
sguardo, fu il
professore a scegliere l’ultima canzone.
Ti
ho deluso o abbandonato?
dovrei
sentirmi in colpa o lasciare che
i
giudici mi guardino male?
Perchè
ho visto la fine prima che iniziassimo
sì,
ho visto che tu eri cieca
ed
io sapevo di aver vinto.
Quindi
ho preso quel che era mio per diritto divino
Ho
preso la tua anima durante la notte
potrebbe
essere finita ma non finirà qui,
sono
qui per te, se solo te ne importasse.
Gwen, da come il
professore guardava insistentemente in direzione dell’amica,
capì che fosse
appositamente dedicata a lei e si sentì sollevata nel notare
che finalmente
Kimberly non era più un ologramma, ma fosse finalmente
resuscitata e
improvvisamente si fosse fatta attenta.
hai
cambiato la mia vita e tutti i miei obiettivi
e
l'amore è cieco e l'ho saputo quando
il
mio cuore era accecato da te.
Ho
baciato le tue labbra e tenuto la fronte
ho
condiviso con te i tuoi sogni e il tuo letto
Ti
conosco bene, conosco il tuo odore
Sono
stato dipendente da te.
Non era una bella
canzone, spensierata e felice, ma era una canzone capace di toccare il
cuore.
E quelle parole stavano
toccando quello di Kim al punto che per lei fu improvvisamente
impossibile
nascondere cosa provasse e il suo viso d’un tratto, da quasi
plastificato, mutò
in una maschera di dolore.
Non sapeva bene dire da
cosa potesse essere spinto Jared in quella follia, ma
l’accettò e decise di
seguire fino in fondo come sarebbe andata.
Addio
amore mio, addio amica mia
sei
stata quella giusta, quella giusta per me
Si sapeva, Jared non
era un gran chiacchierone per certe cose, per questo motivo non si
sarebbe mai
immaginata di sentirle proprio dire dalla sua bocca.
Ma era lì, e per quanto
tentasse di non starlo a sentire, le orecchie non potevano che tendersi
alla sua
voce e gli occhi non potevano che bramare di essere guardati dai suoi.
Sono
un sognatore ma quando mi sveglio,
non
puoi spezzare il mio spirito
sono
i miei sogni che prendi.
E
ora che stai andando avanti, ricordati di me
ricordati
di noi e di quello che eravamo.
Probabilmente aveva
avuto ragione Gwen a dirle che se la era presa troppo. Quella scatola
non
significava necessariamente che non volesse più niente che
la ricordasse nella
sua vita, ma che desiderava solamente un po’ di spazio per
poter andare avanti.
Per quanto fosse un
messaggio un po’ più gestibile rispetto a quello
con cui si era flagellata
notte e giorno la ragazza, per lei costituì lo stesso una
gigantesca pillola da
ingoiare.
Lei non voleva
lasciarlo andare, per quanto si sforzasse.
ti
ho guardata dormire per un po’
Sarei
stato il padre dei tuoi figli,
avrei
passato il resto della vita con te.
Conosco
le tue paure e tu conosci le mie
abbiamo
avuto i nostri dubbi
ma
adesso stiamo bene,
e
ti amo, giuro che è vero.
Non
posso vivere senza di te.
Lui l’amava sul serio,
l’amava solo come un uomo che non era mai stato ferito poteva
amare e sarebbe
stato un sentimento davvero difficile da seppellire.
Le varie circostanze
però gli avevano dimostrato che non sarebbero potuti stare
insieme, che per
quanto si fossero sforzati di avvicinarsi, le varie divergenze alla
fine li
avevano allontanati.
Lo stesso lui era grato
per tutto ciò che gli aveva concesso, per quello che gli
aveva permesso di
vivere e ci teneva che lei lo sapesse.
Sempre che il messaggio
ora arrivasse giusto.
Addio
amore mio, addio amica mia
sei
stata l'unica, l'unica per me
nella
mia quando mi addormento.
E
sopporterò la mia anima nel tempo
mentre
mi inginocchierò ai tuoi piedi
E quindi era un addio.
Si sarebbe mai aspettata una conclusione del genere?
Avrebbe mai sospettato
che la sua travagliata storia d’amore proibita terminasse
così, con una
serenata strappalacrime in piena lezione in orario scolastico?
Del resto, tutto era
nato con una canzone e come conclusione sembrava davvero la
più azzeccata.
Quando terminò la
canzone, i compagni ci misero un po’ a riprendersi, per poi
guardarsi intorno e
accorgersi che quella nenia non aveva solo toccato i diretti
interessati, ma
fossero tutti reduci da una strofinata di occhi atta a bloccare le
possibili
lacrime.
Gwen stessa aveva occhi
e naso che pizzicavano e ritardò il più possibile
il momento in cui avrebbe
dovuto voltarsi verso Kimberly.
Quando accadde, la
trovò nuovamente immobile a fissare il professore, questa
volta. Per quanto si
fosse impegnata a mantenere il viso inespressivo, delle lacrime
silenziose
avevano lasciato traccia sulle gote appena, appena bagnate.
Teneva gli occhi saldi
su Jared, il quale ricambiava con tutto l’affetto che fosse
in grado di lasciar
trasparire.
E le stava arrivando
tutto. Kim non riusciva più a sentirsi arrabbiata nei suoi
confronti o delusa.
Affranta e sgomenta sì, ma l’uomo era riuscito
finalmente a dimostarle per
l’ultima volta che aveva a disposizione la sua vera natura e
tutto l’amore che
aveva serbato per lei.
Non si sarebbe mai
aspettata niente di simile e stentava a credere che quelle parole
fossero
uscite dalla sua bocca.
Eppure era successo. La
stava davvero lasciando con una canzone, le stava dicendo che
l’amava ma che
questo amore non era abbastanza per tenerli insieme.
Forse un giorno se ne
sarebbe fatta una ragione.
Note finali: eh. Rileggendolo non mi soddisfa moltissimo e soprattutto la prima parte, immagino quanto sia tedioso e odioso per voi leggere di sta ragazza che si trafigge nel dolore.
Ognuno reagisce a modo suo, io ho voluto renderla più disperata possibile, perché credo che sia così che si reagisce quando una persona che ami, non ti corrisponde più. Almeno, sarò una piattola, ma io quando sto male sto davvero malissimo, quindi diciamo che è proprio il trauma che proverei io che volevo far uscire in questo testo.
Spero di non essere troppo esagerata o di non avervi annoiate troppo, ma posso dire che dovrebbe essere l'ultima volta che trovate una Kimberly così distrutta. O dei sentimenti così negativi. Non spoilero niente, semplicemente mi sono un pò rotta anche io di questa situazione xD
Non c'è una canzone di contorno, dato che il capitolo in sé è concentrato su una canzone, che è, se non l'avete ancora colta, Goodbye my lover di James Blunt, che ho direttamente tradotto (le inglesofile mi odieranno) perché volevo far arrivare direttamente il significato, e se non riesce a farlo la nostra lingua madre, non ci riesce nient'altro.
Perdonatemi questa scorciatoia x)
E' quindi un addio?
L'idea più recete che ho avuto era di farlo terminare così, con la triste morale che le cose anche belle, se non sono giuste per noi, dobbiamo essere in grado di capire quando devono essere lasciate andare. E' una lezione dura, ma deve essere imparata e lo sappiamo bene.
Un finale degno per una relazione tra teste e persone così diverse, no?
D'altra parte però questa FF è nata quando avevo 17 anni e l'idea originale non era di finirla così, quindi con il vostro permesso, io avrei ancora un paio di idee nella manica.
Spero di avere il vostro appoggio e vi auguro buona lettura.
Fatemi sapere come sempre, e scusatemi eventuali errori che mi sono sfuggiti, al momento sono un ciclope e si fa quel che si può ahaha.
xoxoxo