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Autore: Teddy_bear    15/02/2015    2 recensioni
Vi siete mai fermati a pensare a quanti avvenimenti, nel corso delle ore, dei giorni, succedono? Prendiamo la città di Londra, quante vicende accadono al suo interno? Vorrei provare a raccontarvi una storia.
Ma non è una semplice storia.
C'è un lui e c'è una lei. Un Aaron ed una Rain.
In questo racconto non saprete se è più malato lui, lei, o il loro rapporto.
E voi lo amereste mai... Un cannibale?
Genere: Dark, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=JrnDDpjIwkc



Terzo Capitolo}
 

«Amare significa distruggere,

ed essere amati significa essere distrutti.»

-Cassandra Clare

 

Il suono di qualcuno che bussa ad una porta svegliò, quella mattina, Aaron. Aprì infatti gli occhi, cercando di mettere a fuoco l'interno di camera sua, mentre mormorava un "avanti" disconesso e assonnato.

«Buongiorno, come ti senti?»

Bonnie era lì, in piedi, di fronte a lui, che gli chiedeva come stava. Non poteva crederci.

«Meglio, grazie. È stato solo un calo di pressione, te l'ho detto. Che ore sono?» domandò egli, alzandosi dal letto, cercando poi il suo cellulare per vedere l'ora.

«Sono le sette. Te la senti di venire a scuola, quindi?» chiese la rossa, a sua volta, mostrandosi stranamente gentile.

«Certo.» rispose Aaron, sforzandosi di sorriderle.

La ragazza, già pronta per dirigersi verso l'istituto scolastico, annuì. Mormorando poi un «ti aspetto.» cordiale. Il moro strabbuzzò gli occhi, disorientato da quella smielata, ed apparentemente falsa, gentilezza. Pensò che magari Bonnie si era sentita in colpa, per il suo atteggiamento dei giorni precedenti, e che ora ella voleva rimediare. Gli si strinse il cuore, ricordandosi che il giorno prima tutti si erano preoccupati per lui. I suoi parenti erano come estranei per lui, in fin dei conti. Non li conosceva alla perfezione, eppure loro sembravano conoscere molto di lui; soprattutto sua zia, che sembrava captare i sentimenti che si nascondevano all'interno di un ragazzo così complicato come egli. Sospirò, prendendo la sua divisa scolastica e la biancheria intima pulita, per poi dirigersi in bagno con l'intenzione di farsi una doccia veloce e ricostituente.

«Mi faccio una doccia.» dichiarò infatti, alla cugina, alzando di poco la voce, considerando che, la ragazza, si trovava in cucina.

«Tranquillo, c'è tempo.» disse ella, rassicurandolo sulla tempistica.

Così strisciò i piedi fino al bagno, chiudendo, successivamente, la porta di quest'ultimo. Aprì il getto dell'acqua calda, della doccia, e, dopo essersi spogliato, sprofondò quasi dentro di essa. Insaponò i capelli un po' lunghetti, e si portò il ciuffo ricaduto davanti agl'occhi all'indietro, mentre pensava a come sarebbe stato il suo primo giorno di scuola. Stavolta nessuno doveva sapere della sua malattia, nessuno doveva pensare alle apparenze. Dovevano scoprire chi era davvero Aaron Cabell, guardandolo con occhi normali; non con occhi colmi di pietà o, viceversa, disgusto. Lui voleva davvero potersi fidare di qualcuno, senza che questo lo pugnali alle spalle o che lo derida in modo crudele e cattivo. Poteva provarci e voleva riuscirci. Magari viveva meglio.

Finì di insaponarsi e si sciacquò, chiudendo poi il getto dell'acqua e lasciando le gocce, sul suo corpo, cadere sul piatto della doccia. Uscì lentamente, indossò l'accappatoio ed incomiciò a frizionarsi i capelli con un asciugamano preso dal mobiletto del bagno. Guardò lo specchio appannato di fronte a sè; sembrava che le persone lo vedessero così. In modo appannato, opaco, e offuscato. Lui era in bianco e nero, mentre il resto del mondo era a colori. Chi desidera osservare una persona grigia, se in tutte le altre ci sono le sfumature? Scacciò quest'ultimo pensiero, scuotendo eccessivamente il capo e, dopo essersi asciugato, indossò i vestiti presi in precedenza. Poi prese il phon, che trovò -dopo un po' di ricerca- nel cassetto in basso a destra, ed incominciò ad asciugare i suoi capelli ricci e scuri.

Andrà tutto bene, continuò a ripetersi nella sua testa.

Sbuffò, scompigliando la sua chioma di capelli asciutta. Era pronto. O, almeno, provava ad esserlo. Mise ogni cosa al proprio posto ed uscì dal bagno, dirigendosi in cucina, dove Bonnie era intenta a giocherellare con il cellulare.

«Io odio il mio ragazzo.» ammise improvvisamente la ragazza, mentre Aaron cercava una tazza per la sua colazione.

«Perché?» domandò sorpreso, l'altro, mentre nella tazza versava un po' di latte e, successivamente, i cereali.

«Perché stamattina doveva venire a prendermi per portarmi a scuola ma, ovviamente, il signorino si è svegliato tardi.» rispose con una punta d'ironia, Bonnie.

«Non te la prendere, capita.» la rassicurò.

«Siete dei cretini voi maschi. Dei grandissimi deficenti.» sbuffò la rossa, martoriando il piercing sul lato superiore destro, della bocca.

«Sei tu che sei troppo nervosa.» le disse, beccandosi un'occhiataccia.

«Ricordami perchè ho iniziato ad esser gentile con te.» ribattè lei, assottigliando gli occhi azzurri.

«Sinceramente non lo so neanche io ma, se vuoi, puoi anche smettere. Vivo lo stesso, anche senza la tua gentilezza.» proferì Aaron, mimando le virgolette, con le dita, alla parola "gentilezza".

«Sì, credo che la smetterò. Considerati fortunato però, perchè ho smesso di volerti uccidere.» gli disse sarcasticamente.

«Grazie, è molto nobile da parte tua.» rispose anch'egli sarcasticamente, finendo la sua colazione.

«Se hai bisogno, io ci sono. Nonostante tu sia un idiota, senz'offesa, sei anche mio cugino. Ed è giusto che ti sfoghi, qualche volta.» bofonchiò Bonnie, roteando gli occhi.

«Non preoccuparti, me la cavo sempre da solo, ma grazie lo stesso.» ridacchiò il moro, dirigendosi verso il bagno per lavarsi il denti, lasciando l'altra stupita e confusa.

Si portò una mano ai capelli, Aaron, mentre sentiva l'ansia marciare all'interno del suo petto, creando una sensazione paragonabile a quella dell'affondare sott'acqua. Affondare nei problemi e, piuttosto che sfogarsi, affogare dentro di essi. Sputò il dentifricio nel lavandino, e si sciacquò la bocca con il collutorio.

Ce la farai, coraggio. Pensò.

Attraversò il corridoio, prese lo zaino accanto al divano del salotto ed, infine, fece un cenno del capo alla cugina, come per dire "andiamo" o "sono pronto".

«La scuola è abbastanza vicina a casa, di questo non devi preoccuparti.» sentenziò Bonnie, mentre uscivano da casa.

«Ti presenterò il mio ragazzo: lui vive più lontano da questo quartiere, ma ha la macchina, ed arriva in orario, se si alza puntualmente, 'sto cretino.» aggiunse poi, in maniera disprezzante, ricordandosi dell'accaduto di poco prima «Si chiama Luke e stiamo insieme da dieci mesi. È una testa di cazzo, ma lo amo a modo mio.» concluse, con un sorriso vittorioso.

«Sei così sensibile, Bon.» disse Aaron, ridacchiando per l'eccessiva spontaneità della ragazza che camminava al suo fianco.

«Dico quello che penso, sempre. Non m'importa di apparire fredda, stronza, o acida.» ribattè la rossa, sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla.

«Buon per te.» proferì lui, annuendo con il capo.

«Le altre conoscenze dovrai farle da solo, capito? Io non voglio rovinarmi la fama, o la reputazione, per te.» gli disse, gelida.

«La tua bontà colma il mio cuore di gioia, cuginetta. Non preoccuparti, te l'ho detto, mi arrangerò da solo.» si morse l'interno della guancia, a quel pensiero.

Sei solo anche sta volta, Aaron. Si disse.

Fai schifo. Pensò.

Non meriti nulla. Urlò dentro di sè.

«Eccoci qui, arrivati.» affermò la ragazza, guardando l'edificio di fronte a loro.

«È davvero vicina.» confermò egli, riferendosi alle parole precedenti di Bonnie.

«Già.»

Entrarono dal cancello principale, notando subito diversi gruppetti di studenti parlottare tra di loro. Era un caos completo, ma per Aaron quello era già silenzio. Nessuno che lo indicava, o che lo guardava male. Era quasi... Pacifica, la sensazione.

«Ciao, tesoro.»

Un ragazzo alto, più o meno, come Aaron, con i capelli biondi e lisci, e due occhi tra

l'azzurro ed il verde, stava osservando Bonnie in modo poco equivocabile, attendendo una risposta -o forse un bacio?- da parte della ragazza.

«Sei solo uno stronzo, e non attacca quel "ciao tesoro".» sbuffò lei, offesa, facendo sentire il cugino di troppo.

«Mi sono svegliato tardi, perdonami, amore. Lo sai che ti amo, no?» parlottò Luke, prendendo Bonnie per le spalle fino a farla sprofondare tra le sue braccia. E «buongiorno.» poi, le disse, baciandole la fronte.

«Gn.» biascicò ella, contro il tessuto del maglione del suo moroso.

«Lo prenderò per un "ti amo anch'io".» ridacchiò il biondo, stringendola ancora più forte.

Era una scena disgustosa, agli occhi di Aaron. O, meglio, più che disgustosa, era raccapricciante. Nulla è più inutile, stupido e doloroso dell'amore. Le persone sono così masochiste da volerlo provare ogni giorno, senza pensare alle conseguenze. Quindi, egli, sentendosi il cosiddetto "terzo incomodo", si schiarì la gola, procurando un suono lieve, ma udibile, che fece staccare la coppietta.

«Luke, lui è Aaron, mio cugino. È arrivato da Londra, ed è un idiota.» lo presentò Bonnie, facendo assottigliare gli occhi al moro, che la incenerì con lo sguardo.

«Aaron, lui è Luke, il mio ragazzo e bla bla bla.» concluse le presentazioni frettolosamente, la ragazza.

«Non farci caso, lei è sempre così, ma tu dovresti saperlo meglio di me, dato che sei suo cugino. Piacere di conoscerti.» ridacchiò l'altro, porgendogli la mano.

«Piacere mio.» gli sorrise, Aaron, stringendogliela.

Egli si era quasi dimenticato di come fosse ricevere un po' di cordialità, considerando che nessuno era gentile con lui da un paio d'anni, da quando aveva ammesso apertamente di soffrire di antropofagia.

«Che anno frequenterai?» gli domandò poi, Luke.

«Il quinto. Sono all'ultimo anno.» rispose il moro.

«Bene, amico, anch'io! Magari staremo negli stessi corsi.» ridacchiò l'altro.

«A proposito di corsi, Aaron, devi andare a prendere il tuo orario in segreteria.» disse Bonnie, sistemandosi la frangia dei suoi capelli rosso tiziano.

«Hai ragione.» concordò il ragazzo in questione «Ma non so dove si trovi la segreteria.» ammise poi, ridacchiando in imbarazzo.

«Vieni, ti accompagno.» s'offrì Luke, educatamente.

«Bravi, io vado a salutare le mie amiche.» Bonnie salutò il suo ragazzo ed Aaron, dirigendosi poi verso una piccola cerchia formata da tre ragazze.

«Probabilmente, se sapesse quello che sto per chiederti, mia cugina mi ucciderebbe, ma... Come fai a sopportarla?» chiese il riccio, ridendo leggermente.

«Non la sopporto infatti, la amo. Ha un carattere particolare, è vero, ma è questo che la rende differente dalle altre. E, se tornassi indietro, tra tutte sceglierei sempre lei.» ammise Luke, sorridendo, camminando a fianco di Aaron nel lungo corridoio scolastico che, dall'ingresso, dava alle aule.

«È una cosa profonda.» sorrise Aaron, sforzandosi.

Le parole di Luke potevano esser vere, oneste e commoventi, ma ad Aaron non toccarono. Era come se avesse un gigantesco cubo di ghiaccio a ricoprire il cuore, e non importava quanto forte esso batteva, quel involucro freddo ed insensibile era indistruttibile. O, almeno, così sembrava. A volte ciò che sembra, o pare, può esser diverso da come è in realtà.

«E tu?» domandò il biondino «Hai la ragazza?».

«No, e non è una cosa che m'interessa.» gli rispose in modo secco, l'altro.

«Uh, paura d'amare?» chiese Luke, mentre si stavano avvicinando alla segreteria.

«No. Credo sia più la paura d'esser amato.» ammise, sinceramente.

Luke annuì, non andando oltre con le domande inopportune che, di certo, avevano infastidito il ragazzo accanto a lui.

«Eccoci qui.» quindi disse, una volta di fronte alla segretaria.

Quest'ultima guardò dai suoi occhiali i due ragazzi, aggrottando le sopracciglia una volta raggiunto, con lo sguardo, il volto nuovo di Aaron. Schioccò la lingua al palato, poi prese a parlare.

«Cosa posso fare per voi, giovanotti?» chiese.

«Emh... Sono Aaron Cabell e...»

«Ma certo! Tu sei quello nuovo, il nipote di Elizabeth Tate. Beh, dimmi, ricciolino.» disse la donna, sistemandosi meglio sulla sedia, accavallando le gambe.

Aaron spalancò gli occhi, guardando quella signora che avrà avuto cinquanta, cinquantacinque, anni. Si domandò se era solita avere questo atteggiamento imbarazzante con tutti gli studenti, poi si rispose di lasciar stare perchè, davvero, quella donna era persino l'anti-cannibalismo, dato il conato di vomito, che provò, alla parola "ricciolino".

«Beh, avrei bisogno del mio orario scolastico.» sentenziò il moro, cercando di trattenere la voglia di scappare.

«E del numero del tuo armadietto, Aaron!» s'illuminò il ragazzo di Bonnie, schioccando le dita.

«Giusto! Anche il numero del mio armadietto.» si affrettò a dire, quindi, alla segretaria.

La cinquantenne, dai capelli corvini, annuì, leccando lievemente la punta del dito indice, per poi sfogliare un raccoglitore, contenente numeriosi fogli all'interno.

«Okay: questo è il tuo orario.» gli disse, mentre gli passava un foglio con sopra raffigurate delle tabelle. «E, questo, è il numero e la combinazione del tuo armadietto. Non perdere nulla.» aggiunse, passandogli un altro foglio, sorridendogli.

«Grazie, signora.» la ringraziò Aaron, affettandosi a prendere il tutto.

«Figurati.» proferì la donna.

«Arrivederci.» la salutò poi Luke, sbrigandosi ad andarsene insieme ad Aaron.

Mancavano quindici minuti al suono della campanella, ed ognuno poi sarebbe andato ai rispettivi corsi, a seguire le lezioni.

«Propongo una raccolta di firme per cacciare la segretaria pedofila.» rise Luke, mentre accompagnava Aaron al suo primo corso.

«Io sostengo la tua iniziativa.» ridacchiò anche Aaron, notando come sembrava facile scambiare qualche parola con il prossimo.

Poi notò qualcosa, infondo al corridoio. Ed il mondo si fermò.

Una ragazza parlottava tranquillamente con Bonnie. Ma no, non era una ragazza.

Era quella ragazza. Quella che sognava da qualche notte, quella della quale si era nutrito, assaporandone le clavicole, o il collo.

Le sue pupille si dilatarono eccessivamente, mentre il suo corpo era bloccato, rendendolo immobile. Presto il respiro si affannò, e dei pensieri sadici e carnefici fecero largo nella sua mente, uccidendo tutti i buoni presupposti che si era fatto prima di arrivare lì, in quel liceo.

Quasi non lo sentì il «Tutto bene?» di Luke, mentre chiudeva gli occhi cercando di calmarsi. Morse l'interno della sua guancia sinistra, contenendo i suoi istinti bramosi di sfamarsi. Quando il suo respiro si regolarizzò, riaprì gli occhi: la ragazza non c'era più, e Bonnie si stava avviando verso di loro.

Egli sentì come un peso opprimente sul petto che, piano piano, andava a rimpicciolirsi.

Si sentiva più tranquillo, aveva saputo controllarsi, alla fine.

«Aaron, che ti è successo?» domandò il biondo, guardando il diretto interessato in maniera confusa.

«Una sorta di attacco di panico, mi capita qualche volta.» mentì l'altro, improvvisando.

«Oh sì, Aaron ne soffre.» annuì Bonnie, reggendogli il gioco.

«Stai meglio, adesso?» chiese poi, Luke, ignaro.

«Sì, grazie, ho imparato a gestirli.» rispose il moro, sorridendo debolmente.

L'altro annuì, dandogli poi una pacca d'incoraggiamento sulla spalla, dirigendosi verso il suo corso di francese, subito dopo aver detto, al cugino della sua ragazza, dove fosse l'aula in cui doveva dirigersi per seguire la lezione.

«Grazie.» disse Aaron, al biondo, per poi voltarsi verso la cugina, che lo guardava con un'espressione scettica.

«Non saluti il tuo ragazzo?» le domandò.

«Attacchi di panico? Ma non mi dire.» ridacchiò ironicamente la ragazza, ignorando il quesito di lui.

«È stata la prima cosa che mi è venuta in mente, Bo.» si difese questo.

«L'avevo intuito, ma non sei abile a mentire. Allora... Che cosa t'è preso?» chiese lei.

«La ragazza che parlava con te, la sogno da qualche notte.» rispose Aaron.

«Che cosa romantica.» roteò gli occhi, ella, incrociando le braccia.

«Non in quel senso. Sogno di...» sospirò, abbassando la voce «Sogno di farle del male.» poi concluse, deglutendo.

Bonnie spalancò gli occhi, sbattendoli, successivamente, per più volte, mentre il cervello elaborava la notizia.

«Che cosa?!» quasi gridò, una volta essersi resa conto della situazione.

«Shh, fa' silenzio. Non voglio che nessuno sappia chi sono, per favore.» mormorò, sentendosi indifeso.

«Okay, okay. Scusami. È solo che... Non posso crederci! Ma sei sicuro che sia lei? Nei sogni è tutto confuso...» gli spiegò, seppur disordinatamente, la cugina.

«Lo so e su questo hai ragione, ma ho fatto un disegno, appena sveglio. Ed è lei, ne sono certo.» le disse.

«Ti conviene starle lontano, allora.» sospirò Bonnie.

«Credo sia la cosa migliore.» acconsentì Aaron, guardando poi l'ora sul suo cellulare.

«Vado in classe, a dopo, Bo.» aggiunse poi, salutando la rossa.

«Cerca di non cacciarti in nessun guaio, riccio.»

«Lo farò.» la rassicurò «E grazie.» le sorrise, ottenendo un mugugno come risposta.

Fece un respiro profondo, avviandosi nell'aula dove si teneva il corso di letteratura inglese. Attraversò il corridoio, guardando il numero sopra le porte, cercando il duecentododici.

«Senz'altro, ciao Charlotte.»

Oh no, pensò Aaron.

La "famosa" ragazza stava uscendo dalla porta della sua classe, salutando quella che si presuppone fosse una sua amica. Passò accanto ad Aaron, senza dar peso ad egli, lasciando una scia di profumo alla vaniglia che inebriò i sensi di quest'ultimo.

Quel profumo... Il moro si sentì in uno stato di confusione, mentre si leccò le labbra.

Accadde di colpo, poi, la scoperta del nome di lei.

«Rain, cavolo, le tue cuffie!» disse la biondina con cui stava parlando, poco prima, la persona interpellata, questa si catapultò ancora una volta in quell'aula, passando nuovamente accanto ad Aaron, lasciando così che il suo profumo gli facesse uno strano eco nel suo senso olfattivo.

«Grazie, Lottie.» ridacchiò, per poi uscire dall'aula, ma notando il moro, sulla soglia della porta, per la prima volta.

Aaron guardò gli occhi di lei, scorgendovici dentro ogni suo desiderio proibito.

Rain lesse gli occhi di lui, come se fossero l'ultimo libro della sua collana preferita. Ma, di primo impatto, in questo libro, ella non ci trovò niente, se non il vuoto.

Aaron era esattamente un libro dalle pagine bianche, doveva solo trovare qualcuno che

prendeva una biro, anche se scarica o con poco inchiostro all'interno, e che scriveva. E che gli scriveva.

Scosse leggermente la testa, quindi, la ragazza. Lo sorpassò, procedendo nel corridoio fino a sparire dalla sua vista.

D'altro canto, Aaron, strinse gli occhi, riprendendo a respirare. Una volta calmo, entrò in classe, e prese posto vicino ad un ragazzo, che sedeva al terzo banco.

«Ciao, è libero questo posto?» chiese soltanto.

«Certo, amico, siediti pure.» annuì l'altro, sorridendogli cordialmente.

Aaron ridacchiò per il tono molto confidenziale del tizio accanto a lui, poi posò lo zaino accanto alla sedia ed i libri sul banco.

«Sono Thomas, comunque.» fece un cenno del capo, il ragazzo dai capelli neri corvini, al moro.

«Aaron.» proferì questo, sistemandosi meglio sulla sedia.

«Sei nuovo, giusto?» domandò, poi, il compagno.

«Già.» si sforzò di sorridere il ragazzo, mentre giocherellava con la manica, della felpa, della sua divisa scolastica.

«Qui siamo tutti abbastanza accoglienti, non preoccuparti.» lo rassicurò Thomas.

«Sono il cugino di Bonnie Tate, non so se la conosci...» sentenziò, sistemandosi il ciuffo riccio ricaduto sugl'occhi.

«La ragazza di Luke Mason?» chiese, a sua volta, l'altro.

«Sì, lei.» annuì Aaron, sorridendo.

«La conosco, allora.» sorrise, a sua volta, l'amico.

Il moro annuì, in risposta, mentre il professore di lettaratura inglese entrava in aula, leggermente in ritardo. Era un uomo sulla sessantina, basso e paffuto; sembrava buono, un pezzo di pane, per così dire. Quest'ultimo si scusò per la dilazione, biascicando qualche parola, poi proferì, con un sorriso grande a far largo sulle sue guance.

«Da oggi abbiamo un nuovo studente.»

Oh no, pensò Aaron.

«Signor Cabell, prego, si alzi.» l'uomo sorrise al giovane, muovendo la mano, in un gesto cordiale.

Questo si alzò, quindi, dal proprio posto, imprecando mentalmente.

«Io sono il professor Clint Fisher; insegno letteratura, storia e filosofia. Spero che lei si trovi bene con il mio metodo d'insegnamento.» spiegò l'insegnante, gentilmente.

Aaron acconsentì con un cenno del capo, sperando che quella tortura finisse presto.

«Ora, se desidera, ci parli di lei, Cabell.» disse l'uomo.

Il moro rimase spiazzato, mentre girava lo sguardo verso Thomas, quasi in cerca d'aiuto, quest'ultimo alzò le spalle, facendogli, con un cenno del capo, un segno d'incoraggiamento.

Sono Aaron Cabell, un diciottenne qualunque, che nasconde un segreto.

No, questa decisamente no, si disse.

Sono un cannibale che deve star attento ai suoi istinti.

Per l'amor del cielo, no, pensò.

Faccio schifo a me stesso ed agli altri, perchè soffro di antropofagia.

Smettila, Aaron, sentenziò dentro di sè.

«A dire il vero non c'è molto da dire su di me. Sono Aaron, ho diciotto anni, e mi sono trasferito a Dublino da poco. Spero di trovarmi bene qui.» egli fece la scelta più giusta, utilizzando una presentazione normale, e che non avrebbe dato sospetti a nessuno.

Il professore, infatti, annuì, ringraziando Aaron, e dicendogli che poteva tornare a sedersi. Il ragazzo fece un sospiro di sollievo, trovando improvvisamente interessante il suo banco. Lo imbarazzavano, queste situazioni. Si sentiva a disagio e desiderava sempre che finissero presto. Forse perchè odiava mentire, e fingere di esser qualcuno che in realtà non era... Ma, questa volta, doveva e voleva rischiare.

Si guardò intorno, osservando le persone in quell'aula e cercando di capire quali sarebbero stati i suoi pensieri su di esse.

Non si può scappare da ciò che si è, alla fine.

Provò una pace interiore, così meravigliosa che non sembrava vera, quando la sua mente era rimasta in silenzio, guardando i suoi coetanei. Beh, era stata zitta osservando le persone in quell'aula, ma non era stata capace di tacere quando Aaron osservò quella ragazza: Rachel, forse... O Rose. Poi, ebbe un flash, del tutto imprevisto ed automatico.

«Rain, cavolo, le tue cuffie!»

Rain, ecco il suo vero nome. Ripercorse con la mente il suo sogno, mentre si ricordava di averle morso le clavicole, ed una spalla. La sensazione paradisiaca che provò lì, in quel momento del tutto irreale, ma così reale nell'istante che sembrava vissuto, sarebbe stata la stessa anche al di fuori dei sogni?

Forse la scelta più giusta sarebbe stata non rimurginarci troppo, lasciar correre ed evitare ogni idea sadica formatasi nella sua mente. Dall'altra parte avrebbe voluto seguire il suo sensore bramoso di quel corpo che pareva delizioso solo al profumo.

O si sacrificava lui.

O, quella sacrificata, sarebbe stata lei.

Si scompigliò i capelli con fare nervoso, mentre l'ora passò veloce e scorrevole. Non era troppo pesante, e non era eccessivamente noiosa. Erano i suoi pensieri ad esserlo. Essi gli davano noia, ed erano troppo difficili da sorreggere. Per questo motivo, quando suonò la campanella, salutò frettolosamente Thomas e si fiondò fuori dalla classe.

La sua testa cominciò a girare, mentre sentiva la voglia di scappare, di evadere, da tutto ciò che intanto girava nel suo mondo. Le vene pulsarono, mentre chiudeva gli occhi e cercava di rimettersi in sesto. Solo quando sentì il suo cuore mancare alcuni battiti, capì che stava peggiorando, e che la situazione non era più sotto il suo controllo.

«Merda.» sussurrò, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare.

Io non voglio il sapore del mio sangue.

Parlò una voce, dentro di sè.

Io voglio il sapore del sangue di qualcun altro.

Aprì gli occhi di scatto, spaventandosi di quello che stava diventando. Si allontanò dalle persone che camminavano nel corridoio, le quali erano dirette ai loro corsi. Aaron vagava in quell'edificio ed, al tempo stesso, vagava dentro di sè. Doveva trovare qualcosa per calmarsi, per frenare il tutto. Si appoggiò al muro, accanto ad una finestra, dato che sentiva che sarebbe caduto da un momento all'altro. La sua espressione era pallida, i suoi occhi erano vuoti e smarriti.

E la persona che, ad un certo punto, trovò davanti a lui, guardandolo cercando così di cogliere la sua anima tormentata, non lo aiutò di certo.

«Stai bene?» chiese quella ragazza.

Calmati, Aaron.

Si disse.

Non ora, non perdere il tuo autocontrollo.

Si ripetè.

«Sì.» le rispose con un filo di voce, distogliendo lo sguardo da quel volto.

«Il mio nome è Rain.» parlò, cordialmente, ella «Hai bisogno?» domandò poi.

Egli scosse la testa, allontanandosi subito, lasciando Rain in mezzo al corridoio, perplessa.

Si precipitò in bagno, il moro. Si lavò il volto, togliendosi quella maschera che si era costretto ad indossare, mentre parlava con quella ragazza.

Perchè non poteva esser libero di esser quello che era? Egli se lo chiedeva sempre.

Il punto è che prima di esser liberi di esser se stessi, bisogna capire ciò che davvero si è.

Ed egli, presto, si sarebbe accorto di chi era non in solitaria.

Angolo autrice:
scusate il ritardooooooo D: sono un disastro, lo so. Ma, avendo poche recensioni, mi è anche passata un po' la voglia di aggiornare.
Insomma, cosa ne pensate? Vi piace? Non vi piace? Ditemi se ne vale la pena, ecco c: ne sarei onoratissima!
Intanto, ecco qui la "lei" della storia: Rain. Cosa accadrà? :).
Onoratemi della vostra opinione, per me è importantissima!
Ora vado, buon proseguimento, bellissime! E grazie sempre, DI TUTTO.
Bacioni grandi x.

   
 
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