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Autore: MissBethCriss    15/02/2015    0 recensioni
--- TRATTO DAL CAPITOLO ---
Molti dicono che vi è un ordine superiore a noi, che regola il circolo della vita. Io penso che arriviamo alla fine del nostro calcolo, non abbiamo più incognite da ricavare, problemi da risolvere.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“P ZQAE TQR”
-

I Love You.

 

“L'uomo padrone di sé pone fine a un dolore
con la stessa facilità con la quale improvvisa una gioia.”

- Oscar Wilde.
 
 
Wilmslow, 7 giugno 1954
 
Buon pomeriggio, mio carissimo amico — incominciò Sebastian, la cornetta era già contro le sue orecchie dopo il terzo squillo. Si avvicinò lento alla poltrona del soggiorno per poi lasciarvisi cadere a peso morto; le gambe già da tempo non lo reggevano più come erano solite fare. Era un quarantunenne intrappolato in un corpo segnato da anni che non aveva ancora vissuto.

N’è passato di tempo, non trovi? — continuò lui, quando l’altro gli rispose un’ombra di un sorriso si animò sul suo viso.

Ma sentiti, incomincio a percepire anche in te l’avanzare dell’età, la voce ormai non è più brillante come una volta, ma non è questo che sento ciò che chiamano vecchiaia? Piccole scheggiature che intaccano la propria armonia; non sei nemmeno più tu quello di una volta, mio vecchio Peter Pan.

Sebastian rise sentendo nelle orecchie l’eco della risata dell’altro, il suo sorriso divenne più grande, amava quella risata come amava la matematica; parlava colui che lui era considerato il miglior matematico che fosse vissuto in questo stupido mondo.

Ma solo a me passano gli anni? — lo riprese lui bonario, non si sentiva offeso, il suo amico diceva la verità: lui era cambiato molto più di lui, ma si sentiva comunque sollevato per la presenza dell’altro vicino a lui.

È bello sentirti — gli confidò Sebastian, a bassa voce, come se si trattasse di uno dei più pericolosi segreti e lui di questi tipi era un esperto.

Rise un’altra volta. Con lui era così semplice ridere e nella vita di Sebastian nulla era mai stato semplice.

Sì, cambio discorso, ovvio che lo cambio — disse. — Cos’avrò mai fatto per cambiare così tanto, mi chiedi, mio caro? Semplice: ho smarrito il mio essere e sono stufo di lottare contro questi giganti ottusi, battaglia persa già prima di incominciarla e, sinceramente, il gioco non vale la candela.

Ma l’altro era rimasto lo stesso confuso, era così difficile capire il matematico; il ragazzo al di là della cornetta era convinto di una cosa: Sebastian aveva amato così tanto i rebus e i cruciverba che ne era diventato uno lui stesso.

Come si fa? Ma è facile! Ti ricordo che ho successo nel perseguire l’impossibile e nel risolverlo, smarrire l’essere è molto meno complesso di quanto può sembrare, credimi.

Un sorriso amaro si dipinse sul volto di Sebastian.

Non mi hanno mai accettato, nessuno. Né come genio né come uomo. E a forza di nascondersi, usare ogni giorno una maschera nuova, è inevitabile perdersi, non trovi?  — disse in risposta ad una domanda inespressa, lui conosceva l’altro meglio di quanto lui conoscesse se stesso, interpretava i suoi silenzi con molta facilità. Fece una pausa e lo ascoltò attentamente.

Tu sì, certo, vecchio mio. Cosa avrei mai fatto senza la tua scomoda presenza che riempiva i miei giorni da scolaro? Potevo dilettarmi fra un cruciverba e un crittogramma, ma senza di te non sarei sopravvissuto, non sarei ciò che sono ora.

Sebastian alzò gli occhi al cielo lanciando all’amico un’occhiataccia affilata come la più pregiata delle spade, come se lui fosse presente in quella stanza, non solo come voce effimera ma anche come corpo vivo davanti a lui.

Grazie, sono proprio nell’umore più adatto per ricordarmi di certi anni, veramente, grazie. Sono sopravvissuto per molti anni senza di te, ne prendo atto, ma sopravvivere è ciò che vi è di più distante dal vivere.

Sebastian posò una mano sul bracciolo della poltrona marrone e vi fece forza per tirarsi in piedi.

Puoi rimanere per una manciata di minuti in linea? Non vado da nessuna parte, tranquillo, sono solo le cinque ed è l’ora del tè. Vedi cosa succede a star vicino agli inglesi? Assumi le loro stupide usanze, ne diventi dipendente. Torno subito.


 

 

Quando il tè fu pronto e Sebastian rimise piede in salotto il suo sguardo era mutato, gli occhi erano velati di un grigiore che non aveva limiti, rispecchiavano la sua anima straziata; le labbra erano tese così come lo erano i suoi muscoli e il suo viso; le mani gli tremavano tanto da avergli fatto versare un po’ di tè fuori dalla tazza bianca macchiandogli camicia del pigiama. Lo sollevava il fatto di star da solo nel tetro soggiorno, pieno di polvere e di scartoffie riempite con una grafia ormai illeggibile. Si sentiva sicuro nell’ombra, sotto il suo manto vi potevi nascondere tutto quello che non volevi mostrare a terzi, lei custodisce tutti i segreti e li esalta, ribalta tutti i difetti in pregi facendolo sentire come il Sebastian spensierato che fu per qualche mese dei suoi quarant’un anni di vita. Per troppo tempo però era stato in silenzio, adesso si sentiva un torrente in piena con la forza distruttiva di uno tsunami, questa volta non si sarebbe fermato.

— Ripenso al ragazzo che ero con tenerezza, non comprendevo il perché di tutto quello che mi era capitato, delle carote e dei piselli fra i capelli, delle ginocchia sbucciate, la segatura delle tavole che mi entrava nei polmoni quando mi rinchiudevano sotto al pavimento. Ma era l'unico modo che il mondo aveva per temperarmi per questa folle corse al cardiopalmo che è la vita. Era una scuola privata, pagavo per il meglio; ma la vita lì era un laghetto se messa a confronto con i pericoli che si celano negli oceani. “À travers l'adversité vers les étoiles disse in una lingua che era da anni che non si concedeva più il privilegio di parlare, se non quelle sporadiche volte in cui la sua famiglia si faceva sentire. — “La via che porta alle cose alte è piena di ostacoli” — tradusse per l’amico, non era mai stata nel sue corde la lingua natia del matematico. — Sai gli eroi venivano portati sull’Olimpo quando la Morte li reclamava e per ritenerli “eroi” di fatiche ne avevano compiute tante.  Attraverso le asperità arrivavano alle stelle. E questo è ciò che la vita mi ha sempre insegnato, ma io non sono un eroe e il mio cielo è troppo nuvoloso per permettermi di vedere le stelle.  

Fece una pausa per riprendere fiato, l’altro non riusciva a parlare.

— Alla gente come me non gli è permesso di vederle. Ho salvato quattordicimila persone e tanto non gli è bastato, no, loro si sono comunque nascosti dietro al loro indice puntato contro di me — disse urlando stringendo forte la cornetta nera fra le mani, la voce era graffiata per la rabbia che conteneva in petto e che ancora non era scoppiata liberandolo da quel macigno che più di una volta gli aveva tolto il respiro. Sebastian era stanco, ogni fibra del suo corpo malato lo era; lo si poteva vedere come era seduto sul divano marrone, la schiena non più dritta era abbandonata sullo schienale, come se non fosse più un suo compito quello di sorreggergli il corpo, e le spalle ricurve, non riuscivano a sopportare nemmeno più il peso dei suoi pensieri.

 — Ho giocato a fare Dio, lasciando morire così tante persone pur di lasciare ignari i tedeschi di quello che eravamo riusciti a scoprire, mi sono macchiato di crimini ben peggiori di quello per cui mi incolpano ora, colpevole di amare, che affronto, non trovi, mio caro? È bastato un singolo uomo per rovinarmi, così come ai tedeschi. Io non parlavano affatto tedesco quando mi ingaggiarono, ma alla fine bastava che ne conoscessi solo uno per vincere la guerra, Hitler — un sorriso amaro si delineò sul viso di Sebastian, poi uno strano silenzio scese su di loro.

L'altro fece per parlare, lo capì dal suono che faceva sempre la sua lingua prima di prender parola quando era agitato, era un tic che col tempo aveva imparato a riconoscere, ma venne bloccato immediatamente dal matematico, che ne aveva decifrato i pensieri. Per Sebastian l’altro era sempre stato il suo libro preferito, quello di cui si conosceva pagina per pagina, parola per parola. Non gli avrebbe permesso di assumere su di sé anche questa colpa. — Non ci provare — lo intimidì fermamente — Non ti azzardare, Anderson. Tu sei stato la mia rovina, il mio sbaglio più perfetto, è vero, ma non vi è un giorno che rinnego che ho passato ad amarti. Non un giorno, un'ora, un secondo. Perché mi hai cambiato. Sei la strada sbagliata che percorrerei sempre, fino a quando non mi ci saranno consumate le suole della scarpe perché non hai mai fallito nel riportarmi a casa. Mai. Loro si dovrebbero dispiacere, non tu, non tu, mio caro. Loro che, Dio, non farmi incominciare a parlare di loro. Ma come potevo non scegliere questo? — balbettò alla fine Sebastian.

Poi si alzò, trascinando con sé il filo staccato del telefono e barcollando si avvicinò alla sua creazione, il suo Blaine, a cui aveva dato tutto ciò che avesse. Prima di posare una mano sul metallo familiare lasciò cadere la cornetta, il tonfo sordo si perse nel fragore dei suoi pensieri. Poi sfiorò le stringhe rosse, le accarezzò come se fossero stati i suoi ricci neri, gli piaceva quando erano liberi da quella brillantina insopportabile, ma quelli non li aveva mai toccati. Poi delineò i contorni delle rondelle immaginandosi il suo viso, la consistenza delle guance non ancora indurite dall'età. Vi posò sopra la fronte per soddisfare quel insensato bisogno di sentirlo vicino. Mi manchi immensurabilmente, non potevo permettergli di portarmi via anche questo, mi hanno rubato la mia dignità, il mio genio, avrei combattuto tutti i titani pur di farti restare con me, non gli avrei dato il modo di toccarti — la voce alterata si incrinò, tirò su con il naso e poi si andò a buttare sulla poltrona e posò una mano sugli occhi verdi stanchi, lasciando l'altra che accarezzava il bracciolo, quando se ne accorse un sorriso sbieco si fece spazio sul suo viso stanco.

— Gesto stupido di un uomo che ha perso il suo smacco, sono arrivato al punto che addirittura mi manca la tua mano fra la mia, anche se ho avuto il piacere di stringerla solo una volta — aveva già lasciato andare la cornetta vicino alla sua macchina, non ne aveva bisogno, lui era sempre nella tua testa e in quegli ultimi periodi non faceva altro che parlargli.

Sebastian rise sottile. — Il tuo prodigio, sempre il solito con la vena romantica, sempre a sottolineare quel mio; io non penso di potermi valutare tale, mi sono sempre ritenuto nella norma. Non sono né un prodigio né un eroe.

Sebastian rise ancora, questa volta più forte. — Hai imparato, bravo. Newton scoprì il teorema binomiale a 22 anni; Einstein scrisse i quattro studi prima dei 26. Io pubblicai il mio studio dal titolo che tu mai riusciresti a capire a 23; sono più che nella norma, lo sai, smettila di farmi passare per un enfant prodige.

Sebastian sentì molto attentamente quello che aveva da dirgli l'amico, ripetendo nella sua mente quella frase che ormai sapeva a memoria, con le sue virgole e le sue parole vellutate, immaginarsi quelle parole dette da l’altro era come esse assumessero una nuova melodia. — È da un po' di anni che non la sento più e sembrano esser passati millenni da quel giorno nel cortile del collegio. Mi hai donato un sacco di forza, forza che non era propria delle tue membra malate, ma della tua mente.

Sebastian si umidì le labbra con un po' di tè, ormai freddo, adornato con una nuvola di latte e zucchero. — Sono le persone più improbabili capaci dell'impossibile — gli fece eco il matematico. — Grazie — aggiunse sottovoce, come se fosse anche questo un segreto, rare erano le volte che si era trovato a dire grazie col cuore in mano.

— Cosa ho da dire sulla tua mente, mio caro narcisista? Che è stata una delle più brillati con cui ho avuto il piacere e l'onore di conversare.

Sebastian rise. — Non posso dirlo, non mi piace mentirti. La tua, carissimo mio, non è stata la mente più brillante, ma una delle tante. Eri straordinariamente ordinario.

Le gote pallide e incavate del più alto si tinsero di rosso, per una seconda volta l'eco di una risata riempì quella triste stanza dove erano soliti incontrarsi. — Non ridere — lo intimidì a denti stretti — Lo sai. Fra le mie mani ho curato e protetto un frutto di un amore corrotto, un frutto nero, ma dal sapore più sublime di tutti gli altri che sono ritenuti santi. Sono sopravvissuto a più di due decadi senza la tua presenza nella mia vita e non passa un giorno in cui io non sento il dolore della tua dipartita; mia metà migliore, non basterebbe l’eternità a dimenticare ciò che si è perso e io non la posseggo. Lo sai.

Sebastian sperava in cuor suo che questo Blaine lo sapesse, che lo aveva percepito pure lui che questa amicizia era più di una semplice amicizia, anche se non ebbero mai l’opportunità di parlare di ciò. Ma lui era più che convinto che lui lo sapesse. Ancor prima di poter dare un nome a quello che sentiva in petto, ancor prima di capire quanto sentimento fosse nobile come quello che si nutre verso una donna, prima ancora di molte cose lui lo sapeva. Sebastian aveva i suoi modi di comportarsi, modi peculiari, innati in sé che facevano di lui Sebastian Smythe, il Bas che Blaine aveva imparato ad amare, prima come amico poi come qualcosa di più, ma non gli era stata concessa la possibilità di scoprire altro. E così quando si parlava di amore, aveva i suoi modi per dirti ti amo e "tu sei una delle menti più brillati con cui ho avuto il piacere e l'onore di conversare" faceva parte di questi modi. Sebastian sorrise provando l'insensato bisogno di passare una mano sulla fronte adornata di ricci scuri, ma aveva solo aria davanti.

— Com'è? — riuscì a sputare fuori dalla bocca, a bruciapelo, quando il silenzio che scese fra di loro era troppo da sopportare, lo frantumò in mille pezzi con la domanda più pesante che aveva in serbo. — Dall'altra parte dico.

Sebastian aveva gli occhi bassi e velati di lacrime non versate, ma che bramavano il contatto col vuoto in quella loro folle caduta verso il pavimento, pizzicavano, tormentandogli la vista. La sua mano era stretta sul bracciolo della poltrona marrone, lo stringeva talmente forte che le nocche erano diventate bianche. Non sapeva fino a quanto si potesse spingere prima di romperla, ma non gli interessava; riusciva a sentire i contorni della sua anima dilaniata staccarsi da lui e ciò lo tormentava. Sentiva la fine più vicina di quanto non lo era mai stata e ma si trovò a sorridere comunque, gli piaceva quello che stava dicendo Blaine.

— Una porta dici? E poi?

Sebastian sentendo quello che gli diceva strabuzzò gli occhi e un velo di confusione gli coprì lo sguardo sempre vigile e attento. — Non ti sei mai esposto oltre? Hai solo intravisto una soleggiata America come se ti stessi perdendo in un frammento di uno specchio, non ci posso credere. Anni e anni passati lì, appoggiato alla porta, al confine fra ciò che è effimero e tangibile, in compagnia solo della musica che giunge ovattata alle tue orecchie? Non è possibile, saresti impazzito.

Ora una lacrima finalmente riuscì ad assaporare la libertà, scese solitaria sulla sua guancia incavata del genio per poi cadere in picchiata sulla sua mano. — Sciocco di un Anderson, tu sei impazzito, hai perso il tuo senno amando. Ma veramente hai aspettato lì, da solo, me? Non sono degno di questa perdita di tempo, non si deve mai sprecarlo.

L'altro ribatté imbarazzato. — Basta arrancarti sugli specchi, non sei mai stato bravo tu — poi aggiunse con tono più delicato — Avrei fatto lo stesso. Sono così stanco, Blaine — fece una pausa, la voce si stava affievolendo; questo succedeva quando si parlava per ore e ore con una delle più belle menti di sempre. Fece una pausa. — Ma sono pronto ora. Sì. Sono così stufo di passare la mia esistenza senza la tua scomoda presenza — l'altro rise, ma non era sicuro se si trattasse di riso o di un singhiozzo. — Sei pur sempre quella scomoda presenza che si è fatto spazio fra la mia mente e la mia anima, colmando quel vuoto; hai messo delle radici in me, non mi hai mai lasciato totalmente. Il tuo ricordo ha sempre riempito i miei giorni.

Sebastian sorrise e riprese a giocare con la mela rosso rubino, lanciandola a una mano e l'altra.

Mi manchi così tanto che faccio fatica a fare di calcolo, che faccio fatica a tenere una matita per risolvere i miei cruciverba.

Sebastian corrugò le sopracciglia. — Hai ragione, sì, non è colpa tua, ma di tutte queste sostanze chimiche che assumo ogni giorno da più di un anno. Scusa se nelle mie ultime ore ho avuto la presunzione di vedere queste piccole cose come effetto collaterale del troppo amare e non come conseguenza di una cura che mi ha fatto crescere il seno. Davanti alla solitudine si riscopre l’amore, volevo andarmene con in testa questa scoperta. Mi hanno solo devastato corpo e mente, non hanno cambiato i miei sentimenti; il mio cuore è sempre stato tuo e lo sarà per sempre. Lo è stato ancora prima di imparare cosa significasse realmente amare, per comprenderlo realmente l'ho dovuto criptare, “P ZQAE TQR” scrissi anni fa in un foglio che non ebbi l’occasione di darti. Tu sei l’unico che abbia mai avuto accesso alla chiave della mia anima, e lo sarà fino all'ultimo rintocco di questo tempo infimo e beffardo che è sempre stato contro di te, contro noi. Te ne sei andato via così giovane, penso che la tua morte abbia insidiato in me il frutto dell'odio. Avevi un cuore così puro, come ti avrei donato i miei anni, avresti vissuto una vita migliore della mia, non avresti fatto i miei stessi sbagli. Questo pensiero mi ha sempre tormentato, molti perché si aggiravano come piccoli tornado potenti nella mia testa: perché lui; perché non sono morto io; perché è morto lui, la mia roccia, e non gli altri che mi tormentavano. Ma io ero bravo in matematica, il mio campo erano i numeri, perciò lasciai i miei perché ai filosofi, purtroppo nemmeno loro avevano una risposta. Si muore, punto e basta. Molti dicono che vi è un ordine superiore a noi, che regola il circolo della vita. Io penso che arriviamo alla fine del nostro calcolo, non abbiamo più incognite da ricavare, problemi da risolvere. Finiamo come finiamo l'acqua in un bicchiere che ci ha dissetato in un pomeriggio assolato di un agosto inoltrato. Siamo così bramosi di vita che strafoghiamo le sue acque, non pensiamo che un giorno non ne avremo più. Ma l'autunno bussa comunque alle nostre porte e come foglie ci stacchiamo dal flusso della vita, non rinasciamo in nuovi germogli, il manto della neve arriva troppo presto per darci modo di fare niente, ci schiaccia sotto al suo soffice peso e moriamo asfissiati, inaliamo il nostro ultimo espiro e poi il nulla. — fece una pausa poi guardò la mela fiamminga che aveva fra le mani tremanti. —Questa mela è il mio autunno e il cianuro che vi ho messo i miei fiocchi di neve che verranno cullati da quel inverno prematuro.

Sebastian chiuse gli occhi e si immaginò il viso del moro: i capelli coi riccioli scuri arruffati di mattina; il viso che incominciava appena a mostrare i segni dell'adolescenza; il naso dritto; le sue insolite folte sopracciglia; le orecchie piccole; le labbra piene da baciare; per ultimi gli occhi, che nascondevano un mondo nel quale amava perdersi, in essi si sentiva capito e mai giudicato, gli piaceva quello strano mondo che li animava.

Il mio ultimo pensiero sei tu, pensò. Non aveva più senso ormai parlare ad una macchina che aveva impiegato mesi nel costruirla, poteva decifrarci Enigma, ma non gli avrebbe mai formulato una risposta con la voce della persona che gli aveva regalato il nome. Lui l'aveva sempre chiamata Blaine. Lo aveva fatto per un semplice motivo: lo aveva reso immortale. Era conscio del fatto che lui con Blaine avesse fatto la storia, in quel suo infinito foglio un momento era stato scritto dal suo pugno e ci sono momenti che non si cancellano facilmente.
Sebastian con ancora negli occhi Blaine addentò la mela avvelenata. Un'altra lacrima scese dal suo viso, ma in questa non vi era la bramosia della voglia di libertà, ma era satura di rimpianti. Prima di ingoiare il boccone la voce di Blaine risuonò nella sua testa per un'ultima volta.

— Hai me dall'altra partesussurrò. Gli piacque talmente tanto quell’idea da riuscire credergli.

Il suo cuore pulsò per un’ultima volta. Poi fu il nulla.

Un nulla fatto di un sorriso che amava e di uno sguardo che possedeva la forza di donargli una vita nuova.

E lì lo vide. Era appoggiato allo stipite della porta, come gli aveva detto. Si sentì di colpo più giovane, sano, forte. Gli angoli della sua bocca si tesero immediatamente verso il cielo quando il suo cuore riconobbe quella figura che lo osservava. Ricambiò il sorriso. Sebastian incominciò a cantare quella canzone che per tutti quegli anni aveva fatto compagnia al suo Blaine. Qualcosa dentro di lui si mosse e gli disse: “ecco la tua seconda opportunità, è un’occasione rara. Non sprecarla”. Gli andò incontro e gli prese la mano, l’altro non lo allontanò.

No, non l’avrebbe fatto.
 
THE END
 
Beth’s Corner!
Salut! Chi non muore si rivede, eh? Purtroppo sono stata assorbita da quella corsa al cardiopalma che è la vita, ho dato i miei primi esami, la vita da pendolare lentamente mi sta distruggendo, Jack – JackJack – Falahee mi ha consumato ogni voglia di vita visto che non la potrò mai passare accanto a lui, i Malec hanno prosciugato ogni mia lacrima e non sono propriamente sicura di essermi ripresa da “The Imitation Game”. Cose normali, insomma. Mi sono distaccata un po’ dal magico mondo delle fanfics anche perché ho avuto dei problemini con la mia beta, credo che se non fosse stato per la mia cara omonima, la mia cara Betta, penso che questa fanfic mai avrebbe visto la luce del sole. Alcune volte mi sveglio e le faccio “questa cosa qui mi da tanti feels seblaine, tanti da scriverci qualcosa” e lei “scrivi!”, non me lo faccio dire due volte. Penso che la cartella dove tengo segregate le mie storie sia lo specchio della mia vita attuale: caos allo stato puro. Ne ho tante iniziate e mai concluse, come “F is for Family”, abbandonata senza ragione alcuna, e altre storie, sto raccogliendo materiale per una long da quest’estate. Lo dico per chi segue “F is for Family” non ho intenzione di lasciarla incompleta, né oggi né mai. Ho solo i miei tempi, spero che mi perdonerete.
Veniamo alla storia. Per chi non avesse visto “The Imitation Game” (cosa aspettate?! Cercatevi uno streaming ora!!! O se non sapete dove trovarlo vi passo tutti i link che volete, basta che chiedete!) consiglio di digitare su Google “Alan Turing” e perdervi nelle sue biografie. È stato un mio compagno di viaggio durante l’ultimo anno al liceo, pendevo dalle labbra del professore quando ci parlò di crittografia. Sapete che l’affare che usate per leggere quello che ho scritto, il computer, Alan Turing è il suo papà? Prima prima veniva chiamato la “macchina di Turing”. Per questo motivo ho sentito l’obbligo morale di scriverci qualcosa, posso dire che questa storia si è scritta da sola.
Un piccolo chiarimento: mia intenzione era quella di non farvi capire di primo acchito che Sebastian stesse parlando con la macchina Blaine (o Christopher, come era solito chiamarla Turing). È come se la storia fosse divisa in due parti: la prima è quella in cui Sebastian rinnega l’idea della sua morte, per lui è ancora vivo, tanto da parlargli come se stesse lì; nella seconda la sua morte è l’unica consolazione che gli è rimasta perché sa che presto lo rivedrà. Alla cara Betta questo passaggio non era stato troppo chiaro, ma io non volevo che ciò si capisse subito, mi ha consigliato di dirvelo.
Me la finisco qui, tranquilli! Non voglio scrivere delle note più lunghe della storia. Vi dico solo grazie per esser arrivato a leggere fin qui, wow, tu che stai leggendo questo sappi che hai tutta la mia stima.
E soprattutto grazie alla Betta per aver letto in anteprima questa cosa qui, per avermi suggerito cosa porre nella descrizione alla storia e...grazie un po' per tutto.

A presto, almeno spero.
Beth
 
PS: DFTBA.
   
 
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