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Autore: Hermione Weasley    05/12/2008    3 recensioni
Lei deve catturarlo. Lui vuole ucciderla. Raccolta di one-shot Sylar/Elle.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sylar
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ancora una one-shot da aggiungere alla lista.
Un grazie particolare ad Ino Chan & Amarantha che mi hanno recensito! GRAZIE DAVVERO :)


No Vacancy, Just Emptiness.

Waiting here
For you to call me
For you to tell me
That everything's a big mistake

Waiting here
In this rainfall
Feeling so small
This dream was not suppose to break

But you don't love me anymore
You don't want me anymore
There's a sign on your door
No vacancy, just emptiness
Without your love
I'm homeless


Homeless (Leona Lewis)



Il vento gelido le pungeva le guance già arrossate, costringendola a rabbrividire.

Si strinse nelle spalle, cercando di riscaldarsi in qualche modo, ma le braccia tiravano indietro, e Sylar ancora la teneva saldamente immobile con una mano sopra le sue, barbaramente congiunte.

Non era ancora l'alba e la strada, vicino alla stazione di servizio, era deserta.
Il cielo grigio ed immobile sembrava non dare alcun segno di vita.

Sylar si stava rigirando la pistola tra le mani. Temeva che Bennet sarebbe comparso dal niente, con l'Haitiano al suo fianco, e non era decisamente propenso a farsi trovare impreparato: nel caso i suoi poteri avessero dato forfait, avrebbe avuto comunque un asso nella manica.

"Ora arriva," disse Elle, fissando la linea che indicava la brusca curva che la strada faceva in lontananza.

Spostò il peso del corpo da un piede all'altro, deglutendo a fatica.

Era trascorsa più di mezz'ora dall'ora stabilita per l'appuntamento, le 5 e 30, e non si era ancora presentato nessuno.

"E' la terza volta che lo ripeti," mormorò Sylar, per niente divertito da quell'imprevisto ritardo.

Elle serrò le labbra, riducendole ad una linea sottile. Fissava la strada con attenzione quasi maniacale, smaniando e strepitando mentalmente affinché fosse comparso anche un solo puntino nero in lontananza: suo padre, che veniva a prenderla.

*

Ma Bob non si presentò, e nemmeno Bennet, o l'Haitiano o Suresh.

Sylar le aveva prese in considerazione tutte, ma dopo un'attesa che si era protratta per quasi due ore, realizzò che non sarebbe arrivato nessuno.

La pistola era soltanto un peso scomodo ed inutile nella sua mano, ed Elle era un tesoro privo di qualsiasi valore.

Non aveva aperto più bocca dopo averlo rassicurato, per la decima volta almeno, che Bob sarebbe arrivato di lì a poco.

Un violento tuono annunciò che stava per piovere.
Il sole era sorto al di là di una coltre argentea di nubi che si stavano facendo gonfie e nere.

Probabilmente non voleva esporsi, pensò, nemmeno per la sua unica figlia.
Forse sperava che - non vedendolo arrivare - l'avrebbe semplicemente lasciata andare.

Elle era seduta a terra, con il capo chino e lo sguardo perso su chissà quale assurdo particolare dell'asfalto.

"Non verranno," annunciò Sylar, con un misto di disapprovazione e disappunto nella voce. C'era una nota quasi reverenziale nel tono in cui pronunciò quelle parole, come le stesse soppesando attentamente.

L'ennesimo tuono camuffò il singhiozzo che le sfuggì dalle labbra, ed Elle ne fu terribilmente riconoscente.
Era stata catturata, usata come esca ed ostaggio, come moneta di scambio, e come se non fosse stato abbastanza, suo padre non si era nemmeno presentato nel luogo prestabilito, per riaverla indietro.

Evidentemente la sua vita, valeva molto di più di quella di sua figlia.

C'era una motivo, pensò. C'era un motivo se non era ancora arrivato. Era sicuramente parte di un piano che aveva escogitato per riaverla sana e salva senza, però, scendere a patti con un assassino come Sylar.

Eppure, una parte di lei le suggeriva che no, non era proprio così. Alla resa dei conti, lei non valeva più di nessun altro membro della Compagnia.

La consapevolezza di quel pensiero le scese addosso come una cascata d'acqua gelida.

Non sarebbe venuto.

Suo padre non sarebbe venuto.

Prese a ripeterselo come una nenia monotona e cantilenante, fino a quando la sua mente non fu piena che di quelle parole.

*

Era trascorso un misero minuto da quell'agghiacciante rivelazione, ma ad Elle sembrò un'eternità.

La pioggia aveva preso a scendere insistentemente, bagnando la strada, i suoi capelli, i suoi vestiti, le sue lacrime...

Quasi non si rese conto che Sylar le stava liberando le mani, dando un amaro sollievo alla pelle irritata dei suoi polsi.

Fece strusciare le dita sull'asfalto, sentendo le braccia dolerle all'altezza delle spalle.

Non disse niente e non si rialzò. Pensò soltanto che non aveva più un posto dove andare, nessuno che le avrebbe potuto offrire un rifugio, un abbraccio di conforto.
Avrebbe dato chissà che cosa, pur di sentire suo padre rivolgerle quelle parole astiose che non faceva altro che sentirsi ripetere.

Mi hai deluso, Elle. Mi hai veramente deluso.

Le lacrime calde si mischiavano alle fredde gocce di pioggia.

Le sembrò che niente avesse più senso. L'aveva rifiutata, l'aveva messa da parte per essere sicuro di non correre alcun rischio.

Lei, sangue del suo sangue.

Sylar, alle sue spalle, era altrettanto immobile. Era stata una svolta tanto indesiderata quanto inaspettata. Credeva che Bishop tenesse alla figlia, e non gli sembrava possibile che l'avesse sacrificata in quel modo, pur di non doverlo fronteggiare.

Abbassò lo sguardo sulla sua testa bionda, provando una sensazione strana.

L'avrebbe chiamata "compassione" se si fosse ricordato com'è che ci si sentiva ad averne.

Mise via la pistola, respirando pesantemente.

Non c'era più niente da fare lì. Niente da aspettare o aspettarsi.

"Sei libera," le disse, lasciando che il tono si ammorbidisse sensibilmente, risultando quasi gentile, anche se scorbutico, "puoi andartene."

Fece per voltarsi ed andarsene, ma rimase piantato lì dov'era, senza osare muovere un muscolo.

Sapeva, insensatamente, che non si sarebbe mossa di lì, perché era esattamente quello che lui avrebbe fatto al suo posto.

Anche sua madre l'aveva rifiutato, gli aveva urlato di andarsene, l'aveva supplicato di farlo, perché non voleva più avere niente a che spartire con un figlio del genere.
L'aveva terrorizzata, mostrandole un misero stralcio di ciò che era veramente.

Bob, invece, aveva sempre avuto sotto gli occhi la vera Elle. Ciò che c'era di falso, erano i suoi sentimenti verso di lei: un fittizio attaccamento paterno che era sufficiente a farla orbitare attorno lui, in continuazione.

Fece schioccare la lingua, scacciando rabbiosamente il pensiero di sua madre, morta, in una pozza di sangue e un paio di forbici da cucito conficcate nel petto.

Corrugò la fronte, indietreggiando di un paio di passi.
Non avrebbe potuto far niente per lei neanche se avesse voluto.

Conforto? Comprensione? Che aveva da darle? Niente. Niente che avesse voglia di condividere, comunque.

Cercò le chiavi dell'auto che aveva abilmente sottratto ad un passante, passandosele da una mano all'altra.

Se ne sarebbe andato. L'avrebbe mollata lì. Non c'era niente che avrebbe potuto fare per lei, e per di più, gli era totalmente inutile.

L'idea di aprirle la testa, e acquisire il suo potere, non lo sfiorò nemmeno. Era troppo triste e disperata, e lui non era per niente in vena di delitti.

Le dette le spalle, premendo il pulsante unlock sulla grossa chiave nera della Station Wagon. Spalancò la portiera dalla parte del conducente, salendo rapidamente a bordo.

Le gocce d'acqua rigavano il parabrezza e i finestrini, facendo colare la polvere depositata nelle intercapedini e sui vetri.

Rimase immobile per un lungo attimo, prima di decidersi a mettere in moto.

Nemmeno si voltò per controllare che Elle fosse ancora lì: era più che sicuro che non si fosse mossa affatto.

Fece rapidamente marcia indietro, ingranando la prima. La ghiaia dello sterrato scricchiolava fastidiosamente sotto gli pneumatici.

Azionò i tergicristalli. Non riusciva a vedere niente in quelle condizioni.

Tirò giù il finestrino, accostando di fronte al punto in cui Elle stava ancora seduta, in attesa di qualcosa (qualcuno) che non sarebbe arrivata.

"Ehi," la apostrofò, in tono tutt'altro che gentile, "hai intenzione di salire o devo aspettare ancora molto?"

Elle non alzò il capo per poterlo guardare, anzi, nemmeno sembrò averlo sentito.

Sylar la mandò mentalmente al diavolo, facendo suonare il clacson per attirare la sua attenzione.

"Ehi!" Ripeté, sporgendosi verso il sedile del passeggero per poter aprire la portiera.
"Me ne vado tra un secondo," l'avvertì, "e non tornerò indietro."

Ci fu solo l'ennesimo a tuono a far eco alle sue parole e il solito fastidioso mutismo da parte della ragazza.

"Al diavolo," borbottò a mezza voce, facendo per richiudere l'auto, e partire alla volta di chissà che cosa. Avrebbe dovuto scoprire cosa avevano intenzione di fare quelli della Compagnia e poi cercare un modo per ottenere la sua vendetta.

Non c'era più niente per lui in quel dannato posto dimenticato da Dio.

Afferrò la maniglia e la tirò a sé, ma qualcosa oppose resistenza dalla parte opposta.

Un attimo dopo Elle, sedeva al suo fianco, guardando ostinatamente di fronte a sé, oltre il vetro lercio, senza nemmeno vederlo realmente.

Ci pensò lei a richiudere la portiera, con un schiocco secco.
Aveva il viso e i capelli bagnati, gli occhi arrossati, e il respiro irregolare.
Il suo cuore batteva con una cadenza strana. Sylar riusciva a sentirlo e, per una volta, non gli dispiacque affatto.

Spinse il piede sull'acceleratore, senza una parola.

Elle trattenne il fiato per una manciata di secondi prima di allacciarsi la cintura di sicurezza.

"Grazie," mormorò soltanto, appena udibile.

Sylar non rispose.

  
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