È strano il fatto come io
- nonostante i miei
soliti buoni propositi -
finisca sempre col
fallire lì dove ho sempre
cercato di fare in modo di
migliorare,
seppur un poco.
Mi ero promessa di
imparare a
guardare avanti,
senza lacrime a
sfocarmi le mattine già
confuse dal fumo.
ero promessa di
tornare a
sorridere
- se non altro fingerli -
perché a starmene
stretta nella mia fragilità non
ho mai concluso
niente.
Non che avessi
aspettative tanto
diverse, coi miei
sorrisi, ma se non altro,
probabilmente avrei
cercato di
rendere almeno un po'
più lieto chi mi sta intorno.
Infine,
mi ero promessa di non
cercarti più: di non
sentire il bisogno del calore delle
tue mani sulla mia
pelle,
non più la necessità di
doverti sentire parte di me
- che sempre mi son
fatta mancare -
quel volerti
assiduo come
parte della mia vita -
un'ossessione, quasi.
che poi... in tutto
questo ho fallito,
senza ombra di
dubbio.
Ho chiuso gli occhi:
ora nulla sembra più o
meno nitido,
dove la pupilla nera non si
fonde con l'esterno ma si
nasconde:
nero è ciò che
vedo e nero è
ciò che sono.
L'annullamento del mio voler
essere parte integrante del
mondo, o se non
altro, di aver provato.
Il ridere per illudermi di
non esser totalmente
infelice si è
rivelato inutile,
Ogni sorriso s'è rivelato più
amaro di quel che io avrei
voluto che fossero,
come squarci s'una pelle
- anima -
ormai ridotta a
brandelli che cerca di
ricomporsi per poter
compiacere agli altri
- celare le ferite infette che
ormai m'hanno logorata in
profondità.
In tutto ciò,
tu ti sei mostrato lontano,
come se anche tu
avessi voluto negare la
mia persona.
L'algebra sembra quasi
scandire la mia vita:
a negarmi
- allontanarmi da te -
due volte, ho
sentito il bisogno di
riavvicinarmi.
Ho sciolto le leggi che
mi legavano ai miei
giuramenti, ed ho
sentito vivo il desiderio di
averti mentalmente accanto,
calando le barriere che
ho edificato per cercare di
distanziarmi da ogni
cosa che portasse il
ricordo tuo.
Vulnerabile,
dannatamente vulnerabile al
tuo cospetto:
tu, invece, avevi già tolto le
catene al collo, i polsi,
le caviglie mie,
più deciso di me a
farla finita con queste nostre
commedie di partenze rinviate da
un timore fin troppo
radicato in noi ed
ingiustificato.
Ti confesso che
Ti confesso che
ho provato non ben poca
invidia nei tuoi confronti:
hai sempre saputo prendere
in mano la tua vita con
molta più fermezza di
me, sempre deciso nelle
decisioni prese, le
scelte fatte;
cos'è che invece mi
frena ogni volta?
Non è il
tremore, non è
la timidezza:
è qualcosa che va più
in là di ciò che io riesco a
concepire e si lega alla
mia natura umana
- seppur debole.
Così debole da
non riuscire nemmeno a
fingere d'odiarti, pur di
lasciarti andare via.
Perché alla fine si
tratta di questo:
smettere di tendere le
mani vuote per
convincerti a
restare.
E tu meriti vita vera,
non le false illusioni che,
alla fine, sono
tutto ciò che sono
stata in grado di
offrirti.
Devi essere libero,
da me e da ogni mio
respiro, e se lo
scrivo è solo per riuscire a
convincermene anche io,
che son combattuta dal
chiederti ancora di
accogliermi tra le tue
braccia, perché se
non ho te non ho
nessun'altro
- o almeno credo.
Ma sei l'unico che
conosce le mie maschere più
svariate ed ha imparato ad
apprezzarne almeno un
piccolo particolare di
ciascuna di esse:
se devo espormi
completamente come
ho fatto con te o
mostrare un solo
volto agli altri, per
poter riuscire a legare con
persone al di fuori della
tua, non saprei.
La paura d'esser
debole agli occhi di chi non
vorrei sembrarlo
è tanta.
Pure troppa.
Peccato che
questo non possa
rappresentare un
buon proposito,
per me:
forse, allora,
a fallire,
avrei smesso di
temere ogni cosa che
riguardi l'immagine della
me impressa nelle
menti altrui.
Ed avrei imparato a vivere.
Agerath