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Autore: Aleena    17/02/2015    2 recensioni
Londra, 1844.
Un oscuro rito, una creatura dimenticata nei secoli, un’alleanza.
Dal testo: “Lo zombie si alzò e iniziò a incamminarsi; il suo incedere era claudicante, come se non rammentasse più come utilizzare i piedi e la sua avanzata era accompagnata da una serie di grida soffocate, inframmezzate a sbuffi d’aria, il prodotto di un apparato vocale non più adatto per creare suoni coerenti. Dorian e Shanzhai si limitarono a seguirlo: sembrava la macabra rappresentazione di una scena di passeggio, con i due padroni a portare a spasso il cane. ”
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Storia scritta a sei mani da Aleena, Melian e Aurora_Boreale e partecipante al contest Round Robin “Your destiny in my hands, your chance in the choice that you need” indetto da My Pride sul forum di EFP e tristemente naufragato.
Genere: Horror, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO I

DI RITI E DEMONI
 

 
  C’era una particolare bellezza nelle strade di Londra a quell’ora del mattino.
Tre ore prima dell’alba tutta la città sembrava sospesa in un limbo, in bilico fra la luce tremula dei lampioni e la nebbia carica di sogni, che saliva dal Tamigi a inumidire le pietre delle strade, ovattando rumori e odori.
Sagome spettrali danzavano attorno a Will, che le osservava con l’interesse vago tipico degli stanchi o dei fumatori d’oppio. Era alla prima categoria che il ragazzo apparteneva: le ultime ventuno ore le aveva passate chiuso in una sala grande come una piazza, lavorando senza quasi sosta per trasformarla in tre spazi divisi e completi prima che sorgesse il sole.
Ce l’avevano fatta, arrangiandosi come potevano. Tutto perché Geoffrey Aylmer potesse dire che la sua squadra non aveva battuto la fiacca e che il merito era suo, solo suo. Sarebbe stato promosso? Will sperava di sì. Sarebbe stato un ottimo modo per toglierselo di torno prima che gli capitasse un incidente.
Non voleva avere il sangue del caposquadra sulle mani, ma non avrebbe mai fatto la spia se avessero trovato Aylmer disteso in un vicolo, con la testa spaccata da un sasso. Era un bastardo della peggior specie, e non solo di nascita: li faceva lavorare come bestie per una paga che era di almeno due scellini inferiore a quella degli altri operai, che non erano nemmeno costretti a graffiare via dal muro la cenere umida dell’incendio1.
Da quattro anni la sua squadra lavorava alla ristrutturazione del palazzo di Westminster, disperando di riuscire a vederne la fine. Will tossiva tutte le notti catarro nero come carbone, dal sapore acre; le sue mani erano diventate di un grigio che sembrava non volerlo abbandonare più, i capelli una volta biondicci erano ora di un’indefinibile marrone scuro e la vista gli si annebbiava, a volte. Dimostrava molto più dei suoi ventuno anni ma non lo trovava strano: il suo destino era molto migliore di quello dei minatori e la paga gli consentiva di mantenersi due stanze tutte per sé, a Soho. Non era un bel quartiere, nonostante le promesse, ma era abbastanza vicino a Westminster da permettergli di tornare a casa agilmente nelle pause, per riposare.
Faceva volentieri quella mezz’ora a piedi: era un modo per svuotare la testa e respirare un po’ d’aria fresca prima di ributtarsi nell’odore acre del suo quartiere – soprattutto a quell’ora di notte, quando solo i fornai erano svegli e ladri e perdigiorno si erano tolti di torno, svanendo in qualche lurido vicolo buio che chiamavano casa. Ne vedeva i piedi spuntare dalle ombre, a volte, e questo lo rassicurava: contrariamente alla voce comune, quella era l’ora in cui un inglese timorato di Dio come Will doveva aver meno paura.
Delle notti riusciva a sentire perfino il rumore del fiume, un lusso che pochi londinesi avevano provato: l’acqua della piena che sbatteva contro i pilastri di roccia del Ponte di Westminster era in inverno un boato che produceva una musica dissonante con l’eco dei suoi passi lungo Parhammer Street. Un suono che gli ricordava tanto – troppo – il basso cantilenare di sua madre, che serpeggiava fra le stanze di una casetta dimenticata nella sua infanzia. Cantava, sulle note meccaniche di una scatola armonica, per suo fratello, per farlo dormire – e sebbene Edward si dicesse troppo grande per quelle smancerie, se ne restava in silenzio ad ascoltare quelle parole stonate che sbocciavano sempre e solo per lui.
 
E della luna un giorno scese
Circondato da mille luci
La mano al Sovrano prese
E gli parlò con mille diverse voci…
 
Anche ora, in quella notte ovattata, gli sembrava di sentire il canto della madre, lontano come lo era stato in quei giorni. Lo odiava, come aveva finito per odiare lei, ma ne era affascinato.
Una volta, al lavoro, John Carrent gli aveva detto che nella nebbia vagano gli spiriti dei morti. Sosteneva che la foschia si sollevasse direttamente dai luoghi di sepoltura strappando le anime al riposo e le trascinasse in giro, in cerca dei cari amati o di vittime a cui infliggere lo stesso tormento che loro stessi pativano. Will aveva riso vedendo John farsi il segno della croce tre volte, e l’aveva preso in giro. “Siamo alle soglie di un’epoca di meraviglie tecnologiche e tu credi ancora ai fantasmi!” gli aveva detto, non senza una punta di amaro sarcasmo. John si era limitato a scuotere il capo, assumendo quell’aria di superiorità che lo rendeva tanto sgradito al resto della compagnia – ma a Will piaceva. La trovava di una coerenza stupefacente, come la sua superstizione: cosa ci si doveva aspettare da un artista del vetro?
Quella notte, però, le parole di John sembravano contenere almeno un fondo di verità. Se ne era accorto non appena aveva svoltato in Swallow Street: la musica che sentiva non poteva essere solo nella sua mente. Era reale, dura e aspra, e scivolava come uno spirito in mezzo alla nebbia. Non era l’esatto tono di sua madre, ma chi poteva dire quale modifica la morte desse alla voce?
A meno di trecento yard da casa sua, Will sperimentò per la prima volta nella sua vita una curiosità che non era in grado di controllare. Improvvisamente non gli importava più delle cinque ore scarse di sonno che si assottigliavano, né del vicolo stretto in cui si stava immergendo lentamente: voleva trovare quello spettro. Aveva delle domande da farle e quelle risposte potevano dargli un po’ di pace… forse.
Vale la pena tentare, si disse, scivolando fra i resti di un banchetto da mercato mangiato dall’umidità fino a una porta di legno.
Will era una persona pratica, una di quelle del tipo peggiore: non si curava del perché le cose andavano fintantoché esse funzionavano. Dunque non trovò nulla di strano nel fatto che un fantasma avesse avuto bisogno di scardinare una porta per entrare. Spinse l’uscio senza farsi nessuna domanda e scivolò silenziosamente attraverso un corridoio che sapeva di muffa e polvere fino ad una piccola stanza, dalla quale proveniva il canto.
Affacciandosi con la metà destra del volto il ragazzo vide che c’erano chiazze nere sulla parete che aveva davanti, laddove l’acqua era entrata dalle finestre spaccate, ristagnando. I resti di un mobilio spartano erano accatastati di lato, lontano dai piccoli scalini di legno che conducevano a una pedana e…
Con un brivido, Will si rese conto che quell’edificio doveva essere stato una Chiesa, un tempo.
Deglutì, inghiottendo in un groppo amaro tutte le proteste e le ipotesi che fiorivano nella sua mente, e cercò di farsi coraggio. Era in ballo e doveva ballare. Rimpiangerai tutta la vita di non aver guardato diceva una voce irrazionalmente calma nella sua testa.
Così il ragazzo si chinò di più, poggiando i palmi sul muro viscido e infetto.
C’erano due persone nella piccola navata. L’uomo, che gli dava quasi le spalle, era in ginocchio per terra, le mani calate fra le gambe. Doveva essere ricco, a giudicare dai vestiti, uno che non avrebbe dovuto trovarsi in un quartiere come quello. Era impossibile dire se fosse legato o meno, ma Will non aveva dubbi sul fatto che fosse drogato: roteava la testa come un folle, gli occhi gettati all’indietro e i capelli per metà davanti alla faccia. L’uomo era pallido come un cadavere, le labbra cianotiche spaccate in più punti e la camicia coperta di chiazze marroni che potevano derivare solo da vecchie ferite.
Aveva un coltello ai piedi, macchiato di rosso vivo, e una ferita al braccio che zampillava pigramente. Lui non sembrava esserne cosciente: rispondeva all’invocazione blasfema con rantoli singhiozzanti, chinando a volte il busto fino al suolo.
La donna era esile, di una bellezza volgare che l’abito signorile e l’acconciatura alla moda non potevano nascondere. Aveva lunghi capelli di un biondo che ricordava il sole in un giorno velato, quando la sua luce splendente non riesce a riscaldare. Lei stessa dava quell’impressione: il corpo voluttuoso era tanto invitante quanto repellente, e Will sentiva l’eccitazione combattere contro la certezza che, se anche l’avesse avuta fra le braccia, la sua carne non avrebbe avuto un sapore migliore delle pareti arse vive di Westminster.
Ma non era quello. C’era qualcosa, nei suoi occhi, nella piega ferina delle labbra, che lo spaventava, dandogli la certezza di trovarsi non alle prese con uno spettro, bensì con un demone. Quale inferno l’avesse creata così perfetta non avrebbe saputo dirlo, ma non aveva dubbi in proposito.
Quella… creatura scivolava al suolo come su una lastra di ghiaccio, muovendosi velocemente in circolo. Parlava in una lingua dimenticata da secoli che rimbombava demoniaca e feroce, come un violino dalle corde di ferro suonato da un sordo, o il grido delle Banshee delle leggende – e come similitudini del genere gli venissero in mente, Will stesso non avrebbe saputo dirlo.
Era impossibile smettere di guardarla: la curva appena accennata dei seni, il candore delle manine delicate, l’incavo del collo lungo erano bastati per far venire a Will un’erezione, che premeva con urgenza contro la stoffa ruvida. Una parte del ragazzo sarebbe corsa ora in quella stanza per gettarsi ai piedi della donna, supplicandola di prenderlo – anche a costo della vita. Forse era stato lo stesso desiderio smodato ad attirare l’uomo in quel luogo. Cosa ne avrebbe fatto quel demone? Will l’avrebbe scoperto a breve.
Non sarebbe stato in grado di allontanarsi dalla figura di lei nemmeno se lo avesse voluto.
La donna stava spargendo polvere di mattoni al suolo, creando circoli e spirali che sembravano non avere un senso compiuto. Danzava leggera attorno a candele rosse e nere, la cui fiamma restava immobile al suo passaggio. Non smetteva di salmodiare, ma ora le sue parole erano passate dal canto alla recitazione.
L’uomo aveva preso a tremare violentemente, gli spasmi sempre più frequenti che frammezzavano le sue parole, riducendole a rantoli incomprensibili.
Il demone finì di tracciare una linea vermiglia e il disegno di un pentacolo avvolto in cerchi apparve, nitido come se brillasse di luce propria. Quando la donna versò sul suo corpo il resto della polvere rossiccia, tutto il disegno prese a contorcersi come fosse fatto di materia vivente.
Una figura avvolta dalla nebbia vermiglia si delineò, bestiale e oscena, mentre il grido di dolore si levava contemporaneamente da vittima e carnefice. I frammenti di mattone brillarono come piccoli fuochi illuminando con bestiale chiarore il volto della donna, trasmutato dal dolore in una maschera orrenda e dannata.
L’eccitazione di Will scemò rapida come era arrivata, permettendo al cuore e al cervello di ossigenarsi di nuovo. I denti del demone erano affilati come rasoi, le sue dita scheletriche simili a lame. Gridando il proprio dolore sorrideva, lasciando che la polvere le lacerasse la carne facendone sgorgare una sostanza nera e velenosa. E Will, con uno strappo al cuore, si rese conto che il demonio ora rideva, compiaciuta.
La figura nel cerchio gridava come se la nebbia rossa la stesse bruciando, e Will cercò in tutti i modi di distogliere lo sguardo, senza riuscirvi.
Non guardare in faccia il Diavolo, o lui si prenderà la tua anima, pensava, scavando nella mente alla ricerca di preghiere che non riusciva a ricordare.
Non aveva il conforto di Dio, non lì.
Il Diavolo che la donna stava invocando era una bestia a metà fra uomo e verme, un essere squallido e nudo che si contorceva, cercando di uscire da quelle fiamme dell’inferno che l’avevano generato e finendo a sbattere su pareti invisibili delimitate dal pentacolo. Ogni volta che il corpo osceno cozzava contro la barriera, un forte odore d’ozono ed escrementi riempiva l’aria. Allora la donna ne traeva una lunga boccata e rideva più forte, una risata cristallina da vergine che finiva nell’eco volgare delle prostitute.
Pezzi di pelle del demone-donna erano sparsi per terra mentre tratti di ossa macchiate di rosso brillavano attraverso il corpetto ancora integro. L’uomo si era accasciato al suolo, il corpo scosso da brividi così feroci da sembrare onde sulla pelle… o larve, che lo scavavano cercando di mangiargli l’anima. Nulla sembrava impossibile, non lì, alla presenza di quel rito blasfemo che non sapeva interrompere.
Interrompere…
Quell’idea parve aprire un solco nella mente paralizzata di Will. L’immagine di un ragazzino disteso in un letto, gli occhi sbarrati e vitrei e la bava bianca alla bocca, per un attimo sostituì il presente, oscurandolo. Avrebbe avuto circa l’età di quell’uomo, adesso… no, non era vero, ma sarebbe comunque cresciuto. Avrebbe avuto un futuro, un lavoro, una casa… un vita.
Edward era stato una vittima, come lo era adesso quello sconosciuto. E, nell’associazione irrazionale, Will seppe che doveva muoversi. Agire.
L’adrenalina prese il posto della paura, facendo martellare il cuore del ragazzo più forte. Senza pensare alle conseguenze, il giovane lasciò la sicurezza del rifugio e corse avanti, puntando al demone.
La donna fluttuava, sospesa ad un paio di centimetri dal suolo. Il suo viso era una maschera di nera essenza e osso, sulla quale solo un’ombra dell’avvenenza era ancora visibile. Un occhio, il sinistro, era collassato, sciogliendosi sulla guancia scavata mentre l’altro era esposto, spalancato come per la sorpresa. Non vide Will arrivare, troppo presa dall’estasi del rito, e una nota di stupore percorse le sue ultime parole mentre le braccia del ragazzo le avvolgevano la vita.
Rivoli neri come catrame sgorgarono dalle pieghe dell’abito. La cute del demone era calda come brace, percorsa da una miriade di frammenti che scivolavano sottopelle, come insetti brulicanti. L’odore che emanava era di decomposizione e marciume, troppo simile a quello che aveva sentito vicino al porto, dove i pescatori scaricavano la merce avariata.
Will trattenne un conato e tirò, vincendo l’orrore e la paura di trovarsi con solo metà del corpo del demone fra le braccia. Era così fragile!
Il demone reagì gridando il suo incanto e muovendo le braccia ossute, cercando di scavare nel volto di Will solchi vermigli mentre l’unico occhio restava incollato all’evocazione. La figura si contorceva ancora, ora spaventosamente nitida. Si rigirava fra volute di fumo che somigliavano ad una città orribilmente martoriata, spazzata da piogge rosse e dense.
L’uomo si alzò in piedi, tremante, e protese un braccio verso il demone. Will lo vide e, nonostante il timore per la sua vita, non cedette: si puntellò sulle gambe e allontanò la figura da quella di Edward2, spingendolo al contempo lontano. L’uomo scivolò e afferrò una gamba di Will che scalciò, impazzito, lasciando la presa sul demone, che rise ancora, un’eco blasfemo e disumano che avrebbe potuto far sciogliere la terra.
Will si girò, cercando di fuggire, e la su mano destra toccò qualcosa di caldo e farinoso, spingendolo lontano.
E improvvisamente tutto fu sommerso da un rombo acuto e perforante. Il suono di mille grida di dolore invase la chiesa, scuotendone i vetri, e una densa foschia rossa scese a coprire ogni cosa. Gocce vermiglie e calde avvolsero i presenti, riempiendo l’aria dell’odore di ferro e acqua. Will rotolò sulla schiena, cercando di tappare le orecchie e lavare via quell’orrenda pioggia dal volto, e lo vide.
Il Diavolo non era più costretto entro il cerchio spezzato e correva intorno a loro, urlando di gioia vendicativa.
Era libero.

 
 


 
 
 
 1 Un incendio distrusse il palazzo di Westminster il 16 ottobre 1834. La sua ristrutturazione avvenne fra il 1840 e il 1870. La storia si svolge nel 1844.
2 A scanso di equivoci, no, non è un errore: Will, sovraeccitato, crede quasi di vedere il fratello nell’uomo sconosciuto.

 
 
 
Piccolo Spazio-Me: Innanzitutto, ciao! Sono Aleena/Releeshahn, l'autrice di questo capitolo. 
Come avrete capito, questa storia è nata grazie a My Pride e al suo contest Round Robin "Your destiny in my hands, your chance in the choice that you need". La minilong, composta da quattro capitoli, è scritta da me, Melian e Aurora_Boreale, di cui vi invito a visitare le pagine, se volete :) Ovviamente, ogni capitolo riporterà il nome dell'autore e il link al suo profilo EFP! 
Inizialmente guardavo all'idea con un po' di paura, ma sono felice di aver preso parte al progetto: è stato divertente e piacevole collaborare con le altre autrici! Perciò un grazie a loro...
... e a te, caro lettore, che sicuramente vorrai farci sapere cosa ne pensi di questo nostro piccolo esperimento ;)

Le immagini per i bannr sono state prese in prestito dalla galleria Deviantart di Zephyrhant. Fateci un giro, ne vale la pena ;)
  
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