Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Amor31    18/02/2015    3 recensioni
Una volta Jean si imbatté in una strana bambina taciturna, ma con il tempo se ne dimenticò.
Dunque fu profondamente sorpreso quando la incontrò di nuovo.
Allora non aveva ancora capito che il destino ingarbuglia e intreccia i fili della vita.
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- ATTENZIONE! SPOILER PER CHIUNQUE NON AVESSE VISTO IL SECONDO OAV -
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno in cui ci incontrammo

 

-Mamma, perché dobbiamo comprare le verdure?-.
-Perché ti fanno bene. E devi iniziare a seguire una dieta bilanciata-.
-Ma a me le verdure fanno schifo! Sono così... Verdi!-.
-Oh, poche storie. Andiamo al bancone dell'ortolano, subito-.
La donna afferrò il braccio del bambino e lo strattonò, facendogli cambiare di colpo direzione. I giocattoli che il piccolo aveva adocchiato avrebbero potuto aspettare: prima era bene che facessero provviste per tutta la settimana.
-Lì ci sono le caramelle!-, indicò lui, gli occhi luminosi e un sorriso a bocca spalancata. -Le prendiamo, mamma?-.
-Niente dolciumi, Jean. Ti ci vuole carne, verdura e frutta-.
-Uffa, però!-.
-Anzi, sai che facciamo? Se le troviamo, prenderemo delle carote per fare la salsa. Mi sembra che le carote ti piacciano, no?-.
-Ai cavalli piacciono le carote-, mise su il broncio il bambino, -io voglio le caramelle!-.
-Basta con i capricci. Se farai il bravo, mamma ti promette che per cena preparerà il tuo piatto preferito-.
Jean zittì di colpo e la guardò con occhi speranzosi, trattenendo il respiro: -Omelette?-.
La donna annuì con un sorriso e finalmente il bambino si decise a seguirla senza troppi piagnucolii.
Era un martedì mattina, giorno di mercato nel Distretto di Trost: le bancarelle si allineavano ordinatamente lungo le viuzze e i teloni allestiti dai commercianti si estendevano fino al Quartier Generale della Guarnigione. Di tanto in tanto tra i civili era possibile intercettare i militari a cui era stato assegnato il compito di mantenere l'ordine; non era raro che accadessero scaramucce tra clienti e venditori e in più di un caso si era dovuto ricorrere proprio all'intervento dei soldati per interrompere le liti.
-Selvaggina! Selvaggina cacciata stamattina!-, si sentiva urlare da un punto imprecisato; -Verdure fresche, signore! Le migliori da qui al Muro Sina!-, rispondeva qualcun altro, urlando ancor di più per attirare l'attenzione.
-Stoffe, pizzi e merletti! Cappelli e sciarpe per i vostri mariti!-.
-Fibbie di ricambio per la Manovra Tridimensionale! Signore, non vede come sono ridotte le sue? Non vorrà farsi cogliere impreparato dai suoi superiori?-, stava chiedendo un commerciante a un soldato dall'aria alticcia che si era avvicinato alla sua bancarella.
-Mamma, che cos'è la Manora Trimensionale?-, domandò Jean, passando accanto al militare e guardandolo dal basso. Gli sembrò molto, troppo alto.
-Si dice Manovra Tridimensionale-, lo corresse la madre, stringendo di più la sua mano. -È l'attrezzatura speciale che serve a quel signore per lavorare-, spiegò in fretta, quasi avesse paura di essere sentita.
-E a che serve?-.
-Per proteggere le persone-.
-Da cosa?-.
La donna sospirò ed evitò di rispondere. Jean era ancora un bambino e non era necessario che sapesse in che razza di mondo infernale fosse nato. No, no, sarebbe stato al sicuro finché sarebbe rimasto con lei.
-Mamma, a che serve?-.
-Buon giorno, signora!-, la salutò un'anziana seduta dietro un bancone, interrompendo così le domande pressanti del bambino. -Cosa le posso dare?-.
-Mi servirebbero delle carote, una pianta d'insalata e una manciata di funghi, se possibile-.
-Funghi non ne abbiamo-, ammise la donna dopo aver chiesto ulteriore conferma al marito, un signore magrissimo e forse più vecchio di lei che stava a stento in piedi. -Se non arriva l'autunno, non se ne parla-.
-Va bene, non fa niente... Allora avete ancora i pomodori?-.
-Come no!-, sorrise l'anziana, rivelando i cinque o sei denti rimasti a penzolare nella sua bocca. -Frutta? Ne vuole?-, domandò, mettendo nella stessa busta di carta sia carote e insalata sia pomodori.
-Una decina di mele andranno benissimo-, annuì, mettendo mano alla borsa di cuoio che portava a tracolla.
-Mamma, posso andare a vedere i giocattoli?-, la tirò per un braccio Jean.
-È un po’ tardi. Dobbiamo sbrigarci a tornare a casa, altrimenti chi lo preparerà il pranzo?-, gli fece notare sua madre, cercando il denaro in un taschino interno.
-Ma mi avevi promesso che…-.
-Signora, mi scusi, quant’è il totale?-, lo ignorò completamente la donna, tornando a rivolgersi all’anziana.
-Se non mi accompagni, ci andrò da solo!-, sbottò il bambino, voltandosi e iniziando ad allontanarsi velocemente.
-Jean, torna qui!-, urlò sua madre, guardandolo correre nella direzione opposta a quella da cui erano venuti. Lo vide superare il soldato che avevano incontrato poco prima e per un attimo le si fermò il cuore al pensiero che il figlio potesse essere bloccato dal militare come un criminale.
L’uomo però, ancora in discussione con il mercante che tentava di rifilargli nuove fibbie per la Manovra, non fece nemmeno caso al piccolo fuggitivo, ora mimetizzatosi in mezzo alla folla. La donna allora pagò in fretta l’anziana, si fece dare il giusto resto e poi partì alla ricerca del bambino, pensando già a come sgridarlo dopo averlo riacciuffato.
Nel frattempo Jean aveva raggiunto l’agognata bancarella dei giocattoli, accanto alla quale era posizionata quella delle caramelle. Se il bambino avesse avuto una minima cognizione delle leggi di mercato, avrebbe giudicato quella trovata vantaggiosa per entrambi i venditori, che si strofinavano soddisfatti le mani ogni volta che un bimbetto si avvicinava per dare un’occhiata, di solito trascinandosi dietro almeno uno dei genitori. Ma avendo appena cinque anni e ignorando completamente quale potesse essere il tornaconto dei commercianti, si limitò ad osservare con occhi spalancati tutte le meraviglie che aveva di fronte.
I colori e i profumi delle caramelle erano troppo invitanti: menta, miele, latte, frutti di bosco e quel giorno addirittura limone e arancia, segno che le risorse a sud del Muro Rose erano insolitamente fiorenti. Jean era sul punto di chiedere al mercante se potesse assaggiarne qualcuna prima dell’arrivo di sua madre, che si sarebbe sicuramente rifiutata di acquistarne un sacchetto, ma la smorfia impressa sul viso dell’uomo lo fece desistere e allora preferì rivolgersi ai giocattoli.
La prima cosa che notò fu un bellissimo cavallo a dondolo ornato con un panno rosso dalle decorazioni blu che fungeva da sella; accanto a lui, poggiate sul bancone, c’erano innumerevoli spade di legno di svariate dimensioni, alcune corredate anche di fodero. Jean si immaginò al galoppo come uno di quei cavalieri che aveva visto raffigurati su un libro di fiabe recentemente comprato da sua madre e si figurò l’impresa di sconfiggere un mostro gigantesco. Grazie a lui Trost era salva!
-Belle, vero?-, il commerciante gli fece un occhiolino complice. -Scegli pure quella che ti piace di più. Oh, buon giorno, signore! E ciao anche a questa signorina!-.
Jean spostò per un secondo l’attenzione dalle spade alle persone a cui il venditore si stava rivolgendo e ci mancò poco che rimanesse a bocca aperta per la sorpresa.
A pochi passi da lui si era fermata una bambina che doveva avere all’incirca la sua stessa età. Indossava un vestitino celeste che le arrivava appena sotto le ginocchia e un cappello dalla tesa larga le riparava lo sguardo dal sole, nascondendo appena lunghi capelli neri che le spolveravano le spalle. La teneva per mano un uomo dall’aria gioviale che Jean dedusse fosse il padre.
-Buon giorno-, il signore salutò il mercante. -Stavo cercando qualche bella bambola per mia figlia-.
-Certo, certo! Guardi pure da questa parte!-, gli rispose l’altro, indicando un contenitore alla destra di Jean. -Ho bambole di tutti i tipi, sa? Dimmi, piccola, come le preferisci? Di legno? Di pezza?-.
La bambina si fece più vicina e gettò un’occhiata all’interno del recipiente, poi scosse la testa.
-Non ti piacciono queste? Ho anche quelle di paglia…-.
Il commerciante prese una scatola da dietro il banco e la poggiò davanti alla ragazzina, estraendo una bambola dall’aria grezza.
-Posso vedere quelle di legno?-, chiese dopo qualche minuto la bambina, mentre il padre osservava ogni suo movimento.
-Sicuro! Ecco qui!-.
L’uomo scoprì un telo e rivelò i giocattoli sottostanti. Jean vide dei pupazzi di diverse dimensioni fare capolino con un’espressione enigmatica stampata sul volto.
-Queste sono carine-, riprese la parola il genitore della piccola, prendendo una bambola ed esaminandola. -Le preferisci alle altre?-.
-Sì-, rispose lei con voce sottile. -Vedi, papà? Adesso nessuna ha un vestito, ma quando tornerò a casa mamma mi aiuterà a cucirne tanti. Anche a lei piacciono le bambole di legno-.
Il padre le rivolse uno sguardo tenero e la incoraggiò ancora una volta a decidere quale esemplare prendere. Accanto a loro, Jean non smetteva di fissare quella strana bambina dal vestito color cielo.
-Ah, eccoti!-.
Una mano gli si poggiò sulla spalla e lui fu costretto a voltarsi, ritrovandosi faccia a faccia con sua madre.
-Si può sapere perché sei scappato? Vuoi farmi preoccupare?-.
-Ma mamma, ti ho detto che volevo vedere i giocattoli!-, protestò, puntando un piede a terra.
-Non mi interessa. E se non ti avessi ritrovato? Se qualcuno ti avesse portato via? Quante volte ti ho detto che devi darmi sempre la mano quando siamo al mercato?-.
Jean abbassò la testa. Odiava essere rimproverato e in quel momento detestò ancor di più sentire la voce di sua madre rimbombargli nelle orecchie: era una vergogna venire sgridato davanti a tutti. Soprattutto quando c’era nei paraggi una bambina della sua stessa età che sicuramente lo stava guardando o che comunque stava ascoltando la conversazione.
-Non trattarmi come un bimbo piccolo!-, le disse, strappando un sorriso divertito al mercante, che si stava godendo la scenetta da dietro il bancone. -Io non mi perdo-.
-Basta, adesso. Torniamo a casa-.
La donna gli afferrò il braccio, ma Jean si divincolò: -Mamma, per favore-, le disse, stavolta quasi supplicandola, -non andiamo via. Mi compri quel cavallo a dondolo? Così anche lui potrà mangiare un po’ di carote di quelle che hai comprato-.
-Non farmi perdere la pazienza-, replicò sbrigativa la madre. -Per come ti sei comportato oggi, non meriti nessun giocattolo-.
-Ti prego, ti prego, ti prego!-.
-Oh, e va bene-, si arrese alla fine, rendendosi conto che il figlio avrebbe dato inizio a una sceneggiata con tanto di pianto se non fosse intervenuta in qualche modo. -Ma dovrai accontentarti di qualcosa di più piccolo di un cavallo a dondolo-.
Rassicurato e di nuovo con il sorriso sulle labbra, Jean esaminò velocemente gli altri giochi esposti sulla bancarella. Accanto alle bambole di legno erano state poggiate delle trottole dall’aria non troppo costosa e così optò per prendere una tra quelle di dimensione maggiore. Tese il braccio e cercò di raggiungere la più vicina; allo stesso tempo, la bambina al suo fianco si sporse per afferrare una bambola che sembrava stesse giocando a nascondino rifugiandosi dietro le compagne.
Fu una frazione di secondo: le mani dei due piccoli si incontrarono a metà strada, sfiorandosi reciprocamente.
Jean sobbalzò e ritirò il braccio come se si fosse scottato. Al contrario, la ragazzina, rimasta immobile per pochi attimi, prese la bambola su cui era ricaduta la sua scelta e guardò il coetaneo senza dire una parola.
Imbarazzato, Jean alzò di nuovo gli occhi su di lei e le sorrise, sperando che lei facesse lo stesso. Le sue aspettative, però, vennero ben presto deluse.
-Volevi questa?-, gli domandò il mercante, porgendogli la trottola agognata.
-S-sì-, rispose. -Grazie-.
-Sei sicuro che vada bene? Non è che la settimana prossima vorrai un altro giocattolo, vero?-, insistette sua madre.
Jean scosse la testa e la donna domandò il prezzo; estrasse dalla borsa le ultime monete rimaste e disse a gran voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare: -Ah, i bambini! Vivono di capricci-.
-Signora, ci vuole pazienza-, le sorrise incoraggiante il padre della piccola, che adesso stringeva a sé la bambola prediletta.
-Questo è vero-, annuì lei. -Ma… Perdoni l’indiscrezione, non siete di Trost, giusto? Non mi sembra di avervi mai visti da queste parti-.
-Non sbaglia. Io e mia moglie abitiamo all’interno del Muro Maria, in aperta campagna. Di tanto in tanto vengo in città per procurarmi utensili o giocattoli per la bambina-, indicò la figlia, -ed è normale che non ci siamo mai incontrati. Lei invece è di qui, sì?-.
-Nata e cresciuta a Trost, esatto-, asserì la donna. -Piacerebbe anche a me vivere fuori dal centro urbano, ma con un figlio da crescere preferisco avere le comodità della città-.
-Immagino-, concordò l’uomo, versando nel palmo del mercante il corrispettivo per la bambola appena acquistata. -Ma adesso credo proprio che sia il caso di andare o tua madre starà in pensiero-, disse, rivolgendosi alla sua piccola. -Signora, è stato un piacere conoscerla. Ciao, ometto-, salutò Jean, che aveva ancora gli occhi fissi sulla coetanea. -Andiamo, tesoro-, chiamò una seconda volta la bambina, prendendola per mano.
Ben presto i due si confusero tra la folla e alla signora Kirschtein non rimase altro che congedarsi dal mercante, riprendendo così la strada di casa.
-Che famiglia deliziosa-, commentò la donna, stringendo forte la manina del figlio. -Non era carina quella bambina?-.
Jean non rispose. Sentì solo il cuore battere un po’ più forte ed interiormente si disse che sì, quella strana ragazzina doveva essere speciale.
-Aveva dei bei capelli neri-, esalò appena, rivolto più a se stesso che a sua madre. -Capelli lisci e neri-.

 

***

 

Era strano.
Stava pensando a cosa poter disegnare quando di colpo quel ricordo era riaffiorato alla sua mente, limpido come se quell’incontro fosse avvenuto il giorno precedente.
Jean premette la punta della matita contro le labbra e rifletté ancora. Era sicuro di aver dimenticato la strana bambina conosciuta tanti anni prima e d’improvviso eccola riapparire davanti ai suoi occhi. Poteva chiaramente vedere i lineamenti del suo viso, il vestito che indossava, il cappello calcato sulla nuca.
E i capelli, certo. Da allora non ne aveva più visti di così belli.
“Chissà dove sarà, adesso?”, si domandò, mentre l’impulso di disegnarla diventava sempre più forte. “Chissà se si ricorderà ancora di me?”.
Tratteggiò il suo volto con cura, senza calcare troppo. Avrebbe voluto che dalla matita scaturisse l’immagine perfetta di quel viso delicato, ma dovette accontentarsi di un ritratto basato sulla pura e semplice memoria.
Qualche mese dopo, con somma sorpresa, l’avrebbe vista di nuovo e nell’ultimo contesto in cui si sarebbe mai immaginato di rintracciarla.
L’avrebbe trovata più forte, più alta, più bella. L’avrebbe vista ormai donna.
E alla prima occorrenza le avrebbe rivolto quel complimento che già da bambino gli aveva sfiorato le labbra in occasione del loro incontro fortuito: “Hai dei capelli neri bellissimi”.
In risposta avrebbe udito un semplice “Grazie” sbocciare dalla rosea bocca di Mikasa Ackerman.

   
 
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