Il
giorno in cui ci incontrammo
-Mamma,
perché dobbiamo comprare le
verdure?-.
-Perché ti fanno bene. E devi iniziare
a seguire una dieta bilanciata-.
-Ma a me le verdure fanno schifo! Sono
così... Verdi!-.
-Oh, poche storie. Andiamo al bancone dell'ortolano,
subito-.
La donna afferrò il braccio del
bambino e lo strattonò, facendogli cambiare di colpo
direzione. I giocattoli
che il piccolo aveva adocchiato avrebbero potuto aspettare: prima era
bene che
facessero provviste per tutta la settimana.
-Lì ci sono le caramelle!-, indicò
lui, gli occhi luminosi e un sorriso a bocca spalancata. -Le prendiamo,
mamma?-.
-Niente dolciumi, Jean. Ti ci vuole
carne, verdura e frutta-.
-Uffa, però!-.
-Anzi, sai che facciamo? Se le
troviamo, prenderemo delle carote per fare la salsa. Mi sembra che le
carote ti
piacciano, no?-.
-Ai cavalli piacciono le carote-, mise
su il broncio il bambino, -io voglio le caramelle!-.
-Basta con i capricci. Se farai il
bravo, mamma ti promette che per cena preparerà il tuo
piatto preferito-.
Jean zittì di colpo e la guardò con
occhi speranzosi, trattenendo il respiro: -Omelette?-.
La donna annuì con un sorriso e
finalmente il bambino si decise a seguirla senza troppi piagnucolii.
Era un martedì mattina, giorno di
mercato nel Distretto di Trost: le bancarelle si allineavano
ordinatamente
lungo le viuzze e i teloni allestiti dai commercianti si estendevano
fino al
Quartier Generale della Guarnigione. Di tanto in tanto tra i civili era
possibile intercettare i militari a cui era stato assegnato il compito
di
mantenere l'ordine; non era raro che accadessero scaramucce tra clienti
e
venditori e in più di un caso si era dovuto ricorrere
proprio all'intervento
dei soldati per interrompere le liti.
-Selvaggina! Selvaggina cacciata
stamattina!-, si sentiva urlare da un punto imprecisato; -Verdure
fresche,
signore! Le migliori da qui al Muro Sina!-, rispondeva qualcun altro,
urlando
ancor di più per attirare l'attenzione.
-Stoffe, pizzi e merletti! Cappelli e
sciarpe per i vostri mariti!-.
-Fibbie di ricambio per la Manovra
Tridimensionale! Signore, non vede come sono ridotte le sue? Non
vorrà farsi
cogliere impreparato dai suoi superiori?-, stava chiedendo un
commerciante a un
soldato dall'aria alticcia che si era avvicinato alla sua bancarella.
-Mamma, che cos'è la Manora
Trimensionale?-, domandò Jean,
passando accanto al militare e guardandolo dal basso. Gli
sembrò molto, troppo
alto.
-Si dice Manovra Tridimensionale-, lo
corresse la madre, stringendo di più la sua mano.
-È l'attrezzatura speciale
che serve a quel signore per lavorare-, spiegò in fretta,
quasi avesse paura di
essere sentita.
-E a che serve?-.
-Per proteggere le persone-.
-Da cosa?-.
La donna sospirò ed evitò di
rispondere. Jean era ancora un bambino e non era necessario che sapesse
in che
razza di mondo infernale fosse nato. No, no, sarebbe stato al sicuro
finché
sarebbe rimasto con lei.
-Mamma, a che serve?-.
-Buon giorno, signora!-, la salutò
un'anziana seduta dietro un bancone, interrompendo così le
domande pressanti
del bambino. -Cosa le posso dare?-.
-Mi servirebbero delle carote, una
pianta d'insalata e una manciata di funghi, se possibile-.
-Funghi non ne abbiamo-, ammise la
donna dopo aver chiesto ulteriore conferma al marito, un signore
magrissimo e
forse più vecchio di lei che stava a stento in piedi. -Se
non arriva l'autunno,
non se ne parla-.
-Va bene, non fa niente... Allora
avete ancora i pomodori?-.
-Come no!-, sorrise l'anziana,
rivelando i cinque o sei denti rimasti a penzolare nella sua bocca.
-Frutta? Ne
vuole?-, domandò, mettendo nella stessa busta di carta sia
carote e insalata
sia pomodori.
-Una decina di mele andranno
benissimo-, annuì, mettendo mano alla borsa di cuoio che
portava a tracolla.
-Mamma, posso andare a vedere i
giocattoli?-, la tirò per un braccio Jean.
-È un po’ tardi. Dobbiamo sbrigarci a
tornare a casa, altrimenti chi lo preparerà il pranzo?-, gli
fece notare sua
madre, cercando il denaro in un taschino interno.
-Ma mi avevi promesso che…-.
-Signora, mi scusi, quant’è il
totale?-, lo ignorò completamente la donna, tornando a
rivolgersi all’anziana.
-Se non mi accompagni, ci andrò da
solo!-, sbottò il bambino, voltandosi e iniziando ad
allontanarsi velocemente.
-Jean, torna qui!-, urlò sua madre,
guardandolo correre nella direzione opposta a quella da cui erano
venuti. Lo
vide superare il soldato che avevano incontrato poco prima e per un
attimo le
si fermò il cuore al pensiero che il figlio potesse essere
bloccato dal
militare come un criminale.
L’uomo però, ancora in discussione con
il mercante che tentava di rifilargli nuove fibbie per la Manovra, non
fece
nemmeno caso al piccolo fuggitivo, ora mimetizzatosi in mezzo alla
folla. La
donna allora pagò in fretta l’anziana, si fece
dare il giusto resto e poi partì
alla ricerca del bambino, pensando già a come sgridarlo dopo
averlo
riacciuffato.
Nel frattempo Jean aveva raggiunto
l’agognata bancarella dei giocattoli, accanto alla quale era
posizionata quella
delle caramelle. Se il bambino avesse avuto una minima cognizione delle
leggi
di mercato, avrebbe giudicato quella trovata vantaggiosa per entrambi i
venditori, che si strofinavano soddisfatti le mani ogni volta che un
bimbetto
si avvicinava per dare un’occhiata, di solito trascinandosi
dietro almeno uno
dei genitori. Ma avendo appena cinque anni e ignorando completamente
quale
potesse essere il tornaconto dei commercianti, si limitò ad
osservare con occhi
spalancati tutte le meraviglie che aveva di fronte.
I colori e i profumi delle caramelle
erano troppo invitanti: menta, miele, latte, frutti di bosco e quel
giorno
addirittura limone e arancia, segno che le risorse a sud del Muro Rose
erano
insolitamente fiorenti. Jean era sul punto di chiedere al mercante se
potesse
assaggiarne qualcuna prima dell’arrivo di sua madre, che si
sarebbe sicuramente
rifiutata di acquistarne un sacchetto, ma la smorfia impressa sul viso
dell’uomo lo fece desistere e allora preferì
rivolgersi ai giocattoli.
La prima cosa che notò fu un
bellissimo cavallo a dondolo ornato con un panno rosso dalle
decorazioni blu
che fungeva da sella; accanto a lui, poggiate sul bancone,
c’erano innumerevoli
spade di legno di svariate dimensioni, alcune corredate anche di
fodero. Jean
si immaginò al galoppo come uno di quei cavalieri che aveva
visto raffigurati
su un libro di fiabe recentemente comprato da sua madre e si
figurò l’impresa
di sconfiggere un mostro gigantesco. Grazie a lui Trost era salva!
-Belle, vero?-, il commerciante gli
fece un occhiolino complice. -Scegli pure quella che ti piace di
più. Oh, buon
giorno, signore! E ciao anche a questa signorina!-.
Jean spostò per un secondo
l’attenzione dalle spade alle persone a cui il venditore si
stava rivolgendo e
ci mancò poco che rimanesse a bocca aperta per la sorpresa.
A pochi passi da lui si era fermata
una bambina che doveva avere all’incirca la sua stessa
età. Indossava un
vestitino celeste che le arrivava appena sotto le ginocchia e un
cappello dalla
tesa larga le riparava lo sguardo dal sole, nascondendo appena lunghi
capelli neri
che le spolveravano le spalle. La teneva per mano un uomo
dall’aria gioviale
che Jean dedusse fosse il padre.
-Buon giorno-, il signore salutò il
mercante. -Stavo cercando qualche bella bambola per mia figlia-.
-Certo, certo! Guardi pure da questa
parte!-, gli rispose l’altro, indicando un contenitore alla
destra di Jean. -Ho
bambole di tutti i tipi, sa? Dimmi, piccola, come le preferisci? Di
legno? Di
pezza?-.
La bambina si fece più vicina e gettò
un’occhiata all’interno del recipiente, poi scosse
la testa.
-Non ti piacciono queste? Ho anche
quelle di paglia…-.
Il commerciante prese una scatola da
dietro il banco e la poggiò davanti alla ragazzina,
estraendo una bambola
dall’aria grezza.
-Posso vedere quelle di legno?-,
chiese dopo qualche minuto la bambina, mentre il padre osservava ogni
suo
movimento.
-Sicuro! Ecco qui!-.
L’uomo scoprì un telo e rivelò i
giocattoli sottostanti. Jean vide dei pupazzi di diverse dimensioni
fare
capolino con un’espressione enigmatica stampata sul volto.
-Queste sono carine-, riprese la
parola il genitore della piccola, prendendo una bambola ed
esaminandola. -Le
preferisci alle altre?-.
-Sì-, rispose lei con voce sottile.
-Vedi, papà? Adesso nessuna ha un vestito, ma quando
tornerò a casa mamma mi
aiuterà a cucirne tanti. Anche a lei piacciono le bambole di
legno-.
Il padre le rivolse uno sguardo tenero
e la incoraggiò ancora una volta a decidere quale esemplare
prendere. Accanto a
loro, Jean non smetteva di fissare quella strana bambina dal vestito
color
cielo.
-Ah, eccoti!-.
Una mano gli si poggiò sulla spalla e
lui fu costretto a voltarsi, ritrovandosi faccia a faccia con sua madre.
-Si può sapere perché sei scappato?
Vuoi farmi preoccupare?-.
-Ma mamma, ti ho detto che volevo
vedere i giocattoli!-, protestò, puntando un piede a terra.
-Non mi interessa. E se non ti avessi
ritrovato? Se qualcuno ti avesse portato via? Quante volte ti ho detto
che devi
darmi sempre la mano quando siamo al mercato?-.
Jean abbassò la testa. Odiava essere
rimproverato e in quel momento detestò ancor di
più sentire la voce di sua
madre rimbombargli nelle orecchie: era una vergogna venire sgridato
davanti a
tutti. Soprattutto quando c’era nei paraggi una bambina della
sua stessa età
che sicuramente lo stava guardando o che comunque stava ascoltando la
conversazione.
-Non trattarmi come un bimbo
piccolo!-, le disse, strappando un sorriso divertito al mercante, che
si stava
godendo la scenetta da dietro il bancone. -Io non mi perdo-.
-Basta, adesso. Torniamo a casa-.
La donna gli afferrò il braccio, ma
Jean si divincolò: -Mamma, per favore-, le disse, stavolta
quasi supplicandola,
-non andiamo via. Mi compri quel cavallo a dondolo? Così
anche lui potrà
mangiare un po’ di carote di quelle che hai comprato-.
-Non farmi perdere la pazienza-,
replicò sbrigativa la madre. -Per come ti sei comportato
oggi, non meriti
nessun giocattolo-.
-Ti prego, ti prego, ti prego!-.
-Oh, e va bene-, si arrese alla fine,
rendendosi conto che il figlio avrebbe dato inizio a una sceneggiata
con tanto
di pianto se non fosse intervenuta in qualche modo. -Ma dovrai
accontentarti di
qualcosa di più piccolo di un cavallo a dondolo-.
Rassicurato e di nuovo con il sorriso
sulle labbra, Jean esaminò velocemente gli altri giochi
esposti sulla
bancarella. Accanto alle bambole di legno erano state poggiate delle
trottole
dall’aria non troppo costosa e così
optò per prendere una tra quelle di
dimensione maggiore. Tese il braccio e cercò di raggiungere
la più vicina; allo
stesso tempo, la bambina al suo fianco si sporse per afferrare una
bambola che
sembrava stesse giocando a nascondino rifugiandosi dietro le compagne.
Fu una frazione di secondo: le mani
dei due piccoli si incontrarono a metà strada, sfiorandosi
reciprocamente.
Jean sobbalzò e ritirò il braccio come
se si fosse scottato. Al contrario, la ragazzina, rimasta immobile per
pochi
attimi, prese la bambola su cui era ricaduta la sua scelta e
guardò il coetaneo
senza dire una parola.
Imbarazzato, Jean alzò di nuovo gli
occhi su di lei e le sorrise, sperando che lei facesse lo stesso. Le
sue
aspettative, però, vennero ben presto deluse.
-Volevi questa?-, gli domandò il
mercante, porgendogli la trottola agognata.
-S-sì-, rispose. -Grazie-.
-Sei sicuro che vada bene? Non è che
la settimana prossima vorrai un altro giocattolo, vero?-, insistette
sua madre.
Jean scosse la testa e la donna
domandò il prezzo; estrasse dalla borsa le ultime monete
rimaste e disse a gran
voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare: -Ah, i bambini! Vivono
di
capricci-.
-Signora, ci vuole pazienza-, le
sorrise incoraggiante il padre della piccola, che adesso stringeva a
sé la
bambola prediletta.
-Questo è vero-, annuì lei. -Ma…
Perdoni l’indiscrezione, non siete di Trost, giusto? Non mi
sembra di avervi
mai visti da queste parti-.
-Non sbaglia. Io e mia moglie abitiamo
all’interno del Muro Maria, in aperta campagna. Di tanto in
tanto vengo in
città per procurarmi utensili o giocattoli per la bambina-,
indicò la figlia,
-ed è normale che non ci siamo mai incontrati. Lei invece
è di qui, sì?-.
-Nata e cresciuta a Trost, esatto-,
asserì la donna. -Piacerebbe anche a me vivere fuori dal
centro urbano, ma con
un figlio da crescere preferisco avere le comodità della
città-.
-Immagino-, concordò l’uomo, versando
nel palmo del mercante il corrispettivo per la bambola appena
acquistata. -Ma
adesso credo proprio che sia il caso di andare o tua madre
starà in pensiero-,
disse, rivolgendosi alla sua piccola. -Signora, è stato un
piacere conoscerla.
Ciao, ometto-, salutò Jean, che aveva ancora gli occhi fissi
sulla coetanea.
-Andiamo, tesoro-, chiamò una seconda volta la bambina,
prendendola per mano.
Ben presto i due si confusero tra la
folla e alla signora Kirschtein non rimase altro che congedarsi dal
mercante,
riprendendo così la strada di casa.
-Che famiglia deliziosa-, commentò la
donna, stringendo forte la manina del figlio. -Non era carina quella
bambina?-.
Jean non rispose. Sentì solo il cuore
battere un po’ più forte ed interiormente si disse
che sì, quella strana
ragazzina doveva essere speciale.
-Aveva dei bei capelli neri-, esalò
appena, rivolto più a se stesso che a sua madre. -Capelli
lisci e neri-.
***
Era
strano.
Stava pensando a
cosa poter disegnare quando di colpo quel ricordo
era riaffiorato alla sua mente, limpido come se
quell’incontro fosse avvenuto
il giorno precedente.
Jean premette la
punta della matita contro le labbra e rifletté
ancora. Era sicuro di aver dimenticato la strana bambina conosciuta
tanti anni
prima e d’improvviso eccola riapparire davanti ai suoi occhi.
Poteva
chiaramente vedere i lineamenti del suo viso, il vestito che indossava,
il
cappello calcato sulla nuca.
E i capelli, certo.
Da allora non ne aveva più visti di così belli.
“Chissà
dove sarà, adesso?”, si domandò, mentre
l’impulso di
disegnarla diventava sempre più forte.
“Chissà se si ricorderà ancora di
me?”.
Tratteggiò
il suo volto con cura, senza calcare troppo. Avrebbe
voluto che dalla matita scaturisse l’immagine perfetta di
quel viso delicato,
ma dovette accontentarsi di un ritratto basato sulla pura e semplice
memoria.
Qualche mese dopo,
con somma sorpresa, l’avrebbe vista di nuovo e
nell’ultimo contesto in cui si sarebbe mai immaginato di
rintracciarla.
L’avrebbe
trovata più forte, più alta, più bella. L’avrebbe vista
ormai donna.
E alla prima
occorrenza le avrebbe rivolto quel complimento che già
da bambino gli aveva sfiorato le labbra in occasione del loro incontro
fortuito: “Hai dei capelli neri bellissimi”.
In risposta avrebbe
udito un semplice “Grazie” sbocciare dalla
rosea bocca di Mikasa Ackerman.