Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Jawn Dorian    18/02/2015    2 recensioni
“Lei deve parlare di Sherlock Holmes.”
Non ci sono mezze misure.
A quanto pare ci sono una marea di cose che non ti ho detto, Sherlock.
{ Post Reichembach || Missing Moment || Tutto quello che John non ha mai detto }
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ogni Holmes deve avere il suo Watson'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Angolo dell’autrice
C’è un problema.
 Il problema è che ho una marea di cose da spiegarvi su questa storia e non so come spiegarvele.
Non lo so, come si fa in questi casi? Vi faccio una lista?
Facciamo la lista.
 
Punto uno: questo è una specie di esperimento. La prima parte, quella in grassetto, è tutto un grande flash back di cui non sono molto soddisfatta. Mi sono resa conto che la narrazione nella seconda parte della storia è quasi completamente inutile, quindi ce n’è davvero ma davvero poca, ed è quasi unicamente un dialogo. Quello che volevo fare era esplorare appieno il lutto di John e il suo rapporto con Sherlock poco dopo la caduta, sfruttando una delle sedute con la psicanalista.
 
Punto due: vi do la possibilità di interpretare questa storia come volete. Se proprio vi piace lo Slash, prego. Altrimenti potete unirvi a me nell’angolo remoto e sconosciuto del team bromance a sperare che qualcuno venga a tirarci fuori da questo pozzo, un bel giorno. Quindi no, per quanto mi riguarda niente Johnlock, ma immagino che ognuno poi leggendo questo bell’ammasso di melassa e bei sentimenti possa immaginarsi quel che vuole. Il mondo è bello perché è vario, mi dicono.
 
Punto tre: da un po’ di tempo volevo cambiare tema e soffermarmi su qualche altro personaggio come Molly, o Greg,  o Mary che Gesùssanto li amo tutti e tre talmente tanto…ma poi, non so come, sono tornata da John strisciando. Non so perché, torno sempre da lui. Sarà perché voglio il suo coraggio.
Per ora, l’unica cosa che ho in comune con John Watson è la mia personale Sherlock Holmes.
Ecco, diciamo che è più o meno grazie a lei se sono arrivata a quasi tutte le conclusioni che leggerete qui.
Scusate il papiro. E buona lettura a chi ne ha ancora voglia dopo sta menata di undici ore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Tutto quello che avrebbe voluto dire, ma non lo ha detto…lo dica ora.”
“Mi dispiace. Non posso.”

A quanto pare ci sono una marea di cose che non ti ho detto, Sherlock.




 
Unsaid
 
 
 

John sa bene e più di chiunque altro quanto Sherlock – oltre ad ascoltare - odi parlare.
E non parlare nel senso da lui definito ‘costruttivo del termine’, come elucubrare una teoria ad alta voce, o ragionare ad alta voce per chiarirsi le idee.
Lui odia parlare nel senso che odia confidarsi, chiacchierare normalmente del tempo, della politica, dello sport, della regina e di qualsiasi altra cosa che non sia un dannato omicidio.
Non che John non abbia provato ad attaccare bottone. Ha tentato in tutti i modi, ma niente. Sherlock  è come una macchina, risponde solo ad argomenti che reputa compatibili con il suo sistema di funzionamento.
E quindi è inutile – pensa John mentre si infila la giacca – che si lamenti se ora deve uscire con Mike a bersi una pinta al pub. Che diamine, almeno con lui si può trascorrere una serata senza foto di cadaveri appese sul muro. Si guarda la partita, si beve, si ride, si scherza  e tanti saluti.
“Noioso” sibila Sherlock dal divano.
“Stai zitto” ribadisce John ormai prossimo all’aprire la porta d’ingresso.
Accade un piccolo miracolo. Di quelli che John cataloga come miracoli, se non altro.
Sherlock è in piedi. La sua mano e chiusa su un lembo della giacca di John.
“Cosa diavolo-“
Il medico non riesce a finire la frase. Sherlock lo sta guardando.
E John riconosce un altro miracolo nei suoi occhi. Quelle poche, pochissime volte, in cui Sherlock sta implorando ‘rimani’, senza dirlo davvero.
“Ok, vuoi che rimanga.”
“Non l’ho detto.”
“Ma vuoi che rimanga.”
Sherlock sbuffa, quasi offeso dal fatto che qualcuno abbia dedotto qualcosa al suo posto, e guarda altrove stringendo le labbra. John sorride.
“Allora facciamo così. Io rimango, ma tu ora prendi due lattine di birra dal frigo e parliamo.”
Il detective si blocca e guarda John come se quest’ultimo gli avesse chiesto di urinare per innaffiare le piante. “Non abbiamo birre.”
“Oh sì che le abbiamo. Le ho comprate io.”
Sherlock ha appena aperto bocca, ma John gli ha lanciato una lattina in mano.
“E di che cosa dovremmo parlare?”
“Sai, accentui la parola ‘parlare’ con un certo disprezzo, per uno che ama ascoltare il suono della sua voce.”
John non potrebbe essere più fiero di sé: Sherlock ha prodotto una delle smorfie offese più divertenti che lui abbia mai visto, e lui quasi fa fatica a trattenersi dal ridere.
“Parliamo del fatto che ti chiamano Hat-man, ad esempio” inizia Watson, abbandonandosi sulla poltrona ed indicando i giornali, sulla quale capeggia in prima pagina una loro foto.
 “Hai una vaga idea di cosa significhi?”
“Ad essere sincero  no. E non vedo perché dovrei.”
“Lo sospettavo. E’ un gioco di parole. Ti paragonano a Batman, Sherlock.”
“Che diavolo è Batman?”
John ride forte, e non  può credere di averlo fatto senza neppure aver dato un sorso alla sua lattina di birra.
“E’ un supereroe!”
“E…’Robin’…tu saresti Robin, giusto? “ domanda Holmes scrutando il giornale con deferenza “Anche quello è un supereroe?”
“Beh, no. Robin è…l’assistente di Batman. Lo aiuta a combattere i criminali, e- Sherlock, mi stai ascoltando?”
Sherlock ha agguantato il cellulare con la mano libera dalla lattina, e ora armeggia con la tastiera con un vigore insolito per lui.
“Che cosa stai-“
“Faccio delle ricerche per verificare se questi  Batman e Robin ci somigliano davvero.”
John ride ancora, per la seconda volta. E – nota di nuovo – senza aver bevuto neanche un goccio.
E – nota con ancora maggiore soddisfazione – anche Sherlock ridacchia.
La serata si riempie di risate, episodi memorabili, e imitazioni di John di Robin, che culminano con la sua spettacolare caduta sul tappeto, e la risata sguaiata di Sherlock.
La notte li abbraccia come se fossero due ragazzini adolescenti, si avventurano in memorie di casi che hanno risolto con successo e ricordi di discussioni che invece non sono mai state trattate con la dovuta attenzione.
Si chiedono a vicenda quand’è che John ha acquisito l’abitudine di seguire Sherlock senza che lui glie lo chiedesse neanche più. John è diventato un’ombra molto meno silenziosa delle altre, e quando tutti e due giungono alla conclusione che non c’è mai stato un vero e proprio momento che ha dato inizio a tutto, entrambi pensano allo Studio in Rosa, al colpo sparato da John da quella finestra, a Sherlock e il suo ristorante cinese, a quando si sono scelti silenziosamente per diventare due anime in sintonia sulla cresta dell’onda della vita.
Ma nessuno dei due lo dice.
Nessuno ha mai detto niente a riguardo.
Quando  alzano gli occhi per controllare l’ora John si è scolato già tre lattine di birra mentre quella di Sherlock è ancora piena per metà…e sono le tre di notte.
Sherlock Holmes si riscuote.
“Che…che cosa è successo?”
“E’ passato il tempo, Sherlock.”
Guarda fisso John, come se cercasse una spiegazione plausibile al fatto che quando si sono seduti a parlare erano le nove di sera, ed ora sono le tre del mattino.
“Non…mi sono fissato riflettendo, vero?”
“No.”
John sorride vittorioso.
Un giorno troverà la forza di spiegargli che quella che hanno appena passato è stata una splendida e divertente serata. Di quelle che passano le persone normali e noiose.
Quando si tratta di Sherlock – ammette a sé stesso John – nulla riesce ad essere ordinario.
“Sherlock?”
Dillo, John.
Sei il mio migliore amico. Nessun amico mi farà mai ridere così. Nessuno mi salverà mai la vita.
Come hai fatto tu.
Dillo.
“Sì?”
“Niente.”
Non lo capirebbe.
 
 
 
 



 
 
 
 
 
A quanto pare ci sono una marea di cose che non ti ho detto, Sherlock.
 
“John, io non capisco.”
John non sta seduto composto come al solito. Ha la testa tra le mani.
“Lei deve parlare di Sherlock Holmes.”
Non ci sono mezze misure. La sua psicanalista gli ricorda quasi il suo Comandante in Afghanistan.
“Lei non può capire.”
Assume solo per un secondo il cipiglio alla ‘ho una laurea’, poi si ricompone.
“Tutto quello che avrebbe voluto dire ma non ha detto…”
“No-“
“Lo dica ora.”
“No, davvero, non-“
“Lo dica ora, John. Dica tutto quello che ha sempre pensato su Sherlock Holmes. “
John la guarda quasi implorante.
Perché è come chiedere di spiegare la teoria delle stringhe in due parole, o di fare il riassunto dell’enciclopedia mondiale in cinque righe.
“Non posso. Glie l’ho già detto, non posso. Non c’è un modo per spiegarlo a parole.”
“Ci provi. Sono disposta a stare qui tutto il giorno, John. Purchè lei mi dica le cose che doveva dire.
Deve dirmi cosa ha provato…cosa prova per Sherlock Holmes, John. E non perché lo possa ascoltare io, ma perché possa ascoltarlo lei.”
“No” il sorriso nervoso si fa avanti “no, lei è convinta come gli altri che avessimo una relazione, giusto? Lei pensa che sia così, no? Non è diversa dai giornalisti…lei vuole ascoltare il discorso funebre che non ho mai tenuto.”
C’è qualcosa nello sguardo della dottoressa che per un attimo gli ricorda Sherlock.
Troppe cose gli ricordano Sherlock, ultimamente.
“Non devo essere io  ad ascoltarlo, glie l’ho già detto. Lei. Deve farlo, John, o non capirà mai cosa ha perso.
Me lo dica, avanti. Cosa ha perso?”
“Il mio coinquilino.”
“E poi?”
“Il mio migliore amico…il più grande amico che io abbia mai avuto.”
“E poi?”
“Il mio…il mio salvatore. Mi ha salvato. E’ lui che mi ha salvato.”
La voce di John trema. Chiude gli occhi.
“E poi?”
“La prego, basta…cos’altro vuole che le dica?”
“Tutto. Assolutamente tutto. Me lo spieghi. Mi spieghi Sherlock Holmes. Mi spieghi cos’era per lei.”
Riapre gli occhi.
Oh, lui conosce Sherlock Holmes, ma spiegarlo è un’altra storia. Una storia lunga e complicata.
E conosce anche i sentimenti che provava- che prova per lui. Ma spiegarli è un’altra storia. Una storia più che difficile, quasi impossibile.
“Sherlock era…era un consulente investigativo. L’unico al mondo. E…non lo dico solo per introdurlo, era…era praticamente la prima cosa che si notava in lui, la prima cosa che colpiva. Faceva un lavoro straordinario. E io ne facevo parte, capisce? Io…ne facevo parte.”
Gli lasciò un attimo di tregua, poi con un cenno lo spinse a riprendere.
“Era un idiota. Uno stronzo egocentrico ed indelicato. Mi ha umiliato di fronte a tante di quelle ragazze che non capisco come ho fatto a non soffocarlo nel sonno. Le assicuro, la vedevamo in modo così incredibilmente diverso su tante di quelle cose…una volta ci siamo anche picchiati.
Ma…c’era questa specie di equilibrio. Io non so davvero come spiegarlo. Quasi tutto quello che faceva in casa nostra era socialmente inaccettabile eppure io…io…non lo so. Io ho cominciato a…ad apprezzarlo.
Tutti…tutti quegli esperimenti…quegli…il violino…io…erano casa mia. Erano diventati casa mia.”
Pausa.
“Sherlock era casa mia.”
L’ombra di un sorriso si fa strada sulle labbra della psicanalista, mentre John sente le ginocchia tremare.
“Quindi eravate solo amici?”
Il tremito si ferma.  John alza gli occhi, e un che di minaccioso gli infiamma lo sguardo.
Solo amici. Dio. Sono stufo marcio di sentire questa tiritera. Solo amici. Se è quello che si sta chiedendo, no: non avevamo una relazione. Ma – Dio – il termine ‘solo amici’ è così ridicolo.”
“Perché?”
Sente qualcosa serpeggiare nel petto. Forse ora riuscirà a spiegarlo. Forse lei capirà.
“Ha presente il concetto di amico? Quello che viene a farsi una birra con te? Con cui guardi la partita? Che ti da una bella pacca sulla spalla per salutarti? Lo dimentichi. Lo cancelli. Da questo punto di vista, Sherlock Holmes per me non era un amico.”
“Perché? In che senso era sua amico?”
Sulla faccia di John compare un sorriso dei più amari esistenti.
“Una volta, una sera, mi sono preoccupato per lui. Non la annoierò con i dettagli, ma ero veramente preoccupato. E gli ho pregato di darmi ascolto perché ero suo amico. E lui mi ha risposto, furioso, che lui non aveva amici.”
Il sorriso amaro diventa triste, ma poi si illumina e diventa un sorriso vero.
“Mi sono sentito ferito. Ero convinto di significare qualcosa nella sua vita. Oddio, quanto suona stupido. Ero convinto che in quella mente smisurata ci fosse un minimo di spazio per le nostre stupide battute…per le nostre colazioni, e le teste nel frigo e…le serate insieme che le passavamo per caso, perché davvero, era un’impresa tentare di rendere Sherlock Holmes un normale umano che guarda un film e ti chiede come è andata al lavoro, glie lo giuro.”
Stavolta è la donna a sorridere. Glie lo concede, Sherlock è un’esperienza dannatamente divertente da raccontare in giro.
“Il giorno dopo…’Quello che ho detto ieri è vero, John. Io non ho amici. Ne ho soltanto uno.’ Ha usato queste parole esatte.”
“E lei se le ricorda.”
“Non le dimenticherò mai. E, Gesù, non posso credere che lo sto dicendo sul serio…Dio, suona così…così stucchevole, non è proprio adatto a Sherlock. Non è adatto. Ma è così: era il mio migliore amico. E non so dove sta scritto che il tuo migliore amico non può essere la persona più presente nella tua vita.”
Crede di aver concluso. No. C’è ancora qualcosa che gli ribolle dentro.
“Allora è questo. Un amore platonico?”
“Lo chiami come accidenti vuole. Glie l’ho detto che non si può spiegare a parole. Ma…’solo amici’. Mio Dio.
Amici non è abbastanza? Se è Sherlock Holmes, le assicuro che non c’è amore più grande.
Come posso pensare a Sherlock e mettere la parola solo davanti alla parola amico?
Essere amico di Sherlock Holmes…non lo so. Avrei dato la vita.
Io non lo so…Dio, forse mi sto illudendo, forse solo per me era così, ma…”
“John.”
Lo interrompe per la prima volta da quando ha iniziato a parlare. Meglio così. Non sapeva neanche lui come concludere la frase.
“John, chiunque entri in questo studio…chiunque passi da quella porta dovrebbe essere consapevole del fatto che nella vita di amici veri ne capitano al massimo tre. O quattro. A volte, solo uno. L’unico. L’unico vero amico che la vita decide di regalarci. Renderebbe tutto più facile. Certo, non è sempre così. L’amicizia non è una scienza. Perché è una forma d’amore. Non c’è un modo, non ci sono schemi…ci sono solo circostanze e fortuna.”
“Mi reputavo la persona più fortunata del mondo, allora.”
John non sorride. Non sorride perché ha usato il passato.
“E’ questo, allora. Lei non ha subito un semplice lutto.”
“No.”
Annuisce leggermente. Si sente morire. Non voleva arrivare a realizzare quanto la sua vita fosse in mille pezzi. Sherlock non tornerà, non può tornare, non è invincibile. E non ce ne sono altri, di Sherlock, non si sogna nemmeno di trovarli, non si domanda nemmeno se riuscirà a tirare avanti d’ora in poi.
“Non lo dimenticherà mai.”
“Mai. Nemmeno tra un milione di anni. Anche se superassi tutto questo, anche quando avrò ricostruito una vita daccapo…mi…mi sembrerà sempre che manchi qualcosa. “
“Quello specifico amico.”
“Quello specifico amico, sì.”
“Tutto quello che avrebbe voluto dire, ma non lo ha detto…lo dica ora.”

Sono stato un dannato stupido. Sono stato un dannato idiota. Dovevo dirtelo, dovevo dirlo a te.
A quanto pare ci sono una marea di cose che non ti ho detto, Sherlock.
‘Ti voglio bene’. ‘Sei il mio migliore amico’. ‘Mi hai salvato la vita’.
Perché non l’ho fatto?
 
“Mi dispiace. Non posso.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
E’ solo una pietra di marmo, John.
Non ti può sentire.
E’ inutile se glielo dici adesso.

 
“Non saltare. Resta con me.”
 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Jawn Dorian