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Autore: Rei_    19/02/2015    3 recensioni
Ormai erano passati due anni, per lui, in quell'aula del Parlamento.
Due anni passati a votare, mille e mille volte, mille e mille cose diverse. Ogni giorno era uguale a un altro: strette di mano, sussurri nei corridoi, interventi al microfono, litigi, dibattiti, scontri, vittorie, sconfitte, sorrisi e momenti di crisi.
In effetti, il Parlamento non era sempre monotono. Lo era molto meno, da quando c'erano LORO.

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Odiava sentirlo parlare con quei termini. Ma non riuscì a rispondere a tono, in qualche modo le mani dell'altro che aveva addosso gli facevano perdere la concentrazione. Non era abituato, perchè quello era un ambiente dove ciascuno manteneva una certa distanza dall'altro, e forse per questo non aveva mai pensato che le mani di quel deputato potessero essere così dannatamente vicine...
Così maledettamente strette, così spaventosamente calde..
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Giochi pericolosi a Montecitorio.






Note alla storia: Questo è un po' un assaggino di un'altra long che sto scrivendo ambientata in Parlamento, che trovate a questo link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3073589&i=1
Per essere chiari, so bene che l'ambientazione può non piacere a tutti. Di solito fa più figo scrivere delle shash ambientate a scuola, oppure nei vicoli malfamati di NY, o tra vampiri e lupi mannari (?). L'originalità forse scarseggia, e io ho voluto provare qualcosa di nuovo. Avevo la necessità di leggere qualcosa di delicato, di sottile, di particolare, e non trovandolo da nessuna parte ho deciso di scriverlo io, nonostante non mi ritenga una brava scrittrice.
Per quanto riguarda i personaggi di questa one shot, è logico che sono in gran parte ispirati da personaggi reali (non a caso non ho messo nomi). Come per ogni cosa, la principale fonte d'ispirazione è la realtà. Dubito che qualcuno li riconoscerà, in ogni caso in privato posso tranquillamente rivelare le mie fonti d'ispirazione ^_^.
Si tratta di una fanfcition, di un esercizio di fantasia in senso artistico, per questo motivo non ritengo di stare offendendo nessuno.
Buona lettura.















Ormai erano passati due anni, per lui, in quell'aula del Parlamento.
Due anni passati a votare, mille e mille volte, mille e mille cose diverse. Lì dentro, se non stavi attento, perdevi la cognizione del tempo. Ogni giorno era uguale a un altro: strette di mano, sussurri nei corridoi, interventi al microfono, litigi, dibattiti, scontri, vittorie, sconfitte, sorrisi e momenti di crisi.
In effetti, il Parlamento non era sempre monotono. Lo era molto meno, da quando c'erano LORO.
Loro. Quelli che facevano opposizione. L'opposizione, quella dura.
Una vera seccatura, certo, per chi era maggioranza, come lui.
Anzi, per chi come lui era uno di quelli che gestiva il gruppo parlamentare.

Quello era uno di quei giorni in cui l'opposizione si faceva sentire. Certo, c'era in ballo la riforma della Costituzione, come poteva tacere?
Le voci concitate si alternavano agli altoparlanti della Camera, e lui le seguiva a malapena, appollaiato in uno scranno situato in alto, marginalmente, nelle file centrali.
Teneva una cuffia nell'orecchio, sentendo le ultime notizie. Alla fine a cosa serviva starli a sentire? Parlavano sempre, per svariate ore, ma tanto.. erano i voti quelli che contavano.
Si aggiustò la cravatta rossa a righe. Poi si alzò, lentamente, salendo le scale e prendendo un'uscita laterale.
Camminò un bel po' nel corridoio prima di infilarsi in un bagno. Preferiva andare più lontano ma non voleva incontrare nessuno. Gli bastava incontrarli in aula, i suoi colleghi.
Non che gli dispiacesse, ma a volte preferiva stare da solo.
Entrò, aprì l'acqua da un rubinetto e se la buttò sul viso.
Era difficile, avere a soli 30 anni certe responsabilità politiche. In politica, a 30 anni non sei solo giovane, sei quasi considerato un ragazzino. A 40 inizi a capirci qualcosa. A 50 puoi iniziare ad avere incarichi veri, a creartela tu la politica. E a 60, se sei ancora lì dentro, sai anche che non ne uscirai più.
I capelli scuri, corti, vennero schizzati da qualche goccia d'acqua. Se li lisciò con la mano, guardandosi allo specchio.
Era un po' stufo, forse.
E se a 30 sei già stufo, non sarai mai la persona giusta per essere uno dei “politici in ascesa”.

Il rumore della una porta di uno dei bagni che scattò all'improvviso interruppe i suoi pensieri.
Ne uscì un deputato che conosceva bene. Cioè, bene per quanto possono conoscersi due deputati che stavano uno da una parte e uno dall'altra ala del parlamento, uno a governare il Paese e l'altro all'opposizione.
Che però sono tenuti a conoscersi, uno, per opporsi in modo efficace, per colpire i punti giusti, e l'altro, per potersi difendere, contrattaccando quando necessario, ed evitando di lasciare spazi all'avversario.
Avevano la stessa età, in effetti. Era una delle poche cose che sapeva su di lui.
Sì, certo, lo vedeva tutti i giorni nel corridoio principale. Lo vedeva perchè si notava. Si sentiva, insomma. Era uno di quelli che non passava mai inosservato, qualunque cosa facesse.
Aveva un carisma quasi naturale, se così si può dire. Uno di quei “cittadini” entrati lì dentro per combattere contro “la casta”, pensando di saper fare politica meglio di chi la faceva da anni. Al democratico faceva sorridere ogni tanto la loro incapacità di decidere una linea politica efficace, ma d'altra parte la loro ostinazione e fissazione per l'onestà era quasi commovente. Comunque quel “cittadino” era stato capace di diventare amico di tutti, in poco tempo, anche con alcuni deputati della sua maggioranza.
Con lui no. Gli aveva rivolto una volta, forse due, la parola in aula, additandogli colpe a cui non aveva mai risposto.
Tanto a lui non importava. Non considerava mai l'opposizione. Lui aveva il suo piano, il suo progetto, le sue strategie per riuscire a egemonizzare il suo partito. Il resto era ininfluente, non rientrava nelle variabili. Lo avevano abituato così, a ragionare in modo matematico, meccanico, calcolatore.
“Si fa così per essere dirigenti..”
Si aggiustò di nuovo la cravatta allo specchio, ignorando il deputato che aveva gli occhi puntati su di lui. Gli dava fastidio la sua presenza, ma non poteva farci niente in quel momento.
“Troppa fatica stare in aula per più di due minuti, eh?”
Stava parlando con lui. Ma che diavolo voleva?
Non si girò nemmeno mentre gli rispose a mezza voce.
“Con voi che fate casino a ogni ora del giorno diventa pesante..” gli sfuggì.
Ecco, gli aveva praticamente dato il via con quella frase.
“Oh, con i tuoi capi che fanno porcate non abbiamo così tanta scelta” rise.
Il deputato democratico della maggioranza decise che a quel punto poteva anche lasciargliela vinta, di solito non amava cedere alle provocazioni.
Però l'altro insistette.
“Perchè non ti opponi anche tu, maledizione? Non ce l'hai una coscienza?”
Lo faceva apposta. Voleva che rispondesse.
Fece per uscire, senza neanche guardarlo.
Ma il deputato dell'opposizione si mise davanti alla porta, bloccandolo.
“Rispondi”
Lo stava odiando profondamente in quel momento. Che aveva in mente quel dannato pirla?
“Ce l'ho sì una coscienza, sto facendo le cose che servono al paese”
“Basta con questa farsa” rise lui “Si vede che non ci credi nemmeno tu. Perchè per una volta non dici davvero ciò che pensi?”
Sì, proprio a lui doveva dirglielo. Era la stessa cosa di fare una dichiarazione pubblica a tutti i giornali. Non era quello il metodo per un dirigente politico.
Cercò di uscire, ma l'altro glielo impedì. Era un po' più alto di lui, e decisamente meno esile. Metterla sul piano fisico non era la soluzione ideale, era chiaro.
“Fammi passare”
“Altrimenti che fai? Non c'è nessuno qui che può aiutarti”
Non poteva ammetterlo, ma aveva ragione. Si fecero più vicini, faccia a faccia, a pochissimi centimetri come fanno gli uomini quando tipicamente si vogliono sfidare l'un l'altro. In realtà il democratico non aveva alcuna voglia di combattere. Sentiva il suo respiro sul viso, i loro nasi quasi si sfioravano, i suoi occhi neri, grandi, erano puntati dentro quelli castani e vispi dell'altro.
Certo era che non poteva lasciargliela vinta in quel modo. Lo prese per un braccio per toglierlo di mezzo, cercando di non trasmettergli l'idea che intendeva iniziare una rissa, ma l'altro, appena si sentì le sue mani addosso gliele fermò con un abile gesto facendogliele ruotare fino a dietro la schiena, bloccandogliele.
Quella nuova e insolita posizione intimorì il deputato democratico, che iniziava a sentire il respiro dell'altro troppo vicino al suo collo.
“Lasciami stare, non puoi impedirmi di andare dove mi pare!” iniziò a gridare.
Si ribellava, ma la disparità fisica ormai era più che evidente, tanto da farlo sentire umiliato.
“Sei stato tu a provocarmi!” gridò l'altro “Ora devi dirmi la verità! Dimmelo chiaro che questa riforma l'ha voluta qualcun altro e voi state solo ubbidendo come dei bravi cagnolini”
Odiava sentirlo parlare con quei termini. Ma non riuscì a rispondere a tono, in qualche modo le mani dell'altro che aveva addosso gli facevano perdere la concentrazione. Non era abituato, perchè quello era un ambiente dove ciascuno manteneva una certa distanza dall'altro, e forse per questo non aveva mai pensato che le mani di quel deputato potessero essere così dannatamente vicine...
Così maledettamente strette, così spaventosamente calde..
Era strano, ma quel semplice calore che aveva stretto attorno ai polsi gli stava dando alla testa, facendolo quasi sudare. Sentiva di non avere più il controllo sul suo corpo.
“Parla, forza!”
“Lasciami..”
Aveva una paura matta che l'altro potesse accorgersene. E in realtà il deputato dell'opposizione non ci mise tanto, gli bastò tornare a guardarlo in faccia e poi abbassare lo sguardo per notare il leggero gonfiore nei pantaloni.
Il democratico aveva diverse sfumature di rosso in viso per l'imbarazzo. Cercò di nuovo di andarsene ma venne ancora fermato sulla soglia. Il suo avversario aveva il volto contratto quasi in un ghigno di soddisfazione.
“Ma guarda un po'.. Adesso ti ecciti?”
Riprovò scansarlo, ma lo aveva messo con le spalle al muro.
In trappola.
Il suo assalitore avvicinò ancora di più il viso. Talmente vicino da fargli sentire il suo respiro in faccia.
“Ma guardati.. sei più rosso in viso di quanto dici di esserlo in politica” scherzò malignamente.
“Lasciami in pace!” si trovò a urlare l'altro, che in quel momento desiderava solo che qualcuno entrasse e rompesse quell'assurdo dialogo.
Tuttavia il deputato dell'opposizione sembrava avere tutta l'intenzione di continuare quel gioco provocante. Dovette bloccargli entrambe le mani verso l'alto prima di scagliarsi violentemente contro la sua bocca, mozzandogli il respiro. Giocava un po', seguendo il suo istinto, divertendosi solo nel vedere la reazione dell'altro, che mandava dei gemiti soffocati intanto che serrava i denti per impedire qualsiasi accesso all'altro.
Non si aspettava un gesto così improvviso, ma non si aspettava nemmeno che le labbra di quella persona gli avrebbero fatto nascere scintille di calore dalla testa fino al petto, e pulsazioni delle vene che minacciavano di lasciar cedere le gambe ogni secondo di più.
Fu quasi costretto a lasciar passare la sua lingua all'interno, e a incontrarla con la sua. Sapeva bene che quello era solo uno sporco gioco per umiliarlo, ma nonostante ciò non riusciva a contrastarlo.
Il suo assalitore, a un certo punto, decise che era il momento di staccarsi. Era stupito. Non si aspettava, forse, una reazione così debole, così poco convinta.
Lo fissò dritto negli occhi, lasciandogli le mani. Il democratico teneva lo sguardo basso, mentre a fatica prendeva il fiato, un po' piegato sulle ginocchia. Si era accorto di essere stato liberato, ma non riusciva a fare nemmeno un passo per andarsene.
“Cosa.. Perchè l'hai fatto?” riuscì a gemere a fatica, con la voce tremante.
Il suo collega sembrava in difficoltà. Era molto più strano per lui continuare quella strana sfida ora che il democratico si era praticamente arreso ed era alle prese con un vano tentativo di mascherare almeno in parte gli occhi, ormai lucidi.
Non sapeva cosa fare. Adesso era lui a voler andarsene, ma quell'assurda reazione lo stava paralizzando.
“Io..” non sapeva nemmeno come rispondere. Perchè lo aveva fatto? Perchè gli andava, voleva umiliarlo, voleva prendersi una piccola rivincita di ogni lotta politica che aveva perso.
“Perchè stai piangendo?” aggiunse. Non era una presa in giro stavolta, né un'osservazione ironica, né un qualche tipo di rimprovero ironico.
Per una volta era solo curiosità quella che trapelava da quella inusuale domanda.
In realtà era anche un po' stupito, non credendo che veramente uno di quei "politici per professione" potesse essere capace di esternare simili emozioni. Lo guardava come se non l'avesse mai visto, mentre l'altro impiegava ogni sua energia per controllarsi, con scarsi risultati.
Il democratico tuttavia non rispose. Non sapeva cosa dirgli.
"Ma..ti è piaciuto?" insistè di nuovo il deputato dell'opposizione. Era più un timore che una domanda, il timore di aver appena fatto qualcosa di molto sbagliato, anche se non ne capiva il perché.
L'altro negò molto lentamente, con lo sguardo a terra. Ma non ci volle molto a smentire quell'affermazione, perché di nuovo il deputato d'opposizione si chinò per baciarlo, questa volta delicatamente, quasi con dolcezza. Diede due giri con la lingua, poi, staccandosi per guardarlo, lo vide di nuovo paonazzo in viso.
Non si ribellava.
Non lo aveva respinto.
Il deputato di maggioranza lo guardava e basta, chiedendosi disperatamente, con i residui di lucidità che gli erano rimasti, cosa aveva intenzione di fare l'uomo che aveva di fronte.
Ma l'altro ormai era passato direttamente alla prova del nove. Gli infilò la mano sotto la camicia, constatando di nuovo la più totale impassibilità del collega, e lasciò che si muovesse un po' a fatica su tutta la lunghezza del torace.
“Smettila.. che cavolo..” si lamentò debolmente il democratico. Per quanto si sforzasse di non pensarci, i suoi ormoni erano completamente impazziti di fronte a quella specie di ragazzo scomposto un po' troppo cresciuto che si era sempre distinto in aula per il casino che faceva, litigando con la presidente di turno e fomentando le contestazioni quando parlavano gli altri deputati.
E sì, oltre a ciò era bello, chi poteva negarlo? Ma il trentenne democratico era un uomo serio, certi pensieri non gli passavano neanche per l'anticamera del cervello, a maggior ragione per un arrogante come lui.
Il quale ragazzo arrogante, decise di fermarsi quando l'eccitazione dell'altro tra le sue gambe era diventata ormai evidente.
A quel punto indietreggiò di un passo.
Non se la sentiva di continuare, vedendo che l'altro subiva e basta, senza alcuna reazione convinta, con una debolezza che non si sarebbe per niente aspettato da lui.
Lo aveva sentito spesso negli interventi in aula. Lo aveva anche altrettante volte contestato, perchè ogni qualvolta prendeva la parola lo faceva lanciando frecciatine direttamente alla sua parte di opposizione, con toni che spesso e volentieri erano al limite dell'offensivo. Da dove veniva allora quella fragilità, quella totale arrendevolezza?
Forse, se fosse stato veramente in lui, sarebbe subito scoppiato a ridere e sarebbe uscito immediatamente solo per raccontare la cosa ai suoi colleghi. Invece era ancora lì, fermo e immobile.
“Ti piace se ti tocco?”
Si accorse della stranezza della domanda solo dopo averla pronunciata. C'era un senso a ciò che stava accadendo? Il democratico non disse niente mentre le mani del deputato di opposizione si appoggiarono di nuovo sulla sua pelle, al di sotto della camicia. Lo esplorava quasi scientificamente, fermandosi poi sui capezzoli che mosse avanti e indietro, prendendoli tra due dita e poi tirandoli in fuori. L'altro teneva ostinatamente lo sguardo a terra, le labbra serrate e la lingua stretta tra i denti.
La risposta era sì, gli piaceva. Gli piaceva come qualcosa che aveva in fondo desiderato da sempre ma non aveva mai avuto nemmeno il coraggio di ammetterlo alle parti più profonde di se stesso.
“Smettila.. per favore..” supplicò di nuovo. C'era un fastidio quasi penetrante che avvertiva in quella situazione dove l'altro aveva rotto l'incanto teatrale di un palazzo di potere dove uomini freddi passano le loro giornate a prendere le decisioni più importanti per il Paese.
“Qual'è il problema se ti piace?” rispose il deputato di opposizione.
La sua mano passò sui fianchi, e con un'abile mossa li fece aderire contro il suo stesso corpo, percependo un calore fortissimo provenire dalla pelle del democratico.
Le mani dell'altro si strinsero immediatamente attorno alle sue braccia. Sembrava che stesse cercando di allontanarlo, ma in realtà non ci metteva la forza.
“Vuoi che ti baci?” osò di nuovo il deputato di opposizione. L'altro sgranò gli occhi, ma lui lo fece lo stesso, appoggiandosi lentamente alle sue labbra.
E lì, a quel terzo bacio, si accorse che per lui quello aveva smesso di essere un gioco.
La lingua si incrociò con l'altra, come prima. Conduceva lui il gioco, come prima, toccandogli ogni angolo della bocca e mordendo piano il labbro inferiore.
Ma era diverso. Ora quel sapore insolito che avvertiva sulla lingua gli stava andando al cervello, facendolo sbandare. Si staccò quasi subito, con molta fatica.
Era eccitato, era maledettamente eccitato.
Ma la cosa peggiore era che il democratico se n'era accorto subito.
“Che.. cosa..”
Non capiva.
Non capiva più niente.
Rimase fermo, in piedi, sulla soglia, con le mani che tremavano per la consapevolezza che.. aveva fatto eccitare un suo collega.
Lui.
In un bagno del secondo piano di Montecitorio.
L'altro era spaesato quanto lui, ma nessuno dei due si mosse, finchè il democratico, con uno sforzo sovrumano, fece pochi passi fino a uscire fuori, nel corridoio.
Non riusciva a credere veramente a ciò che era appena successo.
Era shockato, ma ora, più di tutto, spaventato. Non sapeva nemmeno lui di che cosa, che qualcuno li scoprisse, che la faccenda prima o poi venisse a galla, che veramente era attratto da quella specie di “cittadino” con cui non aveva mai avuto niente a che fare.
Forse era solo un caso, l'agitazione di quel momento. O forse era solo che.. non l'aveva mai visto così da vicino. Non l'aveva neanche mai immaginato così vicino a lui.
Stava impazzendo. Passò una mano tra i capelli, premendosi forte la fronte come faceva sempre quando era troppo stressato e aveva bisogno di calmarsi.
- Adesso torno in aula e sarà come se non fosse successo niente.. - pensò, ripetendosi nella mente.
Ma a ogni passo che faceva sentiva che il sudore sul viso aumentava, insieme ai battiti del cuore. Si sedette su un divano, per calmarsi.
“Che fai, scappi via? Vuoi lasciare così il discorso in sospeso?”
Il deputato dell'opposizione lo aveva raggiunto quasi subito, e sembrava essere tornato l'arrogante di sempre.
“Lasciami stare! Stammi lontano!”
Scattò in piedi, ma non riuscì ad allontanarsi in tempo prima che la vicinanza dell'altro lo costrinse a dover stare fermo sulle sue gambe.
“Adesso ti faccio paura? Prima ti eccitavo..”
“Stammi lontano, ho detto!”
Gridava.
E tremava.
Aveva paura, la paura di perdere il controllo.
“Tu dovresti essere contro l'omofobia, da bravo uomo di sinistra”
Lo stava di nuovo prendendo in giro.
Il democratico lo fissò. Poi girò i tacchi, desiderando con tutte le sue forze di riuscire a tornare in aula, dalla quale avrebbe tanto voluto non esserne mai uscito, ma venne trattenuto per un braccio dal suo collega.
“Da bravo, vieni con me”
La sua stretta era così forte da fargli male, ma il deputato si rifiutava di seguirlo. Diede un forte strattone per liberarsi e cadde a terra per il contraccolpo, picchiando con forza il braccio.
Il deputato di opposizione gli venne vicino, un po' preoccupato.
“Ti sei fatto male?”
Forse, in una situazione normale, si sarebbe messo a ridere, ma in effetti quella era colpa sua. Desiderava arrivare in fondo a quella situazione, voleva capire il perchè di ciò che stava accadendo, ma si rese conto in pochi secondi di stare esagerando.
Quel gioco stava diventando pericoloso.
L'altro non rispose, ma non si rialzava.
Il suo collega a quel punto si chinò per aiutarlo a rialzarsi, e riuscì a distinguere perfettamente l'umiliazione impressa nelle sue pupille che tremavano, sul punto di esplodere.
“Sto bene” sillabò a voce bassissima.
“Fammi vedere il braccio”
Si rifiutò di darglielo, ma l'altro lo prese lo stesso, studiandolo da vicino.
Toccò in certi punti per capire se era ancora intero.
“Prova a muoverlo”
Il democratico lo mosse apparentemente senza problemi, ma con un po' di fatica.
“Ti fa male?”
“No.. forse.. solo un po'..”
“Ti costa così tanto dire la verità?” sbuffò il deputato di opposizione.
Poi, riflettendo, corresse il tiro.
“Scusa..”
In effetti era colpa sua se era caduto, poteva anche farsi male veramente.
Lo aiutò a rialzarsi, prendendolo per il braccio buono.
"Ti porto in infermeria?"
"No..ti ho detto che sto bene"
In realtà un po' gli faceva male, ma era probabilmente solo l'effetto della caduta.
Il deputato di opposizione non era però del tutto convinto, visto che l'altro non faceva altro che toccarsi il braccio.
"Non ci credo. Fammi vedere"
Stavolta il democratico non si oppose a quella mano che lo trascinò a forza dentro il bagno di prima. Non era però per niente a suo agio quando l'altro gli slacciò la cravatta, già allentata dalla caduta, e gli tolse la giacca per riuscire a scoprire il braccio.
Tolti i bottoni della manica, arrotolò la camicia fino a scoprire il gomito. Forse sarebbe stato più facile toglierla del tutto, ma in una situazione del genere, visto ciò che era appena successo, non era la cosa migliore.
Tutta la parte inferiore era di un colore rosso tendente al viola. Gli gettò sopra dell'acqua fredda, con molta delicatezza.
L'altro gemette.
"Scusa.." ripeté il deputato di opposizione.
Passò per asciugarla e si accorse che quel braccio era molto esile. Non se lo aspettava.
In qualche modo quella specie di “divisa” giacca e cravatta aveva sempre nascosto le differenze tra tutti loro.
Il deputato di opposizione continuò a tenergli il braccio, come se lo stesse studiando. Il silenzio che si era creato era surreale, si riuscivano a sentire i respiri di entrambi che si alternavano.
Avrebbe voluto dirgli che non era sua intenzione fargli del male. Ma quello già era ovvio, perchè avrebbe dovuto ribadirlo?
Voleva dirgli che si era comportato da stupido prima. Voleva trovare delle parole che potessero rimediare a quelle ferite che sembrava avesse aperto senza volerlo.
E non erano ferite esteriori.
Senza rendersene conto avvicinò il suo corpo al suo. Si sporse in avanti, fino quasi a farlo scomparire sotto di sé, reggendolo con un braccio attorno alla schiena.
Era uno strano abbraccio, quello. Per entrambi doveva essere solo un abbraccio di scusa, così ognuno intendeva interpretarlo. Anche perchè ogni altra interpretazione sarebbe uscita dai parametri di ciò che a due parlamentari – uomini - è concesso di fare, al riparo, ma non del tutto, da sguardi terzi.
Il democratico non si ricordava l'ultima volta in cui aveva ricevuto un abbraccio. Non una stretta di mano, non una pacca sulla spalla, non un gesto di vittoria, non un bacio frettoloso, ma proprio un abbraccio. Non si ricordava un'altra situazione in cui quel calore forte gli era arrivato tutto assieme, in ogni parte del corpo. Pensò, dopo qualche secondo, che la correttezza istituzionale gli imponeva di staccarsi quasi subito, prima che il gesto potesse assumere un tono equivoco.
Ci pensò, ma non lo fece. Non ci riuscì. Dovrebbe essere automatico staccarsi da un abbraccio dopo un tempo ragionevole, ma era come se il suo cervello si fosse spento anch'esso, sciogliendosi nel corpo dell'altro.
Il suo collega si accorse che il democratico non aveva alcuna intenzione di staccarsi. Fu lui a rompere il contatto, dopo qualche minuto, attutendo la rottura con una carezza sulla spalla, e poi sulla guancia.
Poi, come risvegliato da uno strano torpore, gli rimise a posto la manica della camicia.
“È.. è a posto?”
“Sì..”
Lo osservò mentre si rimetteva la giacca, sistemandola a dovere, e si rifaceva velocemente un nodo stretto alla cravatta. Non riusciva a capire quali pensieri aveva per la testa, e questo un po' lo disturbava. Avrebbe voluto tanto che gli dicesse qualcosa.
Si incamminarono insieme per il corridoio che portava all'aula. Erano uno a fianco dell'altro, come se dovessero dirsi qualcosa, ma nessuno parlava.
Quando furono davanti all'entrata, il democratico si fermò.
Si girò verso di lui, fissandolo.
“Non sono d'accordo neanche io con la riforma della Costituzione. Semplicemente non ha senso che in quell'aula io dica ciò che penso. Non cambierei niente così. Sto cercando di mediare per fare sì di migliorare qualcosa. È questo il metodo giusto di opporsi. Essere contrari e basta non cambierà le cose”
Era convinto mentre parlava, come non lo era mai stato. Era sicuro di ciò che diceva, perchè lo aveva già passato.
Non era tenuto a dirglielo, a spiegargli ciò che stava portando avanti.
Ma voleva fargli capire che una coscienza ce l'aveva.
Che era contrario quasi quanto lui.
Che in fondo.. erano simili.
L'altro lo guardò, un po' stupito da quelle parole.
“Ho capito. Io però.. non sono per niente d'accordo”
Il democratico abbassò lo sguardo, colmo di sconforto.
“Ma.. ti ringrazio per avermelo detto”
Gli lasciò un ultima carezza sulla mano prima di andarsene via e tornare al suo banco.
Per tutto il giorno il deputato della maggioranza pensò.
Pensò al senso di quella carezza.
Al senso di quell'abbraccio.
Al senso di quei baci, che lui aveva passivamente accettato.
Al senso di quelle parole.
Non lo trovò, però. Avevano deciso insieme, in un tacito assenso, di non volerne sapere di più, di lasciare la risposta in sospeso.
Di lasciare quel segreto chiuso dentro in un bagno del secondo piano.

Successe solo che, da quel giorno, il dialogo con le opposizioni riuscì a prendere piede.
Successe che ogni volta che incrociava il suo sguardo, nel corridoio, non riusciva a mantenere il contatto visivo per più di due secondi prima di arrossire, mentre l'altro invece continuava a guardarlo, come se volesse trasmettergli altre mille parole inespresse.
Successe poi che un giorno, sul suo banco, trovò un biglietto del tutto inaspettato.
Non era un giorno qualunque, quello. Era il giorno del voto finale sulla riforma.
Sul biglietto c'era una sola frase, senza firma, in un corsivo elegante.


“Usa la coscienza, so che ce l'hai”




Per un attimo gli venne da sorridere.
Ma l'attimo dopo ci pensò davvero all'ipotesi di votare contro.
Era impossibile, non poteva farlo. Non con tutto il gruppo dirigente lì vicino.
La sua era una scelta obbligata.
Ma quel biglietto riuscì a fargli ripensare a un calore molto forte, che aveva ricevuto da chi meno se lo aspettava.
Aveva paura.
Prese le sue cose, in silenzio. L'aula era ancora vuota, e si stava lentamente riempendo prima della seduta. Uscì da un'uscita laterale.
Camminò e camminò ancora.
Fino a che incrociò proprio lui.
“Che ci fai tu qui? Tra un po' si vota” rise il deputato di opposizione.
“Non voto. Te l'ho detto, io non la voglio quella riforma”
L'altro stentò a crederci. Quando quella mattina aveva lasciato quel biglietto, ci aveva un po' sperato. Ma non credeva che l'avrebbe fatto davvero.
Perchè farlo avrebbe potuto dire compromettere tutta una carriera politica.
Poteva anche dire non essere messo in lista, alle prossime elezioni.
Rischiare il posto.
“Hai detto anche che è inutile che non voti, tanto passerà lo stesso”
E infatti era così, era proprio ciò che il democratico pensava.
Però era uscito lo stesso.
Perchè non voleva deluderlo, era solo questo il motivo.
Non voleva deludere una persona che..che in fondo gli aveva fatto del bene, anche se all'inizio aveva tutt'altra intenzione.
“Non volevo che pensassi che..”
Non finì la frase.
Primo, perchè non sapeva come finirla.
Secondo, perchè qualcosa arrivò a tappargli la bocca.
Lì, in mezzo al corridoio, lo stava baciando.
Successe tutto così in fretta che non ebbe neanche il tempo di arrossire, di tremare, di scappare, di avere una qualunque reazione.
Quella bocca si fermò sulle sue labbra solo qualche secondo, solo il tempo di fargli sentire il sapore.
Poi si spostò al suo orecchio.
“Grazie” sussurrò.
Se ne andò via subito dopo, come se fosse sufficiente quella parola per dire tutto ciò che avevano ancora da dirsi.

Gli occhi neri e limpidi del democratico sorrisero mentre uscì da quel palazzo.
Mentre tornava a casa.
Per una volta, del tutto convinto.
Di aver fatto la cosa giusta.

   
 
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