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Autore: road chan    19/02/2015    2 recensioni
Lo storico Bellamy Blake ha bisogno di fare colpo sui suoi futuri datori di lavoro.
Possiede tutto ciò che l’Ark Enterprises sta cercando, eccetto una fidanzata, che – secondo la migliore amica di Bellamy – lo farà brillare.
Ma è tutto perfetto perché Raven ha appena trovato la ragazza giusta.
C’è solo un problema.
Bellamy Blake e Clarke Griffin si odiano davvero, davvero tanto.
[STORIA AGGIORNATA E MODIFICATA]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Uno

Questa è politica o

Grandi tette

 

 

Raven si appoggiò al bancone della cucina, annuendo in silenzio e masticando l’aria circostante come una pantera che fiuta la preda e si prepara ad attaccare senza pietà.

Tamburellò con le unghie della mano destra contro la fredda e levigata lastra di granito bianco, osservando con particolare attenzione il giovane ragazzo seduto di fronte a lei, intento a leggere il giornale sul divano color cachi.

“Allora! Chi sarà l’affascinante donzella che ti accompagnerà alla cena con i tuoi probabili – anzi più che certi – nuovi colleghi di lavoro?”

Bellamy sollevò un sopracciglio folto, allontanando il quotidiano dalle ginocchia e scuotendo una spalla con fare spazientito.

“Mh? Pensavo che saresti venuta tu.”

Lei fece un sorrisetto, ammettendo che , era alquanto affascinante e , loro due si conoscevano davvero bene – specialmente da quando un paio di anni prima erano andati a letto insieme – ma no, lei non l’avrebbe accompagnato alla sua vecchia e spocchiosa cena di archeologi perché aveva appena iniziato a frequentare qualcuno.

“Cosa?” chiese Bellamy, attonito, siccome gli unici argomenti di conversazione di Raven ruotavano, di solito, attorno al lavoro da consulente finanziario che aveva ottenuto meno di un anno prima da una grande e importante impresa legale alla quale – per quel che ne sapeva lui – dedicava la maggior parte del suo tempo libero.

“Chi? E da quando?”

“Calma, Sherlock” gli rispose, sfoggiando un sorrisetto rilassato.

“Tutto a suo tempo. Chi sarebbe la tua seconda scelta?”

Bellamy scrollò le spalle, aggrottando la fronte e agitando i riccioli neri. “Uh…Miller?”

Raven scoppiò a ridere, staccandosi dal bancone e diffondendo, dentro la stanza, un’invisibile scia di profumo dolciastro e fruttato.

“La prima volta che ho parlato seriamente con Miller è stata anche l’ultima. Per Nathan non sei degno di attenzione se non sei un tifoso dei New York Giants e a meno che i tuoi futuri collaboratori non si rivelino essere anche dei patiti di football…”

“O sta finendo la seconda specializzazione alla Brown; potrei chiedere a lei.”

Raven scosse la testa.

“Impossibile, la sessione d’esami è dietro l’angolo. In più” aggiunse, fissandolo con gli occhi color nocciola e mordicchiandosi le labbra carnose “penso tu abbia bisogno di una partner che non sia anche tua sorella. Mostrerebbe loro che sei una persona affidabile.”

Bellamy acconsentì lentamente, ingobbendosi sul divano mentre l’amica, decisamente soddisfatta, si sedeva davanti a lui, accavallando le gambe ambrate e atletiche.

“Okay” insistette la mora. “Che tipo stiamo cercando, esattamente?”

“Intelligente” propose lui, sollevando l’indice con l’intenzione di tenere il conto con le dita della mano.

“Caparbia” replicò Raven.

Il moro, confuso, si raddrizzò per squadrarla meglio.

“Mmh?”

Raven ruotò gli occhi di trecentosessanta gradi, agitando ripetutamente una gamba incrociata.

“Tu sei un personaggio carismatico; un leader, per così dire. Hai bisogno di una persona equilibrata che sappia anche tenerti testa. Una con la lingua tagliente e il cuore freddo come il ghiaccio. Preferibilmente con le tette grandi.”

Raven.

“So come mi chiamo” rispose la mora, per nulla turbata dall’occhiataccia torva dell’amico.

“Sei un ragazzo fastidiosamente seccante ma altrettanto piacevole – meriti una compagna che sia al tuo stesso livello.”

Bellamy incassò la prima parte del discorso e riprese a parlare in modo imperturbabile, come un avvocato esperto durante l’arringa finale.

“Perciò, stiamo cercando qualcuno d’intelligente, caparbio, magari una stronza ma di bell’aspetto che voglia frequentarmi per finta e accompagnarmi a una cena di lavoro che potrebbe solo cambiarmi la vita. Non potremmo saltare direttamente alla parte del…è troppo bello per essere vero?”

Raven ignorò volutamente la battuta sarcastica e rimase in silenzio per qualche secondo, strofinandosi la lingua sui denti scivolosi e pregustando con calma la sensazione di vittoria imminente.

“Veramente te ne ho già trovata una.”

Lui la studiò, guardingo. “Oh?”

“Sua madre è una dottoressa e suo padre lavorava per una grossa società simile all’Ark. È appassionata d’arte, di scienze politiche e legge; è anche la prima ragazza che vorresti dietro l’angolo se dovessero spararti a una gamba. È la più intelligente, altruista e ostinata ricercatrice che io conosca. Ha anche delle tette grandiose. E mi deve un favore!”

“Hai imparato il suo curriculum a memoria? Perché non me l’hai presentata prima?” chiese Bellamy, scettico.

Raven guardò altrove, arricciando le labbra.

“Vi siete già incontrati.”

“Oh, Dio, dov’è la fregatura? Perché c’è sempre una fregatura, vero?”

Lei si astenne dall’affermare che ovviamente no, non c’era alcuna fregatura e si limitò a sbuffare spazientita, alzandosi in piedi. 

“Voi due non vi siete approcciati nel migliore dei modi ma ascoltami Bell” – lo zittì, notando che il ragazzo stava per scattare come una molla impazzita – “lei è quella giusta e ti farà ottenere il lavoro, maledizione!”

Improvvisamente, calò un silenzio preoccupante tra loro, nel quale Bellamy temette di soffocare.

Fissò Raven, incredulo.

“Vuoi che esca con la Principessa? Cazzo – con Clark Griffin?”

Raven lo studiò, abbassando le sopracciglia ed evitando intenzionalmente di prenderlo a pugni sulle gengive.

“Quanto disperatamente vuoi questo lavoro?”

“Non lo farà mai” insistette Bellamy, incrociando le braccia e aggrottando la fronte…ma Raven aveva un’espressione così decisa sul volto. 

“Credimi quando ti dico che mi deve un favore, Bellamy.”

Lui imprecò sottovoce, rinunciando a discutere con la mora.

“Fammi parlare con lei” continuò Raven, docilmente. “Tipo stasera. Potreste vedervi domani. Sei libero per pranzo?”

“Raven, dovresti sapere che non sono il genere di persona che esce a pranzo.”

“Bene” sbuffò lei, seriamente vicina a un esaurimento nervoso.

“Preferiresti incontrarla per cena, allora?”

Il ragazzo grugnì.

“Se le cose dovessero andare così tanto male, potrai sempre decidere di trascinarti dietro quel caso umano di Miller. La cena ti sembra un’opzione tanto spaventosa, adesso?”

Bellamy alzò gli occhi al cielo.

“Qualunque cosa è meglio del pranzo.

Il ragazzo era sicuro come non mai che per nessun motivo al mondo Clarke Griffin avrebbe accettato di cenare con lui, figuriamoci di aiutarlo, ma Raven non l’aveva mai deluso prima e guarda caso, qualche minuto dopo essere arrivato al ristorante e aver occupato un tavolo per due, Clarke fece il suo ingresso, vestita meno come una soldatessa e più come se effettivamente desiderasse trovarsi lì.

Bellamy si alzò cortesemente e le spostò la sedia, cosa sorprendente - almeno per Clarke.

“Rilassati, Principessa” borbottò lui, sedendosi al lato opposto del tavolo per paura che potesse prenderlo a pugni – di nuovo.

“Raven crede che per fingere di essere fidanzati sia necessario fare prima un giro di prova.”

“Non ho bisogno delle tue spiegazioni da quattro soldi.”

Bellamy Blake si morse la lingua mentre una cameriera con qualche ciuffo argentato tra i capelli si affrettò a ripulire il ripiano, versando due bicchieri d’acqua liscia ed evitando così che la situazione potesse subito sfuggirgli di mano.

La cameriera tornò dopo qualche secondo con un paio di menù che Clarke sfogliò distrattamente prima di rivolgersi a Bellamy con tono austero.

“Punto numero uno: non sono una di quelle ragazze che si sente lusingata quando l’uomo sceglie loro il cibo al primo appuntamento. Punto numero due: non aspettarti di vedermi mangiare una misera insalata e Punto numero tre!: ricordati che amo ordinare il dolce alla fine della cena.”

Bellamy la guardò divertito dall’altro capo del menù, preparandosi a una delle sue solite battutacce strafottenti ma prima che potesse aprire bocca, con la coda dell’occhio, intercettò un ragazzo seduto al bar che sembrava parecchio interessato al loro tavolo.

“L’unica cosa che desidero per te, Principessa, è un po’ di veleno.”

“Disse il mio – cito – fidanzato, il cui lavoro dipende da me e da questo appuntamento infernale.”

La cameriera dai capelli argentati ricomparve, strisciando i piedi sul pavimento cosparso di piastrelle a scacchi bianche e nere ed entrambi i ragazzi ordinarono senza esitazione.

Bellamy, a fatica, cercò di guadagnare tempo, proponendo alla ragazza di condividere con lui un contorno di verdure o di patate fritte mentre Clarke sembrava sorridere più spontaneamente alla cameriera che al suo finto partner e non c’era la benché minima speranza che assieme potessero portare a termine quella missione altamente suicida.

“Niente alcolici?” chiese Clarke, non appena la cameriera strisciò via goffamente, portandosi dietro le ordinazioni al completo.

“Credevo avessi bisogno di liquori forti per riuscire a sopportare una serata con la sottoscritta.”

“Mi aspettavo lo stesso da te. Che fine hanno fatto i tuoi Spritz?”

“Qualcuno suggeriva del veleno, prima...”

“Divertente” borbottò Bellamy, rimpicciolendo gli occhi neri e sorridendo con arroganza.

“Non credo che tu mi voglia ubriaco mentre ti riaccompagno a casa in macchina.”

“Non noto alcuna differenza tra quando sei sobrio e quando non lo sei” rispose la bionda, sdegnosamente.

“Adesso, mettiamo in chiaro il punto numero quattro: sono qui solo per fare un favore a Raven.”

“Sapevo che in fondo al cuore eri una buona samaritana” affermò lui, incapace di smettere di provocarla.

“E comunque, anch’io.”

La cameriera arrivò con i piatti – una pasta alle vongole per Bellamy e una bistecca a cottura media per Clarke, con contorno di verdure miste e noci per entrambi.

Quando l’attenzione tornò finalmente l’una sull’altro, tuttavia, Clarke parlò nuovamente, agitando il tovagliolo beige con decisione.

“Come giustifichiamo la nostra relazione? Non possiamo certo dire ai tuoi capi di esserci fidanzati due giorni prima della cena di lavoro.”

Bellamy sorseggiò l’acqua fresca, sentendola mischiarsi al sapore del pesce caldo contro il palato sensibile e rugoso.

“Stavo pensando a una galleria.”

“Cosa?”

“Io mi trovavo là per la storia e tu per l’arte” spiegò, fissandola. “Non ti piace l’arte?”

Lei annuì, distrattamente, accigliandosi impensierita. “E…e forse stavi litigando con un assistente. Riguardo alla data di alcuni pezzi esposti questo mese – un Oppenheim.”

“Cosa; Robert Oppenheimer? Sono diventato Morte?”

“No, no. Ehm, la surrealista Svizzera.”

“Oh, immaginavo.”

“Comunque, tu stavi discutendo riguardo all’Oppenh – ”

“ – E tu ti sei intromessa, dandomi ragione?” le suggerì Bellamy.

Di nuovo, Clarke annuì, assottigliando le sopracciglia bionde.

“Sì, credo di sì. E dopo abbiamo iniziato a parlare, delle nostre vite, della galleria e…”

“E forse mi avevi chiesto se avevo notato quel locale sulla 47esima, con le ricostruzioni di antiche statue romane?”

La facciata cadde per un momento e gli occhi di Clarke s’illuminarono.

“Oh mio Dio, sei andato davvero?”

Bellamy trattenne un sorrisetto soddisfatto perché effettivamente le aveva scoperte il giorno prima, sotto stretto consiglio di Raven.

“Ah ah – e dopo ti avevo suggerito che, anche se come regola ferrea non esco mai a pranzo, sarei stato felice di portarti là, una volta libera da impegni.”

Clarke fece una smorfia divertita.

“Ho detto di sì ed è stato un vero, romantico appuntamento?”

“Tu ed io? L’appuntamento è stato un fiasco totale; ci siamo tirati dietro un paio di bicchieri di vetro e abbiamo fatto piangere uno psicologo. Fine della conoscenza.”

Per poco la ragazza non scoppiò a ridere ma Bellamy la vide mentre cercava di contenersi.

“Come alla festa di Capodanno a casa di Raven?”

Esatto” rispose lui “e non abbiamo più parlato fino a tre settimane fa, quando stavo in giro con Raven e ho scoperto per caso che la sua fastidiosa amica del college altri non era che la cocciuta bionda con cui ero uscito e che per poco non mi aveva ammazzato.”

Clarke sorrise, prepotentemente sdolcinata.

“Hai pensato che fosse un segno del destino e mi hai supplicato di darti un'altra chance.”

“Principessa, io non supplico.”

“Beh, l’hai fatto, quella volta. Come un bambino piccolo.”

Dato che lui non rispondeva, la ragazza si piegò più vicina, infilandosi in bocca l’ultimo pezzettino di bistecca, sorridendo beata.

“Non ti aiuterò, se non mi supplichi.”

Bellamy alzò gli occhi al cielo.

“Bene. Hai detto sì, abbiamo cenato e il resto è storia. Letteralmente. Perché ho bisogno di questo lavoro.”

Il sorriso sul volto di Clarke sembrò più genuino.

“E quanto tempo fa è successo, il fattaccio?”

Bellamy sollevò le spalle. “Cinque mesi?”

“Sicuro.”

Quando finirono di cenare, il moro costatò che il curiosone del bar li stava ancora fissando.

Si pulì la bocca e tornò a indossare la solita maschera prepotente e sarcastica prima di farlo notare alla compagnia di fronte.

“Vedi laggiù, al bar? Non ha mai smesso di guardarti per tutta la sera – presumo” confermò, con un cenno del capo.

“Non lo biasimo; anch’io farei lo stesso se non fossi il tuo finto fidanzato. Dev’essere a causa dell’enorme bastone che tieni infilato su per il culo o per l’aura da portatrice di morte che ti aleggia intorno.”

Clarke tornò a squadrare il tovagliolo accuratamente ripiegato davanti a se, senza lasciar trasparire alcuna emozione. Sembrava una sfinge intoccabile e impossibile da scalfire, con la faccia di pietra e gli occhi di vetro.

“Comico, Bellamy. Forse dovresti baciarmi.”

Il moro, per poco, non sputò il resto del suo drink sulla tovaglia.

Principessa.”

“Beh, se tu fossi stato davvero il mio ragazzo, mi avresti dato ragione?”

Bellamy valutò attentamente la domanda.

“Avrei atteso fiducioso il momento in cui te lo saresti preso, quel bacio.”

Diede un’occhiata al suo piatto vuoto e poi a quello di Clarke.

“Allora, che dessert vorresti ordinare? La red velvet cheesecake potrebbe sicuramente soddisfare la tua sete di sangue.”

Lei esaminò il menù che la cameriera aveva lasciato cadere sul tavolo.

“Mi è passata la fame; vorrei solo uscire di qui.”

Dopo aver pagato – cosa per cui Bellamy aveva insistito, pur sapendo che potenzialmente avrebbe dovuto a Clark molto di più se la cena con l’Ark sarebbe andata a gonfie vele – i due s’incamminarono nella notte.

O, più precisamente, lungo il pezzo di strada che separava il ristorante dalla macchina parcheggiata del moro.

“Vuoi andare da qualche parte?” chiese a Clarke che, nel frattempo, aveva tirato fuori dalla borsa uno scialle elegante e si era coperta le spalle.

“Non salto di gioia a sprecare il mio tempo con te, Bellamy.”

“Ottimo” replicò lui, sentendosi allo stesso modo.

Eppure, stasera, le cose non erano andate poi così male come aveva previsto.

Per lo meno non si erano azzannati; non letteralmente.

E Raven aveva ragione: Clarke aveva delle tette da capogiro; sicuramente portava una quarta.

“L’importante è che escogitiamo qualcosa prima di Venerdì.”

Clarke schioccò la lingua.

“Ci abbiamo già pensato. Siamo una squadra fantastica.”

“Ci hai appena fatti sembrare come gli Avengers.”

“O come quei terribili e inutili film su Wolverine.”

Bellamy ridacchiò.

“Ce ne sono davvero troppi. Io sarei Xavier e tu Magneto.”

“Sei tremendo” disse Clarke, scuotendo la testa bionda.

“Perché devo fingere di stare con te?”

“Perché sono disperato e perché la nostra fittizia vita sessuale è straordinaria.”

I due ragazzi raggiunsero una quattro ruote, ben tenuta anche se segnata dalle intemperie che Octavia, la sorella di Bellamy, non voleva lasciargli vendere.

I lampioni, nascosti dagli imponenti edifici e da qualche albero sparso, non riuscivano a illuminare tutto il veicolo.

Bellamy aprì cortesemente la portiera alla bionda e si diresse al posto di guida, facendo una giravolta.

“Non vorrei fare il pessimista della situazione” affermò, accendendo il motore e inserendosi in mezzo al traffico.

“Ma che succede se qualche pezzo grosso mi chiede i dettagli e le nostre storie non coincidono?”

Clarke tirò su col naso, picchiettandosi il mento con le dita.

“Possiamo sempre dire che ci siamo sbagliati. Nessuno farà caso a noi.”

“Difficile non notare una coppia di piccioncini che aspetta solo di prendersi a coltellate nel bel mezzo della cena.”

Lei grugnì.

“Ho ancora bisogno di sapere di più sul tuo lavoro, credo. Se devo sembrare informata su qualunque cosa tu stia passando il tuo tempo a fare, dovrai apparire più entusiasta al riguardo.”

“Io sono entusiasta!” protestò Bellamy, ma alla fine concordò silenziosamente con lei.

“Forse le cose dovrebbero seguire entrambe le direzioni. Che succede se qualcuno mi chiede del tuo, di lavoro?”

Clarke lavorava per il procuratore distrettuale quando non era impegnata a dipingere qualsiasi parete di casa sua o a irritare Bellamy a morte.

Lei era una delle due persone che esercitavano in quell’ufficio; non che l’altra dipendente fosse stata tanto diversa dalla bionda.

Lexa o il Comandante, come tutti la chiamavano – avevano tentato di spiegargli il motivo durante il suo primo anno di college, senza successo – era intelligente, come Clarke, ed era spaventosa, come Clarke, e astuta, forte e pragmatica, come Clarke, ma c’era una sfumatura bianca e nera nel modo di pensare di Lexa che Bellamy dubitava Clarke potesse condividere.

Non era sicuro del perché si fosse inaspettatamente concentrato su Lexa mentre scortava la bionda a casa, ma non se ne preoccupò più di tanto.

La voce di Clarke, chiara e distinta, infranse le sue fantasticherie.

“Allora digli che ho cominciato a lavorare subito dopo aver finito il college – forse gli piacerà, dato che non è una cosa da tutti. Inizialmente mi ero inscritta a medicina” aggiunse “ma le circostanze sono cambiate e le opportunità di leadership si sono ampliate e scienze politiche era l’unica strada da percorrere, l’unico modo per eccellere, l’unica possibilità per sopravvivere.”

Bellamy non poté non sorridere di fronte a quella dichiarazione quasi teatrale.

“La Principessa è una sopravvissuta?”

“La Principessa” disse Clarke, tra i denti “è più di quello che pensi. Ha anche bisogno di essere lasciata a casa di Raven.”

“Saltiamo la parte del bacio della buonanotte e andiamo direttamente al punto in cui lo racconti a tutti i tuoi amici, eh?”

Clarke roteò gli occhi – e Dio, la ragazza doveva avere una forte propensione a farlo perché non appena Bellamy cambiò corsia, stringendo fermamente il volante, comprese che era una delle solite cose che faceva quando stava con lui.

Lei roteava gli occhi, borbottava tra i denti o si lamentava o perdeva la testa o gli gridava contro.

Non c’era alcuna possibilità che ce l’avrebbero fatta.

“Ti propongo una cosa” annunciò, non appena gli venne in mente un’idea. “Perché non ci incontriamo un’ultima volta prima della cena, giusto per essere sicuri che la storia combaci?”

“Pensavo fossi più il tipo che trascura gli eventi e improvvisa.”

“Lo sono” ammise, un lato della bocca sollevato verso l’alto.

“Ma questa è politica, Principessa.”

  
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