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Autore: thedgeofbreakingdown    19/02/2015    10 recensioni
Non è colpa mia ma sembra quasi che i guai mi seguano e ho anche la mezza impressione (la maggior parte delle volte) che il migliore modo per porne una fine, sia una bella rissa. Non che la prospettiva di mettere le mani addosso a qualcuno mi entusiasmi, solo è l'unico modo che ho per sfogarmi, per sfogare le mie frustrazioni e la vita di merda che mi ritrovo ad avere.
Mi aiuta anche andare al mare, stare da sola, sentire il suono delle onde sulla sabbia, ma il mare non c'è sempre.
Qualche coglione è sempre dietro l'angolo e parlo per esperienza.
Io sono Ariel Miller e ho sedici anni e -lo dico per voi- se pensate di avere una vita difficile, non avete mai conosciuto la mia.
Vivo alla Yancy Accademy nove mesi l'anno, almeno fino a che non arriva l'estate e vado a vivere a Montauk. In molti si chiedono come faccia a pagarmi la retta scolastica visto e considerato che quel cazzone di mio padre è stato solo in grado di scomparire e partire assieme ai Marins dopo essersi divertito con mia madre.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Bentornata a casa
 

Gran bel compleanno di merda.

Ed è l'unica cosa alla quale riesco a pensare prima di vedere in lontananza il Campo Mezzosangue, con le cabine disposte a semicerchio, il laghetto delle canoe, il pino di Talia e il drago Peleo.

Una fitta mi stringe lo stomaco, una fitta che significa “casa” e “nostalgia” e Blackjack nitrisce contento, impennandosi leggermente per aria.

Io rido, attaccandomi alla sua criniera e Carter rafforza la presa sui miei fianchi. Vorrei che mi desse fastidio. Vorrei odiarlo, vorrei trovare la forza di voltarmi a guardarlo senza provare più nulla eppure, il cuore che mi batte più forte del normale e lo stomaco stretto non possono essere associati solo al Campo o a quello che sono stata costretta a vivere con Matisse come finta amica.

“Andiamo, bello. Forza!” grido nella mia testa, aggrappandomi più forte alla criniera scura di Blackjack, curvandomi verso il suo collo e tenendo gli occhi ben aperti mentre lui si lancia in picchiata verso il Campo.

Solo adesso, solo adesso che Blackjack ha accostato le ali al corpo, mi sento viva come non mi sentivo da mesi. Scaccio il pensiero di Boris, di Matisse, dei Leviatani e di Carter dalla mia mente e rido, mentre il vento mi spazza i capelli all'indietro, rinfrescandomi il viso con una forza che forse mi piace anche troppo.

Blackjack nitrisce ancora e non rallenta, neanche quando il suolo e fin troppo vicino e tutti i semidei al Campo si sono accorti di noi, guardandomi sorpresi.

Assieme ai pensieri euforici di Blackjack, si aggiunge una voce che ho imparato a conoscere bene e sorrido ancora di più, notando una testa corvina che saetta fuori dall'Arena dei combattimenti.

“Ariel!” grida Percy nella mia mente con forza e quando sono quasi certa ci schianteremo al suolo, Blackjack distente le ali, atterrando dolcemente davanti al Padiglione della mensa, in mezzo a troppi semidei.

Non faccio nemmeno in tempo a toccare terra con i piedi che una serie di fuochi d'artificio esplodono nel cielo di mezzogiorno mentre uno striscione enorme con su scritto “Buon Compleanno Ariel!” si apre nel cielo.

Sono troppo sorpresa per realizzare che i ragazzi di Apollo stanno intonando “Buon Compleanno” con le lire mentre i figli di Efesto fanno partire un altro po' di fuochi d'artificio e fuochi veri e propri verso il cielo, andando a tempo con la musica.

La gratitudine mi riempie il petto, me lo scalda come se fossi davanti al caminetto, con una coperta sulle gambe e il mio film preferito alla televisione. Scendo da Blackjack il più velocemente possibile, realizzando sono in questo momento per quale motivo Carter sia venuto a prendermi, e quando Percy riesce a farsi largo tra la folla di semidei, gli corro incontro, saltandogli addosso.

Respiro il profumo di mare che lo accompagna sempre, misto a leggero sudore e una fragranza più leggera che ho associato ad Annabeth. Lascio che mi stringa, affondandomi le mani tra i capelli e canticchiandomi nell'orecchio la fine della canzone, seguita poi da un boato e dalle sue braccia che mi lasciano solo per rimettermi a terra.

- Buon compleanno, sorellina – mi sorride, un secondo prima che un tornando biondo mi travolga, stringendomi a sé.

- Tanti auguri, nuova diciassettenne! – esclama Annabeth schioccandomi un bacio sulla guancia e porgendomi un regalo impacchettato alla perfezione che mi fa sorridere come un ebete.

Lo prendo tra le mani e faccio saettare lo sguardo dal regalo ai suoi occhi grigi che quasi brillano per la felicità. – O dei! Ma non era necessario tutto questo.

Annabeth apre la bocca per ribattere, sicuramente negativamente, un attimo prima che lo faccia Allison. – Si che era necessario, invece. Zitta, principessa.

Mi volto di scatto verso la sua voce, certa di trovarmi davanti la bellissima ragazza dai capelli lunghi e neri con un arco tra le mani e un giubbotto in pelle sopra la maglia arancione del Campo. La ragazza che mi si presenta davanti però, è diversa dalla migliore amica che ho lasciato sei mesi fa. I capelli di Allison sono più corti, adesso si limitano ad incorniciarle il viso all'altezza del mento, qualche centimetro più su delle spalle. Gli occhi sono più determinati eppure, il sorriso che mi rivolge è sempre lo stesso anche se con questo nuovo taglio sembra molto più grande dei suoi diciotto anni.

Mi chiedo cos'abbia vissuto per aver deciso di cambiare così tanto, ma credo che non mi importi abbastanza o almeno, non in questo momento.

Non so chi delle due si lanci prima contro l'altra, so solo che ci ritroviamo abbracciate prima che possa realizzarlo davvero, mentre troppe mani mi si poggiano sulle spalle e troppe voci mi fanno gli auguri.

- Che hai fatto ai capelli? – esclamo allontandomi da lei e toccandole una ciocca corta che prima le arrivava ben oltre il seno.

Il sorriso di Allison si spegne per un istante e per la seconda volta che i miei occhi incrociano i suoi, mi chiedo che le sia successo per essere cambiata così tanto. La osservo mentre cambia discorso chiedendomi della scuola e noto le nocche sbucciate, le dita della mano destra aperte, come se avesse tenuto la corda dell'arco troppo a lungo.

Noto il taglio più disordinato di quanto mi era sembrato a prima vista, cose se fosse stato fatto da una spada e non da un paio di forbici e mani esperte.

- Als, che ti è successo? – domando scurendomi in volto tutto d'un tratto e lei sorride ancora, provocandomi una fitta al petto talmente tanto forte che indietreggio di un passo.

- La vita fuori dal Campo non fa per me – si limita a dire e io non credo di voler sapere altro.

I semidei attorno a noi hanno appena allestito un piccolo buffet e una piccola pila di regali sul tavolo porta un foglietto sopra con su scritto “Per Ariel” che mi fa sorridere ancora. Sento gli occhi scuri di Carter che quasi mi bucano la nuca e quando intercetto Percy vicino a me, gli faccio un cenno con la mano.

- Sai, ho scoperto che la migliore amica che mi sono fatta a scuola era un'Empusa – rivelo ad Allison che contrae le labbra nel tentativo di non ridere. – Non ci provare – la minaccio puntandole un dito contro al viso, sorridendo per la scintilla di felicità che le illumina lo sguardo scuro. – Als, no. – Intimo, ma lei scoppia a ridere, portandosi le mani sullo stomaco e piegandosi in due.

- Non ci voglio credere! – esclama tra le risate e alzo gli occhi al cielo, fingendomi scocciata, nascondendo il fatto che la risata di Allison è una delle cose che più mi è mancata mentre ero a scuola.

- Ehi, Ariel, voglio presentarti qualcuno – mi sorride Percy avvolgendomi le spalle con un braccio e mostrandomi un po' troppi ragazzi davanti a me che mi sorridono gentili.

Mi bastano pochi secondi per riconoscerli. – Si! Il resto della schiera di sfigati per la lotta contro i Leviatani! – esclamo con un sorriso, facendoli ridere. – Ciao, sono Ariel. Felice di vedervi dal vivo – dico porgendo la mano a partire dalla ragazza riccia e con la pelle scura, un po' più bassa di me che ricordo si chiami Hazel. Accanto a lei, c'è il ragazzo cinese che, la prima volta che ho visto qualcosa di lui, si stava trasfomando in un orso e il mio sguardo si illumina di colpo. – Poi ti trasformi in orso e ruggisci? Era davvero figo – giuro, sbarrando gli occhi per l'emozione e lui ride, buttando la testa all'indietro, porgendomi la mano che non è impegnata ad intrecciare le dita con quelle di Hazel. È carino, con il fisico fin troppo piazzato e il volto duro che sorride comunque, come se avesse visto sia vita che morte, e ne sia felice. Ha i tratti orientali, così come gli occhi scuri che scopro mi piacciano.

- Preferisce gli elefanti, o le manguste – dice Leo, il ragazzo riccio e magro, dai tratti ispanici, figlio di Efesto. Se Frank mi piaceva, Leo mi interessa ancora di più, con il sorriso furbo, le mani che giocano continuamente tra di loro, tradendo la facciata sicura che mostra a tutti e la cintura degli attrezzi che, a quanto mi ha detto Percy, è magica.

- Idiota – sibila Frank dandogli un pugno al braccio che lo fa barcollare verso una ragazza bellissima mulatta, ma posso comunque notare in quello sguardo scuro una scintilla d'amore.

- Ariel – dico presentandomi a Leo che, con non-chalance si sistema i capelli ricci e mi sorride ammiccante

Piper, la ragazza accanto a lui che riconosco per la piuma bianca legata ai capelli, ride, dandogli un colpo leggero con la spalla, porgendomi la mano e studiandomi curiosa. – Ciao, sono Piper.

È bella, più di quanto non sembrasse dai messaggi iride, e il sorriso ancora più luminoso di quanto avessi pensato. È felice, radiosa quasi e quando noto le dita intrecciate a quelle di un modello dell'Abercrombie, capisco anche il perché.

Jason, figlio di Giove, mica di Zeus. Annabeth ha provato un po' a spiegarmi della doppia personalità greco-romana degli dei eppure non riesco a trovarne un nesso. L'unica cosa che so per certo è che i due Campi stanno cercando di collaborare almeno un minimo dopo l'ultima guerra e ringrazio il Signore del Cielo un paio di volte per avermi dato un soggetto diverso da Carter da mangiarmi con gli occhi.

Jason è bello, bellissimo con una maglietta viola uguale a quella di Hazel e Frank tesa sulle spalle larghe. È più alto di me, più alto anche un po' più di Percy, con i capelli biondi tagliati a spazzola e gli occhi azzurri che mandano quasi saette.

- Jason – si presenta porgendomi la mano libera, sorprendendomi per la stretta incredibilmente calda e ruvida, così come la voce controllata e autorevole. Era da tanto che non stringevo una voce simile e che non sentivo una voce così controllata e.. potente.

- Ariel – rispondo, sorridendo quando Piper poggia la testa alla sua spalla, intrecciando il braccio con il suo in un gesto privo di qualsiasi malizia.

Percy sorride, avvolgendo un braccio attorno alla vita di Annabeth che intanto parla con qualche figlia di Ecate. – Ariel,ti presento l'altra mia famiglia.

 

Mi piace l'altra famiglia di Percy. Sono tutti dolcissimi, simpatici e hanno un'intesa che io mi potrò soltanto sognare di avere con una persona e sembra quasi che siano legati da un doppio filo, come quello che unisce Percy e Annabeth.

Leo mi ha fatto distrarre con un paio di battute da oscar sulle occhiate che Carter ci ha lanciato dal primo istante che ci ha visto assieme, e poi si è fatto rotolare una lingua di fuoco tra le dita, chiudendo il palmo di scatto e spegnendola.

Ho cercato di evitare Carter con tutta me stessa. Ho cercato di non pensare a lui nonostante sentissi i suoi occhi su di me ogni istante. Mi sono concentrata sui regali, sulla torta al cioccolato con le candeline a forma di diciassette, su Percy che mi da baci sulla guancia come se avesse paura di perdermi. Su Annabeth che mi tocca le dita e su Allison che sorride meno ma ha gli occhi più determinati e spenti.

Cerco di non pensare a Carter perché mi sembra che la testa riprenda a girare ogni secondo che ripenso a noi due, a Boris che mi ha detto che sono pazza e che di me non si fida più.

Stringo il bordo del tavolo da ping pong con cibo, bevande e regali sopra, serrando le palpebre. Quando le apro, vedo che sto stringendo talmente tanto forte che le nocche sono sbiancate e mi affretto ad aprire le dita, scrollando le mani. I palmi sono rossi, segati dal bordo di legno e me li passo sui jeans, tenendo lo sguardo basso.

- Tutto bene? – la voce di Allison mi riscuote di colpo e mi volto verso di lei, analizzando le pozze scure, cupe.

- Si – affermo forzando un sorriso che so, risulterà convincente. – E tu, invece? Come stai? – domando assottigliando lo sguardo, quasi nel tentativo di scavare sotto quel muro impenetrabile che ha costruito attorno alla sua persona.

Allison esita e una scintilla di panico passa nelle sue iridi scure. Non so a cosa sia dovuta: se a me e al tentaivo di farla parlare o al ricordo di ciò che è stata costretta a vivere. – Non mi va di parlare adesso – dice passandosi una mano tra i capelli corti e che, lo noto adesso, sono un po' più chiari del nero pece che aveva prima.

Annuisco. So cosa vuol dire e forse ho anche sbagliato a forzare la mano così tanto.

- A te, invece? A te che è successo? – mi chiede e gli occhi scuri, finalmente familiari, mi tolgono il fiato per quanto intesi e indagatori. – So che non c'è solo l'Empusa che ti fa sorridere di meno, Ariel. Ti conosco – afferma sicura, incrociando le braccia sotto ai piccoli seni.

Sorrido, guardandomi la punta sporca delle All Star, un secondo prima di buttarmi su di lei, stringendole ancora una volta le braccia attorno al collo. Quelle di Allison si allacciano attorno alla mia schiena e sfrega le mani lentamente sul tessuto della canottiera leggera.

Boris mi manca ma con Allison mi sembra di sentirmi un po' meno vuota e pesante. Con Allison mi sembra che una parte della mia vita sia tornata al suo posto e respiro il suo profumo per qualche secondo, prima che lei si allontani il tanto da darmi un bacio sulla guancia.

- Ti voglio bene, sirenetta – mi sussurra in un orecchio, in modo che solo io possa sentirla.

Sorrido, senza riuscire a risponderle e le accarezzo i capelli, staccandomi da lei e intrecciando le dita con le sue. – Anche io – mormoro e anche se non sono certa che mi abbia sentito, la supero quando un ragazzo con la mascella assimetrica le si avvicina con un sorriso. Gli occhi scuri della mia migliore amica sembrano quasi prendere quella scintilla di vita che avevano perso e li lascio prima che quel semidio che non conosco possa presentarsi. Ne ho abbastanza di ragazzi nuovi che mi stringono la mano e fingono cortesia.

Scappo via, nascondendomi dietro un paio di semidei taglia extra-large per sfuggire a mio fratello, Annabeth e tutti i loro amici.

Ho bisogno di stare da sola perché, anche se sono tornata a casa, pensavo di appartenere anche a Boris e poi lui mi ha detto che sono pazza e un'assassina e il petto mi fa male.

Corro più veloce, entrando nel bosco e lasciando che l'aria calda che preannuncia l'estate mi spinga i capelli lungo la schiena, liberandomi il viso. Corro ancora, corro dilatando i polmoni, lasciando che siano le gambe a guardarmi perché voglio smettere di pensare, anche se non ci riesco.

Corro e mi abbasso prima di colpire rami, saltando tronchi e radici in rilievo.

Corro con l'adrenalina che mi scorre nelle gambe con forza e con gli occhi nocciola di Boris colmi di un dolore che non riesco a sopportare. Corro al ricordo della sua voce spezzata, al ricordo della spada di Carter che si conficca nel petto di Matisse mentre io la tengo ferma.

La B di Boris sembra quasi bruciare sulla mia pelle assieme ad Onda e io continuo a correre perchè voglio che si raffreschi e perché sento il profumo dell'acqua. So che mancano pochi secondi prima che arrivi al ruscello e mi fermo un secondo prima che la punta delle All Star finisca in acqua. Anche se so che non mi bagnerò.

Ho il fiatone, le mani mi formicolano e il caldo torna ad appiccicarsi al mio corpo con violenza mentre mi siedo sulla ghiaia, sfiorando con le dita la superficie del ruscello.

Come può, un'amicizia di sei mesi perdersi per colpa di chi sono? Come può un sorriso arrivare a diventare una smorfia di disgusto dopo tutte le volte che mi ha salvato?

Stringo i pugni e mi conficco le unghie nei palmi delle mani nel tentativo di aggrapparmi a del dolore fisico, ignorando quello psicologico che è fin troppo forte.

Porto la mano destra al ciondolo che Boris mi ha regalato per il compleanno e lo stringo nel pugno. Sono da sola e con l'acqua che si increspa davanti a me, quasi tentando di rassicurarmi. E concedo alle lacrime che mi stanno pungendo le palpebre, di rigarmi le guance lentamente, bagnandomi le ginocchia quando arrivano alla fine del viso.

Il Campo mi è mancato, ma stare alla Avalon mi è piaciuto più di quanto mi aspettassi e non doveva affatto finire così.

Mi dispiace.

So che Boris non può sentirmi. Probabilmente, adesso sta dichiarando quello che ha visto ai poliziotti che hanno tentato di fermare me e Carter.

Anzi, senza dubbio ha già finito ed è nel suo alloggio, seduto sul letto che odia me e piange per Matisse.

Mi dispiace. Perdonami. Ti prego, mi dispiace.

E le lacrime mi rigano le guance ancora, senza darmi tregua. Ma anche mamma me lo diceva, a volte piangere fa bene, anche se odio farlo con tutta me stessa.

Ho bisogno di Boris. Del suo sorriso, dei suoi occhi, della sua voce rassicurante, di un suo abbraccio che mi aggiustava il cuore e mi impongo di non tirare su col naso per evitare di sembrare ancora più patetica di quanto già non mi senta.

Ho bisogno di Boris perché non mi faceva più pensare a nulla, perché mi liberava i pensieri dalle immagini di Carter che, adesso, sono ancora più vivide e più prepotenti come lui ora non è più un ricordo.

Accarezzo il bracciale di cuoio che mi ha regalato e mi volto di scatto quando dei passi muovono la ghiaia a qualche metro da me. Scatto in piedi e stringo i pugni lungo i fianchi.

Adesso lo ammazzo.

- Vattene, Carter – intimo con voce ferma, scacciandomi le lacrime dalle guance, strigendo Onda nel pugno con forza.

I suoi occhi scuri quasi mi esaminano, quasi tentano di guardarmi sotto pelle mentre continua ad avanzare, fermandosi a qualche metro da me.

- No – risponde assottigliando le palpebre e l'acqua dietro di me ribolle, come se fosse stata messa sopra un fornello gigante.

La rabbia mi scuote il corpo con uno spasmo e Onda si trasforma nella mia mano. Il peso piacevole e familiare mi fa scappare un sorriso di sollievo che Carter o non sente, o ignora.

- Princip..

- NON CHIAMARMI COSI'! – grido e mi scaglio su di lui prima che possa ritenere l'azione giusta o sbagliata.

L'adrenalina mi corre potente nelle vene e mando la spada di taglio, facendogli una ferita al braccio che lo fa gemere.

- Ariel! – esclama. – Lasciami parlare! – mi prega, voltandosi verso di me e tenendosi una mano sulla ferita che non è ancora abbastanza grave.

Ringhio e mi lancio ancora una volta verso di lui che però, pronto, scarta di lato, evitandomi.

Si tocca il bracciale con la mano destra che si trasforma nella sua spada e la rotea nella mano, impugnandola con decisione. – Ariel – mi richiama con voce autorevole. – Non voglio litigare.

Gli sorrido, scacciando le lacrime che mi pungono le lacrime. – Peccato, io si – e sollevo le braccia all'altezza dei miei fianchi, mentre l'acqua del ruscello dietro di me, risponde ai miei comandi. Un vortice di chissà quante tonnellate è fermo alle mie spalle e lo sguardo terrorrizzato di Carter è la cosa migliore che potessi chiedere in un giorno come questo.

Spingo le braccia avanti con un grido e l'acqua lo investe senza pietà, scontrandosi contro gli alberi e spaventando qualche ninfa lì vicino.

Quando l'acqua viene assorbita dal terreno, Carter è disteso a terra a qualche metro da me e sono necessari un paio di secondi prima che, con un colpo di tosse, si sieda di scatto, inalando tutta l'aria che può.

Quando si alza, l'espressione furiosa è chiara anche da questa distanza e la mano si stringe ancora di più attorno all'elsa della spada.

La maglietta che porta gli aderisce al petto, completamente bagnata, così come i jeans scuri che gli aderiscono alle gambe. È furioso, ed è bellissimo.

E non sarà mai mio, perché sono solo sesso.

La rabbia torna a ribollirmi nel petto e nello stomaco e Carter fa roteare la spada nella mano, piazzandosi tranquillo davanti a me, con gli occhi che tradiscono la rabbia che in realtà cova dentro di sé.

- Io volevo solo parlare, novellina – dice con disprezzo. – Ma se vuoi la guerra, io sono sempre un figlio di Ares. – Afferma ed è talmente tanto veloce quando viene verso di me, che la lama della sua spada mi taglia la coscia, facendomi gridare più per la sorpresa che per il dolore.

Non faccio neanche in tempo a voltarmi verso di lui, che mi colpisce col piatto della lama sul sedere, facendomi barcollare in avanti e ringhiare per il fastidio. – Figlio del dio della guerra, principessa. Stai attenta – intima e mi volto di scatto con la spada tesa, ringhiando quando lui para il colpo che l'avrebbe tagliato in due.

Le spade si scontrano in aria, liberando scintille che mi costringono a socchiudere le palpebre e gli do un calcio al ginocchio, sollevando una mano e spedendogli un getto d'acqua contro la nuca che lo fa barcollare pericolosamente in avanti. Sono pronta ad infilzargli Onda nel petto, ma quando lui si da lo slancio per una capriola in avanti, mi do dell'idiota da sola. Le gambe si divaricano mentre è in volo e mi colpisce le spalle, buttandomi in avanti con tutto il suo peso. Lascio Onda per il terrore di conficcarmi con la mia stessa arma e sbatto a terra con forza.

Il fiato mi manca per qualche secondo, il viso e il petto sembrano chiedere quasipietà per la forza con la quale sono stati buttati a terra.

Vorrei fermarmi. Vorrei poter dire “game over” ma un'ondata d'orgolgio mi stringe il petto con forza e digrigno i denti.

Io non mi arrendo.

Gli conficco le unghie nella caviglia, lasciata libera dall'orlo sollevato dei jeans, facendogli piegare la gamba per la sorpresa. Rotolo via, afferrando Onda e abbassandola su di lui con un ringhio, un attimo prima che possa sollevare la sua spada, bloccando la mia a mezz'aria.

Impreco in greco antico per lo sforzo di rimanere ferma, ma Carter mi assesta un calcio al petto che mi mozza il fiato, facendomi barcollare.

Sbatto le palpebre per cercare di riprendermi al meglio e le braccia mi tremano per la furia quando le labbra sottili del ragazzo mi rivolgono un ghigno strafottente.

E adesso basta perché sono stanca e perché lui -brutto stronzo- la deve pagare. Perché io sono innamorata di lui e lui mi ha mandato via, come se fossi infetta. Perché io sono innamorata di lui e lui sta solo giocando e adesso basta perché lui sarà anche figlio del dio della guerra, ma io sono arrabbiata e ferita.

Mi lancio contro di lui e perdo la cognizione del tempo e dello spazio mentre la spade si incontrano troppe volte e senza mai andare affondo. Non riesco a pensare ad altro se non ha colpire Carter, ad abbassarmi per evitare le stoccate, spostarmi per gli affondi e dargli gomitate quando mi ferma contro il suo petto. Prendo pugni e calci e ne restituisco altrettanti con la forza e la disperazione di una ragazza costretta a combattere per smettere di farlo, e quando la sua lama mi taglia l'avambraccio grido, roteando su me stessa e lasciando che i miei capelli sferzino l'aria.

La spada di Carter ferma la mia a mezz'aria e mi abbasso di scatto, tagliandogli una porzione di pelle all'altezza delle costole, colpendolo con un calcio al fianco.

Carter si riprende con una velocità improvvisa e affondo verso destra, decisa a scattare subito verso sinistra. I suoi occhi scintillano e capisco un attimo più tardi che ha previsto la mia mossa. Il piatto della sua lama preme con forza sulla mia, facendomi piegare il polso e Onda cade sulla ghiaia, facendomi imprecare.

Non è finita qui, mi dispiace.

Salto all'indietro e sforbicio le gambe in aria, colpendolo al mento col collo del piede e scivolando sulla terra, assestandomi con le mani come lui stesso mi ha insegnato. Non aspetto che si riprenda, mi lancio su di lui, strappandogli la spada dalle mani e gettandola da qualche parte mentre il peso del mio corpo lo butta a terra, facendogli sbattere la schiena.

Atterra con un gemito e stringo le gambe attorno alla sua vita, chiudendo il pugno e colpendolo alla mascella con talmente tanta forza che la testa scatta verso sinistra.

E poi un altro e un altro ancora, fino a che non vedo i primi lividi spuntare sulla pelle chiara.

Le braccia bruciano per lo sforzo e mentre carico l'ennesimo pugno, le sue dita si conficcano nei miei fianchi e con un grugnito e un colpo di reni, rotola verso sinistra, buttandomi a terra e finendo sopra di me. Non posso fare a meno di pensare al suo bacino premuto contro il mio, alle mie gambe ancora strette attorno ai suoi fianchi.

Fisso i suoi occhi scuri per un secondo soltanto, rendendomi conto che lo stesso pensiero è saettato quasi con dispetto, nella mente di entrambi. Ed è proprio quel ricordo, sono proprio le nostre pelli a contatto, prive di costrizioni, che mi spingono a liberare le braccia dalla presa allentata delle sue mani. Gli do un pugno alla mascella che lo fa gemere e ne approfitto per sgusciare da sotto di lui, piantandogli un'All Star in pieno petto, facendolo cadere all'indietro.

Mi alzo di scatto nonostante le gambe che tremano per la fatica, pronta a scattare ancora una volta verso di lui.

- Smettila! – grida furioso, alzandosi con un colpo di reni. Seppellisce le mani nei capelli, tirandoseli. – La devi smettere, Ariel! Che cazzo, smettila!

E per un attimo, la voce è talmente autoritaria che lo ascolto, rilassando le braccia lungo i fianchi e distendendo le dita. – Smettila? – domando, mano a mano che la consapevolezza si fa largo dentro di me, serrandomi il petto per la rabbia. – Smettila?! – chiedo furiosa, ridendo sarcastica un attimo dopo. – Tu perché sei venuto da me? Perché sei venuto a prendermi e perché mi hai seguito qui?! – grido, con la voce roca per le lacrime che sto cercando di trattenere. – Perché sei venuto alla Avalon, portandomi via da Boris e dalla vita che stavo cercando di costruirmi dopo di te? – domando amaramente e gli occhi di Carter si stringono mano a mano che si colmano di consapevolezza. – Perché sei venuto qui dopo che mi hai mandato via da te? Dopo che mi hai trattato come una puttana nonostante tutte le cose che ti avevo raccontato. Dopo che mi hai fatto innamorare di te, razza di coglione! – urlo, sentendo le lacrime che pizzicano sul volto graffiato.

Evito lo sguardo di Carter perché so di non poterlo reggere. So di non essere forte abbastanza per sostenere quegli occhi scuri che chissà cosa stanno riflettendo. – Inizio a costruirmi una vita, a farmi dei nuovi amici e poi arrrivi tu a rovinare tutto come sempre. Che dopo avermi lasciato senza neanche una motivazione valida, torni come se niente fosse! Perché sei venuto qui? Perché mi hai seguita? – gli grido contro stringendo i pugni lungo i fianchi, facendo troppe domande con la certezza di non ricevere altrettante risposte.

- Tu saresti stata la mia rovina! – esclama facendo un passo verso di me che mi fa istintivamente indietreggiare. Gli occhi scuri che ho ripreso a guardare si adombrano per un istante, prima che riprenda ad urlare. – Tu avresti distrutto la mia famiglia, la mia vita e il Campo e dovevo mandarti via. Tu saresti morta tentando di salvarmi e non potevo sopportare l'idea di vederti morire per me! – sembra prendere fiato mentre il petto si alza e si abbassa velocemente, come se avesse corso per mille metri, mentre io assimilo e cerco di comprendere quello che mi sta dicendo. – Non potevo sopportare i sogni che mi facevano vedere te morta in battaglia, divorata da uno di quei cazzo di Leviatani dopo esserti buttata davanti a me. Non potevo sopportare l'idea che Allison che potesse stare male e non potevo sopportare l'idea di perderti! – continua ad urlare e quando sta zitto per più tempo del previsto, so bene che stava solo cercando le parole giuste da dirmi. – Ho provato a starti lontano. Ho provato a tenerti lontana da me per evitare che ciò che avevo visto si potesse avverare. Ti ho già visto morire una volta e sono certo che mio padre non accetterà un'altra preghiera. Non posso sopportare l'idea di perderti – dice senza smettere di guardarmi negli occhi. – E non posso neanche sopportare l'idea di starti così lontano. – Rivela, facendo qualche passo verso di me.

E le sue parole scavano talmente tanto dentro il mio corpo che non riesco ad indietreggiare. Carter è sempre più vicino e io non riesco ad allontanarmi.

- Ci ho provato, Ariel! – esclama, tornando ad alzare un po' la voce. – Ti giuro che ci ho provato per due giorni ma sapevo che non sarebbe servito a nulla. Alla fine, non sono neanche riuscito a non guardarti mentre eri a New York. – Confessa, facendomi corrugare la fronte. – Ho provato a starti lontano dopo che siamo tornati dall'impresa ma poi, sono venuto in cabina da te e.. e abbiamo fatto l'amore e mi sono reso conto di quanto sia innamorato di te e di quanto saresti stata disposta a fare pur di avermi. Pur di vedermi felice. – Si passa la mano tra i capelli ancora una volta e le lacrime continuano a pizzicarmi le guance. – E ho capito che, forse, se avessi fatto finta di non provare niente per te, tu te ne saresti andata e io avrei salvato il Campo e te. Ho chiesto ad Iride che i messaggi fossero occulti e così è stato per sei mesi. Ti guardavo nella speranza di vederti felice, nella speranza di vederti con qualcuno e col desiderio che tu mi amassi ancora. – Fa ancora un'altro passo verso di me, ed è talmente vicino che posso sentire il suo profumo: inebriante, familiare e schifosamente mio. – Mi piaceva Boris. Mi piaceva come ti faceva sorridere e come tu smettevi di pensare ogni volta che eri assieme a lui. Ma poi, ti vedevo sempre triste quando eri sola e non ce l'ho fatta più, mi sono detto che con una scusa sarei dovuto venire a riprenderti, a salvarti, considerato che avevo già capito che quella tua amica era un'Empusa. – Lo guardo come se stessi cercando un ultimo appiglio. Come se stessi cercando l'ultima possibilità per credergli e per far sì che lui mi possa stringere ancora, per far sì che lui mi possa amare ancora. – Ci ho provato, Ariel – mi sussurra, affondando i suoi occhi nei miei, prendendomi il viso tra le mani grandi, calde e sollevandolo verso il suo. – Ma alla fine, lo sai come si dice: in amore e in guerra, tutto è lecito. E tu sei sia la mia guerra che il mio amore. – Esita un secondo, serrando le palpebre e privandomi della visione delle sue iridi mentre il cuore mi batte all'impazzata nel petto, quasi volesse correre via. – Ti sto.. Dei, Ariel – ci riprova, tornando a guardarmi negli occhi. – Mi puoi perdonare? – domanda con voce flebile, accarezzandomi gli zigomi con i pollici, guardandomi le ferite al viso e al cuore che un solo tocco e qualche parola stanno riuscendo a risanare.

E per un attimo, per un attimo soltanto mi dico che si, dovrei perdonarlo. Dovrei dargli un'altra possibilità. Dovrei farmi baciare, dovrei farmi amare perché quegli occhi sono troppo sinceri.

Ma poi, mi ricordo anche della facilità con la quale mi hanno spinto via. Mi ricordo dell'odio intriso in quelle iridi castane mentre mi guardava e:”è stato solo sesso”. Rimbomba nella mia mente quasi con dispetto e mi allontano via, passandomi esasperata una mano tra i capelli.

Il cuore perde un battito quando incrocio i suoi occhi distrutti e scuoto la testa. – Io non ho bisogno di un'altra persona come te. Non ho di bisogno che qualcuno che mi ferisce e che, quando dico il mio nome pensa subito al..

- Footloose, 1984 e remake nel 2012. Ma sai, principessa, preferisco di gran lunga il remake perché Julienne Hough è molto più figa di Lori Singer.

E per un attimo, mi chiedo se possa sopravvivere a delle emozioni del genere. Mi chiedo se Carter, il sorriso che mi sta rivolgendo e gli occhi scuri che brillano possano davvero salvarmi, essere la mia ancora.

- Ho provato per una settimana a non guardarti, a non cercarti. Ci ho provato davvero, Ariel ma eri il mio pensiero fisso e i sogni non bastavano ad assicurarmi che tu stessi bene. – Si avvicina a me di un passo e i nostri petti si sfiorano, facendomi galoppare il cuore nel petto. – Quando ti ho guardato la prima volta hai torto il polso a una bionda e mi sono sentito fiero di te, sai?

Le mani grandi tornano a cingermi il viso e tengo gli occhi sbarrati immersi nei suoi. Gli stringo le dita tra le mie e gli fisso le labbra, scorrendo poi agli occhi.

- Sei la mia principessa, Ariel Miller e forse ti amo anche troppo – confessa e ringrazio che ci sia lui a sostenermi quando le ginocchia cedono. – Proviamoci – mi implora. – E se farò l'idiota, mi farò infilzare da Onda, lo prometto – aggiunge con un sorriso, facendomi ridere.

Mi asciuga gli ultimi residui di lacrime dalle guance e mi sollevo sulle punte, aggrappandomi alla sua maglietta bagnata e premendo le labbra sulle sue. E mi rendo conto, solo adesso, di quanto le labbra di Carter sulle mie mi siano mancate. Sono morbide, delicate, dolci e sempre un po' screpolate.

Quando schiude le mie con la lingua, aderisco ancora di più al suo corpo perché -cavolo- altro che ambrosia, è Carter il mio salvavita.

Sfrega il naso contro il mio e poi glielo bacio, strappandomi un sorriso.

- E comunque, sei un coglione, ma ti amo anche io.

E quando mi bacia ancora, decido di smetterla di pensare alla possibilità di soffrire, alla possibilità di non riuscire più a rialzarmi.

Io sono una principessa e le principesse ce la fanno sempre. Continuano anche con il vestito sporco e i tacchi rotti. Continuano perché è giusto che sia così, perché tutti le sottovalutano, senza sapere la forza che si nasconde dietro ad un sorriso.

E mi piace.

Mi piace essere sottovalutata perché so che riuscirò a stupire tutti. So che riuscirò a sollevarmi ogni volta perché, per una delle poche volte nella mia vita non sola.

Perché c'è Carter e, credetemi, leviatani o no, dei dell'Olimpo o mostri, io non ho intenzione di lasciarlo andare. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Oh Gesù ahahha l'ultimo "ehiiila" di questa storia e penso proprio di aver iniziato così anche l'ultimo angolo autrice di "You write.." ahahah Devo ammettere che per questa storia è un po' meno traumatico per quanto mi dispiaccia comunque. Molto a dire la verità ahahha tenfo ad affezionarmi molto ai miei personaggi ed Ariel e Carter non sono stati decisamente da meno. 
Ariel è tornata al Campo Mezzosangue e si scopre che Carter è andato a prenderla per la festaa sorpresa che le hanno organizzato ahahahha Ariel compie diciassette anni e, se il compleanno stava andando un po' male, è decisamente migliorato ahhha 
Allison è tornata. Nei capitoli precedenti si accenna a Detroit e spazio alla fantasia su quello che potrebbe esserle accaduto. Giusto una piccola precisazione, il ragazzo che parla con lei e spinge ad Ariel ad allontanarsi perché stanca di tutte quelle persone, l'ho immaginato come Tyler Posey (Scott in Teen Wolf^-^). 
Alla fine, Ariel si allontana. Va via da Percy e Annabeth che è felicissima di rivedere e Carter la segue, povero masochista. Per il carattere che avevo dato ad Ariel, ovviamente il tutto non poteva concludersi con una chiacchierata ahhaha per questo iniziano a duellare e solo quando il ragazzo è ormai esasperato, le rivela perché l'ha allontanata: ha fatto dei sogni che la vedevano morta e pur di salvarla, ha preso decisioni estreme che non è riuscito a rispettare neanche un po'. è rimasto innamorato di Ariel e anche dopo un po' di tentennamenti, la nostra protagonista decide di fidarsi di lui. 
Mi è piaciuto moltissimo scrivere questa storia e non solo perché è stata la prima che ho steso a sfondo fantasy, ma anche perché mi sono messa un po' a nudo, cercando di rappresentare tutte le principesse che non sanno neanche di essere tali. C'è chi sottovaluta la figura della principessa, chi rimane dell'idea di una principessa ancorata al passato, senza capire che, adesso, le principesse ci sono ancora: si nascondono dietro un libro, uno sguardo basso, un paio di cuffie, una risata troppo forte, un sorriso sulle labbra, magari un carattere un po' scontroso. Si nascondono dietro dei muri che non mostrano quanto sono forti in realtà, quanto sono cazzute rispetto alla matassa di teste di cazzo che popolano il mondo. Non si mostrano eppure, non crollano mai e se lo fanno, il cazzo di vestito lo puliscono dalla polvere, dalla terra e dal fango e ripartono più forti di prima. 
Ariel è nata per questo e la storia si chiama così per questo: siamo tutte delle principesse. Principesse che forse non hanno ancora capito di essere tali e che, forse, neanche si rendono conto di quanto possano essere forti, con o senza principe. 
Volevo che Ariel insegnasse a combattere e a non arrendersi perché c'è sempre una luce alla fine del tunnel, stai poi a voi decidere se sia un treno o la fine della galleria. 
Grazie mille per il sostegno, per le parole sempre dolci che mi avete rivolto ogni volta! 
Vi voglio bene, cucciole/i! 
E ci rivedremo, considerando che guardando Beauty and the Beast mi è venuto in mente un altro schizzo per la Percabeth (ovviamente Percy non sarà la bestia e Annabeth la bella perché, a quel punto, posso farmi un fosso e scomparire ahahah) 
Alla prossima!
Vi adoro, 
Love yaa<3


   



 

  
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