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Autore: _Marty01_    20/02/2015    2 recensioni
Ma forse lo avresti dovuto solo ringraziare. Perché fu solo allora che capisti cosa fosse il vero e unico dolore.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Non puoi continuare così." aveva sussurrato John quel giorno lontano mentre ti ricuciva scrupolosamente l'ennesima ferita provocatati da un colpo d'arma da fuoco che ti aveva preso di striscio sul petto.
"Eppure sto già continuando" gli avevi risposto mentre il dolore dell'ago che ricuciva la tua carne cominciava a farsi insopportabile. Avresti preferito mille volte farti sparare piuttosto che continuare con quella lenta tortura.
John sbuffò a quelle parole e cominciò a ricucire la pelle con più veemenza. Sembrava arrabbiato, fatto alquanto preoccupante se si presumeva che lui non era quasi mai arrabbiato coi suoi pazienti. Ma tu non eri un suo paziente qualunque; tu eri il suo migliore amico, in quel mondo in cui l'amicizia e l'amore non erano altro che un lontano e dolce ricordo.
"Siamo in guerra, mio caro." continuasti tu imperterrito, cos'altro avresti potuto fare? "Il dolore fa parte della guerra, più sanguini più provi dolore"
John sbuffò nuovamente, bestemmiando parole che mai avresti pensato conoscesse.
La parte peggiore di tutto quello era che tu credevi fortemente in quello che avevi detto. Credevi veramente che la parte peggiore della guerra fossero quelle ferite superficiali che ti lambivano il corpo e ti procuravano un dolore che tu credevi ben peggiore di molti altri.
"E' ti sembra guerra sovrapporsi alla linea di tiro di un tuo compagno, durante la caccia serale nei boschi, solo per evitare che quello stesso soldato, per inciso il nostro cuoco, uccidesse una specie rara che scommetto sarebbe stata una cena alquanto succulenta e finalmente commestibile per il mio stomaco!?" domandò senza tralasciare una nota di affettuoso sarcasmo nella sua voce. Un sorriso sghembo gli si allargò in viso.
Tu parvi divertito da quella provocazione e, se pur per un attimo, dimenticasti persino il dolore che ti causava il gelido ago a contatto con la carne viva. "Preferisco saltare la cena piuttosto che mandare a roghi la ricerca che segnerà la nostra vita. Sono un zoologo, John, non un soldato. Io non c'entro nulla in questa guerra." rispondesti a quell'affronto. Il vostro pareva più un gioco che altro.
Lui scosse la testa e strappò il filo dall'ago, annodandolo poi alle estremità. Si muoveva fluido e veloce sul tuo corpo, un corpo che conosceva fin troppo bene.  John ti aveva ricucito così tante ferite nella tua vita, ti aveva rattoppato così tanti buchi nel cuore, squarci che ancora non sapevi di avere.
"Eppure, adesso, sei qui, Dylan. Sei qui a parlottare con me sul più e del meno e a rischiare la vita per un pollo raro, mentre al di fuori di questa tenda vi è in atto una guerra che pare non avere fine. Sei qui a fare il soldato, alla pari di tutti gli altri. Alla pari di me."
Quasi scoppiasti a ridere a quelle parole. Se c’era una cosa che John non sapeva fare, era il soldato.  "Era una vene poetica quella, John?" Ma lui non parve divertito a quell'espressione. Parve; perché, infine, lo era. Solo che non lo dimostrava. Vi fu un attimo di silenzio, attimo che John colse per lavare l'ago con l'acqua putrida di cui disponevate voi soldati. La scrosciante melodia delle gocce che si infrangevano al suolo era l'unico dei tuoi pensieri.
Aspettavi con impazienza una risposta da parte sua, desideroso di continuare la vostra conversazione. Parlare con lui era così... così... così vero. Era essere se stessi e non vergognarsene. Ma quello non eri te. Quella era la parte più grande di te, quella che avvolgeva il tuo cuore in una prigione di roccia, evitando che la tua metà dolce e desiderosa di un amico, desiderosa di attenzioni, venisse a galla.
"Allora? Provato dolore?" ti domandò ad un tratto John , penetrando in quel muto silenzio. Sapevi che ti stava prendendo in giro, sapevi che non era cattivo, sapevi che ogni ripicca che ti faceva e che tu facevi a lui era solo la prova incommensurabile di una amicizia solida e duratura. E ne eri felice. Perché quella era vera amicizia, vero amore fraterno e reciproco.
"Dolore? Intendi per caso quel fastidiosissimo solletico che provavo mentre mi ricucivi la ferita?" sogghignasti "Se è quello allora sì. Ho provato il più grande dolore della mia vita."
John ti fissò di sbecco, ma senza riuscire a trattenere un fugace sorriso. "Posso sempre cucirti qualcos'altro."commentò il dottore.
"Ad esempio?" ribattesti.
Lui ti puntò l'ago contro. "Che ne dice della bocca?"
"Non ci penso neanche"
"Salverei l'umanità da una fine orribile" Rise. E tu con lui. John, allora, si sedette al tuo fianco e portò i suoi occhi all'altezza dei tuoi. Aveva due occhi così belli... Ricordi? Azzurro cielo, venati di blu elettrico e contornati da un'aurea celeste.
Ti fissò a lungo, contemplando la tua immagine. Poi sollevò la punta delle labbra in un effimero sorriso e ti augurò una serena notte.
Non sospettava ancora che quella sarebbe stata una delle ultime che avreste passato insieme.


§

 
Accadde tutto pochi giorni dopo. Le urla, i cannoni, gli spari. Eri abituato all'odore del sangue fresco che si spargeva quotidianamente in guerra; eri abituato alle urla lancinanti di dolore che ogni giorno assistevano ai tuoi sogni. Ma niente ti preparò a questo.
Eravate entrambi lì. Tu e John. John e te. In prima linea su un fronte che non era il vostro. Tu la conoscevi, la guerra, avevi imparato ormai a non fare caso a ciò che era. Ma lui no. Lui non sapeva. Lui non era te. Lui curava le persone, non il contrario. Lui era il Dottore, non la morte. Non avrebbe dovuto neanche trovarsi lì. Perchè era lì?
E tu avevi paura. Anche se non lo ammettevi, avevi paura. Paura di perderlo.
Al primo colpo di cannone fu tutto disordine e caos. Avevi la mitraglietta in mano,ma non la volevi usare. Ti limitavi a puntarla verso i soldati e sperare che il tuo sguardo facesse il resto. Non volevi, ma alla fine dovevi. La gente non è tutta uguale. In guerra tutto è concesso.
Gli spari facevano eco nelle tue orecchie ma niente poteva contrastare con le urla degli amici, dei nemici. La morte, come una cupa mietitrice, alleggiava candida nell'aria.
"HA!" urlò ad un tratto John. E poi altre bestemmie uscirono dalle sue labbra secche. Tu ti voltasti in direzione di quell'urlo quasi disumano. E lui era lì, con i rivoli di sangue che colavano lenti dalla sua spalla. Rivoli che poi si trasformarono in una gigantesca macchia rossa e letale. Fu allora che agisti. Lo afferrasti di peso e lo trascinasti lontano da lì, dove sarebbe dovuto sempre essere stato: in infermeria a curare i soliti reduci della guerra. Non ti importava quanto scalciasse, quanto si dimenasse, quanto ti offendesse con le sue parole taglienti come la carta sottile.
"Dylan..." sussurrò ad un tratto. "E' troppo tardi..."
Nessuno potrebbe capire il significato di quelle tre parole per te. Nessuno avrebbe mai compreso cosa volesse dire vedere la persona a te più cara svuotarsi della propria vita. Era un misto tra tristezza, rabbia, odio, incredulità e altre mille emozione che non hanno neanche un nome, da renderla impossibile da descrivere.
"No. Non parlare. Ti porto in infermeria." sussurrasti. Era solo colpa loro.
Loro? Ma loro chi? Perché incolpare uomini che stavano compiendo soltanto il proprio dovere. Era la guerra. Quella era l'unico Loro. L'unica causa di tutto quello.
Un colpo ti prese di striscio su una gamba, mentre, un altro, indirizzato a John, ti sfiorò l'orecchio e, come un tuono, sovrastò su tutto il resto. Era come avere mille tamburi in testa e non sentirli.
Continuasti lo stesso a correre, non curante della stanchezza che cominciava a farsi sentire e del dolore alla gamba ferita. Dolore... Era quello il dolore? Perchè se quello era dolore, allora cos'era quell'ago pungente dal dolore di mille lame che ti facevano sanguinare il cuore e svuotarlo da ogni battito?
"Dylan..." la sua voce era quasi impercettibile a te. E, il suo viso, non era altro che una maschera di sofferenza. "Sono io il dottore."
Tu lo deposi dolcemente a terra, mentre, un senso di impotenza si faceva pian piano strada in te. Impotenza contro la morte, impotenza contro il destino, impotenza contro la stessa vita. Una vita che non poteva esistere senza di lui.
John sorrise e, con le sue ultime forze, si avvicinò al tuo viso e lì posizionò le sue labbra, fredde e tremolanti, sulle tue.
Era... era un bacio... Quello? Un bacio vero?
"E ho giá fatto la mia diagnosi" concluse biascicando le parole sulla tua bocca. -No! - avresti voluto sussurrare. -Ti prego! - avresti voluto dire. - John! -avresti voluto urlare. Le sue labbra avresti voluto baciare.
Ma non riuscisti a fare nient'altro che rimanere a guardarlo morire. Il sangue cominciò a uscire più lento dalle sue vene. Ma tu non riuscivi a pensare a nient'altro che hai suoi occhi azzurri e all'immenso calore sulle tue labbra.
"S-s-scu-sa-mi... i-io..." balbettò lui. Così solo, così impacciato. No. Eri tu quello solo. E lui era il tuo tutto. Lui aveva scelto te a il resto.
"Ssshhh..." sorrisi, e lui sorrise con te. Poi il suo corpo si fece pesante e il petto cessò di sollevarsi e abbassarsi a ritmo del suo respiro. Un vuoto si creò nel suo cuore e un altro vuoto si creò nel tuo.
E tu urlasti, un urlo disumano, un urlo senza voce, un urlo muto. "John..." balbettasti fra lacrime amare. Lacrime che prima non ti eri accorto di versare. Lacrime che si mescolavano al suo sangue che ti sporcava il viso, che ti macchiava le mani. Sangue che bruciava come fuoco sulla tua pelle.
Non sarebbe mai dovuta finire così, mai. Non poteva finire così. Ma forse lo avresti dovuto ringraziare. Perché fu solo allora che capisti cosa fosse il vero e unico dolore.
   
 
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