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Autore: Marti Lestrange    20/02/2015    2 recensioni
[The Secret History]
{The Secret History - Donna Tartt - SPOILER SUL FINALE}
Piccola OS scritta qualche mese fa, in occasione del compleanno di mia sorella, e che tiro fuori dal cassetto solo ora, quasi per gioco.
Dal testo:
"Seneca scriveva che anche vivere é un atto di coraggio.
Ogni giorno, quando ci svegliamo il mattino e torniamo nel mondo, è un po' come nascere - di nuovo. Come una piccola vita che emette il suo primo vagito, emergiamo dal nostro subconscio, da quella parte di noi che si attiva soltanto nei sogni. E, ad ogni nuovo risveglio, ogni giorno in questa vita, noi combattiamo. Siamo vivi e combattiamo.
O almeno dovremmo."
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come ho specificato nell'introduzione, ho scritto questa shot a novembre, per il compleanno di mia sorella. Ho deciso di tirarla fuori dal cassetto solo ora, quasi per gioco - e Alice sa a cosa mi riferisco. Premetto che non posso neanche lontamente paragonarmi alla splendida Donna Tartt e che per me quel libro è stato come una rivelazione, ma spero davvero possa piacere almeno un pochino a tutti quelli che si avventurano nella sua lettura.
Sono presenti spoiler sul finale, siete avvertiti.
Buona lettura!





Fino alla fine
 
 
 
Seneca scriveva che anche vivere é un atto di coraggio. 
Ogni giorno, quando ci svegliamo il mattino e torniamo nel mondo, è un po' come nascere - di nuovo. Come una piccola vita che emette il suo primo vagito, emergiamo dal nostro subconscio, da quella parte di noi che si attiva soltanto nei sogni. E, ad ogni nuovo risveglio, ogni giorno in questa vita, noi combattiamo. Siamo vivi e combattiamo. 
O almeno dovremmo. 
 
 
*
 
 
Durante i primi tempi dopo la morte di Bunny - l'omicidio di Bunny - tutto ciò che contava per noi era che venisse trovato - che il suo corpo freddo e morto e vuoto venisse finalmente scovato e portato alla luce. Volevamo che il mondo sapesse perché, quando finalmente tutti avrebbero saputo, allora per noi ci sarebbe stata la pace. Eravamo degli illusi e io ho contribuito a tenere in piedi lo scenario di carta che ci eravamo costruiti intorno e che era destinato a crollare, ma che noi credevamo solido come marmo. Illusi. Patetici illusi.
 
Anche dopo il ritrovamento, anche dopo il funerale, la pace non arrivava. E soltanto dopo che un pezzo della nostra vita se ne andò per sempre con quella di Henry, ho capito che la pace non sarebbe arrivata mai. Almeno non per me.
 
Insieme ad Henry ho lasciato alle spalle anche Charles. Ho archiviato i ricordi dei nostri incontri in un remoto angolo della mia mente e solo ogni tanto tornano a farmi visita, fantasmi inconsistenti che mi porterò dietro per sempre, come una maledizione o una condanna. Ho capito che non riuscirò mai a fuggire da Charles e da ciò che ha rappresentato per me. Un'altra cosa che ho capito è che, come Bunny, come l'Hampden College e Julian e gli studi di greco e le notti nei boschi, Charles appartiene ormai al passato. Andato. Mai dimenticato ma ancorato ad un altro Francis - ad un'altra parte di me. 
 
In tutto questo, credo che Richard abbia costituito una costante. 
Credo anche di essere stato profondamente cieco, tanto cieco da non accorgermi che la soluzione era lì, a pochi passi, stagliato nitidamente contro la carta da parati di casa Macaulay, lui e la sua giacca di tweed lisa nei gomiti. 
Richard Papen.
 
 
*
 
 
Ci siamo incontrati dopo molto tempo, a New York. Faceva freddo e, senza nemmeno parlare, siamo andati a prendere un caffé in un piccolo bar elegante nell'Upper East Side, accanto al mio appartamento. 
Richard era bellissimo. Sorrideva molto spesso e io parlavo poco. Mi ha raccontato della sua laurea in letteratura inglese ad Hampden, della sua storia - conclusasi malamente - con Sophie, delle sue speranze disattese su Camilla. Sarei rimasto ad ascoltarlo per delle ore. Nessuno dei due ha mai accennato a Bunny. O a Henry. 
 
È bastato che allungasse le sue dita e stringesse la mia mano - dopo i miei miserevoli racconti di vita affumicata e pretenziosa e vuota - perché tutti i sentimenti provati per lui mi si riversassero addosso. È stato come aprire una diga. 
 
«Dio se mi sei mancato» ho sussurrato sulle sue labbra mezzora dopo, a casa mia, mentre lui mi sfilava la camicia e accarezzava il mio petto. 
«Da quando in qua citi Dio, Abernathy?» mi ha chiesto poco prima che io lo spingessi sul letto. «Dio è un'illusione. Non lo sai?»
 
 
*
 
 
La mattina dopo, le lenzuola erano fredde di un corpo mancante, di pelle scoperta e gemiti e membra intrecciate. Erano fredde di Richard. 
 
Dentro di me, sapevo che tutto quello che avevamo avuto sarebbe durato giusto una notte, una parentesi dai contorni onirici ma talmente reali da ferire, affilati come coltelli conficcati nell'epidermide. Faceva male, eppure sorridevo.
 
Mi ricorderò per sempre quella notte: i baci profondi, le dita intrecciate e le mie labbra a sfiorare la sua pelle, a baciare il suo corpo - dappertutto. E, se ogni mattina è come rinascere, era un Francis diverso quello che è tornato nel mondo. 
 
Adesso capisco che Seneca aveva ragione. E anche Richard.
«Ho capito che dobbiamo vivere, Francis. Nonostante tutto ciò che abbiamo passato, dobbiamo combattere. Altrimenti che senso avrebbe andare avanti? Potremmo porre fine alla nostra esistenza in un battito di ciglia, lo sai? Solo così daremmo un senso a ciò che un senso non ha. E invece siamo ostinati. E lo sai perché? Perché siamo vivi, Francis. Siamo. Vivi. E allora combattiamo. Fino alla fine.»
 
Fino alla fine, Richard.
   
 
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