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Autore: Harryette    21/02/2015    1 recensioni
In queste stanze capovolte senza un senso e in questi pezzi di sospiri che ricordano qualcosa che è stato, io ti ritrovo ogni singolo giorno della mia vita.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'I dubbi dell'esistere'
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Che la vita esiste


Ci ho pensato e scelgo la vita.
Scelgo la vita quando ti sento sotto il cappotto aperto, quando l’acqua fredda brucia la pelle e anche e perfino quando le lamette affilate accartocciano le squame del mio cuore. I treni corrono disperati e fendono la nebbia, noi che ci siamo e poi chissà. Chissà se ho sognato tutto sotto le coperte marroni o se tu eri lì vicino, gli anelli che scavano la carne come penne su pagina bianca. Ci siamo persi e ritrovati, l’alta marea sempre presente e tu assente pur essendoci. Forse avrei dovuto immaginare le pieghe del libro imperfetto che eravamo diventati e cercare di salvare il salvabile pur non salvandoti.
Che si arriva ad un punto in cui mi chiedo se non sia stato tutto nella mia testa, il tuo respiro che si confonde con pioggia e i polpastrelli bruciati e ruvidi che comprendono e scavano e trovano – forse?

Le mattine si alternano come su una giostra ammaccata, che la tua pelle la ricordo ma non riesco proprio a riviverla. Mi spaventa la prospettiva di una notte nera che piega il desiderio, il bicchiere che mi cade e si rompe e mi ricorda te e come ti rompevi. Di rimettere insieme i pezzi non ne siamo mai stati capaci, con i sorrisi che ricordano la grandine e le braccia ampie quanto i monti Urali, quella stella che brilla costantemente in cielo e mi dà memoria. Penso si arrivi ad un punto, dopo aver vomitato delusioni, in cui ci si sente una goccia nell’oceano. Il tuo sorriso che continua a fingere anche se contrario, le spalle ricurve per il peso dell’ossigeno e i chilometri oceanici ed insormontabili ed insopportabili. Avrei dovuto essere più decisa, più ostinata, ma non mi vieni a prendere nemmeno adesso nella tua macchina rotta come la luna e allora – dimmi un po’ – che senso ha? Le unghie come menti, queste che si accartocciano su se stesse, io non voglio ricordarti perché, sì, ci ho pensato e scelgo la vita.
La scelgo anche quando piango cristalli, quando sei ovunque meno che dove dovresti – non ti sembra assurdo? – quando riesco a rivivere ma preferisco non farlo perché dilania come il caffè alle tre del mattino. La tua ombra proiettata sul muro di scuola è sempre la stessa da millenni, l’arcata del tuo collo come spicchio di luna di giorno, eppure mi domando come tu faccia a non sentirti scomparire. Io la vedo, la mia ombra, proiettata da qualche parte ma pur sempre non vicina alla tua, e mi spavento perché non voglio essere un’ombra. Mi hai chiesto, una volta, quale fosse la mia paura più grande. Attraverso i vicoli di verità buie e all’interno di gironi infernali e gelidi, dove piove per sempre, adesso riuscirei a risponderti. Ho paura degli specchi rotti, quelli che sogno davanti ai tuoi occhi cangianti di notte, ma non per la sfortuna o il destino avverso. Non ci credo, nel fato, non credo che sia tutto già scritto e preferisco non farlo, altrimenti la notte mi farebbe davvero paura. L’orologio segna le quattro, mi sorprendo a pensare che anche il tuo deve segnare la stessa ora solare, e allora qualcosa in comune lo abbiamo ancora in queste case troppo piccole e in questo mondo così grande. Ho paura degli specchi rotti perché mi vedo riflessa in ogni pezzo, perché mi sembro ancora più distrutta di prima, perché tu rideresti e poi chissà – quando?
Ci ho pensato e scelgo la vita, perché sopravvivere mi distrugge come conchiglie sulla sabbia e io non voglio corrodermi più né rischiare che qualcuno lo faccia. In queste stanze capovolte senza un senso e in questi pezzi di sospiri che ricordano qualcosa che è stato, io ti ritrovo ogni singolo giorno della mia vita. Forse è questo l’amore – oddio, che paura! – eppure mi scivola addosso come granelli di una clessidra troppo stanca per smettere di passare.
Che non so dove sei, lontano anni luce nella porta accanto, sperduto in una galassia che dista un millimetro, disperso nel mondo di tre passi più in là, e io ho scelto la vita. Ho scelto la vita perché sei sempre distante quando la distanza è minima e sempre indifferente quando le sensazioni sono doppie, e anche perché devo andare avanti in qualche modo – come?
Convincersi che è così che doveva andare non mi conforta, ma mi fa riflettere. A volte basterebbe un passo per raggiungerti, ma penso che sia meglio così dopotutto, nascosti da queste maschere invisibili che abbiamo costruito con il vento.
Tu non hai paura della tua ombra?
  
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