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Autore: Marty Evans    21/02/2015    0 recensioni
Dimenticate tutto quello che sapete di Doctor Who dal episodio 5x01.
Cosa sarebbe successo se per Amy Rory fosse stato solo un ricordo della sua vecchia vita a Leadworth? Cosa sarebbe successo se il Dottore avesse scoperto che durante il processo di rigenerazione, un anima umana si era infilata dentro di lui e abitava il suo corpo? Chi è quest’anima? Perché ha scelto proprio il corpo del Dottore? Perché pare che quest’anima sia connessa e legata ad Amy, al suo destino, al suo misterioso passato e ai suoi terribili incubi? Cosa rappresenta il ciondolo che Amy ha al collo fin da bambina? Come mai Amy e il Dottore iniziano a provare una forte attrazione l'uno verso l'altra?
Una mia rivisitazione della 5 stagione. Questa storia è uno Spin-off della mia serie su Lily Evans e i Malandrini. Cosa lega questi universi completamente diversi?
Eleven/Amy
Crossover:Harry Potter/Doctor Who
Leggete e per favore recensite!
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Amy Pond, Doctor - 11
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21
Strane coordinate e incontri bizzarri

NDA Salve? c'è ancora qualcuno che segue questa storia?  se si, sappiate che sono viva e se volete linciarmi ed uccidermi ne avete tutto il diritto. mi dispiace di aver tardato ben cinque mesi, ma la scuola mi ha ucciso. Se c'è ancora qualcuno che mi segue per favore mi dia il suo parere.  Solo per sapere se la storia vi piace e questo mio modo, come avevo già preannunciato qualche mese fa di cambiare storyline ad ogni capitolo e di unirle non è troppo confuso. Questo è il mio primo esperimento  di questo genere. infatti non ci saranno Amelia Pond Eleven e James Potter in questo capitolo ma Ten! Che amo e che mi mancava troppo pe rnon inserirlo. Perciò si è un esperimento, ma mi piacerebbe mi diceste se questa alternanza  di storie (nel prosimo capitolo tornerà il nostro trio non temete)  vi piace. Vi lascio alla citazione e al capitolo, Ci vediamo sotto.

 

«C’è una verità universale che dobbiamo affrontare: che  lo vogliamo o no, tutto quanto arriva a una fine. E malgrado aspettasi con ansia questo momento, non ho mai amato gli epiloghi. L’ultimo giorno d’estate, l’ultimo capitolo di un bel libro, allontanarsi da un caro amico, ma la fine è inevitabile. Arriva l’autunno, chiudi il libro, dici addio. Oggi è uno di questi giorni per noi. Oggi diciamo addio a tutto quello che ci è famigliare, a tutto quello a cui eravamo abituati, andiamo avanti. Nonostante questo ci faccia male, è ora di voltare pagina. Malgrado ciò, ci sono persone che fanno talmente parte della nostra vita, che saranno presenti, ovunque andremo. Sono il nostro punto di riferimento, la nostra stella polare. Sono... quelle piccole voci dentro il nostro cuore, che rimarranno con noi.. per sempre.»

[Alexis Castle IV ep 23]

 
Londra Novembre 2009

POV Doctor 10

Quella sera, a Londra, la pioggia cadeva fitta e copiosa, ma non volevo rimanere in quella casa un minuto di più, non avrei potuto sopportarlo. Non volevo scoppiare a piangere lì Perché era quello che ero tentato di fare, mi veniva da piangere; per Donna, per averle rovinato la vita, per averle preso i ricordi delle nostre avventure, per non averle potuto restituire tutto, per non aver potuto mostrarle tutto ciò che volevo fare vedere.
L’avevo portata insieme a Willfred nella sua stanza. E poi ero rimasto li, a fissarla dormire, la mia povera Donna Nobble.
Dormiva con le mani giunte sullo stomaco, i lisci capelli rossi sul cuscino, il viso disteso in un‘espressione pacifica. Sapevo che appena si fosse svegliata non avrebbe serbato più alcun ricordo di me. E sapere che ero stato io stesso a cancellarle la memoria, mi riempiva di dolore. Perché? Mi chiesi per l’ennesima volta. Perché rovino tutto quello che tocco?  Prima Rose, poi Martha, e ora Donna. Perché sono riuscito a rovinare la vita a tutti? Fu questo che pensai rimanendo in piedi di fronte al letto di Donna.
 Poi con gli occhi lucidi diedi le spalle al letto, e mi chiusi la porta alle spalle. Mi accomodai su una poltrona nel soggiorno di casa Nobble, davanti a me c’erano Willfred e sua figlia Sylvia.
«Ha ospitato la mia mente nella sua, ma era la mente di un Signore del Tempo, tutta quella conoscenza la stava uccidendo.» spiegai.
«Ma starà meglio adesso?» chiese Willfred guardandomi preoccupato.
«Ho cancellato i suoi ricordi totalmente. Ogni traccia, di me, del TARDIS, di qualunque cosa fatta insieme, di qualunque viaggio, è sparita.» dissi tristemente.
«Ma...quelle magnifiche cose che ha fatto...» iniziò a dire Willfred
«Lo so,»  dissi con voce piatta. «ma, quella versione di Donna è morta.» dissi sopratutto per convincere me stesso.
Mi sporsi in avanti sulla poltrona, guardando le persone di fronte a me e giungendo le mani in grembo.
«Perché se dovesse  ricordare, anche per un solo istante, lei ne morirebbe. Non gliene dovete parlare. Non dovete menzionare me in nessun modo, per il resto della sua vita.» avevo detto. Quelle parole mi ferivano mentre le pronunciavo. Non farmi ricordare da lei, in nessun modo, ricordarla da solo... era insopportabile, ma per salvarle la vita avrei fatto questo ed altro.
«Ma tutti non fanno che parlare di questo! Non parlano che di come abbiamo attraversato lo spazio!» disse indignata Sylvia Nobble.
«Sarà solo un racconto, uno di quelli in cui Donna Nobble si perde sempre tutto.» dissi ricondannandomi, della Donna che si perdeva sempre tutto e che si sarebbe persa anche me alla fine.
 «Ma stava meglio insieme a lei!» protestò Willfred sull’orlo delle lacrime.
«Non dire così!» lo rimproverò sua figlia.
«No, è la verità!» ribatté il vecchio Will.
«Voglio solo che sappiate, che ci sono tanti mondi li fuori, sicuri nel cielo, sopratutto grazie a lei. Ci sono persone, che vivono nella luce... e che cantano canzoni di Donna Nobble, a centinaia di migliaia di ani luce da qui... non la dimenticheranno mai. Ma lei non potrà mai ricordarli.» dissi con la voce incrinata e rotta dall’emozione e dal dolore.
«E per un momento, per uno splendido momento ... è stata la donna più importante dell’Universo.» dissi con voce ancora più rotta minacciando il pianto.
«Lo è ancora. Lei è mia figlia.» disse con orgoglio Sylvia Nobble.
«Allora forse dovrebbe dirglielo un po’ più spesso» ribattei un po’ più acido di quanto in realtà volessi essere.
Poi l’avevo vista, Donna Nobble era arrivata strillando dalla sua stanza.  «Cosa ci faccio sul letto vestita come una ragazzina?! Perché nessuno mi ha detto niente?!». Un sorriso triste m’incurvò le labbra, non l’avrei mai più sentita urlarmi contro inviperita, ne chiacchierare su qualsiasi argomento, riempiendo i silenzi con chiacchiere senza senso. Povera Donna! Non sarebbe mai più stata la stessa, le avevo rovinato la vita.  E non sapevo come rimediare. Non resistetti alla tentazione e le parlai.
«Salve io sono John Smith» mi presentai. Lei mi guardò un attimo, gli occhi verdi erano spenti e non si fermano su di me che per un minuto. Mi resi conto che sì, lei mi aveva dimenticato.

Era quello che volevi no? Mi disse una vocina irritante nella mente. Poi il suo sguardo passò oltre, come se non mi vedesse.

Mi strinse la mano che le porgevo con sbadataggine, per poi concentrasi di nuovo sul suo cellulare.
«Il Signor Smith sta andando via» disse con freddezza sua madre.
«Ah» disse con noncuranza per poi continuare: «Vinny è impazzita! Mi ha mandato 33 messaggi! Sostiene di aver visto pianeti! Pianeti, sé! Che cosa mi sono persa sta’volta?» chiese poi, portandosi il telefono all’orecchio e andando verso la cucina.
Ma certo, mi dissi non ero niente di speciale per lei ora.  Era solo un uomo normale. Non più il suo amico, non più il suo compagno di avventure, non più il Signore del Tempo ma John Smith un normale umano. Mi alzai dal divano con fatica, come se di colpo sentissi il peso dei miei 903 anni, d’età.  Costrinsi le gambe a muoversi, ad andare verso la cucina, e a chinarsi per salutarla, un’ultima volta, solo per un ultimo addio.
«Allora io vado» dissi a Donna, lei non mi guardò nemmeno.
 Mi rispose solo cin un «Ah si! Salve!». Disse per poi riprendere a ciarlare con il telefonino incastrato tra l’orecchio e la spalla.
 Mi voltai e a passi lenti percorsi il piccolo appartamento dei Nobble a Chiswick. Aprii la porta d’ingresso e iniziai a incamminarmi sotto la pioggia battente.
«Dottore aspetti!» mi richiamò Willfred Mott, il nonno di Donna. Io mi voltai verso quel vecchio così pieno di vita e di curiosità, lentamente.
Indicai la pioggia. «Disturbo atmosferico! Ma passerà! Tutto passa.» conclusi tristemente.
«Ti saluto Willfred!» dissi in tono cortese voltandomi e iniziando a camminare verso il TARDIS.
«Dottore, che cosa ne sarà di lei? Chi le resta? Voglio dire... tutti quei suoi amici... » mi chiese Willfred angosciato.
«Loro hanno tutti qualcun’altro. Ma va bene così. Io sto bene.» risposi con una calma e una tranquillità che non so da dove venissero.
«Penserò io a lei, Dottore» mi rispose Willfred.
«Non dovrai mai rivelarle niente.» lo avvertii pensando che si stesse riferendo a Donna.
«No, no, no! Ma tutte le sere, Dottore, quando farà buio, e usciranno le stelle, guarderò il cielo anche per Donna. Io guarderò il cielo e penserò a lei.» disse Willfred solennemente.
«Grazie» risposi commosso. Mi avviai verso il TARDIS.

Mi voltai ancora una volta verso quella villetta a schiera, con il prato all’inglese ben curato, simile a tutte le altre, dalla parte opposta della strada. Una casa banale, ordinaria, in un quartiere banale e ordinario di Londra, ma dove abitava la persona più speciale dell’universo.  A volte in un mondo ordinario capitavano persone straordinarie. Pensai, mentre la pioggia mi colpiva il viso e mi annebbiava la vista. Rientrai nel TARDIS, la consolle era silenziosa, mi aspettava anche lei muta nel suo dolore. Avviai il TARDIS e mi smaterializzai, andai via da quella strada ordinaria, in quel quartiere londinese, forse per non tornarvi mai più.  Gettai la giacca in un angolo, rimasi in piedi, a fissare il TARDIS con la camicia fradicia, per poi prendermi la testa tra le mani e iniziare a piangere. 

Ed ecco come finisce sempre alla fine. Eccoci qui di nuovo. Pensai guardando il TARDIS. Tu ed  io vecchia mia, di nuovo soli.  Resto sempre solo alla fine. I miei amici hanno tutti qualcuno. Sarah Jane Smith ha suo figlio, Jack Harkness, il buon capitano, ha il Torchwood e la sua squadra.  Mickey  Smith ha la sua vita. Martha Jones ha la sua famiglia. Rose ha me e la sua famiglia.  Io avevo Donna ma... ora.. io le ho cancellato i ricordi perciò.. 
Sono di nuovo solo. Solo, vecchio e stanco Dottore. Era in questi momenti che pensavo che non l’avrei mai fatta, che i Time Lords vivevano troppo a lungo.  E poi tutt’a un tratto il TARDIS, si avviò da solo e iniziò a ruotare.

«Ma che cosa..?»  chiesi, aggrappandomi ai comandi. I comandi erano impazziti, stavo andando alla deriva, e malgrado cercassi freneticamente di sbloccarli, non ci riuscivo. Fui sbalzato indietro, caddi, battei la testa e rimasi privo di sensi.
Quando ripresi conoscenza il TARDIS, si era fermato e sullo schermo erano comparse strane coordinate. Coordinate mai viste prima. Mosso dalla curiosità, feci un’analisi del circondario. L’atmosfera era simile a quella terrestre e l’anno era il 2750, a giudicare dalla data sul cronografo. Ero atterrato su in pianeta sconosciuto simile alla terra. Il TARDIS mi aveva portato lì per un motivo. Quale però? 

***

Uscii e aprii le porte del TARDIS, mi trovavo in un vicolo, di una città L’asfalto era sporco e il TARDIS era nascosto tra due palazzi di mattoni fatiscenti. Usci sulla strada principale. C’era un lungo viale, che però era deserto.  C’erano sol alcune persone che pattugliavano la strada. L’unico altro essere umano che camminava per la via, oltre ai poliziotti, era una ragazza. Aveva sì e no diciannove forse vent’anni. Era piuttosto minuta. Camminava in fretta, come se temesse di essere seguita. La guardai dall’altra parte della strada.  Era alta più o meno 1.57, aveva la pelle pallida, chiarissima.  Gli occhi sembravano scuri e i capelli erano mossi e lunghi fino a meta schiena. Camminava spedita, e i tacchi dei suoi stivali ticchettavano nel silenzio della via. Aveva qualcosa di famigliare quella ragazza, qualcosa di strano, qualcosa che mi ricordava alcune persone cui non pensavo da qualche tempo.

 

***

 Francis Harper raccolse la sacca negli spogliatoi della palestra, se la mise in spalla, salutò le sue compagne di allenamento e uscii nell’aria gelida di novembre.  Era umido quel giorno e grigio come tutti i giorni che aveva trascorso li, da quando era arrivata a Londra quattro  anni prima.  Non che le mancasse il Galles, per niente.  Okay, si forse il paesaggio gallese era più bello di quello londinese, ma a parte quelle distese di pascoli verdi cosa c’era per  lei in quella casa a 20 km da Cardiff? Niente, assolutamente niente. Sua sorella era emigrata in Germania e ora lavorava in una fabbrica a Berlino. Dal canto suo, Francis andava a trovare i suoi genitori tutte le volte che poteva, quando gli impegni al college glielo permettevano, ma non pensava a tornare.  Era a Londra ormai, non sarebbe tornata indietro per nulla al mondo. Nonostante tutte le sue difficoltà, a Londra si stava laureando, aveva scoperto uno sport in cui era brava: la Scherma, aveva delle buone amiche e con tutta probabilità anche un lavoro non appena si fosse laureata in Letteratura Inglese. Raggiunse l’auto stringendosi nel cappotto. Aprì la sua piccola ma confortevole BMW scassata.  Sapeva che secoli prima quelle auto erano auto sportive. Ora invece, le BMW erano solo delle auto. Solo le classi sociali meno abbienti possedevano ancora l’auto, tutti gli altri volevano con speciali aerei chiamati Zeppelin, che però non assomigliavano per niente a quelli del XX secolo. Erano dei Jet che però non inquinavano, visto che l’umanità aveva finalmente capito  che i pianeti si surriscaldavano,e esistevano cose come l’effetto serra, anche se quella era una colonia umana ed erano su una nuova Terra. Francis si chiese per l’ennesima volta, se la vera Terra somigliasse almeno un po’ al pianeta dov’era nata. Apri la portiera e s’infilò nell’abitacolo, mise la borsa sul sedile del passeggero e quella da palestra sul sedile posteriore. Stava per infilare la chiave e accendere la macchina quando la suoneria del suo tablet interruppe i suoi propositi. La suoneria era una vecchia canzone della Terra Originale di cui non sapeva il titolo, ma che le piaceva.  Cercò freneticamente in borsa il piccolo tablet, che aveva preso da un paio di secoli il posto del cellulare, poi se lo portò all’orecchio.
«Pronto?» chiese, anche se aveva riconosciuto dall’ologramma della persona sul tablet che si trattava di Martine, una delle sue più care amiche. Udii la voce squillante dall’altro capo della linea.
«Ciao,  scusa se ti disturbo, Francis, ma purtroppo non possiamo andare al cinema. Aye lo so che c’eravamo messe d’accordo, ma ne avrò per un po’ in ufficio, stato di emergenza»
Martine Hastings l’aveva conosciuta appena arrivata a Londra, in un caffè e da allora avevano costruito una splendida amicizia. La ragazza aveva quattro anni più di Francis e aveva frequentato la sua stessa facoltà. Solo che quand’era uscita un anno prima, il Sistema aveva deciso di spedirla al centro controllo di Londra. Il Sistema era quello che alla fine dei percorsi di studio decideva in quale ambito eri più utile alla società e non potevi protestare o discutere sulla decisione, quelli che lo facevano.... beh sparivano. Anche se Francis proprio non riusciva a capire come una persona come la sua amica potesse essere finita li, con la sua creatività.
 Sperava con tutto il cuore di non avere la stessa sorte.
«Che tipo di emergenza?» chiese.
La persona dall’altra  parte della linea produsse un tipico «Mmph» scozzese, che diceva e ribadiva  ancora il suo patriottismo ossessivo. Staccò un attimo il viso dal ricevitore a quanto pareva per urlare alla sua odiosa collega di lavoro Vaiolet, qualcosa che assomigliava a un: «Fatti, gli affari tuoi strega!» in gaelico in modo che questa non potesse capire. La conoscenza del gaelico scozzese di Francis era notevolmente migliorata nei quattro anni trascorsi insieme a Martine. Francis, conosceva solo il gaelico gallese, quando era arrivata a Londra. Però, grazie all’ossessivo  attaccamento di Martine alle sue origini scozzesi aveva iniziato non solo a capire il gaelico scozzese, ma ora era persino in grado di sostenere una conversazione in gaelico, con un po’ di difficoltà certo, ma ci riusciva. Finalmente la sua amica riprese a parlarle.
«Scusa, non la sopporto più. Dicevi?» chiese.
«Qual è l’emergenza che ci impedisce di vederci?».
«Oh aye! L’emergenza è una cabina»
«Una cabina?! Che cosa? Scherzi?»
«No, non scherzo ionmhainn*.  E Aye sono seria. Hai presente quelle cabine telefoniche che si vedono sui libri di storia a scuola?»  Francis  non riusciva a capire dove volesse andare a parare con quel discorso.
«Sì, ma cosa centra con l’emergenza?»
«Che cosa penseresti se ti dicessi che l’emergenza è una cabina telefonica blu della polizia inglese, e che risale a otto secoli fa?».
« Penserei che è un pezzo da museo allora, e dovete consegnarla al British. E poi le cabine telefoniche non erano rosse?».
« Si erano rosse ma, non è questa la cosa più strana; da quella cabina è uscito un uomo Francis! Non scherzo!»
«Un uomo?» chiese la ragazza curiosa.
«Aye dobbiamo  controllare che sia umano»
 Da quando l’umanità aveva iniziato a esplorare lo spazio e a colonizzarlo, le Nazioni avevano cooperato insieme affinché tutte le razze vivessero in pace. Nonostante ciò i cosiddetti “alieni” erano percepiti come qualcosa di diverso. Per farla breve, la pace che regnava tra gli umani e le altre creature era più una pace cartaginese* che altro. Gli alieni erano considerati una minaccia dalla maggior parte della gente, sopratutto quelli che somigliavano agli umani.
 Francis sospirò, se dovevano cercare, verificare chi fosse quel tizio e registrarlo ci avrebbero messo tutta la notte. Perciò addio film. «Va bene, domani, però ci vediamo al Caffè.».
«The e cornetti?»
«The e cornetti» rispose Francis riagganciando. Mise in moto e guido per i 45 km che la separavano dal suo confortevole appartamento. Non vedeva l’ora di ordinare una pizza al ristorante italiano, stendersi sul divano e leggere un bel libro. Una volta arrivata parcheggiò la macchina, riprese le borse e si avviò tranquillamente verso il condominio, dove abitava cercando di evitare i sorveglianti. Si rese conto di doversi sbrigare a entrare se non voleva trovare guai. Il coprifuoco era già scattato. Accelerò il passo non abbastanza da far vedere che stava per mettersi a correre ma neanche l’andatura calma con cui era scesa dall’auto.  Non voleva guai. Passò davanti ai Sorveglianti brandendo il tesserino che attestava chi fosse e che abitava là e poi percorse a grandi falcate il marciapiede. Una volta oltrepassati i sorveglianti, l’unico rumore che sentii furono i propri passi sull’asfalto. Man mano che avanzava si rese conto che qualcuno la stava seguendo. No, non la stavano seguendo i passi che si avvicinavano, stavano correndo. Qualcuno stava fuggendo da qualcosa.
 Francis si voltò lentamente e fu allora che lo vide, un uomo stava correndo verso di lei. Aveva un abbigliamento bizzarro, era alto almeno 30 cm più di lei, aveva capelli castani, arruffati, occhi castani, era magrissimo e indossava un completo  blu, un trench marrone che arrivava fino alle caviglie, e ai piedi calzava scarpe da ginnastica.  La ragazza lo trovò strano ma nulla di più.
«Ti ho raggiunta» disse l’uomo ansimando e fermandosi proprio davanti a lei.
«Scusi ... ci conosciamo?» chiese lei un po’ stupita.
L’uomo sorrise.
«No, ma m’incuriosisci»
«T’incuriosisco?» chiese lei, anche se lui le sembrava famigliare.
Lui annui
 Proprio in quel momento sentimmo dei passi.
«Come ti chiami?» chiese l’uomo sbrigativo.

«Francis... Francis Harper» rispose lei guardandosi alle spalle. Non voglio guai, non voglio guai   vi prego no!

«Francis.. mi ricorda qualcosa, ma cosa?! Comunque, non importa! Francis non mi piace e poi è troppo lungo! Piff mi farà perdere un sacco di tempo!»

Certo come se Francis fosse un nome lungo! Pensò lei scocciata mentre i passi si avvicinavano e lei desiderava solo andare a casa.

«Che cosa ne dici di Frannie?» disse l’uomo interrompendo il frenetico guardarsi in giro della  ragazza. Lei riportò lo sguardo su di lui e sbottò
«E’ ridicolo! E poi ha sette lettere, come Francis! Lo sapresti se sapessi contare stupido!»

«E’vero. Ha sette lettere, ma mi piace di più! Comunque io sono il Dottore» rispose l’uomo.

«Dottore? Dottore chi? Che razza di nome è ‘Dottore’?» chiese Francis sempre più confusa

«Il mio» replicò con tranquillità il Dottore.

«E’ ridicolo! Tutta questa situazione è ridicola! Devo andare a casa e...»  lo sproloquio di Frannie fu interrotto dal Dottore  che  si era accorto dei suoi inseguitori.

«Corri!» ordinò alla sua interlocutrice

«Cosa?!» chiese lei indignata

«Oh ma perché devo ripetere sempre tutto!? Corri! Alons-y Frannie!»
Le prese la mano e iniziò a correre. Francis fu trascinata in una corsa a perdifiato alla cieca. Dopo qualche minuto ansimò un «Aspetta» costringendolo a fermarsi.

«Se» ansimò «se  dobbiamo nasconderci, conosco un posto. Ma.. per favore, non corriamo alla cieca per mezza Londra.»

Era stupido, ma sapeva che nel suo appartamento non gli avrebbero trovati. Fu lei questa volta a prenderlo per mano e trascinarlo verso il suo condominio.  Corsero su per le scale, per poi fermarsi al terzo piano. Aprii il suo appartamento e lo fece entrare. Chiuse a doppia mandata e poi si appoggiò ansimante alla porta.

«Bene Dottore.  Qui non dovrebbero seguirci. Chi sei? Cosa ci fai qui? Chi ti segue? Che cosa vuoi da me’?» disse la ragazza tutto d’un fiato. Il Dottore intanto si guardava intorno. Interessato.  Erano in un ingresso ordinato con un appendiabiti dove appendere, i capotti e un cestino per gli ombrelli. Il pavimento era con delle semplici piastrelle color crema. Dall’ingresso si poteva vedere una piccola cucina, la porta semichiusa che dava su un salotto. E dall’ingresso partiva un corridoio che doveva condurre al bagno e alla camera da letto.  Era un piccolo appartamento, alla periferia di Londra.  Aspettate aveva detto Londra?  Sì, aveva detto Londra. Per conferma il Signore del Tempo si voltò verso la ragazza, che però era sparita. Mentre parlava e poneva quella raffica di domande a una velocità impressionante, si era diretta la cucina. Francis, infatti, si era diretta in cucina per preparare un po’ di sano tea che potesse calmarle i nervi. Aveva portato in casa sua uno sconosciuto! Uno sconosciuto per di più ricercato!

Alla faccia del tenersi fuori dai guai complimenti Francis.
 Il Dottore arrivò nella piccola cucina poco dopo, la ragazza stava seduta al tavolo con una tazza di tea in mano. Alzò lo sguardo quando lui entrò.
«Chi è lei?» chiese di nuovo Francis.
«Il Dottore, te l'ho detto»
«Va bene Dottore. Come sei arrivato qui?»
«Con la mia nave, ma dov'è esattamente qui?» chiese sedendosi di fronte a lei.
«Siamo a Londra, Inghilterra.»
«Londra? Sei sicura? Questa non è Londra» disse guardandola perplesso.
«Questa è la dodicesima Londra su questo pianeta».
«La dodicesima Londra su quale pianeta?» chiese curioso.
«Ma dove vivi?  Questa è la ventiquattresima Terra» rispose lei stupita
«Ventiquattresima Terra? In che anno siamo?»
«Siamo nel 2754 a Londra numero 12. Hai detto di essere arrivato su una nave. Sei un alieno?»
«Sì, come hai fatto a capirlo?»
 Lei lo guardo storto, poi chiese dubbiosa, e un po' spaventata dalla  risposta che lui avrebbe potuto fornirle
«Per caso sei arrivato con una cabina?»
«Si, il mio TARDIS lo stavo cercando, quando hanno iniziato a inseguirmi. Sai dov'è?»
«Il tuo che?»
«La mia nave, quella con cui sono arrivato qui»
La cabina telefonica di Martine!  Ora si che era nei guai! Lei aveva trovato l'uomo della cabina, l'alieno, quello che stavano cercando per registrarlo e per espellerlo se  non fosse stato umano.
Nonostante le nazioni unite avessero stipulato un trattato con le altre razze aliene, due secoli prima, essi erano ancora emarginati dagli umani e dovevano essere registrati per poi essere espulsi dal pianeta perché rappresentavano una “Minaccia” o almeno questo era quello che dicevano. In verità guardando quell'uomo Francis non riusciva a vederlo come un alieno pericoloso, sembrava un uomo molto alto, e di bell’aspetto ma nulla di più. Sì, forse parlava in modo complicato e veloce ma non sembrava né pericoloso, né minaccioso.
E fu in quel momento con questa certezza che la vita di Francis Harper cambiò per sempre. È strano come la vita di una persona possa cambiare con una piccola, innocua, decisione.
E la vita di quella ragazza cambiò nel momento in cui decise di aiutare il Dottore.
«Ti stanno cercando perché sei un estrameo. Ti stanno cercando perché pensano che tu sia laieno» disse la ragazza, per poi spiegargli.
«Se ti trovano e ti prendono ti registreranno, devi andartene, subito!» lo disse in tono grave.
«Di chi stai parlando?» chiese lui sporgendosi sul tavolo.
«Della procedura. La Convenzione delle Nazioni. Circa due secoli fa, le Nazioni Unite hanno stipulato un trattato di pace con le altre razze aliene, In sostanza, il documento prevede che gli alieni stiano lontani dai pianeti umani. Se dissobbediscono, questi sono presi e registrati»
«Registrati? Che cosa intendi per registrati?» chiese lui preoccupato.
«Non so che cosa voglia  dire registrati, ma so che dopo vengono mandati via.»
 Lui la guardò determinato con una strana luce negli occhi.
«Beh io da qui non me ne vedo, non senza il mio TARDIS» disse ostinatamente scrutandomi con quegli occhi castani.
«Dove sono portati gli alieni e gli oggetti di loro proprietà?»
 Lei ci pensò su un attimo poi si rese conto che Martine le aveva detto che gli oggetti alieni erano portati in un centro con una strana sigla.
«Mi sembra che vengano portati al TORCHWOOD» gli occhi del Dottore si spalancarono. «Andiamo» disse con entusiasmo afferrando il trench che aveva posato sulla spaliera della sedia.
«Conosco un amico che ci può aiutare»

To be continued

 Piccolo note

(1)    ionmhainn* è gaelico scozzese parlato nelle Hinglands e significa mia cara

(2)    Pace cartaginese è  una finta pace come il trattato di Versailles che nel 1918 pose fine alla 1 guerra mondiale e che  viene ricordato come una pace cartaginese

(3)    Sorveglianti in questo futuro in quest’altro pianeta si occupano della sicurezza  sono un po’ una polizia  però potente e spietata come vedremo

 

Angolo Autrice

*Marty esce piano piano*  Ciao"" Scusatemi ancora per favore. Oltre a scusarmi ancora per cinque mesi di ritardo,  (non farò mai più nulla del genere vi giuro che aggiornerò regolarmente) vorrei ringraziare chi segue ancora la mia storia e Wendy Candy e Dubhe01 per le recensioni.  Spero il capitolo vi sia piaciuto.  Prende luogo come avrete capito dagli ultimi minuti The Journey’s End  e  ripercorreremo le avventure  di Ten da quel momento, ma non ci saranno solo quelle ce ne saranno anche molte altre, con Frannie.  Si , ho creato Francis principalmente perché alla fine della quarta stagione Ten è solo e io non volevo che fosse  completamente solo. Per cui mi sono immaginata una nuova compagna. Spero  di averlo reso bene.  Ma cosa ne pensate di Francis? E di quest’altro Pianeta?   E di Ten?  E il TORCHWOOD che ruolo pensate possa giocare? Inoltre posso svelarvi che la ragazza con i capelli corvini nel benner è Francis Harper! Nel prossimo capitolo ritorneranno  Amy, James e Eleven  alle prese con il biglietto  del capitolo precedente.  Ma ora arriviamo alla mia piccola introduzione a Shadowhunters. Riassumiamo quello che  ho detto su Shadowhunters e aggiungiamo qualcosa

 Gli Shadowhunters si possono anche chiamare  Nephilim,  sono cacciatori di demoni, devono mediare e controllare che le altre creature sovrannaturali note come Nascosti rispettino la Legge. Sono stati mandati dall’Angelo Raziel su cui torneremo. Hanno sangue  angelico nelle vene. L’Angelo Raziel ha lasciato per i Cacciatori 1 Gli strumenti mortali che consentono di sapere la verità, evocare gli angeli e aumentare le fila di Shadowhunters, 2 la terra di Idris, 3 il Libro Grigio in cui ci sono tutte le Rune di cui uno Shadowhunter può aver bisogno. queste tre cose sono state concesse dall’Angelo Raziel, al primo Nephilim, Jonathan Shadowhunter (da cui i cacciatori traggono il nome) Il potere,  nella società Shadowhunters, viene tenuto da antiche famiglie di cacciatori, anche se ci sono delle istituzioni precise che vedremo nello specifico. Tutti i cognomi  delle famiglie Shadowhunters sono cognomi compositi. Ho detto che gli Shadowhunters devono far rispettare la Legge beh questa Legge è una convenzione che viene firmata e rivista ogni quindici anni e viene firmata dagli Shadowhunters e dai rappresentanti dei Nascosti. questa convenzione prende il nome di Accordi. Gli Accordi stabilisco i rapporti  tra gli Shadowhunters e i Nascosti  le responsabilità e i diritti di ciascuno. La scorsa volta  ho parlato di Idris è l’ho chiamato  “Patria degli Shadowhunters”. Il paese donato da Raziel in cui nessun demone può entrare, si trova vicino al Lussemburgo al centro dell’Europa. Ha una capitale  non che unica città, di nome Alicante, protetta da torri che respingono i demoni e chiamata per queste torri “Città di Vetro” (titolo del terzo libro della Clare )  è il centro politico degli Shadowhunters. Li si tengono le riunioni del Clave e del Consiglio di cui vi parlerò  nel prossimo capitolo Gli Shadowhunters sono guerrieri, ma hanno due ordini  monastici i Fratelli Silenti (che non centrano nulla con Silente il mago anche se ce lo vedo Silente come fratello silente). E un ordine femminile le Sorelle di Ferro.  I Fratelli Silenti sono i medici, gli archivisti i bibliotecari, i ricercatori degli Shadowhunters insomma custodiscono il sapere dei Nephilm ,risiedono nella città sotterranea chiamata Città Silente o più comunemente Città Di Ossa. Ma vi dirò un po’ più in là qualcosa di più su di loro.. Le sorelle di Fero sono i “fabbri” degli Shadowhunters forgiano le loro armi, i loro anelli di famiglia e sono le custodi dell’adamas. di cui vi parlerò tra un po’. Risiedono nella Città di diamante inaccessibile a chi che sia tranne  per una istanza cui i visitatori possono accedere. 

Spero di avervi incuriosito. Aggiornerò Sabato.

 Alla prossima settimana

 Baci 

Marty Evans  

  
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