Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: CupOfEternitea    23/02/2015    4 recensioni
“Tempo da lupi, stanotte”. Sansa si immobilizzò all’istante, non appena quella voce graffiante si sovrappose al rumore del temporale. Ora lo sentiva, inconfondibile e familiare: odore di vino e di ferro. O forse di sangue. L’odore è il medesimo. Lo aveva imparato sulla propria pelle: il sangue che sgorgava dai suoi graffi aveva lo stesso odore del duro guanto di ferro di Meryn Trant. “Ma tu sei un uccelletto. Che ci facevi sul davanzale? Non è la notte adatta per volare.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Clegane era tornato con un gran mucchio di legnetti secchi, cortecce, radici strappate da tronchi privi di vita. Con grande sorpresa di Sansa, non aveva perso tempo e si era subito messo all’opera, separando la legna troppo bagnata da quella che, miracolosamente, sembrava essere stata risparmiata dal temporale.
Sfregando i palmi uno contro l’altro, fece roteare un’estremità di un bastoncino contro l’incavo di una corteccia. A giudicare dall’espressione sulla metà illesa della sua faccia, sembrava sapere molto meglio di Sansa come procurarsi il calore necessario a superare la notte.
«Avevo una pietra focaia, un tempo», si lamentò tra i denti, chino sul mucchietto di legna.
Sansa ne approfittò per trarne uno spunto di conversazione. Si strinse il mantello bagnato sulle spalle, a disagio. «Cosa ne è stato?»
Fissava quelle mani grandi, callose: avrebbe potuto ucciderla, con quelle mani, eppure non riusciva a rammentare un solo episodio in cui esse l’avessero sfiorata per farle del male.
«Meglio non affezionarsi troppo alle cose, di questi tempi».
Già, questi tempi… La guerra, la fame, il sopraggiungere dell’inverno. Mentre lei combatteva la sua guerra personale, armata di sete e parole cortesi, fuori dalle mura della Fortezza Rossa c’era chi uccideva per un pezzo di pane, per proteggere il suo piccolo orto o la sua borsa da viaggio. Sansa gettò un’occhiata preoccupata al fagotto che conteneva il piccolo tesoro trafugato dalla vecchia prigione. Chissà se anche il Mastino aveva dovuto combattere simili vili battaglie... Aveva sempre immaginato che si fosse aggregato a qualche compagnia di mercenari o che avesse trovato un nuovo lord al quale offrire la sua spada; era la prima volta che si rendeva conto di non sapere nulla di ciò che gli era accaduto dalla notte della loro separazione. Sapeva solo che era vivo e che gli dei avevano ascoltato le sue preghiere, almeno in parte.
«Persa?», insistette, decisa a spezzare il silenzio di quel viaggio, ma esitò prima di proseguire. Aveva quasi paura a concludere la sua domanda, conscia dei sottintesi che implicava. Si sarebbe offeso? «O rubata?»
Le bastò pronunciare quella parola, perché le suonasse stupida. Non riusciva davvero ad immaginare il Mastino sopraffatto da qualcuno. Lo aveva visto battersi alla pari con suo fratello, Ser Gregor: un uomo tanto forte e sprezzante del pericolo non si sarebbe mai fatto battere da qualcuno meno valoroso di un vero eroe. Uno di quelli delle sue canzoni. Uno di quelli che non esistevano.
«Che importanza ha?» Nascosto dietro alla cortina di capelli neri riversi sulla metà devastata del suo viso, riusciva impossibile definire lo stato d’animo dell’uomo. Sansa attese che lui proseguisse, che le svelasse qualche dettaglio sulle sue avventure. Non era stata sorpresa di scoprire che lui fosse a conoscenza del suo matrimonio: immaginava che i Lannister avrebbero divulgato il più possibile la notizia, in modo da rendere note e incontrastabili le loro pretese su Grande Inverno.
Tutto ciò la faceva sentire vulnerabile, come nuda di fronte a un pubblico nascosto. Nuda di fronte a lui, celato dietro alla sua armatura e al muro dei suoi pensieri segreti.
Perché non mi racconta nulla di sé?
Sentì le gote andare in fiamme quando lui si voltò a guardarla, sorprendendola in immobile contemplazione, chissà con quale sciocca espressione di delusione sul viso.
«Vieni qui e soffia sul fuoco, invece di startene con le mani in mano», le ringhiò contro, facendola balzare in piedi, il cuore a mille per la paura. No, non paura: aveva smesso di incuterle spavento, eppure non poteva fare a meno di sentirsi stupida, quando si confrontava con lui. Non capiva nemmeno per quale motivo avrebbe dovuto preoccuparsene: alla Fortezza aveva basato la sua sopravvivenza sulla speranza che gli altri la reputassero stupida e sprovveduta; ma quello era un gioco di menzogne. Clegane le aveva sempre offerto la verità. Con lui giocava a carte scoperte.
I cani fiutano la menzogna.
Nel giocare il gioco della verità, non sopportava che lui la considerasse poco più di una bambina inetta.
Si chinò sulla legna, il viso a pochi centimetri dalle mani dell’uomo intente a sfregare il rametto.
Il Mastino aveva paura di avvicinarsi troppo al fuoco?
Che sciocchezza, rifletté mentre soffiava delicatamente sulla legna per alimentare la fiamma, stringendosi inutilmente nel proprio mantello bagnato.
Le parve di vedere le mani dell’uomo esitare, poi riprendere il lavoro con maggiore lena.
A pochi metri da loro, oltre il riparo offerto dalla roccia, una leggera pioggia continuava a battere nel bosco, sprigionando dal terreno profumi che Sansa credeva di aver dimenticato nel corso della sua cattività. Il parco degli dei di Grande Inverno aveva il medesimo odore, eppure, ogni volta che tentava di ricordarlo, le era impossibile scinderlo da quello di suo padre. Era lieta che quel bosco fosse così freddo, così distante dalle sorgenti termali della sua casa. Aveva quasi paura di rievocare l’immagine del Lord di Grande Inverno, di confonderlo, nelle sue fantasie, con la sagoma in ombra dell’uomo che la scortava.
Un altro pensiero stupido: Sandor Clegane e Ned Stark non avevano nulla in comune.
Sono entrambi assassini. Ma, stavolta, era la voce del Mastino che riecheggiava nella sua memoria, deridendo la sacra memoria di suo padre.
«Io… non ti ho ancora ringraziato». Lo osservava dal basso, scostandosi nervosamente dalla fronte le ciocche bagnate e le gocce di pioggia che le rotolavano sulle lunghe ciglia. «Non dimentico tutto quello che hai fatto per me. Non ho dimenticato nulla».
Lui taceva ancora, chino sul suo lavoro. La metà deforme del suo viso appariva immobile, nascosta dietro i lunghi capelli neri. Avrebbe voluto scostarli, costringerlo a voltarsi.
Sperava che accettasse i suoi ringraziamenti, o che le rivolgesse una delle solite battute ciniche e pungenti; invece, aveva l’impressione che le proprie parole si infrangessero contro una barriera di indifferenza che non era abituata ad affrontare. Sin dalla sua infanzia era stata abituata ad essere lusingata; ad Approdo del Re aveva dovuto confrontarsi quotidianamente con lo scherno e l’offesa. Non aveva idea di cosa volesse dire sentirsi invisibile.
Guardami, si sorprese a pensare.
Improvvisamente, la stoppa prese fuoco, facendola ritrarre dalla sorpresa. Sandor Clegane rimase saldo nella sua posizione, intento ad armeggiare con la legna per non far spegnere la fiamma.
Con un breve sospiro, Sansa si inginocchiò accanto al piccolo falò, allungando le mani per verso le piccole lingue rosse che salivano verso il soffitto roccioso e ricomponendo i frammenti del proprio orgoglio ferito. Poi, inaspettatamente, lui parlò.
«Era a quello che pensavi, durante la tua prima notte col nano? Ti davi della stupida per non aver accettato quando ne avevi la possibilità? Non ero l’eroe da ballata che ti aspettavi, vero?», raschiò nell’ombra.
Sansa si voltò di scatto a fissarlo, incredula. Rigida, a disagio, distolse lo sguardo da lui come se non ne sopportasse la vista.
Alla fine era andato dritto al punto, senza le sciocche e codarde deviazioni che avrebbe intrapreso lei, senza un velo della cortesia con cui lei le avrebbe accompagnate. Senza alcun tatto.
Provava una sciocca vergogna al pensiero di quella che sarebbe dovuta essere la sua prima notte di nozze. Non avrebbe dovuto. Non era più una bambina. Cersei Lannister le aveva spiegato chiaramente quanto sarebbe stato saggio, per lei, acquisire dimestichezza con le battaglie combattute tra le coltri; invece non riusciva neanche a sostenere lo sguardo del Mastino, a quell’insinuazione, neppure per smentirla. Rossa in viso, si strinse nelle braccia. «No. Non è quello che…»
«Preferivi quel tuo cazzo di giullare della canzone? Be’, bell’eroe che hai avuto, alla fine», la derise, riuscendo, come sempre, a ferirla con la semplice verità. Aveva rifiutato il suo aiuto; in cambio aveva ricevuto un mantello Lannister sulle sue spalle ancora gravate dal lutto.
Non era a lui che aveva pensato, nel ritrovarsi nel talamo con Tyrion Lannister, ma poteva forse negare di essersi pentita più volte di non essere fuggita con lui? Non poteva negarlo a se stessa e non lo avrebbe negato con lui; eppure ancora non riusciva a rispondere a quella brutale accusa.
Perché è sempre così pieno di risentimento?
Perché tornare per lei, solo per rinfacciarle il suo errore? Era per cancellare la macchia di quel rifiuto che la stava aiutando, forse?
Che stupida che era a sentirsi ferita solo all’idea che potesse essere questa, la soluzione! Cosa sarebbe cambiato, per lei? In un modo o nell’altro, era lontana da Approdo del Re. Con un po’ di fortuna, sarebbe stata da uno dei suoi zii al più presto, se fossero riusciti a evitare gli eserciti in guerra e i numerosi briganti e disertori. Il Mastino avrebbe avuto la sua ricompensa morale ed economica e lei sarebbe stata libera. Un giusto compromesso per entrambi.
Allora perché si sentiva così frustrata da quel muro di… cos’era? Disprezzo?
«Non sei diversa da come ti avevo lasciata. Di’, l’hai imparata subito la canzone dei Lannister, vero, uccellino? Che storie ti raccontavi, al buio, mentre aprivi le gambe a quel… Guardami, mentre ti parlo!», urlò oltre le fiamme.
«No! Tu, guardami!»
Sentiva le guance andarle in fiamme, ma non a causa del calore del fuoco.
Non sapeva neanche come quelle parole le fossero affiorate alle labbra, che ora tremavano di rabbia e di vergogna. Quale lady avrebbe mai osato gridare la sua rabbia all’eroe che l’aveva salvata? Aveva tanto sognato di crescere bella e cortese come le fanciulle delle leggende, e, invece, la sua vita sembrava somigliare sempre più a una ballata suonata da uno strumento scordato. Sua madre non si sarebbe mai comportata in quel modo avventato: quello era un atteggiamento che aveva sempre biasimato in Arya. Eppure, nel profondo, vi era qualcosa di spaventosamente liberatorio in quel grido. Lady, il suo metalupo, era stata sempre docile e silenziosa. Forse, si chiese, sarebbe stata ancora viva se avesse avuto un’indole più aggressiva? Forse avrebbe potuto rivoltarsi contro i suoi carcerieri, fuggire via.
No, devo smetterla. Non si può cambiare il passato. È stata tutta colpa di… di Joffrey. È stata colpa di Joffrey.
Il Mastino sembrava aver obbedito al suo ordine. La metà del viso risparmiata dal fuoco sembrava distorta dalla meraviglia, mentre i suoi occhi grigi indugiavano per la prima volta sul suo volto pallido.
Non ricordava di essere mai stata tanto maleducata e imperiosa con qualcuno: probabilmente la convivenza con Cersei Lannister aveva dato i suoi frutti amari, o forse era proprio lui a influenzarla con le sue cattive maniere. Un tempo avrebbe pianto, tanto i suoi nervi erano tesi, ma Sansa non aveva più lacrime da sprecare; solo un fiume di parole che attendeva da tempo di rompere gli argini. «Sei tu che non vuoi guardarmi. Da quando siamo fuggiti, sei stato bene attento a non posare lo sguardo su di me… a non rivolgermi quasi la parola. E quasi lo preferisco, se le uniche cose che hai da dirmi sono queste crudeltà.
Vuoi sapere se mi sono pentita di non averti seguito? Sì, l’ho fatto. Ogni giorno dopo la sconfitta di Stannis, ogni ora dopo essere stata costretta a quel matrimonio». Il suo tono si ammorbidì, mentre la sua voce tremava al solo pronunciare quella parola. «Ne ho pagato ogni conseguenza sulla mia pelle. Sei stato…». Si interruppe. Ogni gentilezza che aveva pensato di confessargli morì sulle sue labbra mentre lo osservava, attraverso le fiamme, voltare di nuovo la testa per evitare di guardarla.
«Avevi detto che un mastino mi avrebbe guardata dritta negli occhi, che non mi avrebbe mai mentito… Allora dimmi perché sei tornato, se non sopporti neanche la mia vista».
La pioggia aveva ricominciato a battere con violenza sul terreno circostante. Il destriero del Mastino scalpitava, alle spalle del suo padrone silenzioso, nonostante fosse anch’esso al riparo dalle intemperie. Di tanto in tanto, qualche goccia rimbalzava sulle rocce e si infrangeva sfrigolando sulle pietre che custodivano il loro fuoco, ma non vi era pericolo che la pioggia potesse spegnerlo. Ciò nonostante, Clegane si alzò senza aggiungere una sola parola e raggiunse la sella di Straniero. Armeggiò qualche minuto con le fibbie, finché non l’ebbe slacciata, e la sistemò accanto al fuoco. Sansa lo guardò posizionarla diritta, appoggiata a una bisaccia piena, in modo da non permetterle di cadere. Come paravento improvvisato, sembrava essere abbastanza funzionale.
Sansa rimase a fissare l’ampia schiena del Mastino, in attesa di una risposta.
Quando questa giunse, non era quella che si era aspettata.
«Avrei dovuto lasciare che ti uccidessero durante la sommossa del pane».
  
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